Saluto del Vescovo dei Marsi.... trasferito a San Severo FG

Oratorio ed attività in Parrocchia

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Saluto del Vescovo dei Marsi.... trasferito a San Severo FG

Messaggio da Redazione » gio set 07, 2006 8:06 pm

“IN OBSEQUIO JESU CHRISTI”
Lettera di saluto alla carissima Chiesa che è in Avezzano.


Carissimi Sacerdoti, diaconi permanenti,
religiosi, religiose e popolo di Dio,

1. Sono passati sette anni dalla mia ordinazione episcopale in Piazza Risorgimento con una celebrazione veramente straordinaria e una numerosissima partecipazione di popolo. Al ricordo, nella mia mente risuonano una frase latina: “fugit irrepabile tempus” e una parola italiana: grazie!grazie! Immagini, persone, clericali e non, canti, gesti, momenti sono talmente impressi nella mia mente e nel mio cuore che, parlandone, le rivedo e rivivo come stessero accadendo in questo momento. Una convinzione mi accompagnava e accompagna ancor: diocesanità. La voglio ripetere, condividendo con voi, quasi come conclusione ufficiale della Visita Pastorale e come saluto a tutti e ciascuno, prima di incamminarmi verso la Diocesi di San Severo (FG), quanto essa richiama alla mia mente e responsabilità. Essa, inoltre, indica quell’atteggiamento che, credo, debba connotare l’ essere Chiesa oggi, come ci proponevamo di riflettere, dopo il Convegno nazionale di Verona con la celebrazione di un Congresso Diocesano. Intanto voglio confermarvi quanto i Giornali locali hanno scritto ieri: “La Marsica mi resta nel cuore”. E’ la verità! In questi anni ho avuto la gioia di conoscere tanti di voi, sacerdoti, religiosi, religiose e cristiani-laici che mi avete edificato con la vostra disponibilità, amabilità, creatività pastorale e la straordinaria carica di umanità. Come dimenticare tutti i momenti, eventi, problemi, ansie, soddisfazioni, preoccupazioni che condiviso con voi? Voglio ringraziarvi di cuore per tutto questo e della consolazione che avete saputo darmi, con questi atteggiamenti, quando altri hanno favorito o fomentato situazioni inecclesiali. Anche costoro rassicuro: li ricorderò nella preghiera come fratelli e sorelle in Cristo! Ed ora una breve riflessione sulla diocesanità, ritmata sulle seguenti idee..

La Chiesa come “ misterium fidei”.
2. II Concilio Vaticano II ci ha presentato la Chiesa come «il segno e lo strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano» (LG 1), come la presenza sacramentale di Cristo nel tempo e nella storia (cf LG 3) come la casa abitata e vivificata dallo Spirito santo, sorgente di acqua zampillante fino alla vita eterna (cf Gv 4,14; 7,38-39; LG 4), come il corpo mistico di Cristo le cui membra sono tante e diverse ma così strettamente connesse le une con le altre da formare un tutto organico e ben compaginato (cf ICor 12, 12-27; Rm 12,5; LG 7), come un popolo che deriva la sua origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo secondo il piano di Dio Padre (cf AG 2) e la "la sua unità dall'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (LG 4).
Collegare la Chiesa con l’ insondabile mistero della SS. Trinità, e intenderla, quale è, come carne storica di Cristo (Mons. Oscar Romero), come tempio dello Spirito Santo e corpo mistico, del quale tutti i cristiani sono membra ed hanno la missione di continuarLo nella storia per l'animazione cristiana del mondo, è particolarmente importante per capire la natura e il significato del ministero episcopale all'interno della Chiesa locale che può essere considerata come "il luogo dove si attua pienamente il mistero della salvezza, perché qui attorno al vescovo, successore degli Apostoli, attraverso il Vangelo e l’Eucaristia, il corpo di Cristo si compagina, si innerva in tutte le sue connessioni. E qui i suoi membri ricevono e donano il comune e reciproco servizio dell'unico corpo di Cristo” ( CEI, Signore da chi andremo?Il Catechismo degli adulti, p. 295).

