La Storia del radicchio e della carota nel Fucino.

Il radicchio del Fucino e come si cucina

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Giammarco De Vincentis
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La Storia del radicchio e della carota nel Fucino.

Messaggio da Giammarco De Vincentis » sab set 11, 2010 6:05 pm

RADICCHIO Nel comprensorio

L’introduzione del radicchio – noto anche come “cicoria rossa di Chioggia” per differenziarlo dal “radicchio lungo di treviso” – risale, nel Fucino, al periodo compreso tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80. Se ne trova conferma in un documento statistico dell’ ERSA che indicava, per il 1981, una superficie di complessivi 112 ettari dei quali: 44,30 ettari nell’area di Celano, 15,57 ettari nell’area di Ortucchio, 14,56 ettari nell’area di Trasacco, 14,53 ettari nell’area di Avezzano, ed i restanti 24 ettari variamente presenti nelle altre tre aree.

IMMAGINE

Le relative superfici comprensoriali, mediamente occupate in ciascuno dei 5 periodi statistici a partire dal triennio 1985/87, sono esposti in tabella n.1 il cui grafico evidenzierebbe una linea incostante ascesa qualora nel periodo 1993/97 non si fosse registrata una seppur lieve flessione. Dati statistici non meno interessanti sono quelli della tabella n.2 i cui istogrammi mostrano, limitatamente al solo quinquennio 1998/02, una modestissima superiorità delle superfici mediamente ed annualmente occupate del radicchio rispetto alle analoghe superfici delle concorrenti lattughe/indivie.

Tabella n.1
QUINQUENNIO RADICCHIO
Ha %
85/87 508.34 3.88
88/92 820.70 6.27
93/97 657.23 5.02
98/02 996.40 7.61
03/07 1045.76 7.99
Media 85/07 839.47 6.41




Tabella n.2
QUINQUENNIO LATTUGHE/INDIVIE RADICCHIO TOTALI
ha % ha -1% ha -1%
85/87 916.65 7.00 508.34 3.88 1424.99 10.89
88/92 1140.50 8.71 820.70 6.27 1961.20 14.99
93/97 937.17 7.16 657.23 5.02 1594.40 12.18
98/02 944.68 7.22 996.4 7.61 1941.08 14.83
03/07 1152.20 8.80 1045.76 8.63 2197.96 16.79
85/07 1001.60 7.65 839.47 6.35 1841.07 14.07



In merito alle cinque superfici massime e minime, la relativa tabella n.3 indica in 1186.68 ha la media di quelle massime riscontrate negli anni tra il 1999 ed il 2005 ed in appena 536.78 ha la media delle superfici minime delle quali tre rilevate negli anni dal 1985 al 1987 e due negli anni 1994 e 1996.
Tabella n.3
SUPERFICI MASSIME 1985-2007 SUPERFICI MINIME
ANNI ha % Ha % ANNI ha %
1999 1165.20 8.90 1985 426.31 3.26
2000 1379.70 10.54 1986 440.31 3.36
2003 1096.40 8.38 1987 658.42 5.03
2004 1162.70 8.88 1994 521.36 3.98
2005 1129.40 8.63 1996 637.5 4.87
MEDIA 1186.68 9.07 839.47 6.41 MEDIA 536.78 4.10


Nelle aree di produzione
Secondo i dati esposti nella sezione A della tabella n.4, le due aree del bacinetto e di Celano-Aielli-Cerchio risultano caratterizzati dalle piu elevate medie annuali delle superfici occupate dal radicchio dal 1985 al 2007. Le aree di Trasacco e di Avezzano sono invece quelle che annoverano le più basse medie , risultate pari, rispettivamente, a 80.83 e a 77.53 ha annui.
Tabella n.4
Superfici areali annue dal 1985 al 2007
ha ha %
Bacinetto 2084 204.85 9.83
Celano 2800 125.85 4.49
Pescina 851 121.82 14.31
Ortucchio 1480 118.63 8.02
Luco 1524 101.87 6.68
Trasacco 1670 80.83 4.84
Avezzano 2678 77.53 2.90
Fucino 13087 831.38 6.35
ha ha %
Pescina 851 121.82 14.31
Bacinetto 2084 204.85 9.83
Ortucchio 1480 118.63 8.02
Luco 1524 101.87 6.68
Trasacco 1670 80.83 4.84
Celano 2800 125.85 4.49
Avezzano 2678 77.53 2.90
Fucino 13087 831.38 6.35

Sezione A tabella n. 4 (valori in ettari)

Sezione B tabella n.4 (valori in %)

Diversa situazione evidenzia invece la sezione B della stessa tabella n.4 nella quale l’area di Pescina – San Benedetto dei Marsi occupa il primo posto in virtu del 14,31% della sua superficie areale mediamente occupata dal radicchio dal 1985 al 2007 quando invece lo stesso rapporto scende ad appena il 2,90% per l’ area di Avezzano.
L’evoluzione delle superfici areali mediamente occupate dal radicchio in ciascuno dei cinque periodi statistici con inizio da quello del 1985/87 è esposta nella successiva tabella n.5.
Gli istogrammi riferiti alle superfici del primo, terzo ed ultimo periodo statistico evidenziano, nell’ area di Pescina – San Benedetto dei Marsi, quella caratterizzata da una sostanziale stabilità delle superfici al contrario di quanto si riscontra in altre aree caratterizzate da incrementi di superfici costantemente progressivi da un periodo statistico all’ altro.
Tabella n.5
Superfici areali medie nei quinquenni
Quinquennio
aree 1985/87 1988/92 1993/97 1998/02 2003/07
ha ha ha ha Ha
Bacinetto 127,72 220,98 191,21 255,64 212,72
Pescina 116,34 150,50 116,99 126,68 113,02
Ortucchio 105,41 134,17 86,28 139,08 116,46
Luco 52,06 70,18 73,22 129,50 159,22
Celano 47,15 117,96 97,65 146,80 182,54
Trasacco 33,89 65,53 62,32 98,98 120,94
Avezzano 25,84 61,38 29,57 99,72 140,86
Fucino 508,40 820,70 657,23 996,40 1045,76
1,00 1,61 1,29 1,96 2,06


