Catullo

Poeti celebri di affermata fama nazionale e mondiale
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Beldanubioblu
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Catullo

Messaggio da Beldanubioblu » mer gen 24, 2007 4:41 pm

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Catullo


Gaio Valerio Catullo nacque a Verona, intorno all’84 a.C. ( nel Chronicon di Girolamo troviamo infatti riportati, come anno di nascita e di morte, rispettivamente, l’87 e il 58, tuttavia altre testimonianze fanno spostare di qualche anno tutte e due le date ). La sua famiglia era con tutta probabilità facoltosa, dal momento che sappiamo che disponeva di una villa a Sirmione, sul lago di Garda, un luogo del resto molto caro al nostro poeta, che lascia trasparire il suo affetto per tale località nell’incipit del carme 31: Paene insularum, Sirmio, insularumque / ocelle, “Sirmione, occhio delle penisole e delle isole”.

I proconsoli della Gallia Q. Metello Celere e Giulio Cesare furono ospitati in varie occasioni dal padre del poeta, come ancora possiamo desumere dai ripetuti accenni che Catullo rivolge loro dai suoi carmina, con epitteti a volte al limite dell'insulto, che ben rivelano la familiarità con questi altolocati personaggi della scena politica romana. Certamente Catullo ebbe un'istruzione e gli esordi della sua attività poetica si possono scorgere già negli anni della giovinezza trascorsia Verona, prima di trasferirsi a Roma quando aveva circa 20 anni. A Roma fu introdotto nel circolo dei poetae novi forse da altri scrittori provenienti anch'essi dalla provincia - ma queste sono solo congetture che possiamo desumere dalle somiglianze del comune sentire poetico di questa cerchia di intellettuali -, e frequentò una donna che si trovava ad essere ben nota negli ambienti mondani e politici, chiamata da Catullo con lo pseudonimo di Lesbia, in memoria della poetessa greca Saffo. L’amore per Lesbia diede un tratto indelebile alla vita ed all'esperienza poetica ed artistica tutta di Catullo.


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Le rovine della Villa di Catullo a Sirmione



A lungo si è dibattuta la questione dell'identità della donna amata dal poeta, Lesbia: allo stato attuale delle nostre conoscenze l’ipotesi più accreditata, grazie ad un’osservazione di Apuleio – sempre da quella fonte inestimabile di preziose osservazioni che è il suo De magia -, è che Lesbia sia stata Clodia, figlia di Appio Claudio Pulcro e sorella di P. Clodio Pulcro, noto esponente del partito dei democratici, ucciso da Milone in un agguato nel 52 ( Milone in questa occasione fu difeso per l’accusa di omicidio dallo stesso Cicerone, con un'orazione tanto celebre quanto "falsa", perchè il testo che ci è pervenuto è in realtà una riedizione a posteriori, curata dallo stesso Cicerone, visibilmente insoddisfatto del discorso che ebbe a tenere "dal vivo", tutto tremante, dopo che era stato portato alla tribuna degli oratori in una portantina con le tende tutte tirate per la paura che lo pervadeva - lo si può facilmente perdonare, se solo si immagina la terribile tensione che doveva pervadere quei giorni convulsi a Roma, dove l'ordine delle cose sembrava poter essere rovesciato da un'ora con l'altra ). Il marito di Clodia era stato - se riteniamo attendibile questa versione - Q. Metello Celere, console nel 60 e morto l’anno successivo. Se l’identificazione Lesbia - Clodia è da accettare come detto, il ritratto di questa donna ci viene fornito da Cicerone nell’orazione Pro Caelio e di certo non è molto edificante.

Stabilito che Celio era difeso da Cicerone dall’accusa di aver preteso del denaro da Clodia e di aver tentato addirittura di avvelenarla, la figura da lui delineata è decisamente molto negativa, anzi, senza esitazione possiamo dire che l'abilità retorica di Cicerone - sicuramente senza pari a quei tempi - riesce a rovesciare l'accusa originariamente volta nei confronti dell'imputato che egli si premurava di difendere in una serrata giaculatoria contro Clodia, che l'arpinate non esita a definire una scostumata senza pari, non solo meretrice, anzi sfrenata meretrice, "non solum meretrix, sed etiam proterva meretrix" ( Cic. Pro Caelio, XX, 49 ). Tuttavia non è difficile immaginare che il processo - dati i tempi, i modi e le circostanze storiche - ebbe un ruolo più pubblico e politico che strettamente privato.