La Chiesa come “servitium charitatis”.
3. Nella Chiesa particolare, che rende presente e visibile la Chiesa universale in un territorio, Cristo svolge la sua funzione profetica, sacerdotale e regale. Infatti la Chiesa nasce dall'annuncio della Parola (cfr Paolo VI, L’evangelizzazione nel mondo contemporaneo,15), si mette sempre in religioso ascolto della Parola (cf DV 1) e la annuncia con fermezza perché risuoni nel cuore degli uomini il vangelo dell'amore misericordioso di Dio che salva. La Chiesa, popolo di sacerdoti (cf IPt 2,9; LG 10), celebra "l'opera salvifica del suo sposo divino...; ogni settimana, nel giorno a cui ha dato il nome di domenica, fa memoria della risurrezione del Signore...; apre ai fedeli le ricchezze delle azioni salvifiche e dei meriti del suo Signore, le rende come presenti a tutti i tempi e permette ai fedeli di venirne a contatto e di essere ripieni della grazia della salvezza" (SC 102). La Chiesa, popolo chiamato ad essere lievito che fermenta la pasta, sale che da sapore e luce che illumina (cf ICor 5,6; Mt 5,13-14), può e deve far sue "le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono» (GS 1). Ripartire dagli ultimi non è una scelta motivata dal momento attuale, ma di sempre (cfr CEI, La Chiesa italiana e le prospettive del paese, 4) è una delle note caratteristiche della Chiesa del servizio (cf Gv13,1-20) per essere il samaritano buono per ogni malcapitato che incappa nei briganti (cf Le 10,30-37).
Il ministero del vescovo.
4 . Se la Chiesa, per volontà di Cristo, è un popolo di profeti, di sacerdoti e di servi, il Vescovo, come successore degli Apostoli, è a servizio della profezia, del sacerdozio e della regalità. Non da solo, ma in comunione con il vescovo di Roma e gli altri vescovi. Per esprimere il rapporto che esiste tra la Chiesa e il vescovo mi rifaccio a una delle figure con cui il Vaticano II descrive l'intima natura della Chiesa: "La Chiesa... è un ovile, la cui porta unica e necessaria è Cristo (cf Gv 10, 1-10). È pure un gregge, di cui Dio stesso ha preannunziato che ne sarebbe il pastore (cf Is 40,11; Ez 34, 11SS.), e le cui pecore, anche se governate da pastori umani, sono però incessantemente condotte al pascolo e nutrite dallo stesso Cristo, il buon pastore e Principe dei pastori (cf Gv 10,11 ; IPt 5,4), il quale ha dato la vita per le sue pecore (cf Gv 10,11-15)" (LG 6).
Questa icona (Cristo pastore e il suo gregge) ci aiuta a comprendere quale è e deve essere la missione e l'attività pastorale della Chiesa e, in essa,il ministero del vescovo. C'è tra il gregge e il pastore un rapporto inscindibile. Come non si può immaginare un gregge senza pastore, cosi non ha senso un pastore senza le pecore da raccogliere, difendere, condurre al pascolo, conoscere e chiamare per nome. Tra loro esiste un rapporto di convivenza, di simpatia, di itineranza, di sopravvivenza. L'uno non può fare a meno dell'altro. Nel, e a favore del gregge il pastore esercita il suo ufficiò. Il pastore mantiene unito il gregge.