Aspetti agronomici
Secondo alcuni agricoltori fucensi dediti all’ orticoltura fin dagli anni ’70, le prime coltivazioni del radicchio vennero introdotte nel Fucino dal Sig. Vittorio Bragadin – noto orticoltore nonché operatore commerciale operante nel chioggiotto – che aveva intuito l’idoneità della piana ficense anche alla coltivazione di detto ortaggio tanto che ben presto vi trasferì parte delle sue attività agricole e commerciali. Dal punto di vista botanico il radicchio non può considerarsi “specie” intesa come “l’insieme di tutti gli individui che, riproducendosi, continuano a generare individui con caratteri somiglianti a quelli dei propri genitori” bensì “popolazione” di piante che, riproducendosi, danno origine a soggetti dalle caratteristiche morfologiche e fisiologiche non sempre coincidenti con quelle delle piante madri.
FOTO
Tali specificità genetiche erano responsabili dell’emergenza di piante di radicchio con caratteristiche morfologiche diverse da quelle delle piante normali, il che rendeva necessario estirparle il più presto possibile ed, in ogni caso, in anticipo rispetto alle raccolte. Nonostante ciò, non di rado, piante “anomale” si notavano anche al momento delle raccolte. Le tecniche colturali – dalle lavorazioni pre-post trapianti alle concimazioni; dalle irrigazioni, ai trattamenti antiparassitari alle raccolte sono le stesse di quelle praticate per le lattughe e le indivie. Se le differenziavano, nei primi anni di coltivazione, per le usanze di porre i cesti anche in sacche di plastica entro i quali restavano fino a quando non fossero venduti a quanti li avrebbero confezionati e commercializzati. Non rientra, nei compiti della presente trattazione, l’illustrare come le società sementiere siano giunte ad ottenere , e porre in commercio, varietà di radicchio con caratteristiche morfologiche sufficientemente stabilizzate, nonché varietà dai cicli vegetativi specifici per periodi con giorni prevalentemente lunghi e giorni prevalentemente corti. Il che consente agli orticoltori fucensi di poter iniziare le raccolte già nella prima decade di giugno e proseguirle fin verso la metà di ottobre.













CAROTA
Nel comprensorio
Le medie annuali delle superfici caroticole rilevate in ciascuno dei 5 periodi statistici a partire dal triennio 1985/87 e fino al quinquennio 2003/2007 sono indicati in tabella n.1 il cui grafico ne espone lievi ma costanti contrazioni con l’inizio dal terzultimo periodo statistico.
Tabella n.1
quinquenni carota
ha % (1)
85/87 2158,39 16,49
88/92 2654,06 20,28
93/97 2252,17 17,21
98/02 2155,76 16,47
03/07 2135,32 15,64
1958/07 2307,72 17,63


L’entità delle 5 superfici massime e delle altrettanti superfici estreme minime e accertate dal 1985 al 2007 sono esposte in tabella n.2 . Vi si osserva che la media delle superfici massime ha inciso in ragione del 20,68% sui 13087 ha di seminativi comprensoriali. Nel mentre l’analoga media delle 5 superfici minime vi ha inciso per appena il 14,62%.
Superfici Superf. media Superfici
1985 2005 minime
anni ha % anni ha %
1999 2530,10 19,33 2001 1651,30 12,62
1992 2628,54 20,09 2003 1905,40 14,56
1989 2687,48 20,54 2005 1945,40 14,87
1988 2806,44 21,44 1985 1973,56 15,08
1991 2877,80 21,99 1996 2092,60 15,99
media 2706,07 20,68 2307,72 17,63 media 1913,65 14,62


Nelle aree di produzione
Dai dati esposti nella sezione A della successiva tabella n.3 può rilevarsi come l’area di Celano-Aielli-Cerchio primeggi sulle altre per i suoi 535 ettari annualmente occupati dalla carota dal 1985 al 2007 seguita, con una differenza di poco meno di 10 ettari annui, dall’area del Bacinetto. L’ultimo posto della graduatoria è invece occupato dall’ area di Luco dei Marsi in quanto caratterizzata dalla modestissima media di appena 69 ettari annui.
Tabella n.3
A – graduatoria delle superfici
Ha Ha %
Celano 2800 535,39 19,12
Bacinetto 2084 526,72 25,27
Avezzano 2678 364,91 13,63
Ortucchio 1480 320,61 21,66
Trasacco 1670 236,89 14,19
Pescina 851 228,19 26,81
Luco 1524 69,54 4,56
Fucino 13087 2288,25 17,44

B – graduatoria per valori %
Ha Ha %
Pescina 851 228,19 26,81
Bacinetto 2084 526,72 25,27
Ortucchio 1480 320,61 21,66
Celano 2800 535,39 19,12
Trasacco 1670 236,89 14,19
Avezzano 2678 364,91 13,63
Luco 1524 69,54 4,56
Fucino 13087 2282,25 17,44

Sezione A tabella n.3 (valori in ettari)


Sezione B tabella n.3 (valori in %)

