VENITE NEL MIO CAMPO C'E' UN TESORO ( Lettere a Don Pino )

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Messaggio da Don Pino » mar apr 10, 2007 5:41 pm

LA PASQUA

iturgicamente é un giorno unico per tutta la settimana, ma il
periodo pasquale dura cinquanta giorni, giorni in cui é vietato
piangere, é vietato essere tristi, é vietato non partecipare alla gioia
che Cristo Risorto mette nei nostri cuori. Certo che la vita continua,
con tutti i problemi e le difficoltà, ma il pensiero che non esiste
alcuna situazione capace di toglierci l'Amore di Dio, é di grande conforto, perché non avere Dio nel nostro cuore, sarebbe il dramma più grande ed insuperabile. E chi ce la fa a portare il peso della giornata con tutte le sue preoccupazioni? E' necessario appoggiarsi a Cristo, vincitore del nostro nemico più grande, la morte, e quindi vincitore assoluto di tutte le morti
che tentano di farci maledire Dio, che tentano di farci pensare
che Dio non esiste, e se esiste é un Dio crudele. Per questo siamo
chiamati, noi che abbiamo conosciuto il suo Amore, a testimoniarlo al
mondo intero, perché creda. E chi meglio di uno che é passato
attraverso situazioni impossibili, rimanendo vivo, per la grazia di Dio,
può testimoniare che la morte non ci fa più paura? Ma non parlo solo
di chi é stato "miracolato" inteso come un problema risolto, una malattia
guarita, un matrimonio ricucito, ma anche e soprattutto di chi vive
nella croce quotidiana, anche pesante, con spirito sereno, sapendo con certezza che Dio provvede, che Dio non manda mai nulla che noi con il suo aiuto non possiamo portare. E una volta ravveduti, siamo chiamati
a confermare e a rassicurare i fratelli. Quante persone sono state miracolate e ringraziano Dio, ma quante hanno la forza di vivere situazioni che umanamente sono pesantissime, e lodano Dio, pur nella prova atroce e sofferente. Un nostro fratello di comunità qualche giorno fa ha ricevuto notizia di essere stato colpito da un tumore maligno ai polmoni, in fase avanzata, disperata, forse senza speranza. Eppure Venerdì Santo, con una forza e serenità incredibili sia lui che la moglie sono andati a baciare la Croce mettendo nelle mani spalancate e trafitte di Gesù la loro Croce, accettandola con Amore, con la forza che solo Dio sa dare in questi momenti. Una commozione interna indicibile: veramente il Signore con la Croce da anche la forza per poterla portare. Veramente Dio esiste non solo perché opera miracoli, ma anche e soprattutto perché non ci lascia mai soli, cammina con noi, é malato con noi, piange con noi,
soffre con noi, ci sostiene, da un senso alla vita dove altri non sanno
cosa dire, profuma di santità ciò che noi magari abbiamo sempre
visto con dubbio e apprensione. Vi chiedo di pregare per questi fratelli
così caricati e nella prova. Non é detto che il Signore non esaudisca le
nostre preghiere e non ridia la salute al nostro fratello. La preghiera, a volte, può cambiare la volontà di Dio! Ma non é questo il punto. Miracolo già é vedere come queste situazioni invece di abbatterci e ucciderci, sono motivo di testimonianza per chi ci sta intorno. Se il Signore non permette la disperazione, vuol dire che Cristo é veramente risorto. Chiediamo al
Signore la grazia della guarigione, ma soprattutto che ci aiuti e ci
sostenga nel portare il peso delle prove che ci chiama ad affrontare,
con la serenità di chi sa che Papà mai darebbe qualcosa per castigo, ma solo per Amore, l'Amore immenso con il quale ha permesso al suo Figlio di morire per me e per te. Di questo siamo certi.
Coraggio, fratelli, il Signore sempre ci precede.
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Messaggio da Don Pino » mar apr 10, 2007 9:27 pm

