Alessandro Manzoni

Poeti celebri di affermata fama nazionale e mondiale
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Alessandro Manzoni

Messaggio da Beldanubioblu » gio dic 22, 2005 1:15 am

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ALESSANDRO MANZONI


A Merate, in Brianza, c'è un collegio dei Padri Somaschi. Qui nell'ottobre 1791 una signora, accompagnò Lisandrino,suo figlio di sette anni. Era Alessandro Manzoni e sarebbe diventato il più grande romanziere italiano,anche se, allora i compagni lo prendevano in giro, scrivendo sulla lavagna il suo nome abbreviato. " Manz Aless" che in dialetto milanese significa " manzo lessato" ; poco saporito, insipido. Manzoni ricordò sempre con gioia i giorni della sua infanzia. Quando aveva undici anni, capitò a Pescarenico, borgata di pescatori del lago di Lecco,per l'ora della benedizione eucaristica. Nella sagrestia della chiesetta, un cappuccino si preparava per il rito.Vedendo Lisandrino, per festeggiarlo gli consegnò il candelabro perché gli facesse da chierichetto in chiesa. Manzoni ricordava di essersi sentito tanto fiero e commosso. Da questo affettuoso ricordo nacque un suo importante personaggio: Padre Cristoforo di Pescarenico. Negli anni di studio, Lisandrino sudava freddo solo a sentir parlare di numeri. Un giorno,che l'insegnante diceva:
"Ora faremo un po' di aritmetica", Lisandrino non si frenò e disse: " Ne faremmo anche a meno!" e fu punito. Manzoni quindicenne componeva già numerose poesie e preferiva Parini e Monti. Quest'ultimo, visitando il collegio, gli rivolse parole di complimento. Manzoni non stava nella pelle per l'emozione e non immaginava che avrebbe superato il Monti. Infatti scrisse bellissime poesie patriottiche e religiose; degli Inni, forse avrete già studiato quello intitolato Natale.
Un'altra sua celebre poesia é Il Cinque maggio, scritta per la morte di Napoleone. Manzoni raccontava di aver visto l'imperatore in un palco della Scala e di essere rimasto impressionato dalla potenza del suo sguardo. "Che occhi aveva quell'uomo!" diceva. Animato da sentimenti di italianità egli compose due tragedie e Marzo 1821. Ma il suo capolavoro, il romanzo " I Promessi Sposi", parla soprattutto della fiducia in Dio, che conforta anche nei momenti più tristi. In gioventù Manzoni non era stato molto religioso, ma poi aveva ritrovato dentro di sé un'ardente fede e ne aveva ricevuto forza e rassegnazione nel perdere alcuni figli ancora giovani.

Celebre come letterato, fu nominato senatore. Nel 1861 partecipò a Torino alla seduta del Parlamento che proclamava Roma capitale d'Italia. Mentre la folla acclamava, Manzoni uscì da Palazzo Madama dando il braccio al conte di Cavour che disse: " Questi applausi sono per lei, don Alessandro". "Tutt'altro" rispose Manzoni " Sono per lei." E prese a battere le mani gridando: " Viva Cavour!". Manzoni morì il 22 maggio 1873 a Milano all'età di 88 anni.


fonte:http://www.ilpaesedeibambinichesorridono.it/

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Messaggio da Beldanubioblu » mar mag 01, 2007 8:48 pm

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IL CINQUE MAGGIO


[17-19 luglio 1821]



