Dante Alighieri

Poeti celebri di affermata fama nazionale e mondiale
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Dante Alighieri

Messaggio da sruggeri » lun gen 02, 2006 9:10 pm

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Dante Alighieri


Canto XXXIII

«Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
umile e alta più che creatura,
termine fisso d'etterno consiglio,
tu se' colei che l'umana natura
5 nobilitasti sì, che 'l suo fattore
non disdegnò di farsi sua fattura.
Nel ventre tuo si raccese l'amore,
per lo cui caldo ne l'etterna pace
così è germinato questo fiore.
10 Qui se' a noi meridiana face
di caritate, e giuso, intra ' mortali,
se' di speranza fontana vivace.
Donna, se' tanto grande e tanto vali,
che qual vuol grazia e a te non ricorre
15 sua disianza vuol volar sanz'ali.
La tua benignità non pur soccorre
a chi domanda, ma molte fiate
liberamente al dimandar precorre.
In te misericordia, in te pietate,
20 in te magnificenza, in te s'aduna
quantunque in creatura è di bontate.
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Messaggio da sruggeri » lun gen 02, 2006 9:11 pm

BIOGRAFIA DEL COLLEGA :Dante Alighieri nasce a Firenze nel 1265 in una famiglia della piccola nobiltà fiorentina. Il suo primo e più importante maestro di arte e di vita è Brunetto Latini, che in questi anni ha una notevole influenza sulla vita politica e civile di Firenze. Dante cresce in un ambiente "cortese" ed elegante, impara da solo l’arte della poesia e stringe amicizia con alcuni dei poeti più importanti della scuola stilnovistica: Guido Cavalcanti, Lapo Gianni e Cino da Pistoia, condividendo con loro un ideale di cultura aristocratica e di poesia raffinata.
Ancora giovanissimo conosce Beatrice (figura femminile centrale nell’opera del nostro poeta), a cui Dante è legato da un amore profondo e sublimato dalla spiritualità stilnovistica. Beatrice muore nel 1290, e questa data segna per Dante un momento di crisi: l’amore per la giovane donna si trasforma assumendo un valore sempre più finalizzato all’impegno morale, alla ricerca filosofica, alla passione per la verità e la giustizia che infine portano Dante (a partire dal 1295) ad entrare attivamente e coscientemente nella vita politica della sua città.
La sua carriera politica raggiunge l’apice nel 1300 quando Dante, guelfo di parte bianca, viene eletto priore (la carica più importante del comune fiorentino): il poeta è un politico moderato, tuttavia convinto sostenitore dell’autonomia della città di Firenze, che deve essere libera dalle ingerenze del potere del Papa . L’anno successivo, il papa Bonifacio VIII decide di inviare a Firenze Carlo di Valois, fratello del re di Francia, con l’intenzione nascosta di eliminare i guelfi bianchi dalla scena politica; Dante e altri due ambasciatori si recano dal Papa per convincerlo a evitare l’intervento francese, ma è ormai troppo tardi ! Dante è già partito da Firenze quando Carlo di Valois entra nella città e sostiene il potere dei guelfi neri: il poeta non ritornerà mai più nella sua città natale, è condannato ingiustamente all’esilio.
Per Dante l’esilio rappresenta un momento di sofferenza e di dolore e al tempo stesso uno stimolo per la sua produzione letteraria e poetica: lontano da Firenze può vedere in modo più nitido la corruzione, l’egoismo, l’odio che governano la vita politica, civile e morale dei suoi contemporanei. La denuncia e il tentativo di indirizzare di nuovo l’uomo verso la retta via sono per lui l’ispirazione di una nuova poesia che prende forma nella Divina Commedia
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Messaggio da Beldanubioblu » mer mar 22, 2006 11:22 pm

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LA VITA




Dante nacque a Firenze, nel maggio del 1265, durante un breve periodo di predominio ghibellino, che durò dalla battaglia di Montaperti (1260), alla battaglia di Benevento (1266), in una città dove invece predominante fu la presenza guelfa.