Benessere e felicità sono l’ideale degli avari

Viviamo un’epoca disperata, costantemente in bilico sul ciglio del baratro. Eppure ce ne freghiamo, e rincorriamo fuochi fatui e beni superflui. Ecco la lezione immortale di Albert Einstein, che visse guidato dalle prospettive del bene, della bellezza e della verità

Con l’attacco alle Torri Gemelle del 2001 i popoli appartenenti alla civiltà cristiana si sono svegliati di soprassalto dal sogno pacioso in cui si cullavano dopo la fine della Guerra Fredda. A testimoniarne il risveglio è il comune denominatore che si riscontra in quasi tutti gli autori dei libri scritti dopo l’Undici Settembre: l’allarme sulla deriva morale in cui viviamo. Quell’evento li ha spinti a dire: togliamo la trave dai nostri occhi, perché solo allora potremo vedere la pagliuzza nell’occhio della civiltà che ci sta assediando (1). Oriana Fallaci, per esempio, scrive: «C’è il declino dell’intelligenza. Quella individuale e quella collettiva. Quella inconscia che guida l’istinto di sopravvivenza e quella conscia che guida la facoltà di capire, apprendere, giudicare, e quindi distinguere il Bene dal Male. Eh, sì.

Paradossalmente siamo meno intelligenti di quanto lo fossimo quando non sapevamo volare, andare su Marte, cercarvi l’acqua. O riattaccarci un braccio, cambiarci il cuore, clonare una pecora o noi stessi» (2). E Gianfranco Morra incalza: «Senza valori forti, senza ideali trascendenti, diciamo pure […] “senza Dio”, non ci può essere civiltà alcuna»(3).
E c’è chi ha individuato nei sessantottini gli autori dello smontaggio sistematico dei valori classici, degli assi portanti della civiltà cristiana. È stata la loro battaglia, scrive Peter Hahne, ad assestare dei duri colpi a «ogni forma di tradizione, di autorità e di vincolo ai valori» (4) del cristianesimo.

Economicismo dannato
Eppure non è del tutto vero. Leggendo Come io vedo il mondo di Albert Einstein, scopriamo che non sono stati i sessantottini i pionieri del degrado morale in cui siamo immersi. Egli scrive: «La decadenza sociale dipende dallo sviluppo» economico «e dall’esaltazione dell’economia e della tecnica che ha esacerbato la lotta per l’esistenza e quindi la libera evoluzione degli individui ha subito durissimi colpi. […] La nostra epoca è afflitta dalla malattia infantile di una umanità dalle possenti aspirazioni» (5).
Queste riflessioni Einstein le annota nella prima metà del Novecento. È in quell’epoca che individua già le cause che ci avrebbero condotto alla decadenza morale, proprio mentre negli USA l’opulenza si stava espandendo attorno a lui. Negli ultimi decenni infatti abbiamo letto spesso affermazioni simili a quelle di Einstein, in cui gli autori indicavano la radice del male odierno nell’esaltazione del dio-denaro, nella credenza del dio-benessere, nella ricerca affannosa della felicità. Mentre altri autori scrivevano che la felicità si poteva addirittura progettare, come si fa per una diga o un grattacielo. L’opulenza avanzava e le possenti aspirazioni pure.

Ma anche su questo Einstein aveva lanciato il suo monito: «Tutte le ricchezze del mondo non potrebbero spingere l’umanità più avanti anche se esse si trovassero nelle mani di un uomo totalmente consacrato all’evoluzione del genere umano. [...] Il denaro suscita soltanto egoismo e spinge sempre, irresistibilmente, a farne un cattivo uso» (6). Einstein vede negli ideali, che plasmavano i comportamenti dei suoi contemporanei, la causa della degenerazione, e li indica senza mezzi termini: «Ogni uomo è legato ad alcuni ideali che gli servono di guida nell’azione e nel pensiero. In questo senso il benessere e la felicità non mi sono mai apparsi come la meta assoluta, questa base della morale la definisco l’ideale dei porci» (7).
Benessere e felicità, ideali dei porci? È un’affermazione grave e sprezzante. Però merita una riflessione visto che, a ben vedere, gli effetti di quegli ideali li stiamo subendo oggi. Se negli anni in cui Einstein scrive, il benessere e la felicità erano considerate delle mete, oggi sembrano funzionare come forze motrici per i popoli della civiltà cristiana. Che siano delle forze motrici ce lo indicano i comportamenti della gente. Sono, quindi, elementi di conoscenza e di riflessione accessibili a tutti, come ci ha insegnato Hegel, il quale dice: «L’uomo è quel che fa» (8). E Erving Goffman poi ribadisce: «L’uomo è i suoi comportamenti» (9). Per capire, basta saper osservare.