Ei fu. Siccome immobile,
Dato il mortal sospiro,
Stette la spoglia immemore,
Orba di tanto spiro,
5 Così percossa, attonita
La terra al nunzio sta,
Muta pensando all'ultima
Ora dell'uom fatale;
Né sa quando una simile
10 Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
Vide il mio genio, e tacque;
15 Quando con vece assidua
Cadde, risorse, e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha:
Vergin di servo encomio
20 E di codardo oltraggio,
Sorge or commosso al subito
Sparir di tanto raggio;
E scioglie all'urna un cantico
Che forse non morrà.
25 Dall'Alpi alle Piramidi,
Dal Manzanarre al Reno,
Di quel securo il fulmine
Tenea dietro al baleno;
Scoppiò da Scilla al Tanai,
30 Dall'uno all'altro mar.
Fu vera gloria? Ai posteri
L'ardua sentenza; nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor, che volle in lui
35 Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.
La procellosa e trepida
Gioia d'un gran disegno,
L'ansia d'un cor che indocile
40 Serve, pensando al regno;
E il giunge, e tiene un premio
Ch'era follia sperar;
Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio,
45 La fuga e la vittoria,
La reggia e il tristo esiglio:
Due volte nella polvere,
Due volte sull'altar.
Ei si nomò: due secoli,
50 L'un contro l'altro armati,
Sommessi a lui si volsero,
Come aspettando il fato;
Ei fe' silenzio, ed arbitro
S'assise in mezzo a lor.
55 E sparve, e i dì nell'ozio
Chiuse in sì breve sponda,
Segno d'immensa invidia
E di pietà profonda,
D'inestinguibil odio
60 E d'indomato amor.
Come sul capo al naufrago
L'onda s'avvolve e pesa,
L'onda su cui del misero,
Alta pur dianzi e tesa,
65 Scorrea la vista a scernere
Prode remote invan;
Tal su quell'alma il cumulo
Delle memorie scese!
Oh quante volte ai posteri
70 Narrar sé stesso imprese,
E sull'eterne pagine
Cadde la stanca man!
Oh! quante volte, al tacito
Morir d'un giorno inerte,
75 Chinati i rai fulminei,
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L'assalse il sovvenir!
E ripensò le mobili
80 Tende, e i percossi valli,
E il lampo de' manipoli,
E l'onda dei cavalli,
E il concitato imperio,
E il celere ubbidir.
85 Ahi! forse a tanto strazio
Cadde lo spirto anelo,
E disperò; ma valida
Venne una man dal cielo,
E in più spirabil aere
90 Pietosa il trasportò;
E l'avviò, pei floridi
Sentier della speranza,
Ai campi eterni, al premio
Che i desideri avanza,
95 Dov'è silenzio e tenebre
La gloria che passò.
Bella immortal! benefica
Fede ai trionfi avvezza!
Scrivi ancor questo, allegrati;
100 Ché più superba altezza
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.
Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
105 Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.


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A CARLO PORTA
Sonetto beroldinghiano 1° marzo 1819

Lingua mendace che invoca gli Dei
Essendo in suo cuore ateo mitologico,
Tu credesti ingannare i sensi miei
Con stile affettatamente pedagogico.
5 Del qual giammai creduto io non avrei
Che mi stimassi tanto cacologico
Da non discerner sensi buoni e rei
Sotto il velame del linguaggio anfibologico.
Falso avvocato ne fingesti difensore
10 Per tirare in rovina il tuo cliente.
O stelle! o numi! chi vide un tale orrore?.
E per tradire ancor più impunemente
Pigliare un nome caro all'alme Suore
Come la tua inizial spergiura e mente!



POSTILLA AL PRECEDENTE SONETTO
1° marzo 1819

On badée, che voeur fa da sapienton,
El se toeu subet via par on badée;
Ma on omm de coo, che voeur parè mincion,
El se mett anca lù in d'on bell cuntée.


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AL SIGNOR FRANCESCO HAYEZ
L'AUTORE

1822?

Già vivo al guardo la tua man pingea
Un che in nebbia m'apparve all'intelletto:
Altra or fugace e senza forme idea
Timida accede all'alto tuo concetto:
5 Lieto l'accoglie, e un immortal ne crea
Di maraviglia e di pietade oggetto;
Mentre aver sol potea dal verso mio
Pochi giorni di spregio, e poi l'oblio.


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AD ANGELICA PALLI
Agosto 1827




Prole eletta dal Ciel, Saffo novella
Che la prisca Sorella
Di tanto avanzi in bei versi celesti
E in santi modi onesti,
5 Canti della infelice tua rivale,
Del Siculo sleale
Nello scoglio fatal, m'attristi; ed io
Ai numeri dolenti
T'offro il plauso migliore, il pianto mio.
10 Ma tu credilo intanto ad alma schietta,
Che d'insigne vendetta
L'ombra illustre per te placata fora,
Se il villano amator vivesse ancora.