Nella graduatoria della sezione B della stessa tabella n.3 il primo posto risulta occupato invece dall’area di Pescina-San Benedetto dei Marsi in virtù del 26,81% della sua superficie areale annualmente riservato all’ombrellifera in esame.
Segue l’area del Bacinetto che conserva il secondo posto anche in questa graduatoria mentre ancora una volta l’area di Luco dei Marsi si rivela la meno interessata alla coltivazione dell’ ombrellifera.
La conferma dei precedenti dati può aversi dagli istogrammi desunti dalla tabella n. 4 ed elaborati per i soli 3 periodi statistici 1985/87 , 1993/97 e 2003/07.
Tabella n.4
La carota dal 1983/1987 al 2003/2005
Periodi
Statistici
aree 1985/87
ha 1988/92
ha 1993/97
ha 1998/02
ha 2003/07
ha
Bacinetto 550,21 588,18 446,43 507,10 535,04
Trasacco 447,67 269,69 206,40 180,38 158,50
Ortucchio 414,01 415,08 224,88 288,90 278,40
Celano 323,68 633,81 580,85 536,48 526,58
Pescina 245,26 255,52 182,56 187,38 267,94
Avezzano 98,01 404,26 526,69 407,04 314,16
Luco 79,55 87,52 84,38 48,48 54,70
Fucino 2158,39 2654,06 2252,17 2155,76 2135,32


