Dino Campana

Poeti celebri di affermata fama nazionale e mondiale
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Beldanubioblu
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Dino Campana

Messaggio da Beldanubioblu » sab apr 08, 2006 1:39 pm

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Dino Campana (1885-1932)



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Di carattere irrequieto, esso spende una vita irregolare e tormentata sotto la spinta di una ricerca poetica irrefrenabile; considerato uno del poeti più rappresentativi di questo secolo, Dino Campana compone liriche traboccanti di suoni e colori
La sua prosa visionaria, raccolta nelI'opera principale "I Canti Orfici", da cui evidente il legame profondo del poeta con la sua terra natale.
I luoghi ed i percorsi del territorio marradese da cui Dino Campana trasse ispirazioni (Il ponte sul Lamone, la Colombaia, casa Vigoli, Campigno, ecc.) sono oggi segnalati da leggii che riportano i relativi passi dell'opera del poeta e foto d'epoca.
A partire dalla seconda metà degli anni ottanta è stato istituito un premio letterario dedicato a Dino Campana che si svolge tra le Città Campaniane.
Sta nascendo il parco culturale Dino Campana ed a Marradi è presente il più importante e documentato centro studi sul poeta, tale da essere punto di riferimento per appassionati, studiosi e studenti che studiano, lavorano e sognano sulle opere e la vita di Dino Campana.



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Il poeta, l'uomo, il fascino, gli amori, i vagabondaggi



In questo scritto reso umile e quasi spaurito dal magma incandescente, dalla vertigine della parola, lascerò il Poeta stesso a disvelarsi, tra singulti, canti e infinito percorrere l’infinito, in un continuo contrappunto.

Dino nacque il 20 agosto a Marradi, un fazzoletto di terra in provincia di Firenze, al confine con la Romagna. «Il mattino arride sulle cime dei monti. In alto sulle cuspidi di un triangolo desolato si illumina il castello, più alto e più lontano. Venere passa in barroccio accoccolata per la strada conventuale». Anche la prosa di Campana è pura poesia, pura e dissonante come bronzo di campana, come il vuoto della notte, buco nero che risucchia il suo spirito così bisognoso di essere riconosciuto, come affetto, come persona, come poeta. L’amore nei poeti è linfa vitale, per la natura, per la donna, per il cosmo, per lui è fame divorante… L’amore lo conobbe tardi, poco, impreparato e con l’anima in disordine. Sibilla Aleramo lo amò per il suo talento, per la verità che le ispirava, incapace, alla fine, di contenere tanto dolore.
Vi amai nella città dove per sole
Strade si posa il passo illanguidito
Dove una pace tenera che piove
A sera il cuore non sazio e non pentito
Volge a un’ambigua primavera in viole
Lontane sopra il cielo impallidito.


Il diritto di persona gli fu negato ben presto dall’incomprensione familiare, dall’educazione repressiva del collegio, da un vizio di poeta che non si adatta alle regole del mondo, che travolge ciò che incontra, come la piena di un fiume. Tutto questo lo portò, ribelle e disperato, a fughe, ritorni, viaggi, illusioni, chimere, prostitute, visioni deliranti, ricoveri nei manicomi.
Acqua di mare amaro
Che esali nella notte:
Verso le eterne rotte
Il mio destino prepara
Mare che batti come un cuore stanco
Violentato dalla voglia atroce
Di un Essere insaziato che si strugge…


PenCome poeta fu riconosciuto dopo l’internamento definitivo in manicomio, dopo la morte. Il testo dei Canti Orfici, affidato a Papini e Soffici, fu smarrito ed egli lo ricostruì con la fatica e la furia di un gigante che non riesce a ricomporre la propria immagine. Dalla sua follia di poeta emergono visioni notturne, di un giorno che precipita rapidamente nella malinconia della sera, nel tremore notturno, nel buio dello spirito.
sare nel languore
Catastrofi lontane
Mentre colle sue antenne
E le sue luci un grande
Cimitero il tuo porto
……………………….
Ne la città voluttuosa
Scuotevasi il mare profondo
Caldo ambiguo il silenzio sullo sfondo
Le navi inermi drizzavansi in balzi
Terrifici al cielo
Allucinate di aurora
Elettrica inumana,risplendente
A la poppa ne l’occhio incandescente


Genova fa comprendere meglio l’intensità, la pienezza, la simbiosi affettiva che Dino prova nei confronti di un mondo che non riesce a separare da sé e che gli è ostile. Il Poeta e Genova sono stretti in un abbraccio, mai città fu cantata in quel modo così intimo da sembrare osceno.
…Furore della terra
Che chiami sui mari infiniti
Le antiche potenze a raccolta
Lampo fumido come un sogno
Vivo e terribile sulla rovina…
…Il porto che si addome, il porto,il porto
Il porto nell’odor tenue svanito
Di catrame vegliato dalle lune
Elettriche, sul mare appena vivo…
…Irraggia lo splendore orientale
Genova… In verso il mare che addensa
Le navi inesausto…



La purezza deriva a Campana da un’infantile, mancata mediazione con la realtà che lo circonda. Il solo strumento è la parola, incompresa, rigettata, nascosta (il manoscritto smarrito, i suoi versi ricomparsi in una soffitta nel 1971) che rimane incontaminata proprio perché non usata, non sfruttata. Perla di un’ostrica che il fato ha voluto isolare, rinchiudere. La poesia non tollera reclusioni, il canto è liberazione dagli affanni, è desiderio, è sogno, ricordanza, avvenire che fluisce e allora la parola costretta al silenzio di Dino Campana, si sprigiona e s’innalza come urlo, come lama, come luna elettrica, come pura energia poetica.
O poesia poesia poesia
Sorgi, sorgi, sorgi
Su, dalla febbre elettrica del selciato notturno
Sfrénati dalle classiche silhouettes equivoche
Guizza nello scatto e nell’urlo improvviso…