5. Alla luce di questa bellissima immagine si può asserire che la Chiesa locale è il luogo, l’ovile, in cui il vescovo esercita il suo ministero. Il vescovo è il "principio visibile e il fondamento dell'unità nella Chiesa particolare" a lui affidata (LG.23). La Chiesa non può essere pensata senza riferimento al vescovo, e viceversa. Ignazio di Antiochia scrive: "Nessuno senza il vescovo faccia qualche cosa che concerne la Chiesa... Dove compare il vescovo, la sia la comunità, come là dove c'è Gesù Cristo ivi è la Chiesa cattolica. Senza il vescovo non è lecito ne battezzare ne fare l’agape”. Anche il mirabile documento della CEI «Evangelizzazione e ministeri» si rifà all'immagine del pastore per illustrare il ministero del vescovo (cfr. n.52). Ministero che nasce dalla grazia dell’ordine episcopale che imprime anche il carattere e così "il vescovo viene costituito in potenza e autorità perché serva la Chiesa, edificandola e presiedendola. Il ruolo proprio del vescovo non è perciò di essere la sintesi dei ministeri, ma di svolgere il ministero della sintesi, dell'armonizzazione e della generazione di tutti i ministeri che servono all'edificazione della comunità (ivi). In questa luce ho cercato di intendere e vivere il mio ministero in questa amata terra dei Marsi, valorizzando carismi, organismi, competenze. Chiedo scusa se in alcuni casi non sono riuscito. Assicuro la mia benevolenza a coloro che hanno fatto fatica a vedermi in questo senso e ad accettarmi. Una raccomandazione: la critica, come più volte ho detto personalmente ad alcuni, molto deboli a riguardo, e spesso a tutti, durante gli incontri diocesani, va sempre fatta alla persona interessata. Gesù, nel vangelo, ci ricorda il dovere della “correzione fraterna”. Con umiltà voglio ora dire che la “sacra murmuratio” è termitiera.
Il ministero della profezia.
6. Con la consacrazione il vescovo partecipa del mistero e del ministero di Cristo pastore e servo di coloro che con l’evento pasquale vengono riconciliati con Dio, con se stessi e con gli altri. Cristo è l'origine e il modello di ciò che il vescovo è e deve diventare ogni giorno sempre di più. Gesù è la Parola che rivela il mistero di Dio (cf GV ll.l8), la natura dell'uomo (cf GS 22) e il destino ultimo dell'universo ( cf Ef 1 10- GS 10- 45), il vescovo, in certo senso, è la parola che annuncia il vangelo dell'amore misericordioso di Dio. Fedele all'esortazione di Paolo a Timoteo: "Verrà giorno... in cui non si sopporterà più la sana dottrina... Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi al tuo ministero" (2Tm 4,3.5). Anche a riguardo delle sofferenze, devo confessare che non sempre le ho vissute in spirito di fede, offrendole al Signore “pro salute animarum”. Comunque voglio ringraziare tutti coloro che, nei momenti di più intensa sofferenza, mi sono stati vicini (non faccio nomi, perché l’elenco è abbastanza lungo); ma, nello stesso tempo dire ad alcuni, anche sacerdoti e religiosi, che mai si devono sentire investiti del ministero di far soffrire gli altri.
II vescovo, dunque, è l'uomo del vangelo. Primo, perché partecipe della funzione profetica di Cristo. Secondo, perché pastore di una Chiesa che per natura è profetica. Terzo, perché non si può non mettersi egli stesso deve mettersi in religioso ascolto della Parola. Quarto, perché avendo ricevuto in consegna il vangelo, non può non annunciarlo con coraggio e fedeltà. Memore della raccomandazione di Paolo a Timoteo: "Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù...: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina" (2 Tm 4, 1.2), devo dire che mi sono sforzato di agire “con cuore puro e retta coscienza”.

7. Nell'esercizio del suo ministero di «custode», «araldo», «maestro», «servo della Parola», il vescovo deve sentirsi ed essere in comunione con gli altri vescovi. Lo esige la natura del collegio episcopale del quale egli fa parte in forza della consacrazione. Come Pietro e gli altri apostoli costituiscono, per volontà del Signore, un unico collegio apostolico, similmente il romano Pontefice, successore di Pietro, e i vescovi, successori degli apostoli, formano tra loro un tutto"(LG 22).
L'essere «un tutto» fa sì che il singolo vescovo sia corresponsabile della Parola che Cristo ha affidato alla Chiesa perché risuonasse di generazione in generazione fino alla consumazione dei secoli.
Il servizio della profezia comporta che il vescovo insegni con autorità indicando la strada da fare per essere e crescere nella verità che è Gesù e che ogni uomo deve conoscere per avere la salvezza. Per i due suddetti motivi sono intervenuto spesso pubblicamente servendomi dei media, come sapete tutti. Al servizio della profezia da parte del vescovo, deve corrispondere l’assenso religioso della volontà e dell'intelligenza da parte dei fedeli (cfr LG 25). L’assenso è il riconoscimento della funzione magistrale di Cristo che il vescovo deve impegnarsi a rendere presente. Esso, quindi, nasce ed è accompagnato dalla fede. Questa è la chiave di lettura che permette di cogliere le ragioni, il contenuto e le modalità espressive del magistero episcopale. Senza l’obbedienza della fede tutto diventa problematico. Ciò non vuol dire che non si possa e non si debba cooperare con il magistero della Chiesa per l’approfondimento stesso della verità, per la semplice ragione che lo Spinto agisce
nel cuore dei credenti (cf LG 12).

A servizio del sacerdozio.
8. II Vaticano II, il Magistero ordinario e straordinario della Chiesa e diverse mie lettere pastorali insegnano che “per la rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo i battezzati vengono consacrati per formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire, mediante tutte le attività del cristiano, spirituali sacrifici, e far conoscere i prodigi di colui che dalle tenebre li chiamò all'ammirabile sua luce (cf IPt 2,4-10) (LG 10)”. In continuità con la tradizione, il Magistero afferma che la Chiesa è un popolo di sacerdoti perché partecipa, proprio in forza del Battesimo, dell'unico sacerdozio di Cristo. Questa realtà trova la sua espressione nella celebrazione dei sacramenti, nella preghiera, nella vita di ogni giorno (cf LG 10).
Se questa è la natura del popolo di Dio, il ministero episcopale non può essere pensato come se fosse una realtà a sé stante, senza riferimento cioè al sacerdozio comune dei fedeli. Il “sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo" (LG 10). L'uno e l'altro "si integrano a vicenda nell'unica opera di salvezza del mondo... Esprimono la presenza di Cristo nella Chiesa e la dipendenza diretta di essa da Cristo" (CEI, Signore da chi andremo, p. 266).