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Messaggio da Beldanubioblu » mar mag 01, 2007 9:00 pm

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INNI SACRI


LA RISURREZIONE
Aprile-23 giugno 1812



È risorto: or come a morte
La sua preda fu ritolta?
Come ha vinto l'atre porte,
Come è salvo un'altra volta
5 Quei che giacque in forza altrui?
Io lo giuro per Colui
Che da' morti il suscitò.
È risorto: il capo santo
Più non posa nel sudario;
10 È risorto: dall'un canto
Dell'avello solitario
Sta il coperchio rovesciato:
Come un forte inebbriato
Il Signor si risvegliò.
15 Come a mezzo del cammino,
Riposato alla foresta,
Si risente il pellegrino,
E si scote dalla testa
Una foglia inaridita,
20 Che, dal ramo dipartita,
Lenta lenta vi risté:
Tale il marmo inoperoso,
Che premea l'arca scavata
Gittò via quel Vigoroso,
25 Quando l'anima tornata
Dalla squallida vallea,
Al Divino che tacea:
Sorgi, disse, io son con Te.
Che parola si diffuse
30 Tra i sopiti d'Israele!
Il Signor le porte ha schiuse!
Il Signor, l'Emmanuele!
O sopiti in aspettando,
È finito il vostro bando:
35 Egli è desso, il Redentor.
Pria di Lui nel regno eterno
Che mortal sarebbe asceso?
A rapirvi al muto inferno,
Vecchi padri, Egli è disceso:
40 Il sospir del tempo antico,
Il terror dell'inimico,
Il promesso Vincitor.
Ai mirabili Veggenti,
Che narrarono il futuro,
45 Come il padre ai figli intenti
Narra i casi che già furo,
Si mostrò quel sommo Sole,
Che, parlando in lor parole,
Alla terra Iddio giurò;
50 Quando Aggeo, quando Isaia
Mallevaro al mondo intero
Che il Bramato un dì verria;
Quando assorto in suo pensiero
Lesse i giorni numerati,
55 E degli anni ancor non nati
Daniel si ricordò.
Era l'alba; e, molli il viso,
Maddalena e l'altre donne
Fean lamento sull'Ucciso;
60 Ecco tutta di Sionne
Si commosse la pendice,
E la scolta insultatrice
Di spavento tramortì.
Un estranio giovinetto
65 Si posò sul monumento:
Era folgore l'aspetto,
Era neve il vestimento:
Alla mesta che 'l richiese
Diè risposta quel cortese:
70 È risorto; non è qui.
Via co' palii disadorni
Lo squallor della viola:
L'oro usato a splender torni:
Sacerdote, in bianca stola,
75 Esci ai grandi ministeri,
Tra la luce de' doppieri,
Il Risorto ad annunziar.
Dall'altar si mosse un grido:
Godi, o Donna alma del cielo;
80 Godi; il Dio, cui fosti nido
A vestirsi il nostro velo,
È risorto, come il disse:
Per noi prega: Egli prescrisse
Che sia legge il tuo pregar.
85 O fratelli, il santo rito
Sol di gaudio oggi ragiona;
Oggi è giorno di convito;
Oggi esulta ogni persona:
Non è madre che sia schiva
90 Della spoglia più festiva
I suoi bamboli vestir.
Sia frugal del ricco il pasto;
Ogni mensa abbia i suoi doni;
E il tesor, negato al fasto
95 Di superbe imbandigioni,
Scorra amico all'umil tetto,
Faccia il desco poveretto
Più ridente oggi apparir.
Lunge il grido e la tempesta
100 De' tripudi inverecondi:
L'allegrezza non è questa
Di che i giusti son giocondi;
Ma pacata in suo contegno,
Ma celeste, come segno
105 Della gioia che verrà.
Oh beati! a lor più bello
Spunta il sol de' giorni santi;
Ma che fia di chi rubello
Torse, ahi stolto! i passi erranti
110 Nel sentier che a morte guida?
Nel Signor chi si confida
Col Signor risorgerà.