Vi si rileva come le coltivazioni caroticole abbiano occupato superfici annue costantemente elevate nell’area del Bacinetto, decrescenti nelle aree di Trasacco e di Ortucchio, crescenti nelle aree di Avezzano e Celano, pressoché costanti nelle aree si Pescina-San Benedetto dei Marsi e Luco dei Marsi.
Aspetti agronomici
In altra parte è stato riferito che i primi campi di carote risalgono alla fine degli anni cinquanta e vennero attuati nell’area di Ortucchio dall’allora Ente di Riforma Agraria.
Contestualmente a dette prove, alcuni agricoltori di Gioia dei Marsi ritennero di dedicarsi anch’essi alla coltivazione delle carote avendone, per i primi nel Fucino, intuite le prospettive commerciali . I problemi di fronte ai quali si trovano furono quelli: del dove reperire il seme; del come e del quando attuare gli interventi colturali; a chi vendere il prodotto finale.
Quando la meccanizzazione agricola era ancora limitata alle sole operazioni di aratura, la semina delle carote veniva effettuata “ a spaglio” analogamente a quanto , in tempi lontani, si usava fare per il grano. Ma adottando l’accorgimento di mescolare i piccolissimi semi con ceneri , o segatura, o sabbia, e,talvolta, anche con il perfosfato minerale. Terminato lo spargimento, si provvedeva a ricoprire il seme con passaggi di erpici a catena a trazione animale.
Ad avvenuta emergenza delle piantine veniva effettuato il diserbo manuale unitamente al diradamento delle piantine: un lavoro demandato alle donne locali e consistente nel percorrere in andata ed al ritorno, ricurve e inginocchiate, campi tutti di 250 metri di lunghezza.
Alle semine meccaniche si giunse dopo pochi anni ricorrendo all’utilizzazione delle tradizioni seminatrici del grano non senza avervi prima apportate modifiche finalizzate a d assicurare la caduta dei semini – anche in siffatti casi mescolati a materiali polverulenti – entro stretti solchi distanziati di circa 40 centimetri l’uno dall’altro.
Le raccolte iniziavano alla metà di settembre e venivano attuate da uomini, impegnati ad affondare nel suolo i “forconi a cinque punte” per poi sollevarli colmi di radici variamente interrate, a da donne preposte a “scollettare” le radici da deporre direttamente in bins o sacchi.
Nella primavera del 1979 arrivò la prima seminatrice realizzata per i semi di carota. Era provvista di 6 piccole tramogge, ognuna dotata: di un sistema regolabile per la fuoriuscita dei semini; di un tubo verticale con terminale realizzato in modo da favorire il cosiddetto “mini spaglio” dei semi entro solchi di circa 6 cm di larghezza e distanziati di 40 cm l’uno dall’altro. A trainarla, era sufficiente una trattrice di 25/30CV con carreggiata di 2 metri purchè dotata di gomme di piccole sezioni peraltro poco diffusa in quei tempi.
Fu un successo che diede origine al rapido moltiplicarsi di seminatrici sempre più tecnologicamente progredite soprattutto nei sistemi di regolazione del numero sia dei semini per unità di superficie, sia delle file da formare nell’ambito delle carreggiate di 2 metri di lunghezza.
Una recente innovazione è stata quella della formazione di solchi binati con la prospettiva di conseguire maggiore uniformità nel calibro delle radici.
Al fine di anticipare la raccolta delle carote tra la fine di giugno e gli inizi di luglio – con la conseguente possibilità di attuare , sulla stessa superficie, una seconda coltivazione orticola – da alcuni decenni è andata diffondendosi la pratica di seminare le carote tra la metà di febbraio e la fine di marzo su suoli già arati, fresati e rullati nel tardo autunno. A semine completate, vi si distende un telo bianco – noto come Tessuto Non Tessuto (TNT) – impiegando, a tal fine, una trattrice dotata posteriormente di un cilindro con arrotolato il telo da distendere sul suolo già seminato.
Il sistema dell’asportazione del telo è documentato nella foto n.4a che mostra una trattrice il cui rullo sta riavvolgendo il telo con l’ausilio di due persone. La parallela foto n.4b consente di constatare come la vegetazione delle carote fosse sufficientemente sviluppata tanto da far prevedere raccolte abbastanza ravvicinate.
L’evoluzione di due diverse coltivazione di carote, inizialmente anch’esse coperte con teli protettivi è documentata nelle due serie di fotografie esposte nella tavola n.1 . Vi si può osservare come gia in data 7luglio (ovverosia dopo 74 giorni dalle fotografie del 24 aprile), gli stati vegetativi dei due campi fossero tali da far prevedere una sollecita raccolta.
Purtroppo, essendo stato anche il mercato delle carote precoci influenzato dalla crisi che ha coinvolto l’intera orticoltura locale a semina invernale, le raccolte anche delle carote dei due suddetti campi sono avvenute con ritardo . Ne sono derivate infestazioni, nel primo campo, di carote spontanee (conosciute in loco, come “carote selvatiche” o come “maschioni”) e, nel secondo campo, delle cuscute: due eventi che, in molti campi di carote, si sono rivelati ancora di più elevata gravità (foto n.5° del 21 luglio e n.5b del 26agosto). Per porvi rimedio c’è stato chi ha fatto ricorso all’estirpazione manuale delle “carote selvatiche” (foto n.5c) mentre nulla è stato possibile fare nei campi infestati dalle coscute, creandosi, in tal modo, le premesse per ancor più gravi infestazioni quando le carote vi tornassero ad essere coltivate.
Le epoche delle raccolte sono ovviamente influenzate dai periodi in cui sono avvenute le semine. Ad esempio, nel 2008 – anno nel quale furono numerosissime le semine di carote coperte con teli protettivi – una delle prime raccolte avvenne in un campo il cui sviluppo vegetativo venne fotografato in 20giugno (foto n.6a) e la cui raccolta iniziò dopo 5 giorni (foto n.6b) con l’impiego di una “cava carote” montata su trattrice gommata composta da due sezioni.
La prima sezione (analoga a quella della foto n.6c), installata sul lato destro della trattrice e conosciuta come “punta” , aveva la funzione di estrarre le radici delle quali un sistema di nastri rotativi di gomma afferrava gli steli fogliari (foto 6d) per elevarli fino alla “taglierina” (o scoltellatrice) posta a circa un metro e mezzo dal suolo. A taglio avvenuto, le foglie cadevano sul suolo, che altra mano d’opera provvedeva ad eliminare nel mentre le radici coltellate affluivano per gravitò sulla seconda sezione della stessa “cavacarote” le cui caratteristiche funzionali – le stesse di quelle raffigurate nella foto n.7° - consentivano i riempimenti dei bins ed il loro scivolamento sul suolo una volta riempiti.
Cosi operando si venivano a formare file di bins già riempiti – analoghe a quelle della foto n.7b – ed in attesa di essere prelevati da trattrici dotate di sollevatori idraulici per essere trasferiti in una confinante area appena già liberata dalle carote e riservata allo stazionamento dei mezzi di trasporto, quali rimorchi agricoli, camions e autotreni.
I continui andirivieni delle trattrici preposte a trasportare i bins prima vuoti e poi pieni da una parte all’altra dei campi di carote (o di altre orticole) come anche gli accessi di grandi autotreni fin nelle vicinanze dei cantieri di raccolta delle stesse carote (o di altre orticole) non possono non preoccupare l’agronomo – specie se di antica scuola – in quanto causa di forti compattamenti dei suoli che comportano non soltanto elevati costi connessi agli affinamenti delle grandi zolle che emergono dalle arature, ma anche negative influenze sulla microfibra dei suoli.
Che non siano considerazioni di irrilevante importanza se ne ha conferma dalla diffusione, che da vari decenni sta avvenendo in paesi europei e non, di “tricicli semoventi portattrezzi” predisposti a supportare, in alternativa agli attrezzi per le lavorazioni dei suoli, anche sistemi di raccolta di molti vegetali (tra cui le carote) senza provocare danno alcuno ai suoli in quanto dotati di gomme dalle sezioni molto grandi.
Un’ innovativa raccolta delle carote, praticata, al momento, in pochissimi campi, consiste nel raccogliere le radici unitamente ai rispettivi steli fogliari (foto n.10a ) per poi formare”mazzetti” (foto n.10b) da immettere sui mercati dopo essere stati lavati presso una qualche struttura industriale a ciò attrezzata.
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Giammarco De Vincentis
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Messaggio da Giammarco De Vincentis » lun feb 07, 2011 9:40 pm

Il Fucino: i pescatori diventano contadini

Il lago ha segnato la storia degli uomini che hanno abitato le sue zone, ha cioè determinato e accompagnato le condizioni di vita delle popolazioni, ne ha imposto gli insediamenti, ne ha influenzato il carattere, ne ha improntato la cultura, ne ha condizionato le scelte economiche, e più tardi, quand’è stato prosciugato, le passioni e le lotte politiche.
Praticamente sia prima, che dopo il suo prosciugamento, gli uomini si sono modellati in rapporto ad esso.
La storia, sia degli uomini che delle cose, può e deve essere ricostruita attraverso documenti e testimonianze del passato. E così anche la storia del Fucino, quel grande lago che occupava tutta la vasta pianura oggi così fertile e verdeggiante, deve e può essere scritta solo per mezzo dei resti materiali che gli uomini del passato ci hanno trasmesso.
Ma, accanto alla storia ufficiale, anche qui c'è un'altra storia, forse meno famosa della prima, e tuttavia non per questo meno interessante e affascinante. Ed è la storia degli uomini del Fucino, dei loro miti e delle loro "realtà", delle loro esperienze quotidiane, dei loro drammi e sofferenze, speranze e delusioni.
Tutti oggi sanno come il lago del Fucino sia scomparso, prosciugato nel secolo scorso per iniziativa del principe Alessandro Torlonia, che riprese e portò a termine idee e progetti cui aveva dato inizio, diciotto secoli prima, l'imperatore romano Claudio. Alcuni hanno giudicato positivamente tale prosciugamento, altri ne hanno messo in rilievo gli aspetti negativi. Ad ogni modo, nonostante le divergenze di interpretazione, tutti hanno dovuto riconoscere che la scomparsa del lago ha determinato il capovolgimento totale delle condizioni di vita degli uomini che vi abitavano attorno.