La sua fu una famiglia guelfa appartenente alla piccola nobiltà; il nome della casata venne da un Alighiero bisavolo del poeta. La sua adolescenza non fu molto facile: in pochi anni infatti gli morirono la madre Bella e il padre Alighiero II, tuttavia il giovane ebbe la possibilità di dedicarsi agli studi presso i frati francescani di Santa Croce, dove apprese il cosiddetto Trinto (grammatica, logica, retorica) oltre alla pratica delle armi e all'addestramento negli altri esercizi cavallereschi; frequentò inoltre le scuole filosofiche dei domenicani di S. Maria Novella.
Tra le figure che influirono sulla sua formazione culturale e politica ricordiamo Brunetto Latini , notaio e rettore molto colto, a cui Dante rivolgerà nel canto XV dell'Inferno espressioni di riconoscenza; importante fu anche Guido Cavalcanti, un caro amico al quale il poeta dedicò la "Vita Nova", libretto giovanile nel quale è cantato l'amore per Beatrice, forse da identificarsi con la figlia di Folco Portinari andata sposa a Simone Dei Bardi e morta nel 1290.

Nel 1289 partecipò alla battaglia di Campaldino contro i Ghibellini di Arezzo. Alcuni anni più tardi, nel 1295, fu resa obbligatoria l'iscrizione a una delle "arti" o "corporazioni" per chiunque volesse prendere parte alla vita politica e assumere cariche pubbliche: Dante si iscrisse a quella dei Medici e Speziali; così poté essere chiamato nei Consigli del Popolo dove più volte si oppose a Papa Bonifazio VIII, che in seguito alla suddivisione della parte guelfa nelle opposte fazioni dei Bianchi e dei Neri, voleva per ambizioni personali favorire i Neri. Dante si schierò attivamente e fermamente con i Bianchi.

Nel 1301, mentre il poeta si trovava a Roma per un' ambasceria, Carlo di Valois (1 novembre 1301) della casa Reale di Francia, conquistò Firenze dietro richiesta di Bonifazio e la consegnò ai Neri: furono pronunciate pesanti condanne nei confronti degli avversari sconfitti.
Dante si trovava ancora fuori da Firenze, quando lo raggiunse l'accusa di baratteria, cioè esercizio fraudolento dei pubblici uffici. Gli vennero confiscati i beni e fu condannato a due anni di esilio e al pagamento di una forte ammenda; poiché non si presentò in città, venne condannato in contumacia all'esilio perpetuo e al rogo se fosse stato sorpreso in territorio fiorentino: dovette così abbandonare la moglie Gemma Donati, i tre figli e ogni cosa cara e fu costretto al suo doloroso vagabondaggio. In un primo momento cercò con un gruppo di altri Fiorentini banditi di tentare l'entrata con le armi ma poi uscì dal gruppo disgustato.

Andò di corte in corte, a Verona presso gli Scaligeri, in Lunigiana presso i Malaspina. In seguito alla discesa di Arrigo VII di Lussemburgo (1310) che veniva in Italia per farsi incoronare imperatore, Dante sperò di vedere risanati tutti i conflitti e i problemi dell'Italia.
I Fiorentini, che Dante condannò aspramente, si opposero ad Arrigo VII; le sue speranze svanirono completamente con la morte dell'Imperatore (1313). Gli fu concesso nel 1316 il ritorno in patria, ma Dante rifiutò sdegnosamente per le condizioni umilianti che gli erano state imposte. Finì i suoi ultimi anni a Ravenna presso i da Polenta. Morì il 14 settembre 1321.

LE OPERE
La produzione letteraria di Dante appartiene per la maggior parte proprio agli anni dell'esilio.
La "Divina Commedia", iniziata in esilio forse nel 1304, è il racconto in prima persona di un viaggio compiuto da Dante all'età di trentacinque anni nei tre regni dell'oltretomba cristiano. Le due guide principali del poeta in questo viaggio sono Virgilio (Inferno - Purgatorio) e Beatrice (Paradiso).
Il poema si compone di tre cantiche, l'Inferno, il Purgatorio e il Paradiso. Ciascuna cantica comprende trentatré canti, a cui si deve aggiungere il primo canto dell'Inferno (che quindi ne ha trentaquattro), che funge da introduzione a tutta l'opera. I versi sono endecasillabi raggruppati in terzine a rima incatenata.
Quest'opera rappresenta una summa di cultura, di valori etici ed estetici del Medio Evo. Attraverso una visione metaforica di un viaggio nell'oltretomba , il poeta esprime attraverso una sapiente e ricca regia compositiva motivi politici, storici, teologici e personali ( vedi la sua posizione nei confronti dell'amata e criticata Firenze).
In questo viaggio verso la perfezione divina, Dante assume il compito di raccontare la sua esperienza al mondo con la speranza che questo ne tragga insegnamento.

