Thomas de Saint Laurent - Il libro della Fiducia

Raccolta di preghiere e testi religiosi d’Autore, a cura di miriam bolfissimo
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Thomas de Saint Laurent - Il libro della Fiducia

Messaggio da miriam bolfissimo » mer lug 12, 2006 3:59 pm

      • CAPITOLO PRIMO - Fiducia!
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  • Nostro Signore ci invita alla fiducia
Voce di Cristo, voce misteriosa della grazia che risuonate nel silenzio dei cuori, voi mormorate nel fondo delle nostre coscienze parole di dolcezza e di pace. Nelle nostre miserie presenti, ci ripetete la parola che il Maestro pronunciava così spesso durante la sua vita mortale: "Fiducia, fiducia!".

All'anima colpevole, oppressa dal peso delle sue colpe, Gesù diceva: "Abbi fiducia, figliuolo, i tuoi peccati ti son perdonati".

"Fiducia!" diceva ancora alla malata abbandonata che attendeva da lui la sua guarigione, "la tua fede ti ha salvata".

Quando i suoi apostoli tremavano di spavento, vedendolo camminare di notte sul lago di Genezareth, egli li tranquillizzava con questa affermazione rassicurante: "Abbiate fiducia! Sono io; non abbiate paura".

E la sera della Cena, conoscendo i frutti infiniti del suo sacrificio, lanciava, mentre andava alla morte, questo grido di trionfo: "Fiducia, abbiate fiducia! Io ho vinto il mondo".

Questa parola divina, cadendo dalle sue labbra adorabili, tutta vibrante di tenerezza e di pietà, operava nelle anime una trasformazione meravigliosa. Una rugiada soprannaturale fecondava la loro aridità; delle luci di speranza dissipano le loro tenebre; una serena certezza scacciava le loro angosce, perché le parole del Signore "sono spirito e vita".

"Beati quelli che le ascoltano e le mettono in pratica". Come un tempo i suoi discepoli, siamo noi ora invitati da Nostro Signore alla fiducia. Perché rifiutarci di ascoltare la sua voce?


  • Molte anime hanno paura di Dio
Pochi cristiani, anche tra i più ferventi, possiedono questa fiducia che esclude ogni ansietà ed ogni esitazione. Diverse sono le cause di questo fatto.

Il Vangelo narra che la pesca miracolosa sbalordì san Pietro. Con la sua foga abituale, egli misurò in una sola occhiata la distanza infinita che separava la grandezza del Maestro dalla sua bassezza. Egli tremò di sacro terrore e prosternandosi, il volto contro la terra, gridò: "Allontanatevi da me, Signore, perché sono un peccatore".

Alcune anime hanno, come l'Apostolo, questo timore. Esse sentono così vivamente le loro macchie e la loro miseria che osano appena avvicinarsi alla Divina Santità. Sembra loro che un Dio così puro debba provare una repulsione invincibile a chinarsi verso di esse. Malaugurata impressione, che imprime un contegno forzato alla loro vita interiore e talvolta la paralizza completamente.

Come si ingannano queste anime!

Gesù si avvicinò ben presto all'apostolo spaventato: "Non avere paura", gli disse, e lo fece alzare.

Anche voi cristiani, che avete ricevuto tanti segni del suo amore, non abbiate paura. Nostro Signore teme, più di ogni altra cosa, che abbiate paura di Lui. Le vostre imperfezioni, le vostre debolezze, le vostre colpe più gravi, le vostre ricadute così frequenti non lo irriteranno, purché desideriate sinceramente di convertirvi. Più siete miserabili, più egli ha compassione della vostra miseria, più desidera compiere presso di voi la sua missione di Salvatore. Non è forse soprattutto per i peccatori che Egli è disceso sulla terra?


  • Ad altre manca la fede
Ad altre anime manca la fede. Esse hanno certamente quella fede comune, senza la quale tradirebbero la grazia del loro battesimo. Credono che Nostro Signore sia onnipotente, buono e fedele nelle sue promesse; ma applicano malamente questa credenza alle loro necessità particolari. Esse non sono dominate dalla convinzione incrollabile che Dio, attento alle loro prove, si china su di loro per soccorrerle.

Eppure Gesù Cristo ci domanda questa fede speciale e concreta. Egli la esigeva un tempo come condizione indispensabile ai suoi miracoli; egli la esige ancora oggi da noi per concederci i suoi favori.

"Se puoi credere, tutto è possibile a colui che crede", diceva al padre del ragazzo posseduto. E nel convento di Paray-le-Monial, usando quasi gli stessi termini, ripeteva a santa Margherita Maria: "Se puoi credere, vedrai la potenza del mio Cuore nella magnificenza del mio Amore".

Potete credere? Potete arrivare a questa certezza, così forte che niente la fa vacillare, così chiara che equivale all'evidenza? È tutto qui. Quando arriverete a questo grado di fiducia, vedrete meraviglie realizzarsi in voi.

Chiedete dunque al Divin Maestro di aumentare la vostra fede. Ripetetegli spesso la preghiera del Vangelo: "Credo, Signore; aiutate la mia incredulità".


  • Questa sfiducia è loro pregiudizievole
La sfiducia, quali che ne siano le cause, ci arreca pregiudizio: essa ci priva di grandi beni.

Quando san Pietro, saltando dalla sua barca, si slanciava incontro al Salvatore, camminava con sicurezza sulle onde. Il vento soffiava con violenza. I flutti ora si sollevavano furiosamente, ora spalancavano gorghi profondi. L'abisso si apriva davanti all'Apostolo. Pietro tremò, esitò un secondo e subito cominciò ad affondare ... "Uomo di poca fede, gli disse Gesù, perché hai dubitato".

Ecco la nostra storia. Nei nostri momenti di fervore, ci raccogliamo ai piedi del Maestro. Viene la tempesta e il pericolo assorbe la nostra attenzione. Allontaniamo gli sguardi da Nostro Signore per rivolgerli ansiosamente sulle nostre sofferenze e sui nostri pericoli. Esitiamo ... e subito affondiamo.

La tentazione ci assale. Il dovere ci sembra gravoso, la sua austerità ci ripugna, il suo peso ci opprime. Fantasie inquietanti ci tormentano. La tempesta rimbomba nella nostra intelligenza, nella nostra sensibilità, nella nostra carne ... E noi perdiamo la testa; cadiamo nel peccato; cadiamo nello scoraggiamento, più pernicioso della stessa colpa. Anime senza fiducia, perché dubitiamo?

La prova ci colpisce in mille maniere. I nostri affari temporali sono pericolanti, il nostro avvenire materiale ci inquieta. La malevolenza attacca la nostra reputazione. La morte spezza i vincoli dei nostri affetti più legittimi e più teneri ... E noi dimentichiamo quale cura paterna la Provvidenza ha di noi. Mormoriamo, ci ribelliamo: aumentano così le nostre difficoltà e l'amarezza dei nostri dolori. Anime senza fiducia, perché dubitiamo?

Se fossimo stati attaccati al Buon Maestro con una fiducia tanto più disperata di quanto ci sembrava la situazione, non avremmo subito alcun danno. Avremmo camminato tranquillamente sulle onde; saremmo arrivati senza difficoltà al golfo tranquillo e sicuro; avremmo ben presto ritrovato la spiaggia soleggiata che la luce del Cielo illumina.

I santi hanno lottato contro le nostre stesse difficoltà; molti di essi hanno commesso le nostre stesse colpe. Ma almeno non hanno dubitato. Si sono sollevati senza indugio, più umili dopo la loro caduta, non confidando più ormai se non nel soccorso dall'Alto. Essi conservavano nei loro cuori la certezza assoluta che, appoggiati a Dio, avrebbero potuto. La loro fiducia non li ha ingannati.

Divenite dunque anime di fiducia. Nostro Signore vi invita a questo e il vostro stesso interesse lo esige. Diverrete allo stesso tempo anime di pace e di luce.


  • Scopo e divisione dell’opera
Quest'opera non ha altro scopo che di iniziarvi alla conoscenza e alla pratica di questa virtù. Ve ne esporrà molto semplicemente la natura, l'oggetto, i fondamenti e gli effetti.
Pio lettore, se mai questo modesto volume dovesse capitare tra le tue mani, non lo respingere sdegnosamente. Esso non pretende né l'eleganza letteraria, né l'originalità, ma contiene delle verità consolanti che ho tratto dai libri ispirati e dagli scritti dei santi: ecco il suo solo merito.

Leggilo lentamente, con attenzione, in spirito di preghiera. Arrivo a dire: meditalo. Lasciati penetrare dolcemente dalla sua dottrina. La linfa del Vangelo ne impregna le pagine: vi è per le anime migliore alimento delle parole del Salvatore?

Che tu possa, al termine di questa lettura, confidare unicamente in questo Maestro adorabile che ci ha dato tutto: i suoi tesori, il suo amore, la sua vita, fino all'ultima goccia del suo Sangue!
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mer lug 12, 2006 4:14 pm

      • CAPITOLO SECONDO - Natura e caratteristiche della fiducia
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  • La fiducia è una ferma speranza
Con quella concisione che reca l'impronta del suo genio, san Tommaso definisce la fiducia: "una speranza fortificata da una solida convinzione". Affermazione profonda, che ci limiteremo a commentare in questo capitolo.

Soppesiamo attentamente i termini impiegati dal Dottore Angelico. La fiducia, egli scrive, è "una speranza"; non la speranza ordinaria, comune a tutti i fedeli; una caratteristica specifica la distingue: è una speranza fortificata.

Si noti bene: la differenza non è di natura, ma solo di grado di intensità. Le luci incerte dell'alba e quelle abbaglianti del sole a mezzogiorno fanno parte della stessa giornata. Così, la fiducia e la speranza appartengono alla stessa virtù: l'una non è che il pieno sviluppo dell'altra.

