Un nuovo, tremendo racconto.

[RobyMAD]

APIS

La celletta, o favo numero 1086 venne ricoperta di cera alle ore 12:04. Apis, l’unica ape a cui mi sia mai affezionato, eccetto forse “l’Ape Maia”, anche se quella era un cartone animato; nacque in uno splendido pomeriggio nella città di Alessandria. La metamorfosi che la trasformò da larva a individuo adulto durò 21 giorni: il lettore più attento avrà già capito che, Apis era un’ape operaia. Penserete, poteva andarle peggio: in fondo il maschio, o fuco, serve solo all’accoppiamento e dopo essere utilizzato viene allontanato o ucciso. Sarà, ma preferisco raccontarvi della piccola ape operaia che prese servizio il 21 Ottobre del 2005.
I suoi principali compiti erano la difesa dell’alveare anche a costo della vita, costruire i favi e adempire a numerose altri compiti, sempre all’interno dell’alveare, necessari alla sopravvivenza della colonia. Faceva bene tutte queste funzioni, ma ricevette particolari riconoscimenti nel campo dell’edilizia. Costruiva degli esagoni perfetti. Questo la fece passare di grado giovanissima. Dopo 16 giorni di servizio fu promossa e spedita a raccogliere nettare e polline con le amiche.
Tutto sembrava andare bene, ma all’improvviso, mentre stava raccogliendo polline da un fiore, le venne un attacco. Vide una stella che ballava: all’inizio faceva una danza circolare simile a quella che conosceva bene, ma poi l’astro face due salti mortali e ballò break dance. Lo spettacolo la distrasse tra un contorcimento e l’altro, sino a che gli occhi si chiusero.
Si risvegliò due ore dopo. Provò a rimettersi in piedi, ma ricadde perché una zampetta era come pietrificata. Si concentrò e provò a muoverla, ma nulla. Pianse tanto, ma nessuno venne a consolarla. Fu allora che cominciò a muovere le ali. Si consolò un poco, scoprendo che tutto il resto, probabilmente, era ancora efficiente e tornò a casa. Si confidò con la regina: magari lei sapeva… l’avrebbe aiutata.
Aperò, così si chiamava la sovrana, fu sorpresa e preoccupata. Una sua sottoposta avrebbe potuto essere la portatrice di una strana epidemia che avrebbe contagiato e ucciso tutti! Chiamò d’urgenza Apedoc, il dottore, e la vece visitare.
Apis era molto tesa durante la visita. Gli occhi pelosi del dottore, per altro molto carino, non le impedirono di fare pensieri orribili, distanti dalla verità che le venne comunicata più tardi, da Aperò:
«É una cosa strana: tu sei diabetica. Non ne so molto, ma è una malattia che ti impedisce di avere zucchero nel sangue. Non puoi più produrre, può darsi nemmeno toccare il miele. È questione di giorni, perché anche mangiare il polline ti fa male. Hai incominciato ad auto distruggerti.»
Apis si mise a piangere: «Posso ancora fare il soldato? Mi metta in prima linea, vedrà che morirò da eroe e scaccerò l’aggressore.»
Aperò si alzò in volo e cominciò la danza della morte. L’ape malata era una grave minaccia per la sopravvivenza del gruppo e doveva morire. Saettò contro l’intruso.
Apis la schivò e cominciò a volare via, più veloce che poteva.
Aperò era scattante, ma la volontà dell’ape malata di fuggire era tanta e nulla poté la regina che la perse di vista. L’unica cosa che rimaneva da fare era impartire alle soldatesse del gruppo di ucciderla a vista.
Apis era spaesata. Cosa poteva fare? Il miele era l’unica cosa che le piaceva, che sapeva fare. Fece per atterrare su un fiore, ma si dimenticò del piede in cancrena e, visto che fece perno anche su esso, perse l’equilibrio e cadde sul prato. Si attorcigliò per qualche secondo. Desiderò la morte, ma presto si accorse che avrebbe dovuto provvedere da sola. Sarebbe morta da eroe, scagliandosi contro uno dei nemici che aveva imparato a odiare.
Io fui il primo uomo che vide. Apis mi danzò attorno, cercando il punto del corpo più vulnerabile. Mi spazientii e con la mano le tirai uno schiaffo, per difendermi. Le feci male, perché cadde a terra. Mentre si avviticchiava, io la schiacciai col piede.
La suola delle scarpe pressava l’animale e le nostre menti, come per magia, furono collegate per un istante e potei leggerle tutta la vita. Ritirai il piede, ma era troppo tardi. Io lo sapevo, lo sentivo.
La presi in mano e cominciai una corsa disperata per portarla sopra un fiore, per farle assaggiare il polline un’ultima volta. Apis mi punse. Togliendomi il pungiglione ero felice: avevo dato alla mia amica la possibilità di morire da eroe.

Dedicato a tutte le zanzare che uccido ogni anno. Può darsi che abbiate una storia ancora più triste: vi chiedo in anticipo scusa.

[gluca]

Bel racconto! Complimenti!

[adypellegrino]

Roby... ma vedo che hai cambiato stile. E' bellissimo il tuo racconto. Sul serio. E riflette la tragedia dell'uomo: quando non è più utile, la società lo annienta. Infatti un autore diceva qualcosa del tipo: un cane che pensa... è un uomo. Ed io dico che un ape malata che pensa... è (come) una persona malata ed esclusa... dalla polys.

[Beldanubioblu]

Ma Robyyyyyyyy
mi hai commosso!
acipicchia che sensibilita', che tu fossi bravo lo sapevo di gia
hai inventato il genere di racconto che mi piace, penso anche che
in parte tu ti sia ispirato a qualcosa realmente successo
che dirti sono quasi senza parole.
Luciella

ps: mi sono piaciuti anche i nomi inventati per le api
l'unica cosa che mi ha fatto ridere.

[RobyMAD]

e adesso, smontiamoci un po'.

L'idea dell'ape diabetica è nata per caso. Dopo ore di lezione una mia amica, voleva che m'inventassi delle domande da inserire in un test della personalità costruito da noi, per gioco. E allora ho pensato a qualcosa di strano, tipo un cammello a sei gobbe... e dopo qualche secondo mi è venuta in mente l'ape diabetica, un animale che si contraddice da solo.
Poi mi sono informato un po' sulle abitudini delle api e ho incominciato a scrivere. Era un giorno in cui ero un po' depresso, e allora è venuta sta cosa. Volevo esprimere incomunicabilità, visto che ogni personaggio ha un binario proprio e fa quello che vuole. Anche il protagonista, che ha permesso all'ape una morte da eroe, ha ucciso e, anche se ha scoperto quanto una storia possa essere triste, continuerà a uccidere.
Non mi sono ispirato a niente di reale, almeno consciamente. Solo a sensazioni.

Alla prossima.