Tra le altre opere troviamo il già citato scritto giovanile, la "Vita Nova" (1292), composto di liriche alternate a brani in prosa che raccontano la storia d'amore di Dante per Beatrice e la morte di lei; nel "libello" (come lo chiama Dante) le vicende vissute sono interpretate simbolicamente, in chiave stilnovistica: Beatrice infatti viene descritta come creatura divina e angelica, strumento di elevazione dell'uomo verso Dio.

Il "Convivio" (1306 circa) è un'esposizione enciclopedica del sapere medioevale, scritta in volgare e non in latino perché doveva rivolgersi a più persone possibile: misto di prosa e di versi, non fu completata e dei 15 trattati progettati solo 4 ne furono composti.
Le "Rime"comprendono 54 liriche autentiche e 26 di attribuzione più incerta, composte da Dante durante tutto l'arco della sua vita e ordinate dopo la sua morte. I temi sono diversi e spaziano dal fantasioso e sognante ("Guido, i' vorrei che tu e Lapo e io"), al musicale ("Per una ghirlandetta"), dal passionale ("Così nel mio parlar"), al solenne ("Tre donne intorno al cor"). La diversità di temi, stile e periodo di composizione permette di seguire l'evoluzione del pensiero e della poetica di Dante.

Rimase incompiuta anche una grandiosa opera in latino, il "De vulgari eloquentia", un trattato intorno all'origine e all'essenza del nostro linguaggio. Dante indica come modello ideale di lingua letteraria, o volgare illustre, una lingua che prenda i suoi termini da ogni dialetto, nessuno dei quali adatto di per sé all'uso letterario.

Nel "De Monarchia" espone le sue convinzioni politiche sulla necessità di un impero universale, unico garante di giustizia e libertà. Affronta inoltre un problema molto dibattuto ai suoi tempi, cioè quello del rapporto tra le due supreme autorità: il papa e l'imperatore, le due grandi guide dell'umanità; essi hanno ricevuto direttamente da Dio la loro autorità e la devono esercitare in due sfere distinte, quella spirituale e quella temporale, per il conseguimento della felicità celeste e terrena.
Importanti anche le Epistole, soprattutto le tre scritte per la venuta di Arrigo VII. Meno interessante il trattatello scientifico "Quaestio de aqua et terra"; interessanti anche due Ecloghe in latino dal tono malinconico e speranzoso indirizzate a Giovanni del Virgilio, umanista bolognese che lo aveva invitato nella sua città per ricevere l'alloro poetico.




Aforismi di Dante Alighieri

«Uomini siate, e non pecore matte.»
«Tre cose ci sono rimaste del paradiso: le stelle, i fiori e i bambini.»
«Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e conoscenza.»
«Lume v'è dato a bene e a malizia.»
«Non dee l'uomo, per maggiore amico, dimenticare li servigi ricevuti dal minore.»
Il sole non ti serve per vedere perchè tu luce sei in mezzo al buio...(Lucia Di Iulio)

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Messaggio da Beldanubioblu » ven mar 24, 2006 10:49 pm

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dalla "Vita nuova"


Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia, quand'ella altrui saluta,
ch'ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l'ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d'umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mòstrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che 'ntender no la può chi non la prova:

e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d'amore,
che va dicendo a l'anima: «Sospira!».



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"Rime"


Guido, i' vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel che ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio,

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse il disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch'è sul numer delle trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d'amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i' credo che saremmo noi.




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Alcuni canti della
DIVINA COMMEDIA


INFERNO


Inferno - canto 1

1. 1 Nel mezzo del cammin di nostra vita
1. 2 mi ritrovai per una selva oscura
1. 3 ché la diritta via era smarrita.

1. 4 Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
1. 5 esta selva selvaggia e aspra e forte
1. 6 che nel pensier rinova la paura!

1. 7 Tant'è amara che poco è più morte;
1. 8 ma per trattar del ben ch'i' vi trovai,
1. 9 dirò de l'altre cose ch'i' v'ho scorte.

1. 10 Io non so ben ridir com'i' v'intrai,
1. 11 tant'era pien di sonno a quel punto
1. 12 che la verace via abbandonai.

1. 13 Ma poi ch'i' fui al piè d'un colle giunto,
1. 14 là dove terminava quella valle
1. 15 che m'avea di paura il cor compunto,

1. 16 guardai in alto, e vidi le sue spalle
1. 17 vestite già de' raggi del pianeta
1. 18 che mena dritto altrui per ogne calle.