La speranza comune vien persa con la disperazione; essa può tollerare, tuttavia, una certa inquietudine. Ma quando raggiunge quella perfezione che le fa mutare il nome in quello di "fiducia", la sua sensibilità diviene delicata. Essa non sopporta più l'esitazione, per quanto leggera la si immagini. Il minimo dubbio la diminuirebbe e la ricondurrebbe al livello della semplice speranza.

Il Regale Profeta sceglieva con cura le sue espressioni, quando chiamava la fiducia "una supersperanza": si tratta infatti di una virtù elevata al massimo della sua intensità. E il padre Saint-Jure, uno dei più stimati autori spirituali del secolo XVII, vedeva giustamente in essa una speranza "straordinaria ed eroica".

La fiducia non è dunque un fiore comune. Essa cresce sulle cime e non si lascia cogliere che dai generosi.


  • Essa è fortificata dalla fede
Proseguiamo in questa nostra analisi. Quale forza sovrana fortificata la speranza, al punto di renderla inespugnabile agli assalti delle avversità?... La fede.

L'anima fiduciosa conserva nella sua memoria le promesse del Padre celeste; ella le medita profondamente. Sa che Dio non può mancare alla sua parola e da qui trae la sua imperturbabile sicurezza. Se il pericolo la minaccia, la circonda, perfino la abbatte, essa conserva sempre la sua serenità. Malgrado l'imminenza del pericolo, ripete la parola del Salmista: "Il Signore è la mia luce e la mia salvezza; che mai posso temere? Il Signore protegge la mia vita; che mai mi farà tremare?".

Esistono, tra la fede e la fiducia, intimi rapporti, strettissimi legami di parentela. Per usare l'espressione di un teologo moderno, è nella fede che va trovata "la causa e la radice" della fiducia. Ora, quanto più la radice affonda nella terra, tanto più da essa trae il suo alimento; più vigoroso crescerà lo stelo, più opulenta sarà la fioritura. Così la nostra fiducia si sviluppa nella misura in cui diviene più profonda la nostra fede.

Le Sacre Scritture riconoscono la relazione che unisce due virtù. La stessa parola "fides" non designa forse l'una e l'altra, a seconda dei casi, nella penna degli scrittori sacri?


  • La fiducia è incrollabile
Le considerazioni precedenti saranno forse sembrate troppo astratte. Era tuttavia necessario che vi ci soffermassimo: da esse dedurremo le caratteristiche della vera fiducia.

La fiducia, scrive il padre Saint-Jure, è "ferma, stabile e costante, in un grado così eminente che nulla al mondo può, non dico abbatterla, ma neppure farla vacillare".

Immaginare gli eccessi più angosciosi nell'ordine temporale, le difficoltà più insormontabili nell'ordine spirituale: esse non altereranno la pace dell'anima fiduciosa. Catastrofi impreviste potranno ammucchiare attorno ad essa le rovine della sua felicità; quest'anima, più padrona di se stessa del saggio antico, rimarrà imperterrita: "Impavidum furient ruinae".

Essa si rivolgerà semplicemente a Nostro Signore; in Lui si appoggerà con tanta maggior sicurezza, quanto più essa si sentirà privata di ogni aiuto umano. Pregherà con ardore più vibrante, e nelle tenebre della prova proseguirà il suo cammino, aspettando in silenzio l'ora di Dio.

Una tale fiducia è rara, senza dubbio. Ma se essa non raggiunge questo minimo di perfezione, non merita il nome di fiducia.

Sublimi esempi di questa virtù si trovano del resto nelle Sacre Scritture e nelle vite dei Santi. Colpito nella sua fortuna, nella famiglia e nella stessa carne, Giobbe, ridotto all'estrema indigenza, giaceva su un mucchio di letame. I suoi amici, la stessa moglie rendevano più acuto il suo dolore con la crudeltà delle loro parole. Eppure egli non si lasciava abbattere; nessun mormorio si mescolava ai suoi lamenti. Egli era sostenuto dal pensiero della fede: "Quand'anche il Signore mi togliesse la vita, diceva, continuerò ancora a sperare in Lui". Fiducia mirabile, che Dio ricompensò magnificamente. La prova ebbe fine: Giobbe recuperò la salute, guadagnò una fortuna più considerevole e visse un'esistenza più prospera di quella precedente.

Durante un viaggio, san Martino cadde nelle mani di alcuni ladri. I banditi lo depredarono; si accingevano a ucciderlo, quando improvvisamente, toccati dal pentimento o colpiti da un misterioso timore, contro ogni aspettativa, lo misero in libertà. Fu chiesto più tardi all'illustre vescovo se nell'incombenza di questo pericolo avesse provato qualche timore. Egli rispose: "Nessuno. Sapevo che l'intervento divino è tanto più vicino, quanto più lontani sono i soccorsi umani".

La maggior parte dei cristiani non imita purtroppo questi esempi. Mai essi i avvicinano così poco a Dio, quanto nel tempo della prova.

Molti non lanciano quel grido di soccorso che il Signore attende per venir loro in aiuto. Funesta negligenza! "La Provvidenza - diceva Luigi di Granada - si riserva di risolvere essa stessa le difficoltà straordinarie che si presentano nella vita, mentre lascia alle cause seconde il compito di risolvere le difficoltà ordinarie". Ma è necessario reclamare l'aiuto divino. Questo aiuto, Dio ce lo accorda con gioia. "Lungi dal pensare alla nutrice da cui succhia il latte, il bambino le è al contrario di sollievo".

Altri, nelle ore difficili, pregano ardentemente, ma senza costanza. Se non vengono esauditi immediatamente, piombano da una speranza esaltata in un irragionevole abbattimento. Essi non conoscono le vie della Grazia. Dio ci tratta come bambini: qualche volta fa il sordo a causa della gioia che prova nel sentirci invocarlo. Perché scoraggiarsi così presto, quando bisognerebbe invece pregarlo con maggiore insistenza?

La dottrina insegnata da san Francesco di Sales non è diversa: "La Provvidenza rimanda il suo aiuto soltanto per suscitare la nostra fiducia. Se il nostro Padre celeste non ci accorda sempre ciò che gli domandiamo, lo fa per tenerci vicino a lui e darci l'occasione di insistere presso di lui con amorosa violenza, come fece ben vedere a quei due pellegrini di Emmaus, con i quali si trattenne solo verso la fine del giorno e quando essi lo costrinsero".


  • Essa non si fonda che su Dio
Fermezza incrollabile: tale è dunque il primo carattere della fiducia. La seconda qualità di questa virtù è ancora più perfetta. "Essa porta l'uomo a far poco conto dell'aiuto delle creature: sia dell'aiuto che può trarne da se stesso, dal suo spirito, dal suo giudizio, dalla sua scienza, dalla sua destrezza, dalle sue ricchezze, dal suo credito, dai suoi amici, dai suoi parenti e da tutto ciò che ha; sia dell'aiuto che può aspettarsi dagli altri, che siano Re, principi e, in generale, qualsiasi altra creatura, perché egli sente e conosce la debolezza e la vanità di ogni aiuto che provenga dalle creature umane. Egli le considera come realmente sono, e come santa Teresa a buon diritto le considera simili al ramo secco del ginepro, che si rompe appena lo si carica di qualcosa".

Questa teoria non procederà forse da un falso misticismo? Non condurrà per caso al fatalismo, o almeno ad una pericolosa passività? Perché moltiplicare i nostri sforzi per superare le difficoltà, se tutti gli appoggi sono destinati a spezzarsi nelle nostre mani? Incrociamo allora le braccia, aspettando l'intervento divino!

No, Dio non vuole che ci addormentiamo nell'inerzia. Egli esige che noi lo imitiamo. La sua perfettissima attività non ha limiti, egli è l'atto puro. Dobbiamo agire, dunque; ma solo da Lui dobbiamo aspettarci l'efficacia della nostra azione.

Aiutati ché il Cielo ti aiuterà. Ecco l'economia del piano provvidenziale.

All'opera! Si faccia del nostro meglio, ma con lo spirito e il cuore rivolti verso l'alto. "Invano vi leverete prima della luce del giorno": se il Signore non ci mette la mano, non concluderete niente.

Infatti la nostra impotenza è radicale. "Senza di me non potete fare niente", dice il Salvatore.

Nell'ordine soprannaturale, questa impotenza è assoluta. Ascoltate bene l'insegnamento dei teologi.

Senza grazia non si può osservare per molto tempo e nel loro insieme i comandamenti di Dio.

Senza la grazia non possiamo avere una buona intenzione, non possiamo formulare neppure la più breve preghiera; senza di essa non possiamo neppure invocare con devozione il Nome di Gesù.

Tutto ciò che possiamo realizzare nell'ordine soprannaturale ci viene unicamente da Dio.

Nello stesso ordine naturale, è sempre Dio a darci il buon esito.

San Pietro aveva lavorato tutta la notte. Egli era resistente alla fatica e conosceva a fondo i segreti del suo rude mestiere. Tuttavia aveva solcato invano le onde tranquille del lago: non aveva preso niente. Ma ecco che riceve il Maestro nella sua barca e lancia le sue reti in nome del Salvatore: allora ottiene una pesca miracolosa e le maglie della rete si rompono per il numero di pesci...

Seguendo l'esempio dell'Apostolo, lanciamo le nostre reti con pazienza instancabile; ma attendendo solo da Nostro Signore una pesca meravigliosa.

"In tutto ciò che dovete fare - diceva sant'Ignazio di Loyola - ecco la regola delle regole da seguire: affidatevi a Dio, agendo come se il successo di ogni cosa dipendesse interamente da voi e in nulla da Dio; ma, pur impiegando tutti i vostri sforzi per il buon risultato, non contate su di essi e procedete come se tutto dovesse essere fatto da Dio Solo e nulla da voi".