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IL NOME DI MARIA
9 novembre 1812-19 aprile 1813




Tacita un giorno a non so qual pendice
Salia d'un fabbro nazaren la sposa;
Salia non vista alla magion felice
D'una pregnante annosa;
5 E detto: “Salve” a lei, che in reverenti
Accoglienze onorò l'inaspettata,
Dio lodando, sclamò: Tutte le genti
Mi chiameran beata.
Deh! con che scherno udito avria i lontani
10 Presagi allor l'età superba! Oh tardo
Nostro consiglio! oh degl'intenti umani
Antiveder bugiardo!
Noi testimoni che alla tua parola
Ubbidiente l'avvenir rispose,
15 Noi serbati all'amor, nati alla scola
Delle celesti cose,
Noi sappiamo, o Maria, ch'Ei solo attenne
L'alta promessa che da Te s'udia,
Ei che in cor la ti pose: a noi solenne
20 È il nome tuo, Maria.
A noi Madre di Dio quel nome sona:
Salve beata! che s'agguagli ad esso
Qual fu mai nome di mortal persona,
O che gli vegna appresso?
25 Salve beata! in quale età scortese
Quel sì caro a ridir nome si tacque?
In qual dal padre il figlio non l'apprese?
Quai monti mai, quali acque
Non l'udiro invocar? La terra antica
30 Non porta sola i templi tuoi, ma quella
Che il Genovese divinò, nutrica
I tuoi cultori anch'ella.
In che lande selvagge, oltre quei mari
Di sì barbaro nome fior si coglie,
35 Che non conosca de' tuoi miti altari
Le benedette soglie?
O Vergine, o Signora, o Tuttasanta,
Che bei nomi ti serba ogni loquela!
Più d'un popol superbo esser si vanta
40 In tua gentil tutela.
Te, quando sorge, e quando cade il die,
E quando il sole a mezzo corso il parte,
Saluta il bronzo, che le turbe pie
Invita ad onorarte.
45 Nelle paure della veglia bruna,
Te noma il fanciulletto; a Te, tremante,
Quando ingrossa ruggendo la fortuna,
Ricorre il navigante.
La femminetta nel tuo sen regale
50 La sua spregiata lacrima depone,
E a Te beata, della sua immortale
Alma gli affanni espone;
A Te che i preghi ascolti e le querele,
Non come suole il mondo, né degl'imi
55 E de' grandi il dolor col suo crudele
Discernimento estimi.
Tu pur, beata, un dì provasti il pianto,
Né il dì verrà che d'oblianza il copra:
Anco ogni giorno se ne parla; e tanto
60 Secol vi corse sopra.
Anco ogni giorno se ne parla e plora
In mille parti; d'ogni tuo contento
Teco la terra si rallegra ancora,
Come di fresco evento.
65 Tanto d'ogni laudato esser la prima
Di Dio la Madre ancor quaggiù dovea;
Tanto piacque al Signor di porre in cima
Questa fanciulla ebrea.
O prole d'Israello, o nell'estremo
70 Caduta, o da sì lunga ira contrita,
Non è Costei, che in onor tanto avemo,
Di vostra fede uscita?
Non è Davidde il ceppo suo? Con Lei
Era il pensier de' vostri antiqui vati,
75 Quando annunziaro i verginal trofei
Sopra l'inferno alzati.
Deh! a Lei volgete finalmente i preghi,
Ch'Ella vi salvi, Ella che salva i suoi;
E non sia gente né tribù che neghi
80 Lieta cantar con noi:
Salve, o degnata del secondo nome,
O Rosa, o Stella ai periglianti scampo,
Inclita come il sol, terribil come
Oste schierata in campo.