Miti del Fucino
Il Fucino ha sempre sollevato curiosità, polemiche, divergenze di opinioni, persino sulle cause della sua origine. Si narra di un Abruzzo antico tutto ricoperto dalle acque del mare,in quanto dopo il diluvio universale le acque si ritirarono su tutta la terra, tranne che nel bacino del Fucino.
Una caratteristica delle acque del Fucino, era quella o delle crescite improvvise e abbondanti, o delle decrescenze altrettanto rapide e disastrose,infatti ricorda Febonio che in epoche lontanissime sorgeva nell'attuale pianura dov'era il lago Fucino, una grande città denominata Marsia, sommersa improvvisamente quando si ruppero le dighe "che riparavano la pianura dalle scaturigini circostanti".

Il Fucino, pertanto, era un lago che soffriva spesso di variazioni d'umore: bello e benefico in alcuni momenti, diventava orribile e rovinoso in altri. E le popolazioni vivevano in continua tensione, soggette com'erano ai capricci delle acque, di fronte alle quali spesso non erano sufficienti le difese approntate dall'uomo. Fu, certamente, questa la ragione che, fin dai primordi, aveva suggerito alle genti del posto l'identificazione del Fucino con una qualche divinità. E fu al "Genio del Fucino" (o dio selvaggio) che gli antichi Marsi dedicarono templi e altari votivi.
All'interpretazione mitica del lago Fucino si aggiunse ben presto anche quella del fiume le cui acque si immettevano nel lago: quelle del fiume Pitonio, oggi detto Giovenco. E queste due "divinità" (il dio Pitonio e il dio Fucino) erano, come tutte le altre divinità, buone e cattive: cattive, per la loro violenza e la loro forza distruttiva; buone, perché le loro acque apportavano salute e benessere.


I capricci del lago
Acque virtuose e salutari: questa era, dunque, una delle loro prerogative. E la loro bellezza era stata cantata persino da Virgilio nell'Eneide, tanto che molti romani, più tardi, si costruirono splendide ville lungo le sue sponde. Ma qualche volta quel bellissimo lago diventava malvagio e con il gonfiarsi delle sue acque, ville e paesi e campagne venivano completamente allagati e distrutti. Fu proprio tale pericolosità del lago a spingere, fin dai tempi più antichi, gli uomini a un'impresa gigantesca, quella del prosciugamento appunto, che fu tentata dall'imperatore Claudio e compiuta da Alessandro Torlonia.Era alimentato da nove torrenti, il più delle volte in piena che portavano tanti di quei detriti da far sollevare il fondo del lago di 8 metri in 18 secoli. Ne conseguivano frequenti e pericolose inondazioni dei territori limitrofi, perciò fu ideato,all’epoca di Giulio Cesare, il primo progetto di prosciugamento del lago per trasformarlo in superficie coltivabile.
Il progetto fu realizzato con la costruzione di un canale emissario sotterraneo, poiché ne era privo ed i risultati furono ottimi e le ricche coltivazioni fecero diventare la piana fiorentissima per l’agricoltura. Nel Medioevo il canale si chiuse ed il lago tornò ad essere di nuovo totalmente chiuso. Nell’arco del tempo vari tentativi sono stati eseguiti ma solo in epoca moderna il prosciugamento fu iniziato da una società francese nel 1852 e portata a termine con successo dal Duca Alessandro Torlonia.
Fu costruito un nuovo emissario, più grande e più profondo del precedente in modo da prosciugare l’intero lago; fu realizzata la fitta rete idraulica del bacino con circa 100 km di canali primari e circa 680 km di secondari e fossati. Le difficoltà furono enormi, non solo di natura tecnica (o, meglio, ingegneristico-idraulica), ma anche di carattere logistico, morale, economico.
La Marsica, ad esempio, mancava completamente di strade, il che comportava un quasi totale isolamento di tutta la regione e gravi ostacoli ai lavori e al trasporto del materiale occorrente all'impresa.

I pescatori diventano contadini
Da quel momento, cambiato l'aspetto fisico della regione, si trasformano rapidamente anche i costumi e i comportamenti della gente, la cui vita per secoli era stata modellata e condizionata dal lago. Attorno ad esso, infatti, ruotava tutta l'economia del passato (agricoltura e pesca): i pescatori, perché dal lago ricavavano i mezzi per il proprio sostentamento; i contadini, perché dai capricci del lago dipendeva la minore o maggiore possibilità di utilizzazione agricola delle zone ripuarie. Un momento felice, per gli abitanti della zona, fu certamente l'inizio del XVIII secolo, quando, ritiratesi le acque, molte terre poterono essere bonificate e, quindi,destinate alle coltivazioni.
Un paese, soggetto più di altri alle variazioni d'umore del lago Fucino, era Ortucchio, che spesso, con l'innalzarsi delle acque, si trasformava in isola, perdendo i propri terreni, con grave danno per l'economia locale e con il conseguente disagio per i suoi abitanti. Furono gli ortucchiesi a rivolgere un'accorata petizione al re Giuseppe Bonaparte, il 13 luglio 1807, denunciando lo sterminio che sta facendo delle abitazioni il lago Fucino.
Quindi, furono proprio i pescatori a perorare, con le loro suppliche, provvedimenti governativi tendenti a ridurre al minimo i danni provocati dal lago.
Ma, quando nel 1865 si era già avanti nei lavori, furono molti di loro a ribellarsi: si giunse persino a manifestazioni popolari di protesta, che sfociarono ben presto in episodi di violenza contro la Compagnia incaricata dell'impresa.
Sembrò per un momento che l'obiettivo del principe Torlonia non potesse più raggiungersi: la Compagnia dovette interrompere l'attività, i luchesi (che erano, per la maggior parte, pescatori) cominciarono a cantar vittoria.
Ma l'azione anti-prosciugamento di Luco provocò le immediate reazioni di tutte le altre popolazioni del Fucino: i Consigli Comunali, riuniti d'urgenza, riaffermarono la solidarietà a Torlonia e pregandolo di non dare ascolto alle voci di pochi violenti.