A Roma Catullo ebbe occasione di venire in contatto con artisti ed intellettuali come lui ( fra tutti Cinna, Calvo, Cornelio Nepote, Gaio Memmio, Ortensio Ortalo ) ed uomini politici, come Cicerone, al quale è rivolto il carme 49, la cui interpretazione ha tuttavia suscitato più di una perplessità. Il tema dei rapporti con altre persone, sovente in termini che possiamo definire certamente molto conflittuali, è per così dire una costante dei suoi carmina: Catullo sembra dividere in una sorta di visione manicheista, il mondo in bianco e nero, tra i sodales, cioè gli amici e compagni fraterni, e gli avversari di ogni genere, sulla sfera personale quanto politica, cui non risparmia accuse infamanti e veri colpi bassi. I politici, gli opportunisti, i faccendieri, gli ipocriti e i poeti improvvisatori sono attaccati attraverso espressioni d’impronta satirica, nelle quali si possono scorgere le influenze dei grandi capostipiti del genere, Archiloco ed Ipponatte, e della satira romana di Lucilio. In quest'ottica, potremmo reinterpretare il proclamato "disimpegno" politico dei poetae novi come una programmatica rottura ( sia sul piano poetico che su quello più strettamente politico ) verso una situazione preesistente. Verso il 60 morì il fratello di Catullo nella Troade.: il nostro poeta ebbe poi a visitare la sua tomba in occasione del viaggio in Bitinia – al seguito della Cohors amicorum - del pretore Gaio Memmio, il dedicatario del De rerum natura di Lucrezio: si tratta dell’unico riscontro cronologico sicuro nella biografia di Catullo, dal momento che la magistratura di Memmio si svolse dal 57 al 56. A partire da quel momento trascorsero, fino alla morte, alcuni anni contrassegnati - per quanto ci è possibile ricostruire attraverso la lettura dei sui carmina - da rari momenti di riconciliazione con Lesbia, dal sollievo offerto dagli amici sinceri e dai luoghi del riposo e del ricordo, come l'amatissima Sirmione. Catullo si spense giovane, all’età di trent’anni, intorno all’anno 54 a.C.



Fonte:http://www.antiqvitas.it/




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Messaggio da Beldanubioblu » mer gen 24, 2007 5:00 pm

Carme 1
Il libellus


A chi dono il mio nuovo, grazioso libretto,
appena levigato dalla dura pomice?
A te, Cornelio: tu, infatti,
eri solito pensare che le mie "nugae" (sciocchezze) valessero qualcosa, sin da quando hai osato,
unico fra gli Italici,
esporre la storia universale in tre libri - dotti, per Giove !,
e frutto di fatica.
Perciò eccoti questo libretto,
qualunque esso sia e quale che sia il suo valore;
e possa durare intatto,
o vergine patrona, per più di una generazione.


Testo originale

Cui dono lepidum nouum libellum
arida modo pumice expolitum?
Corneli, tibi: namque tu solebas
meas esse aliquid putare nugas,
iam tum cum ausus es unus Italorum
omne aeuum tribus explicare cartis
doctis, Iupiter, et laboriosis.
Quare habe tibi quicquid hoc libelli,
qualecumque ...
... quod, patrona uirgo,
plus uno maneat perenne saeclo.


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Carme 50
Lusus, versi improvvisati


Ieri, o Licinio,
abbiamo composto, oziosi,
molti versi improvvisati sulle mie tavolette,
come eravamo d'accordo di dedicarci a componimenti d'amore.
Ciascuno di noi, scrivendo,
poetava ora con quel metro,
ora con quell'altro,
rispondendoci per le rime,
scherzando e bevendo vino.
E me ne sono andato da lì tutto infiammato
dalla tua raffinatezza e dalle tue arguzie,
tanto che nè il cibo mi dava soddisfazione -
me infelice - nè il sonno rivestiva di quiete i miei occhi,
ma mi rigiravo per tutto il letto in preda all'eccitazione,
desiderando vedere la luce del giorno,
per parlare e contemporaneamente essere con te.
Ma, dopo che le mie membra,
stanche per la fatica,
giacquero come inanimate sul divano,
ho composto per te, carissimo,
questa poesia,
dalla quale potessi capire il mio dolore.
Ora vedi di non fare il superbo e - ti prego -
non disprezzare, mio carissimo,
le mie preghiere, perchè Nemesis non chieda vendetta su di te.
E' una dea terribile: vedi di non offenderla.