IL NATALE

13 luglio-29 settembre 1813



Qual masso che dal vertice
Di lunga erta montana,
Abbandonato all'impeto
Di rumorosa frana,
5 Per lo scheggiato calle
Precipitando a valle,
Batte sul fondo e sta;
Là dove cadde, immobile
Giace in sua lenta mole;
10 Né, per mutar di secoli,
Fia che riveda il sole
Della sua cima antica,
Se una virtude amica
In alto nol trarrà:
15 Tal si giaceva il misero
Figliol del fallo primo,
Dal dì che un'ineffabile
Ira promessa all'imo
D'ogni malor gravollo,
20 Donde il superbo collo
Più non potea levar.
Qual mai tra i nati all'odio,
Quale era mai persona,
Che al Santo inaccessibile
25 Potesse dir: perdona?
Far novo patto eterno?
Al vincitore inferno
La preda sua strappar?
Ecco ci è nato un Pargolo,
30 Ci fu largito un Figlio:
Le avverse forze tremano
Al mover del suo ciglio:
All'uom la mano Ei porge,
Che si ravviva, e sorge
35 Oltre l'antico onor.
Dalle magioni eteree
Sgorga una fonte, e scende,
E nel borron de' triboli
Vivida si distende:
40 Stillano mèle i tronchi
Dove copriano i bronchi,
Ivi germoglia il fior.
O Figlio, o Tu cui genera
L'Eterno, eterno seco;
45 Qual ti può dir de' secoli:
Tu cominciasti meco?
Tu sei: del vasto empireo
Non ti comprende il giro:
La tua parola il fe'.
50 E Tu degnasti assumere
Questa creata argilla?
Qual merto suo, qual grazia
A tanto onor sortilla?
Se in suo consiglio ascoso
55 Vince il perdon, pietoso
Immensamente Egli è.
Oggi Egli è nato: ad Efrata,
Vaticinato ostello,
Ascese un'alma Vergine,
60 La gloria d'Israello,
Grave di tal portato:
Da cui promise è nato,
Donde era atteso uscì.
La mira Madre in poveri
65 Panni il Figliol compose,
E nell'umil presepio
Soavemente il pose;
E l'adorò: beata!
Innanzi al Dio prostrata,
70 Che il puro sen le aprì.
L'Angel del cielo, agli uomini
Nunzio di tanta sorte,
Non de' potenti volgesi
Alle vegliate porte;
75 Ma tra i pastor devoti,
Al duro mondo ignoti,
Subito in luce appar.
E intorno a Lui, per l'ampia
Notte calati a stuolo,
80 Mille celesti strinsero
Il fiammeggiante volo;
E accesi in dolce zelo,
Come si canta in cielo,
A Dio gloria cantar.
85 L'allegro inno seguirono,
Tornando al firmamento:
Tra le varcate nuvole
Allontanossi, e lento
Il suon sacrato ascese,
90 Fin che più nulla intese
La compagnia fedel.
Senza indugiar, cercarono
L'albergo poveretto
Que' fortunati, e videro,
95 Siccome a lor fu detto,
Videro in panni avvolto,
In un presepe accolto,
Vagire il Re del Ciel.
Dormi, o Fanciul; non piangere;
100 Dormi, o Fanciul celeste:
Sovra il tuo capo stridere
Non osin le tempeste,
Use sull'empia terra,
Come cavalli in guerra,
105 Correr davanti a Te.
Dormi, o Celeste: i popoli
Chi nato sia non sanno;
Ma il dì verrà che nobile
Retaggio tuo saranno;
110 Che in quell'umil riposo,
Che nella polve ascoso,
Conosceranno il Re.