Intervennero, dunque, i Consigli Comunali di Gioia dei Marsi, Lecce dei Marsi, Trasacco, Aielli, Avezzano, Ortucchio, Pescina, S.Pelino e di nuovo Trasacco.
Furono raccolte centinaia di firme di solidarietà a favore del principe (1865). E di lì a qualche decennio la situazione reale sarà profondamente diversa dalle aspettative iniziali: la denuncia di Silone in Fontamara farà diventare di interesse mondiale la miseria e l'avvilimento dei "cafoni" del Fucino.

La storia attuale del Fucino, però, è ormai un'altra: è quella dell'industrializzazione e della riforma agraria, di Telespazio e delle autostrade. Ma questa, forse, è la storia di tutto il mondo, e non soltanto del lago della dea Angizia e del dio Pitone.
Storia del territorio
La Conca del Fucino (come abbiamo visto prima) era occupata da un ampio bacino lacustre,che raggiungeva un’estensione di oltre 200 kmq. Andiamo a precisare i confini: a nord ci sono i monti del gruppo Velino-Sirente e, a sud, il gruppo dei Monti della Marsica.
Il lago Fucino non aveva affluenti diretti se non il fiume Giovenco ad est; l’unico asse fluviale rilevante era l’Imele-Salto posto ad ovest del lago, che metteva in comunicazione il territorio marsicano con la Sabina. Il territorio che gravita intorno al bacino lacustre appare quasi totalmente interessato da rilievi montuosi anche di un certo rilievo, eccezione fatta per tre o quattro conoidi pianeggianti disposte ai margini dei principali letti fluviali, quali il Giovenco, che nasce nei pressi delle sorgenti del Sangro (Gioia Vecchia) sfociando sul lago nei pressi dell’attuale comune di San Benedetto dei Marsi, il Rio Tana-Fosso Macrano, che nasce a sud (sorgenti Sangro-Passo del Diavolo) e giunge al lago nei pressi di Ortucchio, il fossato di Rosa, che da sud sbuca nel Fucino presso Luco dei Marsi e l’Imele che attraversa i Piani Palentini.
Il territorio fucense è stato, a partire dal dopoguerra, uno dei territori abruzzesi maggiormente indagati per quanto riguarda soprattutto le fasi più antiche della preistoria (Paleolitico, Neolitico ed Eneolitico).
Il lago Fucino era il terzo dei laghi d’Italia per estensione, dopo il Garda e il Maggiore e il più grande dei laghi carsici della penisola,raggiungeva i 155 chilometri quadrati.
IL suo asse maggiore, da nord-ovest a sud-est era di circa diciannove chilometri, quello minore di circa undici. L’altezza media sul livello del mare era di 669 metri e la profondità massima di circa ventidue metri: misure puramente indicative perché varianti col livello delle acque.
Capriccioso e variabile era il regime del lago, e lo era da sempre poiché era privo di emissari naturali mentre veniva alimentato da numerose sorgive e dai corsi d’acqua di tutta la zona, di cui il maggiore era il Giovenco che sfociava nel lago presso Pescina.
Da sempre forse no, perché nel Pleistocene il lago, ben più alto, varcava la soglia di Cappelle e occupava anche i Campi Palentini, lambendo le falde del Velino. Allora il Salto era il suo emissario naturale, accanto allo stesso Liri che raggiungeva attraverso la sella alle spalle del Salviano.
Unico sfogo naturale delle acque era una serie di inghiottitoio presso la sponda occidentale, la cosiddetta Petogna.

Il lago del Fucino e la sua evoluzione secondo i dati bibliografici

Il lago del Fucino occupava, al momento della bonifica del secolo scorso, una superficie di circa 150kmq. e presentava una profondità massima di circa 18 m. il suo bacino idrografico si estendeva, escludendo la superficie dello specchio liquido, per circa 710 Kmq. (solo 4,7 volte la superficie del lago) e comprendeva una serie di rilievimontuosi raggiungenti quote superiori ai 2.000 m (M. Velino, M. Sirente).