  • Si compiace della mancanza di soccorsi umani
Non scoraggiarsi quando svanisce il miraggio delle speranze umane, non contare se non sull'aiuto del Cielo, non è già un'alta virtù? Con le sue ali vigorose, la vera fiducia si slancia però verso regioni ancora più sublimi; giunge ad esse per mezzo di una specie di sublimazione dell'eroismo; essa tocca finalmente il grado più alto della sua perfezione.

Questo grado "consiste nel rallegrarsi quando ci si vede privati di ogni soccorso umano, abbandonati dai propri parenti, dai propri amici e da tutte le creature, che non vogliono o non possono aiutarci, che non possono né darci un consiglio né aiutarci con il loro talento e il loro credito, che non hanno alcun mezzo di venire in nostro soccorso".

Quale profonda saggezza viene rivelata da tale gioia in circostanze così crudeli! Per intonare il cantico della gioia sotto i colpi che dovrebbero naturalmente infrangere il nostro coraggio, bisogna conoscere a fondo il Cuore di Nostro Signore; bisogna credere perdutamente alla sua pietà misericordiosa e alla sua onnipotente bontà; bisogna avere l'assoluta certezza che egli sceglie per i suoi interventi l'ora delle situazioni disperate.

Dopo la sua conversione, san Francesco d'Assisi disprezzò i sogni di gloria che per qualche tempo lo avevano abbagliato. Egli fuggiva le riunioni mondane, si ritirava nei boschi per dedicarsi lungamente all'orazione, faceva abbondanti elemosine. Questo cambiamento spiacque al padre del giovane santo, che portò suo figlio davanti all'autorità diocesana, rimproverandogli di dissipare i suoi beni. Allora, in presenza del vescovo meravigliato, Francesco rinunziò all'eredità paterna e abbandonò perfino i vestiti ricevuti dalla sua famiglia: si spogliò di tutto. Poi, vibrando di una felicità sovrumana, esclamò: "Ora, o mio Dio, potrò chiamarti più giustamente di prima: Padre Nostro che sei nei cieli".

Ecco come agiscono i santi.

Anime colpite dalla prova, non mormorate nell'abbandono in cui siete ridotte. Dio non vi domanda un'allegria sensibile, impossibile alla nostra debolezza. Solamente, rianimate la vostra fede, riprendete coraggio e, secondo l'espressione cara a san Francesco di Sales, sforzatevi di rallegrarvi nel "fondo ultimo dell'anima".

La Provvidenza vi sta dando il segnale da cui si riconosce la sua ora: essa vi ha privato di ogni appoggio. È il momento di resistere all'inquietudine della natura. Siete arrivati a quel punto dell'officio interiore in cui si deve cantare il magnificat e far fumigare l'incenso: "Rallegratevi sempre nel Signore; ve lo ripeto rallegratevi: il Signore è vicino".

Seguite questo consiglio e vi troverete bene. Se il Divino Maestro non si lasciasse commuovere da una tale fiducia, non sarebbe più quello che i Vangeli ci mostrano compassionevole, colui che era scosso da un fremito doloroso alla vista delle nostre sofferenze.

Nostro Signore diceva ad un'anima privilegiata: "Se io sono buono per tutti, sono buonissimo verso coloro che hanno fiducia in me. Sai quali sono le anime che approfittano di più della mia bontà? Quelle che prima di tutto hanno fiducia ... Le anime fiduciose rubano le mie grazie"
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mer lug 12, 2006 4:30 pm

      • CAPITOLO TERZO - La fiducia in Dio e le nostre necessità temporali

  • Dio provvede alle nostre necessità temporali
La fiducia, come abbiamo visto, è una speranza comune a tutti i fedeli se non per il suo grado di perfezione. Essa si esercita dunque sugli stessi oggetti di questa virtù, ma per mezzo di atti più intensi a più vibranti.

Come la speranza ordinaria, la fiducia attende dal Padre celeste tutti gli aiuti necessari per vivere santamente in terra e meritare la beatitudine del Paradiso.

Essa attende, in primo luogo, i beni temporali, nella misura in cui questi ci conducono al nostro fine ultimo.

Niente di più logico: non possiamo andare alla conquista del cielo allo stesso modo dei puri spiriti; siamo composti di un corpo e di un'anima. Questo corpo, che il Creatore ha formato con le sue mani adorabili, è il compagno inseparabile della nostra esistenza terrena, e lo sarà poi del nostro destino eterno, dopo la resurrezione universale. Non possiamo prescindere dalla sua assistenza nella lotta per la conquista della vita beata.

Ora, per sostenersi, per assolvere pienamente al proprio compito, il nostro corpo ha molteplici esigenze. È conveniente che la Provvidenza le soddisfi: essa lo fa magnificamente.

Dio si incarica di venire in aiuto alle nostre necessità temporali, e vi provvede abbondantemente. Egli ci segue con uno sguardo vigile e non ci lascia nel bisogno. Anche se siamo circondati dalle più angosciose difficoltà materiali, dunque, non preoccupiamoci. Aspettiamoci dalla mano divina, con tranquilla sicurezza, il necessario al sostentamento della nostra vita.

"Perciò vi dico - dichiara il Salvatore - non siate troppo solleciti per la vostra vita, di quel che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, né di ciò di cui vi vestirete. Non affannatevi su come trovare il cibo per sostentarvi ed i vestiti per coprirvi. Non vale forse la vita più del nutrimento e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono e non raccolgono nei granai; eppure il vostro Padre celeste li nutre. Non valete voi molto più di loro? E perché inquietarvi tanto per il vestito? Considerate come crescono i gigli del campo: essi non lavorano, né filano. Tuttavia vi dico che neppure Salomone, in tutto il suo splendore, fu mai vestito come uno di essi. Se dunque Dio riveste così l'erba del campo, che oggi c'è ma che domani viene gettata nel fuoco, quanto più vestirà voi, o uomini di poca fede? Non vogliate dunque preoccuparvi dicendo: Cosa mangeremo? Oppure: Cosa berremo? Di che ci vestiremo? Sono infatti i pagani che cercano queste cose. Il vostro padre sa di cosa avete bisogno. Cercate in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato in sovrappiù".

Non basta dare un'occhiata di sfuggita a questo discorso di Nostro Signore. Occorre soffermarvisi lungamente per cercarne il significato profondo ed impregnarsi bene della sua dottrina.


  • Lo fa in modo conforme alla situazione di ciascuno
Queste parole vanno forse prese alla lettera e intese nel loro senso più stretto? Dio ci dona forse solo lo stretto necessario - il tozzo di pane secco, il bicchiere d'acqua, il lembo di stoffa - di cui la nostra miseria non può fare a meno?

No, il Padre celeste non tratta i suoi figli con avara parsimonia. Crederlo, sarebbe bestemmiare la sua infinita Bontà; sarebbe, se così posso esprimermi, misconoscere le sue abitudini. Nell'esercizio della sua Provvidenza, come nella sua opera creatrice, Dio manifesta infatti una certa prodigalità.

Quando lancia i mondi attraverso gli spazi, Egli trae dal nulla migliaia di astri. Nella Via Lattea, questa immensa spiaggia non corrisponde a una stella?

Quando nutre gli uccelli, li invita all'opulento banchetto della Natura. Egli offre loro il grano che gonfia le spighe, i semi di ogni sorta che maturano sulle piante, le bacche che l'autunno tinge di rosso nei boschi, le messi che il lavoratore affida al solco. Quale scelta infinitamente varia per queste umili bestiole!

Quando crea i vegetali, con che lieve grazia riveste i loro fiori! Cesella le loro corolle come gioielli preziosi, versa nei loro calici profumi penetranti, tesse i loro petali con una seta così brillante e delicata che gli artifici della tecnica non ne eguaglieranno mai la bellezza.

E quanto all'uomo, il suo capolavoro, il fratello adottivo del suo Verbo Incarnato, Dio non si mostrerà di una generosità ancora più prodiga? Diventerebbe forse avaro solo nei nostri confronti? Questo non è possibile di certo.

Consideriamo dunque come verità indiscutibile che la Provvidenza provvede largamente ai bisogni temporali degli uomini.

Senza dubbio, vi saranno sempre sulla terra dei ricchi e dei poveri. Mentre gli altri devono lavorare e praticare una saggia economia. Ma il Padre celeste fornisce a tutti i mezzi per vivere con una certa agiatezza, secondo la condizione in cui li ha stabiliti.

Torniamo al paragone usato da Gesù. Dio ha rivestito il giglio di splendore, ma questa veste bianca e profumata era reclamata dalla natura del giglio. Più modestamente è stata abbigliata la violetta; Dio le ha donato tuttavia quanto conveniva alla sua natura specifica. E questi due fiori sbocciano dolcemente al sole, senza che manchino di nulla.

Così si comporta Dio con gli uomini. Egli ha collocato alcuni nelle classi più alte della società ed altri in una condizione meno brillante: agli uni come agli altri dà però il necessario perché mantengano con dignità il loro rango.

Mi si obietterà forse l'instabilità delle condizioni sociali. Nella crisi attuale non è più facile decadere piuttosto che innalzarsi o anche solo mantenere il proprio livello sociale?

Senza dubbio. Ma la Provvidenza proporziona esattamente il suo aiuto ai bisogni di ciascuno: a grandi mani procura grandi rimedi. Ciò che ci viene tolto dalle catastrofi economiche, possiamo riguadagnarlo con la nostra industriosità e il nostro lavoro. Nei casi, molto rari, in cui la nostra attività personale si trova ridotta all'impotenza, abbiamo il diritto di aspettarci dall'alto un intervento straordinario.