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LA PASSIONE

3 marzo 1814-15 ottobre 1815


O tementi dell'ira ventura,
Cheti e gravi oggi al tempio moviamo,
Come gente che pensi a sventura,
Che improvviso s'intese annunziar.
5 Non s'aspetti di squilla il richiamo;
Nol concede il mestissimo rito:
Qual di donna che piange il marito,
È la veste del vedovo altar.
Cessan gl'inni e i misteri beati,
10 Tra cui scende, per mistica via,
Sotto l'ombra de' pani mutati,
L'ostia viva di pace e d'amor.
S'ode un carme: l'intento Isaia
Proferì questo sacro lamento,
15 In quel dì che un divino spavento
Gli affannava il fatidico cor.
Di chi parli, o Veggente di Giuda?
Chi è costui che, davanti all'Eterno,
Spunterà come tallo da nuda
20 Terra, lunge da fonte vital?
Questo fiacco pasciuto di scherno,
Che la faccia si copre d'un velo,
Come fosse un percosso dal cielo,
Il novissimo d'ogni mortal?
25 Egli è il Giusto, che i vili han trafitto,
Ma tacente, ma senza tenzone;
Egli è il Giusto; e di tutti il delitto
Il Signor sul suo capo versò.
Egli è il santo, il predetto Sansone,
30 Che morendo francheggia Israele;
Che volente alla sposa infedele
La fortissima chioma lasciò.
Quei che siede sui cerchi divini,
E d'Adamo si fece figliolo;
35 Né sdegnò coi fratelli tapini
Il funesto retaggio partir:
Volle l'onte, e nell'anima il duolo,
E l'angosce di morte sentire,
E il terror che seconda il fallire,
40 Ei che mai non conobbe il fallir.
La repulsa al suo prego sommesso,
L'abbandono del Padre sostenne:
Oh spavento! l'orribile amplesso
D'un amico spergiuro soffrì.
45 Ma simìle quell'alma divenne
Alla notte dell'uomo omicida:
Di quel Sangue sol ode le grida,
E s'accorge che Sangue tradì.
Oh spavento! lo stuol de' beffardi
50 Baldo insulta a quel volto divino,
Ove intender non osan gli sguardi
Gl'incolpabili figli del ciel.
Come l'ebbro desidera il vino,
Nell'offese quell'odio s'irrita;
55 E al maggior dei delitti gl'incita
Del delitto la gioia crudel.
Ma chi fosse quel tacito reo,
Che davanti al suo seggio profano
Strascinava il protervo Giudeo,
60 Come vittima innanzi a l'altar,
Non lo seppe il superbo Romano;
Ma fe' stima il deliro potente,
Che giovasse col sangue innocente
La sua vil sicurtade comprar.
65 Su nel cielo in sua doglia raccolto
Giunse il suono d'un prego esecrato:
I Celesti copersero il volto:
Disse Iddio: Qual chiedete sarà.
E quel Sangue dai padri imprecato
70 Sulla misera prole ancor cade,
Che, mutata d'etade in etade,
Scosso ancor dal suo capo non l'ha.
Ecco appena sul letto nefando
Quell'Afflitto depose la fronte,
75 E un altissimo grido levando,
Il supremo sospiro mandò:
Gli uccisori esultanti sul monte
Di Dio l'ira già grande minaccia,
Già dall'ardue vedette s'affaccia,
80 Quasi accenni: Tra poco verrò
O gran Padre! per Lui che s'immola,
Cessi alfine quell'ira tremenda;
E de' ciechi l'insana parola
Volgi in meglio, pietoso Signor.
85 Sì, quel Sangue sovr'essi discenda;
Ma sia pioggia di mite lavacro:
Tutti errammo; di tutti quel sacro -
santo Sangue cancelli l'error.
E tu, Madre, che immota vedesti
90 Un tal Figlio morir sulla croce,
Per noi prega, o regina de' mesti,
Che il possiamo in sua gloria veder;
Che i dolori, onde il secolo atroce
Fa de' boni più tristo l'esiglio,
95 Misti al santo patir del tuo Figlio,
Ci sian pegno d'eterno goder.



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LA PENTECOSTE
21 giugno-2 ottobre 1817