La Piana del Fucino è costituita. dall’area emersa per la bonifica del lago omonimo conclusasi nel 1875 e dalla fascia dei terrazzi che circondavano il lago. Lo studio geologico di tale zona ha permesso di rilevare la presenza di terrazzi di accumulo e di superfici di erosione, sia fluviali che lacustri, di età compresa tra il Pleistocene superiore e l’attuale, nonché di molti indizi di fagliazione superficiale e di tettonica recente. Le cause che hanno prodotto le oscillazioni del livello lacustre sono da ricercare nelle variazioni climatiche.
La datazione di tali elementi ha dimostrato l’esistenza di faglie attive nel corso degli ultimi 30.000 anni, la maggior parte delle quali ha agito anche in epoca storica; alcune di esse hanno prodotto fagliazioni superficiali nel corso del terremoto del Fucino del 1915. L’esame morfologico delle scarpate di faglia ha inoltre portato all’ipotesi che la loro origine sia collegata a fenomeni di fagliazione superficiale, analoghi o più importanti di quelli verificatisi in occasione del terremoto del 1915, dovute ad antichi sismi. Sulla base degli indizi rinvenuti e delle assunzioni in precedenza esposte, si configura in sintesi una storia sismica con una serie minima di cinque grandi terremoti probabilmente nel V secolo, e nel 1915.

Il prosciugamento del Fucino
Un cenno a parte merita l’attività della pesca: nel 1700 nel Lago Fucino si pescavano: lasche, barbi, tinche, telline e rare trote. La produzione annua di pesce nel Lago Fucino ammontava a circa 300.000 Kg annui.

Il livello delle acque del lago era sempre variabilissimo e le sue continue escrescenze sui terreni e paesi limitrofi provocavano danni ingenti, tanto che già gli antichi regnanti romani si impegnarono nel tentativo del prosciugamento del Lago Fucino (Augusto e Claudio).

Il 9 agosto del 1862 si designò fosse il giorno per ripetere l'operazione dell'inizio dello scolo delle acque, 1808 anni erano trascorsi dalla prima e fastosa inaugurazione dell'imperatore Claudio.
Nel 1875 il Lago fu definitivamente svuotato e circa un anno dopo furono completate le opere idrauliche di sistemazione.
Nel giorno 1 ottobre 1878 gli ingegneri del Genio Civile scrissero nella loro relazione:"Perfettamente ultimata la grande opera del prosciugamento del Fucino."

Emersero circa 16.000 ettari di fertile pianura. Una porzione, 1.770 ettari secondo le stime più attendibili, fu restituita ai comuni rivieraschi, mentre un esteso latifondo di circa 14.000 ettari diventava proprietà di Torlonia.
Di questa fertile terra una parte venne data in affitto (poco meno di 8.000ettari), una parte affidata ai mezzadri (circa 2.000 ettari) e altri ettari rimasero incolti o occupati da infrastrutture. Con il passar del tempo, però si assistette ad una eccessiva frammentazione dei poderi, anche in seguito al fenomeno del subaffitto: agli inizi del 1920, 10.000 ettari di proprietà erano gestiti da circa 10.400 affittuari,con solo una trentina di appezzamenti superiori ai 5 ettari, mentre molti erano inferiori ad un ettaro.
Così gli abitanti di Fucino, che fino ad allora avevano basato la loro economia sulla coltivazione delle zone pedemontane e, soprattutto, sulla pesca, dovettero riconvertirsi ad agricoltori.
Non solo gli abitanti del luogo, ma una nuova popolazione di circa 50.000 persone provenienti dal teramano, dal chietino e dalla Romagna, si trovarono a gestire una terra fertilissima.
Sembrò quasi un miracolo che le terre rendessero fino a 20 - 30 volte il seme e si approfittò a tal punto di questa sensazionale fertilità che nel giro di pochi anni essa diminuì drasticamente, come ben sottolinea l'appellativo di "coltura vampiro" che fu dato a quelle tecniche agricole. Intorno al 1890 la situazione socio-economica del Fucino era quasi tragica.
Le tensioni sociali erano dovute al fatto che molte terre erano state date ai contadini venuti da fuori e non ai residenti ( una cosa analoga era già successa con gli operai francesi che avevano lavorato all'impresa del prosciugamento).
L'altro problema era di tipo infrastrutturale, dato che le case coloniche progettate non erano state ancora realizzate e gli agricoltori dovevano risiedere nei paesi intorno, con la conseguenza che per andare a lavorare dovevano percorrere decine di chilometri al giorno. Nel 1886 si tentò di risolvere il problema costruendo, nell'area tra luco e Trasacco, 36 aziende, terminate nel 1890. In quegli anni fu anche realizzata la strada che collega Avezzano e Napoli e la ferrovia Avezzano - Roma. Intorno al 1890 cominciano a delinearsi le lotte contadine, che nascono soprattutto dal modo non esemplare con cui Torlonia gestisce l'attribuzione delle sue terre.
Egli, anzichè trattare direttamente con i contadini che avrebbero lavorato la terra, sceglie di trattare con le influenti famiglie del posto a cui affida grossi appezzamenti di terreno da gestire senza
regole. Questi gabellieri spezzettano la proprietà e la subaffittano a prezzi molto alti, imponendo ai contadini di pagare in monete d'oro e d'argento e ricavandone, quindi, grossi lucri.
Gli alti prezzi degli affitti e la fame di terra alimentano la scontentezza del popolo dalla quale incomincia a nascere una coscienza sociale che promuove le lotte contadine; lotte
che continueranno fino al fatidico 13 gennaio 1915,quando alle ore sette del mattino, inaspettatamente, un fortissimo terremoto (magnitudo 7) sostituisce ad ogni questione la priorità della sopravvivenza.
Appena ripresi dallo stupore, e rialzata la testa per ricominciare, i marsicani sono travolti dalle vicende belliche. Ancora oggi, nei racconti dei sopravvissuti, terremoto e guerra si sovrappongono.
La ricostruzione vede l'inizio dell'industrializzazione del Fucino, con la costruzione di vari opifici (cartiera, essiccatoi per le fettucce di bietole e l'erba medica) e la realizzazione delle prime reti elettriche e di un secondo emissario, nel 1942, per il deflusso delle acque.
Finisce la seconda guerra mondiale, ma restano i malcontenti legati alle difficili situazioni socio-economiche mai risolte. Rimane l'eco degli scontri del febbraio 1948, a cui segue la speranza della definitiva soluzione dei problemi con la riforma fondiaria. All'inizio del 1950 tutto il popolo marsicano è dentro la lotta per il lavoro e la terra, ma il potere armato di Torlonia, che sente vacillare la sua supremazia, sferra un ultimo colpo di coda che provoca i tragici fatti di Celano: il 30 aprile 1950, nella piazza principale, due sicari uccidono il socialista Antonio Berardicurti e il comunista Agostino Paris.
I tragici eventi della primavera del 1950 inducono il governo centrale a inserire il Fucino nella legge stralcio che prevedeva l'esprorio del latifondo e l'assegnazione delle terre ai contadini che le avevano in affitto.
Per attuare la riforma fu istituito l'Ente Fucino: il suo primo compito fu quello di assegnare le terre ai contadini, in ragione di minimo un ettaro e massimo 4 ettari.