Cosa significa benessere? E felicità? Incominciamo dalla prima categoria, rifacendoci al pensiero classico. Ben-essere indica l’essere che si sente bene, quindi un benessere interiore, spirituale, una quiete dell’anima e della coscienza. La nostra tradizione classica, greca e romana, ha sempre insistito sulla concordanza esistente fra corpo e spirito, ce lo rivela il detto: mens sana in corpore sano.
A questa conclusione erano giunti dopo una lunga disputa sulla “battaglia dei giganti” di cui parla Platone. In quella battaglia i giganti, o figli della terra, affermano che ogni realtà è corpo, materia. Gli dèi, invece, sostengono che l’essere è incorporeo, spirito, forma ideale spiritualizzata. Ed è così che Fidia, il grande sculture greco, rappresenta gli Dei greci. È così che si possono interpretare i Bronzi di Riace: una forma ideale, spiritualizzata dell’uomo. Che siano una forma umana spiritualizzata ce lo indica il loro sguardo che scruta l’orizzonte. Scruta per intuire il mistero dell’esserci, direbbe Heidegger (10). I Bronzi di Riace ci svelano come gli antichi aspiravano a essere: una forma ideale del loro voler-essere. Un’armonia, una sinfonia fra corpo e spirito. Un corpo sano, perfetto nella forma, che rappresentasse visivamente il proprio spirito, pago della conoscenza acquisita, della Soggettività scoperta (11), dell’autocoscienza venuta fuori dalla rigidità dei Costumi antichi, grazie a Socrate.

Trasferito nella nostra epoca, ben-essere significa che leggere un bel romanzo o una poesia ci dà il senso dell’eternità, e la sensazione che vivere è bello, che l’esser nati è un dono. Che ascoltare un’opera di Puccini o una sinfonia di Beethoven ci dà un benessere spirituale, perché il nostro spirito si sente forte, potente, capace di dominare il corpo, di fargli suonare la musica che desideriamo, e di tenere a freno le pulsioni distruttive. Oppure ci dà la sensazione di librarci nell’aria come le note della musica, di trasfigurarci in vibrazioni. Di poter fare a meno delle necessità materiali.

La parola benessere però ha avuto anche un altro significato. L’uscita dalla povertà, dall’indigenza, il raggiungimento di una vita dignitosa. Il bracciante meridionale che negli anni Cinquanta lottava per la sopravvivenza, il benessere per lui voleva dire avere una casa, con un letto matrimoniale e una stanzetta per i figli, una stufa per riscaldare le stanze, un cappotto , un fornello a gas, la luce elettrica. Significava avere una scuola per i propri figli, la radio o la televisione, per essere informato su quello che accadeva nel mondo. Benessere, poi, ha significato avere un mezzo di trasporto: un motorino per spostarsi, un furgoncino con cui trasportare i prodotti della terra, un’automobile per poter fare qualche viaggio con la sua famiglia. Benessere quindi come vita dignitosa, non angosciata dalla fame, dalla malattia, e veder crescer i propri figli sani.

Ma dopo pochi decenni alla parola benessere sono stati cambiati i connotati etimologici e il senso. Oggi, seguendo i media, notiamo che parola indica lo star bene nel proprio corpo, il piacere fisico. Mi abbronzo, nuoto, vado in palestra, a sciare, faccio una passeggiata nel bosco o sulla spiaggia, perché fa bene alla salute stare all’aria aperta e migliora l’immagine fisica. Indica star bene economicamente, poter avere non solo ciò che è indispensabile e utile per vivere una vita dignitosa, ma anche il superfluo che abbevera il capriccio, il gioco.
Compero quell’oggetto non perché sia utile, ma perché mi procura piacere averlo. Con il superfluo, con l’esclusività, appago un capriccio e, a livello sociale, indico che me lo posso permettere. Compero un vestito firmato o un’automobile costosa, una barca, viaggio spesso per scoprire nazioni e continenti nuovi, indica che ho le possibilità economiche per farlo. Connota lo status sociale a cui appartengo.