Madre de' Santi, immagine
Della città superna,
Del sangue incorruttibile
Conservatrice eterna;
5 Tu che, da tanti secoli,
Soffri, combatti e preghi,
Che le tue tende spieghi
Dall'uno all'altro mar;
Campo di quei che sperano;
10 Chiesa del Dio vivente,
Dov'eri mai? qual angolo
Ti raccogliea nascente,
Quando il tuo Re, dai perfidi
Tratto a morir sul colle,
15 Imporporò le zolle
Del suo sublime altar?
E allor che dalle tenebre
La diva spoglia uscita,
Mise il potente anelito
20 Della seconda vita;
E quando, in man recandosi
Il prezzo del perdono,
Da questa polve al trono
Del Genitor salì;
25 Compagna del suo gemito,
Conscia de' suoi misteri,
Tu, della sua vittoria
Figlia immortal, dov'eri?
In tuo terror sol vigile,
30 Sol nell'obblio secura,
Stavi in riposte mura,
Fino a quel sacro dì,
Quando su te lo Spirito
Rinnovator discese
35 E l'inconsunta fiaccola
Nella tua destra accese;
Quando, segnal de' popoli,
Ti collocò sul monte,
E ne' tuoi labbri il fonte
40 Della parola aprì.
Come la luce rapida
Piove di cosa in cosa,
E i color vari suscita
Dovunque si riposa;
45 Tal risonò moltiplice
La voce dello Spiro:
L'Arabo, il Parto, il Siro
In suo sermon l'udì.
Adorator degl'idoli,
50 Sparso per ogni lido,
Volgi lo sguardo a Solima,
Odi quel santo grido:
Stanca del vile ossequio,
La terra a Lui ritorni:
55 E voi che aprite i giorni
Di più felice età,
Spose, che desta il subito
Balzar del pondo ascoso;
Voi già vicine a sciogliere
60 Il grembo doloroso;
Alla bugiarda pronuba
Non sollevate il canto
Cresce serbato al Santo
Quel che nel sen vi sta.
65 Perché, baciando i pargoli,
La schiava ancor sospira?
E il sen che nutre i liberi
Invidiando mira?
Non sa che al regno i miseri
70 Seco il Signor solleva?
Che a tutti i figli d'Eva
Nel suo dolor pensò?
Nova franchigia annunziano
I cieli, e genti nove;
75 Nove conquiste, e gloria
Vinta in più belle prove;
Nova, ai terrori immobile
E alle lusinghe infide,
Pace, che il mondo irride,
80 Ma che rapir non può.
O Spirto! supplichevoli
A' tuoi solenni altari,
Soli per selve inospite,
Vaghi in deserti mari,
85 Dall'Ande algenti al Libano,
D'Erina all'irta Haiti,
Sparsi per tutti i liti,
Uni per Te di cor,
Noi T'imploriam! Placabile
90 Spirto, discendi ancora,
A' tuoi cultor propizio,
Propizio a chi T'ignora;
Scendi e ricrea; rianima
I cor nel dubbio estinti;
95 E sia divina ai vinti
Mercede il vincitor.
Discendi Amor; negli animi
L'ire superbe attuta:
Dona i pensier che il memore
100 Ultimo dì non muta;
I doni tuoi benefica
Nutra la tua virtude;
Siccome il sol che schiude
Dal pigro germe il fior;
105 Che lento poi sull'umili
Erbe morrà non còlto,
Né sorgerà coi fulgidi
Color del lembo sciolto,
Se fuso a lui nell'etere
110 Non tornerà quel mite
Lume, dator di vite,
E infaticato altor.
Noi T'imploriam! Ne' languidi
Pensier dell'infelice
115 Scendi piacevol alito,
Aura consolatrice:
Scendi bufera ai tumidi
Pensier del violento;
Vi spira uno sgomento
120 Che insegni la pietà.
Per Te sollevi il povero
Al ciel, ch'è suo, le ciglia;
Volga i lamenti in giubilo,
Pensando a Cui somiglia;
125 Cui fu donato in copia,
Doni con volto amico,
Con quel tacer pudico,
Che accetto il don ti fa.
Spira de' nostri bamboli
130 Nell'ineffabil riso;
Spargi la casta porpora
Alle donzelle in viso;
Manda alle ascose vergini
Le pure gioie ascose;
135 Consacra delle spose
Il verecondo amor.
Tempra de' baldi giovani
Il confidente ingegno;
Reggi il viril proposito
140 Ad infallibil segno;
Adorna le canizie
Di liete voglie sante;
Brilla nel guardo errante
Di chi sperando muor.


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Il sole non ti serve per vedere perchè tu luce sei in mezzo al buio...(Lucia Di Iulio)

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Beldanubioblu
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Messaggio da Beldanubioblu » mar mag 01, 2007 9:09 pm

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OGNISSANTI
Frammenti

. . . . . . . . . .
Cercando col cupido sguardo,
Tra il vel della nebbia terrena,
Quel sol che in sua limpida piena
V'avvolge or beati lassù;
5 Il secol vi sdegna, e superbo
Domanda qual merto agli altari
V'addusse; che giovin gli avari
Tesor di solinghe virtù.
A Lui che nell'erba del campo
10 La spiga vitale ripose,
Il fil di tue vesti compose,
Del farmaco i succhi temprò;
Che il pino inflessibile agli austri,
Che docile il salcio alla mano,
15 Che il larice ai verni, e l'ontano
Durevole all'acque creò;
A Quello domanda, o sdegnoso,
Perché sull'inospite piagge,
All’alito d'aure selvagge,
20 Fa sorgere il tremulo fior,
Che spiega dinanzi a Lui solo
La pompa del candido velo,
Che spande ai deserti del cielo
Gli olezzi del calice, e muor.
25 E voi che, gran tempo, per ciechi
Sentier di lusinghe funeste
Correndo all'abisso, cadeste
In grembo a un'immensa pietà;
E come l'umor, che nel limo
30 Errava sotterra smarrito,
Da subita vena rapito,
Che al giorno la strada gli fa,
Si lancia, e seguendo l'amiche
Angustie con ratto gorgoglio,
35 Si vede d'in cima allo scoglio
In lucido sgorgo apparir;
Sorgeste già puri, e la vetta,
Sorgendo, toccaste, dolenti
E forti, a magnanimi intenti
40 Nutrendo nel pianto l'ardir;
Un timido ossequio non veli
Le piaghe che il fallo v'impresse:
Un segno divino sovr'esse
La man, che le chiuse, lasciò.
45 Tu sola a Lui festi ritorno
Ornata del primo suo dono;
Te sola più su del perdono
L'Amor che può tutto locò;
Te sola dall'angue nemico
50 Non tocca né prima né poi;
Dall'angue, che appena su noi
L'indegna vittoria compiè,
Traendo l'oblique rivolte,
Rigonfio e tremante, tra l'erba,
55 Sentì sulla testa superba
Il peso del puro tuo piè.
. . . . . . . . . . .