9. Il sacerdozio comune è fondato sul Battesimo, quello ministeriale o gerarchico è conferito dal sacramento dell'Ordine. L'uno e l'altro sono per il mondo. Il ministero episcopale non nasce dalla comunità dei credenti, come se fosse essa a chiamare o a delegare. Proviene invece da Cristo, dalla pienezza del suo sacerdozio, ed è nato per la comunità. Il ministero episcopale è a servizio del sacerdozio comune. Il Vaticano II insegna che "il vescovo, insignito della pienezza del sacramento dell'Ordine, è l'economo della grazia del supremo sacerdozio, specialmente dell'Eucaristia, che offre egli stesso o fa offrire, e della quale la Chiesa continuamente vive e cresce" (LG 26). In questi sette anni ho sempre tenute presenti queste verità, come luce di un cammino pastorale che rimane sempre aperto. Raccomando a tutti noi di non dimenticarle mai. Fare spazio al laicato nella vita e nell’azione della Diocesi e di una parrocchia non è un opzional, ma un preciso nostro dovere, nel rispetto della volontà di Dio.
A servizio della regalità.
10. Per la partecipazione al mistero di Cristo, la Chiesa è anche «un popolo regale». Questo fatto comporta l'assimilazione alla signoria di Cristo, il compito di far sì che Cristo sia per davvero "tutto in tutti" (Col 3,11), colui che ricapitola in sé tutte le cose (cf 1,10), l'animazione cristiana delle realtà temporali (cf GS 43; LG 38; AA 7), la presenza nel mondo come lievito che fermenta tutta la pasta.
Se non si dimentica che la signoria di Cristo trova la sua espressione più alta nel gesto della lavanda dei piedi (cf Gv 13,1 ss.), da qualcuno definita “il sacramento del servizio” e nella Croce innalzata sul Calvario (cf Gv 8,28), dono di amore ed esempio da imitare sempre, si capisce che cosa significhi concretamente essere, secondo l’efficace espressione di don Tonino Bello, Chiesa in grembiule, a servizio di coloro che incontra lungo il suo cammino, a qualunque religione o credo politico appartengano. Una Chiesa in grembiule è una Chiesa tutta ministeriale. Diversi i carismi e i ministeri (cf ICor 12,4-11), ma uguale per tutti la vocazione al servizio.


11. In una Chiesa «regale» perché ministeriale, il vescovo è il primo servo, colui che anima la vita della comunità da pastore. Il Vaticano II scrive: il vescovo «mandato dal Padre di famiglia a governare la sua famiglia, tenga innanzi agli occhi l'immagine del buon pastore che è venuto non per essere servito, ma per servire, e dare la sua vita per le pecore... Dovendo rendere conto a Dio delle anime (cf Ef 13,17), con la preghiera, la predicazione, e ogni opera di carità abbia cura di loro e anche di quelli che non sono ancora nell'unico gregge" (LG 27).
Il compito di pastore comporta quindi che il vescovo governi la sua Chiesa con l'amore, la passione e la disponibilità eroica di chi offre la sua vita perché la fedeltà a Dio e all'uomo, la comunione con Dio e con i fratelli, l'assunzione delle esperienze degli uomini, la tensione escatologica con la riscoperta della dimensione speranza non calino mai di tono.
Il vescovo è a servizio di questa regalità. Con il suo stile di vita; con la scelta degli ultimi; con il raccordo di tutte le componenti della comunità cristiana, essendo lui principio di unità tra i presbiteri e i fedeli della Chiesa locale a lui affidata. Nello svolgimento del suo compito di pastore ha almeno tre punti di riferimento: Cristo, pastore buono che dà la vita per la sue pecore; le esigenze concrete della sua comunità ecclesiale; la comunione con gli altri vescovi, insieme con i quali forma il collegio episcopale. Non può non sentire, infatti, quella che il concilio chiama: la sollecitudine per tutta la Chiesa (cf LG 23). Vi dico queste cose, mentre rivado con la mente al mio ministero episcopale in terra marsicana. Mi rincuora il fatto di essermi impegnato “in obsequio Jesu Christi”. Ogni esperienza serve per crescere, andare avanti, migliorare. Con le parole dell’angelo al profeta Elia mi accorgo che “è tanto lungo il cammino che mi resta da fare” per dare una risposta adeguata alle attese di Dio e del popolo.