Generalmente, almeno è quel che penso, Dio non crea i "decaduti". Egli vuole, al contrario, che progrediamo, che cresciamo, che ci eleviamo saggiamente. Se qualche volta permette un decadimento, non lo vuole con una decisione antecedente all'azione del nostro libero arbitrio.

Il più delle volte, il declino sociale proviene dalle nostre colpe, personali o ereditarie. Sono conseguenze naturali della pigrizia, della prodigalità, delle passioni. Ma l'uomo, anche se decaduto, può risollevarsi e, con l'aiuto della Provvidenza, riconquistare per mezzo dei suoi sforzi la condizione perduta.


  • Non preoccuparsi per il futuro
Dio provvede ai nostri bisogni. "Non inquietatevi", dice il Salvatore. Qual è il senso esatto di questo consiglio?

Dobbiamo dunque, per obbedire alla direttiva del Maestro, trascurare completamente la cura dei nostri affari temporali? Che la Grazia domandi a alcune anime la stretta povertà ed un totale abbandono alla Provvidenza, non ne dubitiamo affatto. Bisogna constatare tuttavia la rarità di tali vocazioni. Gli altri, comunità religiose o individui, possiedono dei beni che devono gestire convenientemente.

Lo Spirito Santo loda la donna forte che ha amministrato con saggezza la propria casa. Ce la mostra, nel libro dei Proverbi, mentre si alza di buon'ora, per assegnare ai domestici il loro compito quotidiano, e mentre lavora con le proprie mani. Niente sfugge alla sua vigilanza. I suoi familiari non hanno niente da temere: troveranno, grazie alla sua previdenza, il necessario, il gradevole e perfino un certo lusso moderato. I suoi figli la proclamano basta e il marito ne canta le virtù.

La Verità in persona non avrebbe lodato così magnificamente questa donna, se ella non avesse compiuto il suo dovere.

Non inquietarsi significa dunque, pur occupandosi ragionevolmente dei propri affari, non lasciarsi angustiare dalle oscure prospettive del futuro e contare, senza esitazioni, sull'aiuto della Provvidenza.

Non inganniamoci: una tale fiducia suppone una grande forza d'animo. Occorre evitare un doppio scoglio, il troppo e il troppo poco. Chi per negligenza si disinteressa dei suoi affari, non può, senza tentare Dio, aspettarsi dal Cielo un aiuto straordinario. Chi assegna alle preoccupazioni materiali il primo posto nei suoi pensieri, chi fa conto meno su Dio che su se stesso, si inganna forse anche più gravemente: egli defrauda l'Altissimo del posto che gli spetta di diritto nella nostra vita. In medio stat virtus: tra questi due estremi sta il dovere.

Quando ci si è occupati saggiamente dei propri affari, angustiarsi per il futuro è misconoscere la Potenza e la Bontà di Dio.

Durante i numerosi anni in cui san Paolo l'eremita visse nel deserto, un corvo gli portava ogni giorno un mezzo pane. Ora un giorno sant'Antonio si recò a visitare l'illustre eremita. I due solitari parlarono a lungo, dimenticandosi di bere e di mangiare, assorti nelle loro pie conversazioni. Ma la Provvidenza pensava a loro: il corvo venne come al solito, portando però questa volta un pane intero!

Il Padre celeste ha creato l'universo intero con una sola parola: avrebbe dunque qualche difficoltà nel soccorrere i propri figli nel momento del bisogno?

San Camillo de Lellis si era indebitato per soccorrere i suoi malati poveri. I suoi religiosi erano allarmati. "Non bisogna mai dubitare della Provvidenza", diceva loro il Santo per tranquillizzarli. "È così difficile a Nostro Signore darci un poco di quei beni temporali di cui ha colmato gli Ebrei e i Turchi, che sono i nemici della nostra fede?". La fiducia di Camillo non fu delusa: un mese dopo uno dei suoi benefattori, morendo, gli lasciò una notevole somma.

Inquietarsi per il futuro è una sfiducia che offende Dio e provoca la sua indignazione.

Quando gli Ebrei, fuggendo dall'Egitto, si videro perduti nel mezzo del deserto, dimenticarono i miracoli di Javeh in loro favore. Ebbero timore e mormorarono: "Dio potrà mantenerci nel deserto? ... Potrà dare del pane al suo popolo?" Queste parole irritarono il Signore. Egli lanciò contro di loro il fuoco del cielo; la sua collera cadde contro Israele "perché essi non avevano avuto fede in Dio e non avevano sperato nel suo aiuto".

Nessuna vana inquietudine: il Padre veglia su di noi.


  • Cercare in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia
"Cercate dunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia, e il resto vi sarà dato in sovrappiù". È così che il Salvatore conclude il suo discorso sulla Provvidenza. Conclusione consolante che racchiude una promessa condizionata: non dipende che da noi beneficiarne. Su questo punto conviene di nuovo soffermarsi per meditare le parole del Maestro.

Una questione si pone necessariamente: dove si trova questo regno di Dio che dobbiamo cercare prima di tutto? "Esso è in voi" risponde il Vangelo. Regnum Dei intra vos est.

Cercare il Regno di Dio, significa dunque innalzare a Dio un trono nella nostra anima; è sottomettersi interamente al suo sovrano dominio. Pieghiamo tutte le nostre facoltà sotto lo scettro misericordioso dell'Altissimo! La nostra intelligenza si ricordi continuamente della sua presenza; la nostra volontà, il nostro cuore si slancino frequentemente verso di Lui con atti di carità ardente e sincera. Praticheremo allora quella giustizia che nel linguaggio della Scrittura significa perfezione della vita interiore. Seguiremo allora alla lettera il consiglio del Salvatore; cercheremo il regno di Dio.

"E il resto ci sarà dato in sovrappiù".

C'è qui una specie di patto bilaterale: da parte nostra dobbiamo lavorare per la gloria del Padre celeste; da parte sua, il Padre si impegna a sovvenire ai nostri bisogni. Gettate dunque le vostre preoccupazioni nel Cuore del Maestro; eseguite il patto che vi propone; egli manterrà la sua parola, veglierà su di voi e vi nutrirà.

"Pensa a me - dice il Signore a santa Caterina da Siena - e io penserò a te". E qualche secolo più tardi, nel monastero di Paray-le-Monial, promette a santa Margherita Maria di fare riuscire le imprese di coloro che si sarebbero mostrati particolarmente devoti al suo Sacro Cuore.

Beato il cristiano che si conforma a questa massima del Vangelo! Egli cerca Dio e Dio si cura dei suoi interessi con la sua onnipotenza: di cosa potrebbe mancare?.

Egli pratica le solide virtù interiori ed evita così i disordini, le mancanze, i vizi che sono le cause più comuni degli insuccessi e della rovina.


  • Pregare per i nostri bisogni temporali
La fiducia, come stiamo descrivendola, non ci dispensa dalla preghiera. Nelle nostre necessità temporali non è sufficiente aspettare l'aiuto di Dio; bisogna anche chiederglielo.

Gesù Cristo ci ha lasciato nel Pater un modello perfetto di preghiera. Dunque bisogna che chiediamo il nostro pane di ogni giorno: Panem nostrum quotidianum da nobis hodie.

Non trascuriamo forse spesso questo grande dovere? Che imprudenza e follia! Ci priviamo così, per leggerezza, della protezione celeste, la sola sovranamente efficace. I Cappuccini, si dice, non muoiono mai di fame, perché recitano pianamente il Padre Nostro. Imitiamoli, e l'Altissimo non ci lascerà mancare il necessario.

Dobbiamo dunque domandare il nostro pane quotidiano. È un obbligo che ci impongono la fede e la carità verso noi stessi. Possiamo però aumentare le nostre pretese e domandare la ricchezza?

Niente vi si oppone, sempre che la nostra preghiera si ispiri a ragioni soprannaturali e che restiamo sottomessi alla Volontà di Dio. Il Signore non ci proibisce di esprimergli i nostri desideri; Egli ama, al contrario, che ci comportiamo filialmente con lui. Non aspettiamoci tuttavia che egli si spieghi a tutte le nostre fantasie: la sua Bontà glielo vieta. Egli sa qual è il nostro bene; ci concederà i beni della terra solo se essi dovessero servire alla nostra santificazione.

Abbandoniamoci dunque interamente alla Provvidenza e recitiamo la preghiera del Saggio: "Non datemi né la povertà né la ricchezza. Datemi solamente ciò che mi sarà necessario per vivere, affinché la ricchezza non mi tenti a negarvi dicendo: Chi è mai il Signore?, o che, costretto dall'indigenza, non rubi e non bestemmi il Nome del mio Dio".
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 14, 2006 2:55 pm

      • CAPITOLO QUARTO - La fiducia in Dio e i nostri bisogni spirituali
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  • La misericordia di Nostro Signore verso i peccatori
La Provvidenza, che nutre l'uccello sul ramo, ha cura del nostro corpo. Tuttavia, cos'è mai questo misero corpo? Una cosa fragile, un condannato a morte sorvegliato dai vermi. Nella nostra folle corsa, c'illudiamo di dirigerci verso i nostri affari o i nostri piaceri; ogni nostro passo ci avvicina al termine, noi stesso trasciniamo il nostro cadavere fino all'orlo della tomba.

Se Dio si prende cura in questo modo dei nostri corpi corruttibili, con quale sollecitudine vigilerà sulle nostre anime immortali? Egli prepara loro dei tesori di grazia la cui ricchezza oltrepassa la nostra immaginazione; invia loro degli aiuti sovrabbondanti per la loro santificazione e salvezza.

Non prenderò qui in considerazione questi mezzi di santificazione messi a nostra disposizione dalla Fede.