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DIO NELLA NATURA

Tu sì che a noi t'ascondi:
L'occhio ti cerca invano;
Ma l'opre di tua mano
Ti svelano, o Signor.
5 Tutto del tuo gran nome
In terra, in ciel, favella;
Risplende in ogni stella,
È scritto in ogni fior.
. . . . . . . . .



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RIME DI DEVOZIONE



SUL NOME DI MARIA

Settembre 1823


Santo nome, in fra i mortali
Quale è il nome che ti avanza?
Tu sei nome di speranza,
Tu sei nome di pietà.
5 Se d'Adamo il pazzo orgoglio
Al Signor ci fa ribelli,
Per te, o Madre, siam fratelli
Di Colui che ci creò.
Per te ancora al Ciel perduto
10 Nostra mente si solleva;
Tu ci togli al fallo d'Eva,
Tu ci torni al primo onor.
Quando pesa sul cuor mio
L'ingiustizia dei mortali,
15 Quando a me verranno i mali,
Il tuo nome invocherò.
Se dei troppi falli miei
Caggio sotto all'empie some,
Ripetendo il tuo bei nome
20 Io mi sento confortar.
Egli è umìl non men che mondo,
Questo giglio delle valli;
Né perch'Ella è senza falli
Mai rigetta chi fallì.
25 Ché ben sa che s'Ella intatta
Tutto corse il tristo esigilo,
È sol grazia del suo Figlio,
Che la volle preservar.
Tu se' gioia ai cuori afflitti,
30 Tu se' guida ai passi erranti,
Tu se' stella ai naviganti,
Tu se' grazia ai regnator.
Se la vita è un tristo calle
Tutto sparso di ruine,
35 Questa rosa in fra le spine
Il cammino allegrerà.
Tu conosci 1 nostri guai:
Per noi dunque il Figliuoi prega;
Se ad ogni uom Egli si piega,
40 Per la Madre che farà?
Non ti chieggo della terra
Le delizie passeggere,
Ne lo scettro del potere
Ne la febbre degli onor;
45 Prega Lui che alle nostre alme
Verso il Ciel dia corso e lena,
E la polvere terrena
Ci dia forza a disprezzar.
Fa che sempre io mi ricordi
50 Il colpevol viver mio,
Onde alfin, placato e pio,
Lo dimentichi il Signor;
Onde possa, ancor che indegno,
Rimirarlo senza velo,
55 E udir gli angioli del Cielo
Il tuo nome risuonar.




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IL NATALE DEL 1833

14 marzo 1835

Sì, che tu sei terribile!
Sì, che in quei lini ascoso,
In braccio a quella Vergine,
Sovra quel sen pietoso,
5 Come da sopra i turbini
Regni, o Fanciul severo!
È fato il tuo pensiero,
È legge il tuo vagir.
Vedi le nostre lagrime,
10 Intendi i nostri gridi,
Il voler nostro interroghi,
E a tuo voler decidi.
Mentre, a stornare il fulmine
Trepido il prego ascende,
15 Sordo il tuo fulmin scende
Dove tu vuoi ferir.
Ma tu pur nasci a piangere;
Ma da quel cor ferito
Sorgerà pure un gemito,
20 Un prego inesaudito;
E Questa tua fra gli uomini
Unicamente amata,
Nel guardo tuo beata,
Ebra del tuo respir,
25 Vezzi or ti fa; ti supplica
Suo pargolo, suo Dio;
Ti stringe al cor, che attonito
Va ripetendo: È mio!
Un dì con altro palpito,
30 Un dì con altra fronte,
Ti seguirà sul monte,
E ti vedrà morir.
Onnipotente . . . . .




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Il sole non ti serve per vedere perchè tu luce sei in mezzo al buio...(Lucia Di Iulio)

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