12. Concludo ricordando le parole con le quale il Santo Padre Benedetto XVI si presentò il 19 aprile 2005 all’umanità: “un umile lavoratore nella vigna del Signore”. Tale ho cercato di essere tra voi per questi sette anni, agendo, vi assicuro, con verità davanti al Signore, che legge nei cuori, convinto che la verità ci fa liberi. In alcuni momenti ho taciuto semplicemente perché la verità non va difesa: si difende da sola. In Fil. 2,1-11 San Paolo ci consegna una regola di comportamento: non fare mai nulla per spirito di rivalità o vanagloria; ma con umiltà considerare gli altri superiori a e stessi. Cerchiamo di essere liberi da ogni malignità; benevoli con tutti: la Chiesa e, in essa, i consacrati devono agire con sentimenti di benevolenza. Ho cercato il maggior bene per tutti e ciascuno, implorandolo nella preghiera, perseguendolo unitamente ai collaboratori diocesani, annunciandolo a tutti, specialmente durante la Visita Pastorale. Senza benevolenza e umiltà non si avanti. Non posso tacere che, accanto a tante dimostrazioni di stima, di affetto e di obbedienza, ne ho registrate tantissime contrarie, tra persone consacrate e non. So, però, che c’è in voi e in questa amata Diocesi tante potenzialità e disponibilità a essere una Chiesa santa e popolo “forte e gentile”. E’ questo il mio sincero augurio che formulo con tutto il cuore, mentre mi accingo a leggere una lettera inviatami, dal nostro Nunzio Mons. Paolo Romeo, a nome del nostra Santo Padre: “Eccellenza Reverendissima, facendo seguito alle conversazioni telefoniche dei giorni scorsi, mi reco a doverosa premura di confermarLe che la notizia della Sua nomina a Vescovo di San Severo sarà resa pubblica alle ore 12 di sabato 2 settembre 2006. Fino a quel momento deve rimanere sub peculiari secreto pontificio nei confronti di chiunque, soltanto allora Vostra Eccellenza potrà darne ufficialmente comunicazione alla Diocesi. Desidero ancora una volta dirLe tutta la mia affettuosa vicinanza in un momento così delicato del Suo ministero di Successore degli Apostoli ed esprimerLe vivo apprezzamento per la generosa dedizione e lo zelo apostolico con cui si è impegnato a servizio della diocesi di Avezzano. Voglia il Signore ricompensarLa con abbondanza di grazie per il bene che Ella ha elargito. Invocando le più abbondanti benedizioni per il nuovo ministero che oggi Le affida il Successore di Pietro, mi confermo con sensi di viva stima e fraterno affetto”.


12. Il saluto non indica la chiusura del sipario sulla fraternità e la cordialità che abbiamo insieme vissuto; ma vuole solo significare che io continuo ad essere per tutti e ciascuno un fratello. Mi rimanete nel cuore tutti: coloro che hanno generosamente collaborato con me, e coloro che mi hanno dato la possibilità di esercitarmi nella pazienza. San Severo è un luogo dove sempre troverete aperta la porta dell’episcopio e del mio cuore. Raccomando ciascuno di voi, le amate Diocesi di Avezzano e di San Severo, e la mia povera persona a Maria, madre e sorella nostra. Ella, stella della nuova evangelizzazione, sia per le due Chiese locali, le comunità parrocchiali e religiose, le famiglie, le sorelle e i fratelli, un sorriso rassicurante di bene. Il suo amore di madre conforti chi soffre, consigli chi dubita, rassereni chi è tormentato, accompagni chi è alla ricerca, inviti a umiltà chi è arrogante, sproni chi è debole: sia sempre e comunque, via aperta verso il Signore Dio e Trino e verso il prossimo. Con Lei cantiamo il “Magnificat” della meraviglia e dello stupore per le opere meravigliose che Dio compie, servendosi della pochezza delle creature; con Lei diciamo: “Eccomi, sono il tuo servo, Signore, si compia in me la tua volontà!”. Come Lei, sentiamoci sempre più impegnati a vivere il nostro battesimo. Come Lei, spendiamo energie della mente e del cuore per agire “in obsequio Jesu Christi”. Grazie a tutti, grazie di tutto! Vi benedico e abbraccio con affetto fraterno. Sempre in comunione di preghiera

Vostro in Gesù e Maria
+ Lucio M. Renna, Vescovo


Avezzano 2 settembre 2006
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