Mi rivolgerò semplicemente alle anime tormentate, che si incontrano così spesso. Vangelo alla mano, mostrerò loro l'inconsistenza dei loro timori. Non debbono abbattersi né per la gravità delle loro colpe, né per la molteplicità delle loro ricadute, né per le loro tentazioni. Al contrario, più esse avvertono la gravità delle loro miserie, più debbono appoggiarsi a Dio. Che non perdano la fiducia! Qualunque sia l'orrore del loro stato, per quanto abbiano vissuto a lungo nel disordine, con gli aiuti della grazia esse possono convertirsi ed innalzarsi verso un'alta perfezione.

La misericordia di Nostro Signore è infinita: nulla la disgusta, neppure le colpe che ci sembrano essere le più vergognose e criminali. Durante la sua vita mortale, il Maestro accoglieva i peccatori con una bontà tutta divina: non ha mai rifiutato loro il suo perdono.

Spinta dall'ardore del suo pentimento, senza curarsi delle convenienze mondane, Maria Maddalena entra nella sala del banchetto. Ella si prosterna ai piedi di Gesù e li inonda delle sue lacrime. Il fariseo Simone osserva questa scena con occhio ironico; dentro di sé, egli s'indigna. "Se quest'uomo fosse un Profeta - pensa - saprebbe chi è questa donna e la scaccerebbe con disprezzo". Ma il Salvatore non la respinge: accetta i suoi sospiri, le sue lacrime, tutti i segni sensibili della sua umile contrizione; la purifica delle sue sozzure e la colma di doni soprannaturali. E il suo Sacro Cuore si riempie di una gioia immensa, mentre lassù, nel Regno del suo Padre, gli Angeli sobbalzano di giubilo: un'anima era perduta, ed eccola ritrovata, un'anima era morta, ed eccola restituita alla vera Vita.

Il Maestro non si limita ad accogliere con mansuetudine i poveri peccatori; giunge fino a prendere la loro difesa. D'altronde, non è forse questa la sua missione? Non si è costituito come nostro avocato?

Un giorno, gli si conduce una sventurata sorpresa nell'atto stesso della sua colpa. La dura legge di Mosè la condanna formalmente: la colpevole deve morire col lento supplizio della lapidazione. Tuttavia, gli scribi ed i farisei attendono impazientemente la sentenza del Salvatore: se Egli la perdona, i suoi nemici lo accuseranno di disprezzare le tradizioni d'Israele. Che cosa dunque farà?

Dirà una sola frase, che basterà a confondere i farisei orgogliosi ed a salvare la peccatrice.

"Colui che tra voi è senza peccato, scagli la prima pietra".

Risposta piena di saggezza e di misericordia. Udendola, questi uomini arroganti arrossiscono di vergogna. Uno dopo l'altro, si allontanano confusi; i vecchi se ne vanno per primi.

E Gesù resterà solo con la donna.

"Dove sono i tuoi accusatori? - le chiede - Nessuno ti ha condannato?".

"Ella rispose: Nessuno, Signore. E Gesù disse allora: Neppure io ti condannerò. Va, e non peccare più".

Se i peccatori non vengono da Lui, il Maestro si lancia al loro inseguimento: come il padre del figlio prodigo, attende il ritorno dell'ingrato; come il buon Pastore, va in cerca della pecora smarrita e, ritrovatala, la carica sulle proprie divine spalle e la riconduce insanguinata all'ovile. Oh, non lo infastidiscono le sue ferite: come il buon Samaritano, le medicherà con olio e vino simbolici; verserà sulle sue piaghe il balsamo della Penitenza e, per fortificarla, la farà bere nel suo Calice eucaristico.

Anime colpevoli, non temete dunque il Signore: è specialmente per voi ch'Egli è disceso sulla terra. Non ripetete il grido disperato di Caino: "La mia colpa è troppo grande perché possa ottenere perdono"" 4. Come conoscereste male il Cuore di Gesù!

Gesù ha purificato la Maddalena, ha perdonato il triplice rinnegamento di san Pietro, ha aperto il Cielo al buon ladrone. In verità, ve l'assicuro, se Giuda fosse andato a trovarlo dopo il suo crimine, Nostro Signore l'avrebbe accolto con misericordia.
Come potrebbe dunque non perdonarvi?


  • La grazia può santificarsi all'istante
Abisso della debolezza umana! Tirannia delle cattive abitudini! Ricevono pure i cristiani, al tribunale della Penitenza, l'assoluzione delle loro colpe: la loro contrizione era sincera, le loro risoluzioni energiche. Ed essi ricadono negli stessi peccati, talvolta gravissimi; il numero delle loro cadute cresce incessantemente. Non hanno dunque, come sembra, delle buone ragioni per scoraggiarsi?

Niente di più giusto che la constatazione delle nostre miserie ci conservi nell'umiltà. Se essa ci facesse però perdere la nostra fiducia, sarebbe una catastrofe, più pericolosa di così tante ricadute.

L'anima che cade deve rialzarsi al più presto. Ch'ella non cessi di implorare la misericordia del Signore. Non sapete che Dio ha il suo tempo e che può in un attimo elevarvi ad una santità oltremodo sublime?

Non aveva forse Marisa Maddalena condotto una vita criminosa? Eppure la grazia l'ha trasformata all'istante: senza transizioni, da peccatrice è diventata una gran santa. Ora, il braccio di Dio non s'è accorciato; quello che ha fatto per altri, può farlo per voi. Non dubitatene: la vostra fiduciosa e perseverante preghiera otterrà la guarigione completa della vostra anima.

Non obiettate che il tempo passa e che la vostra vita forse giunge già al suo termine. Nostro Signore non ha forse aspettato l'agonia del buon ladrone per attirarlo vittoriosamente a sé? Quest'uomo colpevole si è convertito in un solo minuto. La sua fede e il suo amore sono stati così grandi che, malgrado i suoi crimini, non è passato nemmeno per il Purgatorio: occupa per sempre un posto elevatissimo nei Cieli.

Nulla alteri la vostra fiducia. Dal fondo dell'abisso, gridate senza tregua verso il Cielo; Dio finirà per rispondere al vostro appello e compirà in voi la sua opera.


  • Dio ci concede tutti gli aiuti necessari alla nostra santificazione e salvezza
Alcune anime angosciate dubitano della loro eterna salvezza. Esse rievocano le loro colpe, pensano alle tentazioni, così violente, che talvolta ci assalgono, dimenticano la misericordiosa bontà di Dio. Quest'angoscia può diventare una vera tentazione di disperazione.

Nella sua gioventù, san Francesco di Sales ha conosciuto questa prova: aveva il terrore di non essere predestinato. Il suo dolore era così violento da alterare la sua salute e passò diversi mesi in questo martirio interiore. Fu una preghiera eroica a liberarlo: il santo si prosternò davanti ad un altare dedicato a Maria, supplicò la Vergine Immacolata di fargli amare il suo Figlio con una carità tanto più ardente sulla terra, quanto più temeva di non poterlo amare nell'eternità.

In mezzo a questo genere di sofferenze, c'è una verità di fede che deve consolarci pienamente: ci si danna soltanto per colpa del peccato mortale. Ora, evitarlo è sempre in nostro potere, e se abbiamo avuto la sventura di commetterlo, possiamo sempre riconciliarci con Dio. Un atto di contrizione perfetta ci purificherà all'istante, in attesa di fare una doverosa confessione, che conviene fare al più presto.

Certo, la nostra misera volontà umana deve diffidare della sua debolezza; ma il Signore non ci negherà mai le grazie di cui abbiamo bisogno: farà tutto il possibile per aiutarci nell'affare sommamente importante della nostra salvezza.

Ecco la grande verità che Gesù Cristo ha scritto col suo sangue, e che ora andiamo a rileggere insieme nella storia della sua Passione.

Vi siete mai domandati come gli Ebrei abbiano potuto impadronirsi di Nostro Signore? Credete forse che ci siano riusciti con l'astuzia o con la forza? Pensate che, nella grande tormenta, Gesù sia stato spezzato perché era il più debole?

Assolutamente no. I suoi amici non potevano nulla contro di lui. Più di una volta, durante i tre anni della sua predicazione, essi hanno cercato di ucciderlo. A Nazareth vogliono precipitarlo in un burrone; più volte accumulano pietre per lapidarlo. Ma la sua divina Sapienza elude le trame della loro collera e la sua Forza sovrana blocca il loro braccio; egli si ritira tranquillamente, senza che si sia riusciti a fargli il minimo male.

Nel Getsemani, nel momento in cui semplicemente pronuncia il suo nome davanti ai soldati del Tempio che hanno appena afferrato la sua sacra Persona, tutto questo drappello, colpito da terrore, si rovescia a terra. Non possono risollevarsi se non in virtù del suo permesso.
Se Gesù è stato arrestato, se è stato crocifisso, se è stato immolato, è perché lo ha voluto nella pienezza della sua libertà e del suo amore per noi. "Oblatus est, quia voluit".

Se il Maestro ha sparso senza esitare il suo Sangue per noi, se è morto per noi, come potrebbe rifiutarci le grazie che ci sono assolutamente necessarie e che ci ha meritato con le sue sofferenze?

Queste grazie, durante la sua Passione dolorosa, le ha offerte misericordiosamente alle anime più colpevoli.

Due suoi Apostoli avevano commesso un crimine enorme: ad entrambi Egli ha offerto il suo perdono.

Giuda lo tradisce e gli dà un bacio ipocrita. Gesù gli parla con toccante dolcezza, lo chiama "amico mio"; cerca, con la forza della tenerezza, di toccare il suo cuore indurito dall'avarizia: "Amico mio, a che sei venuto? Giuda con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?" È l'ultima grazia che il Maestro concede all'ingrato. È una grazia di una forza tale che non ne comprenderemo mai tutta l'intensità. Ma Giuda la respinge: si danna perché lo ha proprio voluto.