Estetismo vuoto
E c’è una modalità ancora più volgare del benessere. La possiamo decifrare dai comportamenti collettivi odierni. Benessere vuol dire star bene, andare in vacanza, divertirsi, non fare fatica. Chiacchierare, bighellonare come dicono i ragazzi. E quando pensiamo al benessere, quando ci ammiriamo nello specchio, belli abbronzati, ben vestiti, in ottima salute, di certo non ci passa per la mente quell’armonia fra corpo e spirito, quell’appagamento che ci indicavano i nostri antenati greco-romani.
Plasmiamo il nostro corpo con la ginnastica, lo adorniamo di bei vestiti, lo nutriamo con cibi vari, calcolando con cura il rapporto fra proteine e carboidrati, lo poniamo al riparo in una casa comoda, non certo per indicare l’appagamento spirituale, il livello di conoscenza che abbiamo raggiunto. E neppure siamo orgogliosi del livello di conoscenza che ha acquisito la nostra civiltà cristiana sulla natura, sull’universo, sul DNA, sul mistero della vita come alludono i Bronzi di Riace.

Allora dobbiamo avere il coraggio di dire che ha ragione Einstein: questo tipo di benessere è un ideale che s’addice ai porci, non agli esseri umani. Eppure lo desideriamo senza neppure domandarci perché. Strada facendo, abbiamo sperperato – e non sappiamo neppure dove, come e quando – l’esigenza profonda che esiste in noi di armonizzare il corpo con lo spirito. Ci comportiamo, più o meno tutti, come adolescenti desiderosi di affermarsi nel proprio gruppo, di essere ammirati, desiderati, avidi di esperienze nuove ed eccitanti. Come nutrimento della nostra mente ingurgitiamo un po’ di tutto: paesaggi nuovi propiziatoci dai viaggi a basso costo, film quasi tutti scadenti, trasmissioni televisive boccaccesche, che rappresentano una realtà che non c’è, e intanto seminano veleno nelle menti. E poi giornali, internet, cellulari, messaggini sconci e sgrammaticati, tanto per darci un’aria da ganzi. Un pastone davvero indigesto...

Che il pastone sia indigesto lo segnalano i nostri gesti bruschi, il nostro sgomitare sul lavoro, spesso calpestando un bene prezioso come l’amicizia in nome del “nostro interesse”, o del business. Quando conversiamo con gli altri seguiamo l’impulso, alziamo la voce per assicurarci che ci sentano, diciamo quel che ci passa per la mente, senza averlo meditato, senza aver le conoscenze appropriate. Però lo camuffiamo con il ribadire che quella è la nostra opinione.
Passiamo ora alla parola felicità. Cos’era la felicità per gli antichi? Era la pienezza della vita spirituale. Ma era anche gioia della collettività. La vittoria alle olimpiadi, il tripudio quando avevano con fatica costruito una cattedrale, il Te Deum di ringraziamento, il trionfo dopo la vittoria, la festa del matrimonio, la consacrazione del sacerdote, la grande festa del raccolto. Era un esultare a un tempo individuale e corale, mondano e sacro. E su questo stesso terreno, secolarizzandosi ma fino a un certo punto, lo è ancora oggi. Ci sono ancora momenti straordinari di pienezza di vita, i momenti del raccolto, del lavoro fatto nell’azienda, del merito riconosciuto, della vittoria sulle forze ostili. Felicità è sempre il momento culmine di un processo, di un lavoro, di una fatica, di un merito.