1. 19 Allor fu la paura un poco queta
1. 20 che nel lago del cor m'era durata
1. 21 la notte ch'i' passai con tanta pieta.

1. 22 E come quei che con lena affannata
1. 23 uscito fuor del pelago a la riva
1. 24 si volge a l'acqua perigliosa e guata,

1. 25 così l'animo mio,



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- canto 5


(...)
5. 82 Quali colombe dal disio chiamate
5. 83 con l'ali alzate e ferme al dolce nido
5. 84 vegnon per l'aere, dal voler portate;

5. 85 cotali uscir de la schiera ov'è Dido,
5. 86 a noi venendo per l'aere maligno,
5. 87 sì forte fu l'affettuoso grido.

5. 88 «O animal grazioso e benigno
5. 89 che visitando vai per l'aere perso
5. 90 noi che tignemmo il mondo di sanguigno,

5. 91 se fosse amico il re de l'universo,
5. 92 noi pregheremmo lui de la tua pace,
5. 93 poi c'hai pietà del nostro mal perverso.

5. 94 Di quel che udire e che parlar vi piace,
5. 95 noi udiremo e parleremo a voi,
5. 96 mentre che 'l vento, come fa, ci tace.

5. 97 Siede la terra dove nata fui
5. 98 su la marina dove 'l Po discende
5. 99 per aver pace co' seguaci sui.

5.100 Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende
5.101 prese costui de la bella persona
5.102 che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende.

5.103 Amor, ch'a nullo amato amar perdona,
5.104 mi prese del costui piacer sì forte,
5.105 che, come vedi, ancor non m'abbandona.

5.106 Amor condusse noi ad una morte:
5.107 Caina attende chi a vita ci........




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- canto 26, versi 85-142



85 Lo maggior corno de la fiamma antica
86 cominciò a crollarsi mormorando
87 pur come quella cui vento affatica;

88 indi la cima qua e là menando,
89 come fosse la lingua che parlasse,
90 gittò voce di fuori, e disse: «Quando

91 mi diparti' da Circe, che sottrasse
92 me più d'un anno là presso a Gaeta,
93 prima che sì Enea la nomasse,

94 né dolcezza di figlio, né la pieta
95 del vecchio padre, né 'l debito amore
96 lo qual dovea Penelopé far lieta,

97 vincer potero dentro a me l'ardore
98 ch'i' ebbi a divenir del mondo esperto,
99 e de li vizi umani e del valore;

100 ma misi me per l'alto mare aperto
101 sol con un legno e con quella compagna
102 picciola da la qual non fui diserto.

103 L'un lito e l'altro vidi infin la Spagna,
104 fin nel Morrocco, e l'isola d'i Sardi,
105 e l'altre che quel mare intorno bagna.

106 Io e ' compagni eravam vecchi e tardi
107 quando venimmo a quella foce stretta
108 dov'Ercule segnò li suoi riguardi,

109 acciò che l'uom più oltre non si metta:
110 da la man destra mi lasciai Sibilia,
111 da l'altra già m'avea lasciata Setta.

112 "O frati", dissi "che per cento milia
113 perigli siete giunti a.....



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PARADISO



- canto 1

1.1 La gloria di colui che tutto move
1.2 per l'universo penetra, e risplende
1.3 in una parte più e meno altrove.

1.4 Nel ciel che più de la sua luce prende
1.5 fu' io, e vidi cose che ridire
1.6 né sa né può chi di là sù discende;

1.7 perché appressando sé al suo disire,
1.8 nostro intelletto si profonda tanto,
1.9 che dietro la memoria non può ire.

1.10 Veramente quant'io del regno santo
1.11 ne la mia mente potei far tesoro,
1.12 sarà ora materia del mio canto.

1.13 O buono Appollo, a l'ultimo lavoro
1.14 fammi del tuo valor sì fatto vaso,
1.15 come dimandi a dar l'amato alloro.

1.16 Infino a qui l'un giogo di Parnaso
1.17 assai mi fu; ma or con amendue
1.18 m'è uopo intrar ne l'aringo rimaso.

1.19 Entra nel petto mio, e spira tue
1.20 sì come quando Marsia traesti
1.21 de la vagina de le membra sue.

1.22 O divina virtù, se mi ti presti
1.23 tanto che l'ombra del beato regno
1.24 segnata nel mio capo io manifesti,

1.25 vedra'mi al piè del tuo diletto legno
1.26 venire, e coronarmi de le foglie



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- canto 33



33.1 «Vergine Madre, figlia del tuo figlio,
33.2 umile e alta più che creatura,
33.3 termine fisso d'etterno consiglio,

33.4 tu se' colei che l'umana natura
33.5 nobilitasti sì, che 'l suo fattore
33.6 non disdegnò di farsi sua fattura.