Pietro, che si credeva così forte, che aveva giurato di seguire il Maestro fino alla morte, lo abbandona allorché lo vede nelle mani dei soldati; non lo segue che da lontano. Entra tremando nel palazzo del Sommo Sacerdote. Per tre volte rinnega il Salvatore, perché ha paura dei motteggi di una serva; attesta spergiurando che non conosce "quell'uomo", e il gallo canta. Gesù torna indietro e rivolge al suo Apostolo uno sguardo pieno di misericordioso rimprovero: e i loro sguardi s'incontrano. Era la grazia, una grazia folgorante, che questo sguardo donava a Pietro. L'Apostolo non la respinge: uscì subito e pianse amaramente.

Come a Giuda, come a Pietro, Gesù ci offre le sue grazie di pentimento e di conversione. Possiamo accettarle o rifiutarle: siamo liberi. Sta a noi decidere tra il bene e il male, tra il Cielo e l'Inferno; la nostra salvezza sta nelle nostre mani.

Il Salvatore fa più che offrirci le sue grazie: intercede per noi presso suo Padre, gli ricorda le sofferenze che ha sopportato per la nostra Redenzione. Prende la nostra difesa di fronte a Lui, scusa le nostre colpe: "Padre mio - gridò tra i tormenti della sua agonia - Padre mio, perdonate loro, perché non sanno ciò che fanno".

Il Maestro, durante la sua Passione, aveva così gran desiderio di salvarci che non cessò un istante di pensare a ciascuno di noi.
Sul Calvario, è ai peccatori che rivolge i suoi ultimi sguardi; è in favore del buon ladrone che pronuncia una delle sue ultime frasi. Stende ampiamente le sue braccia sulla Croce, per manifestare con quale amore accoglie il nostro pentimento sul suo adorabile Cuore.

La contemplazione del Crocifisso deve rianimare la nostra fiducia
Se qualche volta nelle vostre lotte intime sentite indebolirsi la vostra fiducia, meditate i passi del Vangelo che vi ho indicato. Lanciate un lungo sguardo sul vostro Crocifisso.

Contemplate questa Croce ignominiosa sulla quale spira il Salvatore. Guardate la sua povera testa coronata di spine che cade inerte sul suo petto. Osservate i suoi occhi spenti, il suo livido volto su cui il Preziosissimo Sangue si coagula. Guardate i piedi e le mani trafitti, il suo Corpo straziato. Osservate il suo adorabile Cuore, aperto dalla lancia di un soldato: ne è uscita qualche goccia di acqua insanguinata. Vi ha dato tutto. Come potreste diffidare di Lui?

Egli attende però che lo contraccambiate.

In nome del suo amore, in nome del suo martirio, in nome della sua morte, risolvetevi di evitare ormai il peccato mortale.

La vostra debolezza è grande, ma Egli vi aiuterà. Nonostante la vostra volontà, avrete forse delle cadute e ricadute; ma Egli è misericordioso. Quello ch'Egli vi chiede è di non intorpidirvi nel peccato, di non marcire nelle cattive abitudini. Promettetegli di confessarvi senza esitare e di non addormentarvi mai con un peccato mortale sulla coscienza.

Beati voi, se manterrete coraggiosamente questo santo proposito! Gesù non avrà sparso invano per voi il suo prezioso Sangue. Potrete rassicurarvi sulle vostre disposizioni interiori. Avrete il diritto di considerare serenamente il tremendo problema della predestinazione: porterete sulla vostra fronte il segno degli eletti.
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 14, 2006 3:15 pm

      • CAPITOLO QUINTO - I fondamenti della fiducia
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  • L'Incarnazione del Verbo
La casa del sapiente è fondata sulla roccia: né le inondazioni, né le piogge, né le tempeste potranno rovesciarla. Affinché l'edificio della nostra fiducia resista a tutte le prove, bisogna elevarlo su delle basi incrollabili.

"Voi volete sapere - dice san Francesco di Sales - quale fondamento deve avere la nostra fiducia. Bisogna che sia fondata sull'infinita bontà di Dio e sui meriti della Morte e della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo, con questa condizione, per parte nostra: che noi abbiamo e conosciamo in noi una totale e ferma risoluzione di essere completamente di Dio, e di abbandonarci del tutto e senza alcuna riserva alla Sua Provvidenza".

I motivi della nostra speranza sono troppo numerosi per poterli enumerare tutti. Esamineremo qui soltanto quelli fondati sull'Incarnazione del Verbo e sulla sacra Persona del Salvatore. Infatti Cristo è la pietra angolare sulla quale deve principalmente poggiare la nostra vita interiore.

Quale fiducia c'ispirerebbe il mistero dell'Incarnazione, se solo ci sforzassimo di considerarlo in modo meno superficiale!

Chi è, dunque, questo pargolo che vagisce nella greppia, quest'adolescente che lavora nella bottega di Nazareth, questo predicatore che entusiasma le folle, questo taumaturgo che compie innumerevoli prodigi, questa vittima innocente che muore sulla Croce? È il Figlio dell'Altissimo, eterno e divino come suo Padre; è l'Emanuele, atteso da tanto tempo; è colui che il profeta chiama "l'Ammirabile, il Dio Forte, il Principe della Pace".

Ma Gesù, e noi lo dimentichiamo troppo spesso, è anche nostra proprietà. Egli ci appartiene, in tutto il rigore dell'espressione; è nostro; abbiamo su di Lui diritti imprescrittibili, perché suo Padre ce l'ha donato. Lo afferma la Scrittura: "Il Figlio di Dio ci è donato"; e san Giovanni, nel suo Vangelo, dice a sua volta: "Dio ha tanto amato il mondo da donargli il suo unico Figlio".

Ebbene, se Cristo ci appartiene, ci appartengono anche gl'infiniti meriti delle sue fatiche, delle sue sofferenze e della sua morte.

Come potremmo allora scoraggiarci? Consegnandoci suo Figlio, il Padre ci ha consegnato la pienezza di tutti i beni. Sappiamo sfruttare ampiamente questo prezioso tesoro!

Rivolgiamoci dunque al Cielo con una santa audacia e, in nome di quel Salvatore che è nostro, domandiamo senza esitare le grazie che desideriamo. Chiediamo per noi i favori temporali e soprattutto gli aiuti della Grazia; pace e prosperità per la nostra Nazione, e tranquillità e libertà per la Chiesa.

Una tale preghiera verrà certamente esaudita. Facendo così, non facciamo forse uno scambio con Dio? In cambio dei beni desiderati, Gli offriamo il suo Figlio unigenito. In questo scambio, Dio non ci imbroglierà.

Gli doneremo infinitamente di più di quanto riceveremo da Lui.

Questa preghiera, se la faremo con quella fede che muove le montagne, sarà così efficace da ottenerci, se necessario, anche i prodigi più clamorosi.


  • La potenza di Nostro Signore
Quel Verbo Incarnato, che si è donato a noi, possiede un potere illimitato. Nel Vangelo, Egli ci appare come il supremo Padrone della Terra, dei demoni e della vita soprannaturale: tutto è sottomesso al suo sommo dominio.

In questa potenza del Salvatore troviamo un altro motivo per la nostra certissima fiducia. Nulla può impedire a Nostro Signore di aiutarci e di proteggerci.

Gesù comanda alle forze della natura.

All'inizio del suo ministero apostolico, Egli assiste alle nozze di Cana. Ora, durante il banchetto, viene a mancare il vino. Quale imbarazzo per i poveretti, che avevano invitato il Maestro con sua Madre e i discepoli! La Vergine Maria s'accorge dell'infortunio: è sempre Lei la prima a notare i nostri bisogni ed a soccorrerli. Rivolge al Figlio uno sguardo implorante, gli sussurra a bassa voce una breve preghiera: ella conosce il suo potere e il suo amore. E Gesù, che non sa rifiutarle nulla, trasforma l'acqua in vino! Fu il suo primo miracolo.

Una sera, per evitare la folla che l'assale, attraversa in barca, con i suoi discepoli, il lago di Genezareth. Mentre navigano, si leva il vento, scoppia la tempesta, le onde si gonfiano, i flutti si infrangono rimbombando. L'acqua straripa sul ponte, la nave sta per affondare.

Ma Egli, affaticato dal duro lavoro, dorme in poppa, con la divina testa appoggiata sul cordame. I discepoli, sgomenti, lo svegliano gridando: "Signore, Signore, salvaci, siamo perduti!". Allora il Signore si alza, apostrofa il vento e dice all'acqua: "Silenzio, quietati!". Subito scende una gran calma. I testimoni di questa scena si domandavano stupiti: "Chi è dunque costui, al quale obbediscono il mare e i venti?".

Gesù guarisce i malati.

Alcuni ciechi gli si avvicinarono a tastoni e gli gridano la loro disperazione: "Figlio di David, abbi pietà di noi". Il Maestro tocca i loro occhi e questo contatto divino li apre alla luce.

Gli conducono un sordomuto, pregandolo di imporgli le mani. Il Salvatore esaudisce la richiesta, e la lingua di quell'uomo di scioglie, le sue orecchie odono.

Incontra un giorno per strada dieci lebbrosi. Nell'umana società, il lebbroso è un esiliato: è cacciato dai villaggi, si evita il suo contatto per timore del contagio, ci si distoglie con disgusto dalla sua putredine. Questi dieci sventurati non osavano avvicinarsi a Nostro Signore: si tenevano appartati. Ma racimolando quel poco di forze che lasciava loro la malattia, gli gridavano da lontano: "Signore, abbiate pietà di noi!". Gesù, che doveva essere, sulla Croce il lebbroso per eccellenza, si commuove per la loro miseria. "Andate a presentarvi ai sacerdoti", dice loro. E mentre essi si avviavano per ubbidire al suo comando, furono guariti.

Gesù risuscita i morti.