Eterno giacobinismo
Questo significato nobile di benessere viene per prima degradato sul piano filosofico dagli utilitaristi inglesi e poi dai loro emuli giocobini francesi. Gli utilitaristi pongono come criteri della moralità l’aumento della felicità media, una sorta di bilancino della felicità, che non esprime il significato originario della parola, ma una sua manipolazione di senso: vuol dire diffondere al massimo il livello economico, la sicurezza, l’ onestà. E poi vengono i giacobini che vogliono dare per legge la felicità al popolo, la felicità come erogazione dello Stato, diritto del cittadino prima e del proletariato dopo. La felicità diventa una faccenda giuridico-sindacale.
E arriviamo all’ultimo passaggio: la felicità, derivata questa sì dagli epigoni del Sessantotto, vuol dire poter fare quello che ci aggrada, seguire l’impulso. Ce l’ hanno insegnato i pedagoghi che hanno considerato le opere di Rousseau come Vangelo. Il bambino non deve imparare l’alfabeto e la tabellina pitagorica a memoria, perché è una costrizione, quindi una sofferenza.

No, il nostro bambino deve essere felice, deve apprendere giocando. Il bambino cresce, deve imparare la storia, le poesie, ecc., quindi occorre la memoria, deve sforzarsi se vuole apprendere. Ma lo sforzo significa sofferenza. No, ricordi quel che vuole, impari solo quel che gli piace. E quando arriva all’università scopre che quella conoscenza fai da te non gli basta. Capisce che se vuol recuperare deve fare uno sforzo. Ci prova, ma scopre che non ha l’energia morale per dominare il proprio corpo, perché è stato abituato a soddisfare i propri impulsi, che lo portavano a seguire il piacere, non il dovere, non la responsabilità e la dignità. E, cosa ancor più grave, scopre che non è in grado di superare gli ostacoli, perché non è stato allenato a farlo. Così gli esami che deve affrontare, per diventare “dottore”, gli appaiono come tanti monti Everest. Lui è un ricercatore della felicità, la fatica non gli si addice.

Il ricercatore della felicità è abituato a desiderare di apparire, di farsi notare, mostrare il proprio corpo ben pasciuto, ben vestito. E vuole viaggiare, vedere paesaggi e persone sempre diversi. Ma per questo non ha ostacoli, ci sono i viaggi organizzati che lo catapultano in posti esotici, che spesso non sa ben decifrare a quale continente appartengano, non se lo ricorda, non ha memorizzato la carta geografica. Non importa, quel che conta è l’esserci stato, poterlo raccontare agli amici. E, giunto sul luogo magico, compera oggetti, abiti, simboli, partecipa a riti sconosciuti, l’importante che siano eccitanti. Tanto per il ricercatore della felicità una cosa vale l’altra, l’importante è fare esperienze nuove, partecipare a ciò che diverte. L’importante è essere felice, avere la sensazione di essere libero di dominare lo spazio e il tempo, abbeverare la brama di godere.

Ma poi il significato di felicità si degrada ancora di più, perché il ricercatore della felicità si trasforma in gaudente, quello che cerca solo il piacere e rifugge dal dolore, dallo sforzo, dalla fatica. Il piacere non lo cerca nell’amore, l’amore no, perché è anche cura, preoccupazione, dono di sé. Ma nel sesso, nel divertimento, nella discoteca, nella droga, qualsiasi droga, la cocaina, l’ecstasy, basta che lo aiuti a reggere una notte intera in discoteca. La felicità è sballo, perdita della coscienza di sé.
E allora si comprende perché Einstein abbia ragione da vendere quando dice che, da questi tipi di concezione di benessere e di felicità, ne sarebbe scaturita la morale dei porci. E infatti lui ci rivela che ha perseguito altri modelli: «Gli ideali che hanno illuminato la mia strada e mi hanno dato costantemente un coraggio gagliardo sono stati il Bene, la Bellezza e la Verità» (12).
È proprio guardando agli ideali perseguiti da Einstein che si è forgiata la civiltà cristiana. Conviene anche a noi usarli come forze motrici, se vogliamo uscire dal pantano morale in cui viviamo.
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Messaggio da Don Pino » mer apr 11, 2007 10:08 am