Testo originale


Hesterno, Licini, die otiosi
multum lusimus in meis tabellis,
ut conuenerat esse delicatos.
Scribens uersiculos uterque nostrum
ludebat numero modo hoc modo illoc,
reddens mutua per iocum atque uinum.
Atque illinc abii tuo lepore
incensus, Licini, facetiisque,
ut nec me miserum cibus iuuaret,
nec somnus tegeret quiete ocellos,
sed toto indomitus furore lecto
uersarer cupiens uidere lucem,
ut tecum loquerer, simulque ut essem.
At defessa labore membra postquam
semimortua lectulo iacebant,
hoc, iucunde, tibi poema feci,
ex quo perspiceres meum dolorem.
Nunc audax caue sis, precesque nostras,
oramus, caue despuas, ocelle,
ne poenas Nemesis reposcat a te.
Est uemens dea; laedere hanc caueto.



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Carme 30
Alfeno, il traditore della fides

O Alfeno,
immemore e falso nei confronti di amici che erano con te un'anima sola, ormai non ti suscita alcuna pietà, crudele,
il tuo piccolo dolce amico ? Ormai,
sleale, non esiti ad ingannarmi,
tradirmi?
Ed agli dei del cielo non piacciono le cattive azioni degli uomini che ingannano.
Ma tu non te ne dai pensiero e mi abbandoni,
me sventurato, nei mali.
Ohimè, cosa dovrebbero fare - dimmi - gli uomini,
o di chi dovrebbero fidarsi?
Eppure proprio tu mi invitavi ad affidarti la mia anima,
ingiusto, attirandomi nell'amicizia,
come se per me fosse tutto sicuro.
Tu stesso ora indietreggi
e permetti che tutto quanto hai detto ed hai fatto se lo portino via,
vano, i venti e le nuvole del cielo.
Se tu ti sei dimenticato,
tuttavia gli dei ricordano,
si ricorda la Fides,
che un giorno farà in modo che tu ti penta della tua azione.


Testo Originale

Alfene immemor atque unanimis false sodalibus,
iam te nil miseret, dure, tui dulcis amiculi?
Iam me prodere, iam non dubitas fallere, perfide?
Nec facta impia fallacum hominum caelicolis placent.
Quae tu neglegis ac me miserum deseris in malis.
Eheu quid faciant, dic, homines? Cuiue habeant fidem?
Certe tute iubebas animam tradere, inique, me
inducens in amorem, quasi tuta omnia mi forent.
Idem nunc retrahis te ac tua dicta omnia factaque
uentos irrita ferre ac nebulas aerias sinis.
Si tu oblitus es, at di meminerunt, meminit Fides,
quae te ut paeniteat postmodo facti faciet tui.


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I 'sintomi' dell'innamoramento

Mi sembra uguale a un dio ,

degli dèi ancora più in alto

(se è lecito ch'io parli così )

chi ti è accanto, ti guarda e t' ascolta



quando dolce risuona il tuo riso .

Me infelice ! Ciò mi toglie ogni senso :

non appena , Lesbia , ti vedo ,

mi vien meno anche un filo di voce ,



si prosciuga la lingua e le membra

sono scosse da un fuoco sottile ,

mentre ronzan le orecchie e la vista

mi si annebbia come per notte.


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Ubriacarsi di baci

Godiamoci la vita , mia Lesbia ,e l'amore ,

e dei vecchi che brontolan sempre

non teniamo più conto di un soldo .

Giorno e notte s'alternan nel tempo :

ma per l'uomo giunge presto il tramonto

e la notte che viene è per sempre .

Dammi mille e poi cento baci ,

di continuo altri mille e poi cento .

Quando poi ne avrem fatto un gran mucchio

mescoliamoli tutti in fretta

perchè noi non si possa contarli

o non sorga a tal conto l'invidia .



Ma il cuore non ascolta ragione

Questo nostro amore , vita mia , lo prospetti

felice, destinato a durare per sempre.

Dèi del cielo , fate voi che lei dica il vero ,

che lo prometta sincera e dal cuore ,

che si possa per tutta la vita

mantener questo patto inviolato.