Ne restituisce tre alla vita. E, con il più stupefacente dei prodigi, dopo esser morto tra le ignominie del Golgota. Dopo esser stato deposto nella tomba, all'alba del terzo giorno resuscita se stesso. È così ch'Egli ci risusciterà alla fine dei tempi, e che ci restituirà coloro che amavamo e che abbiamo perduto, trasformati, ma sempre uguali a loro stessi nella loro gloria. Egli asciugherà le nostre lacrime per l'eternità. Allora non ci saranno più né pianti, né assenze, né lutti, perché il tempo della nostra miseria sarà finito.

Gesù comanda agli inferi.

Durante i tre anni della sua vita pubblica, Egli incontra alcuni ossessi. Parla ai demoni come chi possiede l'autorità suprema; dà loro comandi imperiosi, e i demoni fuggono alla sua voce, confessando la sua divinità.

Gesù è il maestro alla vita soprannaturale.

Egli resuscita le anime morte e restituisce loro quella Grazia che avevano perduto. Per provare di possedere realmente questo divino potere, guarisce un paralitico.

"Che cosa è più facile - chiede agli scribi che lo circondano - secondo voi da dire: i tuoi peccati ti sono perdonati, oppure levati e cammina? Affinché sappiate che il Figlio dell'Uomo ha in terra il potere di rimettere i peccati: alzati - dice al paralitico - prendi la tua barella e torna alla tua casa!".

È bene meditare a lungo sulla potenza del Salvatore. Quando si tratta del nostro bene, il Maestro non esita mai a mettere il suo divino potere al servizio del suo amore per noi.


  • La sua bontà
Il fatto è che Nostro Signore è adorabilmente buono: il suo Cuore non può veder soffrire senza restarne spezzato. Questa pietà lo ha spinto a compiere spontaneamente, prima di averne ricevuto preghiera, alcuni dei suoi più grandi miracoli.

La folla lo seguiva attraverso le deserte montagne della Palestina; da tre giorni, per poterlo ascoltare, essa aveva trascurato di bere e di mangiare. Ma il Signore chiama gli Apostoli: "Vedete questa povera gente? - dice loro - Non posso congedarli così: cadrebbero di stenti per la strada. Ho compassione di questa folla". E moltiplica i pani e i pesci rimasti ai suoi discepoli.

Un'altra volta si stava recando alla cittadina di Naim, scortato da un gruppo numeroso. Giunto quasi alle porte della città, incontra un corteo funebre. Un giovane veniva condotto alla sue estrema dimora: era l'unico figlio di una vedova. Senza ormai più speranza, nn potendo più attendersi nulla dalla vita, la povera donna seguiva gemendo il corpo del figlio. La vista di questo muto dolore sconvolge il Signore: fu mosso a misericordia. "Povera afflitta - le dice - non piangere più", e si avvicina alla barella dove giaceva il cadavere e restituisce il giovane alla madre.

Anime schiacciate dalle prove, coscienze tormentate dal dubbio o forse dal rimorso, cuori spezzati dal tradimento o dai lutti; voi tutti che soffrite, credete che Gesù non abbia pietà dei vostri dolori? Non avreste compreso nulla del suo immenso amore. Egli conosce le vostre miserie: le vede, e il suo Cuore ne è toccato. È su di voi ch'Egli rivolge oggi il suo grido di compassione, è a voi che si rivolge, come già alla vedova di Naim: "Non piangere più; io sono la Rassegnazione, sono la Pace; io sono la Resurrezione e la Vita!".

Questa fiducia, che la sua bontà dovrebbe naturalmente ispirarci, Nostro Signore l'esige da noi esplicitamente: la pone come una condizione essenziale per ricevere i suoi favori. Lo vediamo, nel Vangelo, esigere degli atti formali, prima di compiere certi miracoli.

Perché Lui, così tenero, si mostra apparentemente così duro verso la cananea che gli domanda la guarigione della figlia? La respinge più volte, ma niente la scoraggia; niente ferma la sua incrollabile fiducia. È appunto quello che il Salvatore desidera. "Donna - esclama con gioiosa ammirazione - la tua fiducia è grande"". E aggiunge: "Sia fatto secondo la tua volontà": Fiat tibi sicut vis. La fiducia ottiene il compimento dei nostri desideri: Nostro Signore stesso l'afferma.

Strana aberrazione dell'intelligenza umana! Noi crediamo ai miracoli del Vangelo, dato che siamo cattolici per convinzione; crediamo che Nostro Signore, salendo al Cielo, non ha perso nulla della sua potenza; crediamo alla sua bontà, dimostrata dalla sua vita intera ... eppure non riusciamo ad abbandonarci alla fiducia.

Conosciamo molto male il Cuore di Gesù. Ci ostiniamo a giudicarlo secondo la debolezza dei nostri cuori: si direbbe proprio che vogliamo ridurre la sua immensità alle nostre meschine proporzioni. Facciamo fatica ad ammettere la sua incredibile misericordia verso i peccatori, perché noi siamo vendicativi e lenti a perdonare. Paragoniamo la sua tenerezza infinita ai nostri piccoli affetti. Non comprendiamo nulla di questo fuoco inestinguibile che rendeva il suo Cuore un immenso braciere d'amore, questa santa passione per gli uomini che lo dominava interamente, questa folle carità che lo spinse dalle umiliazioni della mangiatoia al sacrificio del Golgota. E non possiamo esclamare,. Nella pienezza della nostra fede, come l'Apostolo san Giovanni: "Abbiamo creduto nel suo amore! Credidimus charitati".

O Maestro adorabile, vogliamo ormai abbandonarci interamente al vostro amoroso comportamento.

Vi affidiamo la cura del nostro avvenire materiale. Ignoriamo ciò che ci riserva questo avvenire, carico di minacce; ma ci mettiamo nelle mani della vostra Provvidenza.

Vi affidiamo le nostre pene; esse sono talvolta davvero crudeli, ma voi siete qui per addolcirle.

Vi affidiamo le nostre miserie morali; la nostra debolezza ci spinge a temere ogni mancanza. Ma voi ci sosterrete e ci preserverete dalle cadute.

Come il vostro Apostolo prediletto, che poggiava il capo sul vostro petto, noi ci riposeremo sul vostro Cuore divino e, secondo le parole del Salmista, ci addormenteremo in una pace deliziosa, poiché voi, o Gesù, ci avete posto in un'inalterabile fiducia.
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 14, 2006 3:20 pm

      • CAPITOLO SESTO - I frutti della fiducia
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  • La fiducia glorifica Dio
L'elogio più magnifico che si possa fare della fiducia sta nel mostrarne i frutti: sarà questo l'argomento dell'ultimo capitolo. Possano le seguenti considerazioni incoraggiare le anime inquiete a vincere infine la loro pusillanimità ed a praticare perfettamente questa preziosa virtù.

La fiducia non vaga nelle sfere più umili delle virtù morali: essa si lancia con un salto fin davanti al trono dell'Eterno, fino allo stesso cuore del Padre celeste.

Essa rende un omaggio eccellente alle infinite perfezioni divine: alla sua bontà, perché essa attende solo da Lui gli aiuti necessari; alla sua potenza, perché essa disdegna ogni forza che non sia la sua; alla sua sapienza, perché essa riconosce la saggezza dei suoi sovrani interventi; alla sua fedeltà, perché essa conta senza esitazioni sulla sua divina parola.

Essa dunque partecipa sia della lode che dell'adorazione. Ora, nelle manifestazioni della vita religiosa, non vi sono atti più elevati di questi: sono gli atti sublimi che occupano in Cielo le anime beate. I Serafini, in presenza dell'Altissimo, si velano il volto con le ali, e i cori angelici gli ripetono perdutamente la loro triplice acclamazione.

La fiducia compendia, in una luminosa e dolcissima sintesi, la tre virtù teologali: la Fede, la Speranza e la Carità.

Così, il Profeta, ammirato dallo splendore di questa virtù si sente incapace di trattenere la propria ammirazione ed esclama nel suo entusiasmo: "Benedetto l'uomo che si affida a Dio".

Ma, per contro, l'anima sfiduciata offend3e il signore. Ella dubita della sua provvidenza, della sua bontà, del suo amore. Ella va in cerca degli aiuti delle creature; anche oggi, forse, si abbandona a pratiche superstiziose. Questa sventurata si appoggia su fragili sostegni, che si spezzeranno sotto il suo peso e la feriranno crudelmente.

E Dio è irritato da una tale offesa.

Nel IV Libro dei Re si racconta che Ochozia, ammalatosi, chiese consiglio ai sacerdoti degli idoli. Jahveh se ne irritò, e incaricò il profeta Elia di riferire terribili minacce al sovrano: "È forse perché non v'è un solo Dio, in Israele, che tu consulti Belzebub, il dio di Acharon? Per questo fatto, non ti potrai più alzare dal letto su cui sei steso, ma anzi per certo morrai".

Il cristiano che dubita della bontà divina, che affida le proprie speranze alle creature, non merita forse lo stesso rimprovero? Non si espone a giusti castighi? Forse la Provvidenza non veglia su di lui, perch'egli debba rivolgersi follemente a esseri deboli, incapaci di aiutarlo?


  • Essa attira favori eccezionali sulle anime
"Non perdete la vostra fiducia, - dice l'Apostolo Paolo - poiché essa merita una grande ricompensa". Infatti, questa virtù procura a Dio una gloria così grande, da attirare necessariamente sulle anime favori eccezionali.

Nelle Scritture, il Signore ha più volte espresso con quale generosa magnificenza Egli tratti i cuori fiduciosi: "Poiché ha sperato in me, lo libererò; siccome ha conosciuto il mio Nome, lo proteggerò. Egli griderà verso di me ed io lo esaudirò. Sarò con lui nelle tribolazioni, lo scamperò e lo glorificherò". Quali appaganti promesse, proferite da Colui che punisce ogni parola inutile e che condanna le più lievi esagerazioni!