Web e bullismo, parte la crociata

Basta con il cyberbullismo: il ministro dell’Istruzione britannico Alan Johnson lancia un appello ai gestori di siti internet come YouTube. Johnson chiede di vietare la diffusione di video girati dai ragazzi in cui si mostrano atti di bullismo verso studenti e insegnanti.
In Italia si accoda il ministro della Pubblica istruzione Beppe Fioroni, sollevando un tema «che da novembre viene posto all’attenzione di tutti i soggetti coinvolti anche in Italia». Il ministro è intervenuto chiedendo genericamente «collaborazione dei gestori dei siti» nell’educazione dei ragazzi all’uso dei nuovi mezzi. Non ha parlato di censura ma di «controlli per individuare e rimuovere contenuti violenti, perché la rete è libertà ma deve esserlo per tutti e deve difendere la libertà non solo dei più forti».
E mentre i due ministri chiedono la collaborazione dei gestori dei siti web, il governo cinese ha deciso di correre ai ripari contro il dilagare della internet-dipendenza: i giovanissimi non potranno giocare on line più di 3 ore. Secondo Pechino infatti tra i 140 milioni di internauti, almeno il 14 per cento dei giovani ha sviluppato vere e proprie dipendenze.
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Messaggio da Don Pino » gio apr 12, 2007 10:53 am

Papa e Bagnasco minacciati sui muri delle «città rosse»

Dopo Genova e Torino, è toccato a Bologna e Napoli. Nuove scritte contro Angelo Bagnasco, presidente della Cei e arcivescovo del capoluogo ligure, sono comparse sui muri di una chiesa (a Napoli) e alla sede delle Acli, l’associazione dei lavoratori cattolici (a Bologna). Identico lo slogan - «Bagnasco vergogna» - scritto con la vernice rossa e senza lasciare firme, a differenza di quanto successo a Genova nei giorni scorsi dove sono comparsi anche la sigla «P38» e la stella a cinque punte delle Br.
La prima scritta contro Bagnasco è stata lasciata proprio a Genova il 2 aprile, dopo che il presidente della Cei aveva criticato duramente i Dico. Poi sono arrivate quelle di Torino, Bologna e Napoli.
Per questo Forza Italia chiede l’intervento del ministro dell’Interno: «Un filo rosso unisce i luoghi dove sono stati rinvenuti i messaggi contro Bagnasco - dice Isabella Bertolini - C’è una strategia intimidatoria dall'inequivocabile colorazione politica». «L'attenzione è massima» risponde del viceministro dell'Interno, Marco Minniti.
A Bologna, ieri mattina, la scritta «Bagnasco vergogna» è stata scoperta nel portico antistante l'ingresso del centro servizi delle Acli nella centrale via delle Lame. Gli autori hanno imbrattato anche la targa dell’associazione che ha subito fatto denuncia e ribadito «piena solidarietà al presidente della Cei». Con una promessa: «Noi al Family Day del 12 maggio ci saremo». Le istituzioni locali hanno condannato l’episodio (in Comune solo l’estrema sinistra si è astenuta, come successo a Genova). «Sono inaccettabili i tentativi di intimidazione frutto di un'intolleranza che deve essere combattuta» ha detto il sindaco, Sergio Cofferati.
A Napoli, insieme a Bagnasco è stato preso di mira il Papa. «Ratzinger e Bagnasco: vergogna!» è la scritta comparsa sulle mura della chiesa di Sant'Eligio maggiore, non lontano da piazza Mercato, nel centro storico. Per rimuoverla, ora, bisognerà aspettare il via libera della sovrintendenza.
Indagini sono in corso in tutte le città dove sono comparse le intimidazioni. A Torino le scritte (tra le quali un «Ruini, Bagnasco, Ratzinger assassini») sono state lasciate sui muri della chiesa del Santissimo Nome di Gesù, in corso Regina Margherita, nella notte tra sabato e domenica di Pasqua. Vicino all’edificio religioso si trovano facoltà universitarie, Palazzo Nuovo e alcuni centri sociali.