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Dite a Lesbia......

alla mia donna un amaro messaggio :

viva dunque e stia bene ,insieme a tutti gli amanti ,

che sono trecento e tanti se ne fa tutti insieme,

nessuno amando davvero, ma a tutti comunque

spezzando

dei fianchi la forza virile.

Non si aspetti, come prima, che a un suo solo cenno

io ritorni a darle il mio amore. E' finito,

sua sola la colpa, come un fiore al bordo del prato

quando passa l'aratro e lo tronca.



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Messaggio da Beldanubioblu » dom apr 01, 2007 1:33 am

Carme II


Vorrei potere anch'io
passero amore dell'amore mio
divertirmi con te come fa lei
e sviare le tristezze del mio cuore!

Il desiderio mio di luce
con te gioca, ti tiene in seno
ti vuole sulla punta del ditino
ti eccita a dargli forti beccate

e così attratta è da questo suo gioco
da trovarci sollievo al suo dolore
al suo terribile fuoco una strana frescura!


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Carme V

Viviamo, mia Lesbia, ed amiamo,
e i mugugni dei vecchi moralisti
tutti insieme non stimiamoli un soldo.

I giorni tramontano e tornano;
ma noi, quando cade la breve luce della vita,
dobbiamo dormire un'unica, interminabile notte.

Donami mille baci, poi altri cento
poi altri mille, poi ancora altri cento,
poi di seguito mille, poi di nuovo altri cento.

Quando poi ne avremo dati migliaia,
confonderemo le somme, per non sapere,
e perché nessun malvagio ci invidi,
sapendo che esiste un dono così grande di baci.


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Carme VIII


Oh pazzo, basta! Povero Catullo,
quel che è perduto è perduto è perduto.
I tuoi occhi di paradiso li hai avuti
quando il tuo amore ti diceva vieni
tu ti precipitavi.

Così amata da te è stata lei
come nessuna da nessuno mai.
E compivate tutti gli atti d'amore
quel che volevi tu lei non voleva
i tuoi giorni di paradiso li hai avuti.

Ora non vuole più. Debole cuore,
Non devi volere più neanche tu.
Se ti ha lasciato, lasciala andare.
Perché vuoi vivere miserabilmente?
Forza, sopporta il colpo, non gli cedere!

Amore mio addio. Catullo è ora insensibile,
non ti cerca, non corre a supplicarti
per un rifiuto. Ma come soffrirai,
le sue suppliche spente!
Che sventura la tua, infelice,

e a quale vita vai incontro!
Quale uomo ti cercherà?
Chi puoi amare ancora, di chi sarai l'amante?
A chi i tuoi baci darai a chi la bocca morderai?
Catullo resisti, tu non cedere.


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Carme LXXXVII

Mia Lesbia sei stata amata
da me in modo così totale
che in modo uguale amata
non c'è donna e non ci sarà.

Non si vedrà mai più
in amorosi legami
tanto rigore di fedeltà
quanto si vide in me
nell'amore che ti portai.



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Carme XCII


Lesbia impreca incessantemente
contro di me. Lesbia mi ama mi ama mi ama.
Ne ho la prova: io faccio come lei.
La copro d'insulti e sono pazzo di lei.


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Carme LXXXV (Odi et amo)

Odio e amo. Perché io lo faccia, forse ti chiedi.
Non so, ma sento che accade, e mi tortura.


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Carme LI


Mi sembra simile ad un dio,
anzi, se è lecito, superiore agli dei,
colui che, seduto a te di fronte, a lungo
ti guarda e ti ascolta,

mentre dolcemente gli sorridi; a me infelice
questo toglie completamente i sensi; perché non appena
ti vedo, o Lesbia, non mi resta più
un filo di voce,

la lingua s'inceppa, sottile per le membra
serpeggia una fiamma, rimbombano le orecchie
per un suono interno, su entrambi gli occhi
cala la notte.




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Messaggio da Beldanubioblu » ven gen 18, 2008 2:27 am

Dopo aver traversato terre e mari


Dopo aver traversato terre e mari,
eccomi, con queste povere offerte agli dei sotterranei,
estremo dono di morte per te, fratello,
a dire vane parole alle tue ceneri mute,
perché te, proprio te, la sorte m’ ha portato via,
infelice fratello, strappato a me così crudelmente.
Ma ora, così come sono, accetta queste offerte
bagnate di molto pianto fraterno:
le porto seguendo l’antica usanza degli avi,
come dolente dono agli dei sotterranei.
E ti saluto per sempre, fratello, addio!



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