Secondo la testimonianza della Verità stessa, dunque, la fiducia di scampa da ogni male.

"Siccome avete scelto l'Altissimo come vostro rifugio, il male non vi raggiungerà e i flagelli non si avvicineranno al vostro tabernacolo. Egli infatti ha comandato ai suoi Angeli di vegliare su di voi, lungo tutte le vostre vie: loro vi porteranno nelle loro mani affinché il vostro piede non inciampi contro un sasso. Voi camminerete sull'aspide e sul basilisco, e calpesterete il leone e il dragone".

Fra i mali dai quali la fiducia ci preserva, bisogna porre in prima fila il peccato. D'altronde, nulla di più conforme alla natura delle cose. L'anima fiduciosa conosce il proprio nulla, come quello di tutte le creature; è per questo ch'ella non conta né su se stessa né sugli uomini, ma mette in Dio tutta la sua speranza. Ella diffida della propria miseria, e quindi pratica la vera umiltà. Ora, non sapete forse che l'orgoglio è la radice di tutte le nostre colpe, l'inizio della rovina? Il Signore si allontana dal superbo, lo abbandona alla sua debolezza e lo lascia cadere. La caduta di san Pietro ne è un terribile esempio.

Nei misericordiosi disegni della sua sapienza, Dio permetterà forse che l'anima fiduciosa venga colpita, per un certo tempo, dalla prova; tuttavia, niente la smuoverà: essa rimarrà immobile e ferma "come il monte Sion". Essa conserverà la gioia in fondo al suo cuore e, nonostante i frastuoni della burrasca, si addormenterà in pace, come un bimbo tra le braccia del Padre. Essa si lascerà condurre fino al felice termine del proprio viaggio, poiché Dio salva "quelli che sperano in Lui".

Ma questi non sono che favori puramente negativi.

Dio colma dei favori più positivi l'uomo che confida in Lui. Ascoltate con quale solenne poesia il Profeta illustra questa verità: "Beato l'uomo che si affida al Signore, e la cui speranza è nel Signore. Egli sarà come un albero piantato sulla riva delle acque, le cui radici sono nell'umida terra: non avrà nulla da temere, quando verrà il caldo. Le sue foglie saranno sempre verdi, e nel tempo della siccità non ne soffrirà, né cesserà mai di produrre frutti".

Per rendere la pace radiosa di questo quadro mediante un contrasto raggelante, osservate la lamentevole sorte di colui che si è affidato alle creature: "Maledetto l'uomo che confida nell'uomo, che fa conto della carne e il cui cuore si allontana dal Signore! Egli sarà come la tamerice desertica, (...) resterà nell'aridità, su una terra salata e inabitabile".


  • La preghiera fiduciosa ottiene tutto
Infine - e non è la minima delle sue prerogative - la fiducia viene sempre esaudita. Non si esagererà nel ripeterlo: la preghiera fiduciosa ottiene tutto.

Le Scritture, con un'insistenza assai marcata, ci raccomandano di rianimare la nostra fede, ogni volta che presentiamo a Dio le nostre umili richieste: "Tutto ciò che avrete chiesto con fede nelle vostre preghiere, l'otterrete", dice il Salvatore. L'Apostolo san Giacomo dice la stessa cosa: vuole che chiediamo con fede, senza esitare. Colui che dubita somiglia agli incostanti flutti del mare: non pretenda, in questa disposizione d'animo, di venire esaudito.

Di quale fede si parla, in questi passi?

Non della fede abituale, infusa dal Battesimo nelle nostre anime, ma di questa speciale fiducia, che ci fa attendere con fermezza l'intervento della Provvidenza in una data situazione. Nostro Signore lo dice esplicitamente nel Vangelo: "Tutto ciò che chiedete nella preghiera, abbiate fede di ottenerlo, e vi sarà accordato". Il Maestro non poteva descrivere più chiaramente la fiducia.

Possiamo avere una fede vivissima, e tuttavia dubitare che Dio voglia accogliere favorevolmente alcune nostre richieste. Per esempio, siamo certi che l'oggetto del nostro desiderio sia compatibile col nostro vero bene? E dunque esitiamo. Questa semplice esitazione, fa notare un teologo, diminuisce l'efficacia della nostra preghiera.

Altre volte, al contrario, la nostra intima certezza si fortifica al punto da scacciare del tutto ogni dubbio ed esitazione. Siamo tanto certi d'essere esauditi, che ci sembra di possedere già la grazia sollecitata.

"In considerazione di una così perfetta fiducia - scrive il padre Pesch - Dio ci concede dei favori che, senza di essa, non ci avrebbe mai dato. Effettivamente, il bene che gli abbiamo chiesto non ci era indispensabile, oppure non rispondeva alle condizioni necessarie perché Dio fosse tenuto ad accordarcelo in forza delle sue promesse".

D'altronde, la maggior parte delle volte, questa certezza interiore è opera della Grazia in noi.

"Così - conclude lo stesso autore - una fiducia singolare di ottenere tale o talaltra grazia, è una specie di promessa specifica che Dio ci fa nell'accordarcela".

Una frase di san Tommaso riassumerà questa breve disquisizione: "La preghiera - dice il Dottore Angelico- riceve dalla carità il suo merito, ma la sua efficacia impetratoria le viene dalla fede e dalla fiducia".


  • Esempi di santi
I santi pregavano con questa fiducia, e Dio si mostrava, verso di loro, di un'infinita munificenza.

L'abate Sisois, come riferiscono le Vite dei Padri, pregava per uno dei suoi discepoli, piegato dalla violenza della tentazione: "Lo vogliate o no - diceva rivolto a Dio - non vi lascerò finché non l'abbiate guarito!". E l'anima del povero frate ritrovò la Grazia e la serenità.

Nostro Signore si degnò di rilevare a santa Gertrude che la fiducia di lei faceva una tale violenza al suo Sacro Cuore, che Egli era costretto a favorirla in tutto; ed aggiungeva che, così facendo, soddisfaceva le esigenze della sua bontà e del suo amore per lei.

Un'amica della stessa santa da un certo tempo pregava senza riuscire ad ottenere nulla. "Ho rimandato la concessione di quanto mi avevi domandato - le disse il Salvatore - perché tu non confidi affatto nella mia bontà come fa la mia fedele Gertrude. Per questo non le rifiuterò mai nulla di ciò che mi chiederà".

Infine, ecco come pregava santa Caterina da Siena, secondo la testimonianza del suo confessore, il beato Raimondo da Capua: "Signore, non lascerò i vostri piedi, la vostra presenza, finché la vostra bontà non mi avrà concesso quanto desidero, finché non desidererete fare quello che voglio".

"Signore - proseguiva - voglio che mi promettiate, per tutti coloro che amo, la vita eterna".

Poi, con un ardimento ammirevole, tendeva le mani verso il Tabernacolo: "Signore, mettete la vostra mano nella mia. Sì, datemi la prova che mi concederete quanto vi chiedo".

Questi esempi c'invitino a rientrare in noi stessi; esaminiamo un poco la nostra coscienza. Poniamoci, con un pio scrittore, questa domanda: "Mettiamo noi nelle nostre preghiere una fiducia estrema, qualcosa di simile a quella radicalità del fanciullo che sollecita dalla propria madre un oggetto cui tiene? La radicalità di questi piccoli mendicanti che ci inseguono e che vengono esauditi a forza di importunare? La radicalità, soprattutto, insieme così rispettosa e così fiduciosa, che i santi hanno nelle loro richieste".


  • Conclusione dell'opera
Una conclusione deriva naturalmente imperiosamente, da questo nostro breve studio.

Anime cristiane, impiegate tutti i mezzi di cui disponete per ottenere la fiducia!

Meditate molto sull'infinito potere di Dio, sul suo immenso amore, sulla sua inviolabile fedeltà nel mantenere le promesse, sulla Passione di Nostro Signore.

Ma non rifugiatevi indefinitivamente nella contemplazione: passate dalla riflessione all'azione.

Moltiplicate gli atti di fiducia; ciascuna delle vostre occupazioni sia un'occasione per rinnovarli. Sarà soprattutto nell'ora delle difficoltà e della prova che bisognerà moltiplicarli.

Ripetete spesso l'invocazione, così toccante: "Cuore Sacratissimo di Gesù, confido in voi!".

Diceva Nostro Signore ad un'anima privilegiata: "La sola preghiera: Mi affido a voi, mi rapisce il Cuore, poiché in essa sono comprese la fiducia, la fede, l'amore e l'umiltà".

Non abbiate timore di esagerare nella pratica di questa virtù! "Non bisogna mai temere, supponendo di condurre una buona vita, di avere una fiducia troppo grande; poiché come Dio, a motivo della sua infinita veracità, merita una fede in un certo senso infinita, così, a motivo della sua potenza, della sua bontà, dell'infallibilità delle sue promesse, perfezioni non meno infinite della sua veracità, Egli merita un'infinita fiducia".

Non risparmiate dunque gli sforzi. I frutti della fiducia sono abbastanza preziosi, perché vi diate pena di coglierli.

E se per caso venite a lamentarvi di non aver ottenuto i meravigliosi benefici che vi aspettate, vi risponderò con san Giovanni Crisostomo:
"Voi mi dite: ho sperato e sono rimasto deluso. Che strane parole! Non bestemmiate le Scritture! Siete rimasti delusi perché non avete sperato come dovevate, perché vi siete scoraggiati, perché non avete atteso la fine della prova, perché siete stati pusillanimi. La fiducia sta soprattutto nel risollevarsi, nella sofferenza e nel pericolo, e nell'elevare il cuore a Dio".

          • (fine)
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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