Lo stesso era successo a Genova: lo scorso fine settimana nei pressi di un centro sociale a Sampierdarena erano comparse le scritte «Bagnasco attento fischia ancora il vento» e «Bagnasco a morte» con tanto di stella a cinque punte e sigla «P38», l’arma usata dai terroristi (i portavoce del centro sociale hanno detto di non sapere chi sono gli autori).
Sul portone della cattedrale, lunedì 2 aprile è stata trovata la scritta «Bagnasco vergogna» fatta con la vernice bianca. Da quel giorno un agente in borghese segue l’arcivescovo nell uscite pubbliche, che non sono state interrotte. La prossima è prevista per sabato, fino ad allora Bagnasco resterà a lavorare in Curia.
«Siamo attenti ma sereni - commenta la Cei in una nota -. Vogliamo capire cosa sta succedendo, ma non vogliamo né minimizzare né enfatizzare: il rischio che si enfatizzino questi episodi c'è mentre invece occorre riportare serenità. Occorre un po’ di tranquillità».
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Messaggio da Don Pino » ven apr 13, 2007 5:09 pm

Figlioli, non avete nulla da mangiare?

Gli risposero: "No". Allora disse loro: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete". La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci”.
Quanta delicatezza nella domanda! Uno che ha fame e chiede se possono dargli qualche cosa da mangiare. Perché si manifesti l’Onnipotenza divina è sufficiente un atteggiamento compassionevole, la disponibilità, anche se non abbiamo nulla da offrire.
Le nostre sconfitte, l'inutilità degli sforzi che facciamo non devono farci ripiegare su noi stessi, delusi e scoraggiati.
Certo, la vita quotidiana è talvolta banale, o tragica, come la viviamo in questi giorni.
"Tecnicamente" parlando, c'è di che scoraggiarci! Ascoltiamo, come fecero allora i discepoli sul lago di Tiberiade, la voce di Pietro: "Io vado a pescare". E rispondiamo anche noi, come quei primi discepoli: "Veniamo anche noi con te". E ci accade, oggi, come allora: "...salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla".
Forse siamo colti da scoraggiamento, umanamente temiamo che sia tutto inutile, "perduto", vano.
Se, però, ascoltiamo la voce del Signore e le mozioni del suo Spirito, per quanto assurdo possa tutto apparire alla nostra "sapienza", sperimenteremo l'Onnipotenza di Colui che sempre "dona" ciò che "ordina".
Pensiamo ai tempi "bui" di Francesco d'Assisi. La Chiesa era nei "guai", più di oggi, probabilmente.
Ma Dio suscitò quel "pazzo" e i suoi umili compagni a sostegno della sua Chiesa.
Se avessimo Fede quanto un granellino di rena, Dio susciterebbe ancora certe forme, apparentemente assurde, di "follia": la follia della Croce!
“Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatrè grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò”.
Centocinquantatré grossi pesci, tanti quante la Nazioni allora conosciute!
Siamo anche noi invitati a salire sulla "barca" di Pietro, ad operare nella Chiesa con fedeltà, fiducia e obbedienza.
Saremo poi invitati tutti quanti al banchetto che il Signore sta preparando.
Intanto ribadiamo, con Pietro, senza umani timori e con franchezza: “... la cosa sia nota a tutti voi e a tutto il popolo d'Israele: nel nome di Gesù Cristo il Nazareno, che
voi avete crocifisso e che Dio ha risuscitato dai morti, ... Questo Gesù è "la pietra che, scartata da voi, costruttori, è diventata testata d'angolo". In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati".
Avrà, forse, la Chiesa timore di proclamarlo così come con Fede e coraggio lo proclamò Pietro?! Non sia mai detto! Sarebbe veramente la "grande apostasia"!
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Messaggio da Don Pino » dom apr 22, 2007 9:38 pm

Tu sei con noi ogni giorno

Signore, è con te che inizio questo nuovo giorno. Io vedo tutte queste
persone che vivono giorno per giorno: senza un solido sostegno, lasciate
alle tentazioni della nostra epoca. Come devo trattarle? Devo essere
triste per la loro mancanza di profondità, inquieto sul loro destino?
Signore, io te le affido e ti prego di offrirmi il tuo sguardo per
vederle.