La poesia si svolge in un "eterno presente", incapace di storicizzare la vita interiore, il Poeta, dal primo all’ultimo verso, rivela un’eguale grandezza e tensione. Le esperienze non riescono a collocarsi, a integrarsi sopra un fondale certo e sicuro, sono vissute separatamente, come lampi di luce, schegge di dolore. I frammenti della poetica sono intessuti, tenuti insieme dal sublime linguaggio, quasi forza primigenia che li contiene, con armonia.
In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose


…………………………………………

Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino.


Tutte le citazione sono tratte dai Canti Orfici.

A cura della Redazione Virtuale

fonte:http://www.italialibri.net/autori/

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Il sole non ti serve per vedere perchè tu luce sei in mezzo al buio...(Lucia Di Iulio)

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Messaggio da Beldanubioblu » dom apr 09, 2006 8:55 pm

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LE MIE MANI

Le mie mani
rocrdando che tu le trovasti belle
io accorata le bacio
mani tu dicesti
a scrivere condannata crudelmente
Mani fatte per carezze lunghe dicevi
e tra le tue le tenevi
leggere, tremanti

Or ricordando te lontano
che le mani soltanto mi baciasti
io la mia bocca
piano accarezzo



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La Chimera



Non so se tra roccie il tuo pallido
Viso m'apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina O Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose
Regina de la melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce vapore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto notturno:
Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti
E l'immobilità dei firmamenti
E i gonfii rivi che vanno piangenti
E l'ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo ti chiamo Chimera.




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Marradi


Il vecchio castello che ride sereno sull'alto
La valle canora dove si snoda l'azzurro fiume
Che rotto e muggente a tratti canta epopea
E sereno riposa in larghi specchi d'azzurro:
Vita e sogno che in fondo alla mistica valle
Agitate l'anima dei secoli passati:
Ora per voi la speranza
Nell'aria ininterrottamente
Sopra l'ombra del bosco che la annega
Sale in lontano appello
Insaziabilmente
Batte al mio cuor che trema di vertigine



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In un momento

Io vidi dal ponte della nave
I colli di Spagna
Svanire, nel verde
Dentro il crepuscolo d'oro la bruna terra celando
Come una melodia:
D'ignota scena fanciulla sola
Come una melodia
Blu, su la riva dei colli ancora tremare una viola...
Illanguidiva la sera celeste sul mare:
Pure i dorati silenzii ad ora ad ora dell'ale
Varcaron lentamente in un azzurreggiare: ...
Lontani tinti dei varii colori
Dai più lontani silenzii
Ne la ceste sera varcaron gli uccelli d'oro: la nave
Già cieca varcando battendo la tenebra
Coi nostri naufraghi cuori
Battendo la tenebra l'ale celeste sul mare.
Ma un giorno
Salirono sopra la nave le gravi matrone di Spagna
Da gli occhi torbidi e angelici
Dai seni gravidi di vertigine. Quando
In una baia profonda di un'isola equatoriale
In una baia tranquilla e profonda assai più del cielo notturno
Noi vedemmo sorgere nella luce incantata
Una bianca città addormentata
Ai piedi dei picchi altissimi dei vulcani spenti
Nel soffio torbido dell'equatore: finché
Dopo molte grida e molte ombre di un paese ignoto,
Dopo molto cigolìo di catene e molto acceso fervore
Noi lasciammo la città equatoriale
Verso l'inquieto mare notturno.
Andavamo andavamo, per giorni e per giorni: le navi
gravi di vele molli di caldi soffi incontro passavano lente:
Sì presso di sul cassero a noi ne appariva bronzina
Una fanciulla della razza nuova,
Occhi lucenti e le vesti al vento! ed ecco: selvaggia a la fine di un giorno che apparve
La riva selvaggia là giù sopra la sconfinata marina:
E vidi come cavalle
Vertiginose che si scioglievano le dune
Verso la prateria senza fine
Deserta senza le case umane
E noi volgemmo fuggendo le dune che apparve
Su un mare giallo de la portentosa dovizia del fiume,
Del continente nuovo la capitale marina.
Limpido fresco ed elettrico era il lume
Della sera e là le alte case parevan deserte
Laggiù sul mar del pirata
De la città abbandonata
Tra il mare giallo e le dune...




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In un momento


Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose

P.S. E così dimenticammo le rose.


(per Sibilla Aleramo)


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Poesia facile

Pace non cerco, guerra non sopporto
tranquillo e solo vo pel mondo in sogno
pieno di canti soffocati. Agogno
la nebbia ed il silenzio in un gran porto.

In un gran porto pien di vele lievi
pronte a salpar per l'orizzonte azzurro
dolci ondulando, mentre che il sussurro
del vento passa con accordi brevi.

E quegli accordi il vento se li porta
lontani sopra il mare sconosciuto.
Sogno. La vita è triste ed io son solo.

O quando o quando in un mattino ardente
l'anima mia si sveglierà nel sole
nel sole eterno, libera e fremente.




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Il sole non ti serve per vedere perchè tu luce sei in mezzo al buio...(Lucia Di Iulio)

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