I primi passi verso la riforma

Sono trascorsi molti anni dal prosciugamento del lago e poco meno dalla inclusione del Fucino nella legge di Riforma Agraria. II prosciugamento, opera titanica di ingegneria, sconvolgeva la geografia della zona, trasformava i pescatori in contadini, faceva emergere dal fondo del lago la piattaforma fertilissima dei 14 mila ettari che diventava il centro di una immigrazione crescente dalle circostanti montagne.
Ci furono molte riunioni, assemblee, comizi, cortei prima di arrivare alla Riforma,anche dei feriti e due morti (come già accennato prima (1950 nella
Piazza di Celano),poi però Torlonia rimase sempre più isolato e infine si arriva alla sospirata e tanto desiderata Riforma.
Ormai la modernità si è avviata e il boom economico degli anni sessanta vi trova terreno fertile. Si costruisce un nuovo zuccherificio (Celano), un lanificio, la centrale del latte, il caseificio, le cantine sociali, il patatificio e vari impianti di trasformazione che seguono la nascita dell' agro-industria, che è la realtà di oggi. Negli ultimi anni svanisce il dominio della barbabietola (negli anni 80 viene chiuso lo zuccherificio di Avezzano,nel 2003/4 anche quello di Celano) e si afferma il "polo orticolo" della Marsica con la patata, la carota, e successivamente, lattughe, cavolfiori, finocchi, radicchi. Il tentativo di diversificazione dell'offerta vede la nascita di innovative attività, come quella dei "fiori del lago" che propone la produzione di bulbi da fiori, nonché coltivazioni degli stessi fiori da recidere.

Coltivazioni prima del prosciugamento

I generi che si praticavano in detti terreni erano prevalentemente grano, granone, fave, orzo, fagioli e cicerchie, lenticchie,ceci e grano, e pomi di terra ossia patate, una porzione di detti argillosi, e calcarei erano vigneti. In questi stessi vi erano anche piantagioni di peri, meli, mandorle, noci, ed in pochi punti, di olive e di ciliege.
Da come chiaramente si evince l’allora classe dirigente era molto attenta al discorso agricolo.
Il nucleo funzionale ed economico dell'area marsicana, rappresentato dal bacino di quello che un tempo era il Lago del Fucino, trova una prima naturale estensione nel territorio dei dieci comuni che si affaccianvano sulle sue sponde: in primo luogo Avezzano, quindi Celano, Aielli, Cerchio, Collarmele, S. Benedetto dei Marsi, Pescina, Luco dei Marsi, Trasacco e Ortucchio.
A cui si devono aggiungere i naturali bacini tributari del Fucino: la Vallelonga la valle del Giovenco e la valle di Riofreddo e S. Lucia (con i comuni di Gioia dei Marsi e Lecce nei Marsi). E altre moltissime zone limitrofe.
Quella del Fucino è una terra "giovane", resa fertile dalla grande quantità di humus creata nel corso dei millenni dalle sostanze organiche depositatesi sul fondo del lago. In quest'area si contano ben 10.000 ettari di colture orticole che arrivano sulle tavole di tutta Italia e non solo. Carote, finocchi, radicchi, bietole, indivie, pomodori, cavoli e cavolfiori alimentano in parallelo anche una fiorente industria di trasformazione. Alle carote in particolare è riservata una superficie di 2.500 ettari che conferiscono annualmente tra 1.500.000 e 1.800.000 quintali di prodotto, pari al 30% della produzione nazionale di questo ortaggio.

La conca del Fucino è famosa anche per il centro di comunicazioni televisive e telefoniche via satellite del Telespazio.

A cura di:

Proff. Maria Teresa Cotturone





GLOSSARIO

Paleolitico: periodo più antico della preistoria (da 2 milioni a 8500 anni fa)

Neolitico: 3° periodo dell’età della pietra. Produzione di cibo mediante agricoltura (orzo,grano) e allevamento (ovini,suini,bovini). Abitati stabili e filatura e tessitura di fibre vegetali e animali.

Eneolitico: età preistorica del rame.

Pleistocene: 1° periodo dell’era neozoica o quaternaria,caratterizzata dalle grandi glaciazioni e dalla comparsa dei primi ominidi.

Ominidi: famiglia di primati che comprende l’uomo attuale.

Neozoica: era geologica attuale della terra ed iniziata 2 milioni di anni fa.

Faglia: frattura di uno strato della superficie terrestre con spostamento dei due lembi rocciosi contrapposti.
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