33.7 Nel ventre tuo si raccese l'amore,
33.8 per lo cui caldo ne l'etterna pace
33.9 così è germinato questo fiore.

33.10 Qui se' a noi meridiana face
33.11 di caritate, e giuso, intra ' mortali,
33.12 se' di speranza fontana vivace.

33.13 Donna, se' tanto grande e tanto vali,
33.14 che qual vuol grazia e a te non ricorre
33.15 sua disianza vuol volar sanz'ali.

33.16 La tua benignità non pur soccorre
33.17 a chi domanda, ma molte fiate
33.18 liberamente al dimandar precorre.

33.19 In te misericordia, in te pietate,
33.20 in te magnificenza, in te s'aduna
33.21 quantunque in creatura è di bontate.

33.22 Or questi, che da l'infima lacuna
33.23 de l'universo infin qui ha vedute
33.24 le vite spiritali ad una ad una,

33.25 supplica a te, per grazia, di virtute
33.26 tanto, che possa con li occhi levarsi
33.27 più alto verso l'ultima salute.

33.28 E io, che mai per mio veder non




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PURGATORIO


- canto 1

1.1 Per correr miglior acque alza le vele
1.2 omai la navicella del mio ingegno,
1.3 che lascia dietro a sé mar sì crudele;

1.4 e canterò di quel secondo regno
1.5 dove l'umano spirito si purga
1.6 e di salire al ciel diventa degno.

1.7 Ma qui la morta poesì resurga,
1.8 o sante Muse, poi che vostro sono;
1.9 e qui Caliopè alquanto surga,

1.10 seguitando il mio canto con quel suono
1.11 di cui le Piche misere sentiro
1.12 lo colpo tal, che disperar perdono.

1.13 Dolce color d'oriental zaffiro,
1.14 che s'accoglieva nel sereno aspetto
1.15 del mezzo, puro infino al primo giro,

1.16 a li occhi miei ricominciò diletto,
1.17 tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta
1.18 che m'avea contristati li occhi e 'l petto.

1.19 Lo bel pianeto che d'amar conforta
1.20 faceva tutto rider l'oriente,
1.21 velando i Pesci ch'erano in sua scorta.

1.22 I' mi volsi a man destra, e puosi mente
1.23 a l'altro polo, e vidi quattro stelle
1.24 non viste mai fuor ch'a la prima gente.

1.25 Goder pareva 'l ciel di lor fiammelle:
1.26 oh settentrional vedovo sito,
1.27 poi che privato se'




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- canto II


Già era 'l sole a l'orizzonte giunto
lo cui meridian cerchio coverchia
Ierusalèm col suo più alto punto;

e la notte, che opposita a lui cerchia,
uscia di Gange fuor con le Bilance,
che le caggion di man quando soverchia;

sì che le bianche e le vermiglie guance,
là dov'i' era, de la bella Aurora
per troppa etate divenivan rance.

Noi eravam lunghesso mare ancora,
come gente che pensa a suo cammino,
che va col cuore e col corpo dimora.

Ed ecco, qual, sorpreso dal mattino,
per li grossi vapor Marte rosseggia
giù nel ponente sovra 'l suol marino,

cotal m'apparve, s'io ancor lo veggia,
un lume per lo mar venir sì ratto,
che 'l muover suo nessun volar pareggia.

Dal qual com'io un poco ebbi ritratto
l'occhio per domandar lo duca mio,
rividil più lucente e maggior fatto.

Poi d'ogne lato ad esso m'appario
un non sapeva che bianco, e di sotto
a poco a poco un altro a lui uscio.

Lo mio maestro ancor non facea motto,
mentre che i primi bianchi apparver ali;
allor che ben conobbe il galeotto,

gridò: «Fa, fa che le ginocchia cali.
Ecco l'angel di Dio: piega le mani;
omai vedrai di sì fatti officiali.

Vedi che sdegna li argomenti umani,
sì che remo non vuol, né altro velo
che l'ali sue, tra liti sì lontani.

Vedi come................






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Messaggio da Beldanubioblu » dom apr 09, 2006 9:07 pm

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DANTE dalla "Vita nuova"
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