Riflessione

Portano all'estremità di una catenella intorno al collo alcune croci come
se fossero dei gioielli. Fanno stampare sulle loro camicie l'immagine di
Gesù. È scritto: "I love Jesus", ma non lo riconoscono come Figlio di
Dio. Sono delle persone che vivono in superficie; non hanno quella
profondità che permetterebbe di prenderli sul serio. Ed è a persone come
loro che si applica la parola: "Voi mi cercate, non perché avete visto
dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati".
"Voi avete il mio nome sulle labbra, perché vedete in me qualcuno che
incita alla rivolta contro l'ordine esistente. Voi mi seguite per
sfuggire alla vostra vita quotidiana. Ma questo non è affare mio!".
Ecco il nostro modo di pensare, di noi che crediamo in Gesù, e che ci
mettiamo per così dire al suo posto. Ma il Signore non parlerebbe così.
Egli guarda la via che percorrono gli uomini. Certamente, la direzione
non è esattamente la migliore, ma tuttavia essi avanzano. Ed egli accetta
la loro andatura dicendo: "Sforzatevi di cercare il vero nutrimento".
Essi non ricalcitrano; gli domandano quale sia la via da seguire: "Che
cosa dobbiamo fare?". Una nuova speranza esiste all'improvviso per loro,
perché c'è qualcuno che non li tratta come dei superficiali.

Signore, oggi ho voluto vedere la gente con i tuoi occhi. Ed ho visto che
la debolezza dei deboli non deriva solamente dalla loro debolezza, come
la follia dei matti non deriva esclusivamente dalla loro stupidaggine.
Io non mi sono potuto impedire di pensare a te e alle persone che ti
hanno cercato dopo la moltiplicazione dei pani. Essi potevano far finta
di essere lontani, tu eri molto vicino a loro. Io te li affido, e con
loro ti affido me: accordaci la tua presenza. Amen.
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Messaggio da Don Pino » dom apr 22, 2007 9:48 pm

Un Dio Vicino

A volte é proprio quando ti viene a mancare qualcosa o qualcuno, che ne apprezzi in pieno tutta l'importanza e l'insostituibilità! Così quando manca un genitore, se ne sente l'incolmabile vuoto, quando ti rompi un osso vedi quanto sia importante anche il più
piccolo elemento del tuo corpo, quando tolgono l'acqua per la manutenzione degli impianti, scopri come sia difficile farne senza, quando ti allontani da Dio, senti la solitudine e l'abbandono, quando ti toccano sul vivo, scopri come sei vulnerabile e debole...
Questo ci dovrebbe portare, al contrario, ad apprezzare e a considerare tutto ciò che ci sta intorno, e non solo a mugugnare per quello che ci manca che, il più delle volte, non ci é neppure tanto necessario. Per questo il cristiano ogni giorno appena mette i piedi a terra, anzi appena apre gli occhi, fa sbocciare una lode al suo Creatore che provvede a lui, alla sua vita, alla vita dei suoi cari, ad ogni necessità. Per questo motivo oggi, domenica, giorno del Signore, siamo invitati ad alzare gli occhi e a contemplare tutte le meraviglie del creato che Dio ha posto a nostro servizio.
Ma senza far le cose troppo difficili, proviamo a guardare con occhio nuovo chi ci sta accanto, la sua importanza, come sarebbe la nostra vita se non ci fosse, quanti benefici ci arreca...
Ognuno di noi ha un compito ben preciso e tutti abbiamo la gioia di poter vedere, negli occhi del nostro prossimo, la luce dell'Amore di Dio, sempre, anche quando questo dovesse offenderci o denigrarci. Tutto il Signore permette per il nostro bene. Allora oggi cominciamo a guardare la nostra moglie, il nostro marito, i nostri figli, i parenti, gli amici, i conoscenti, gli sconosciuti, i simpatici e gli antipatici con uno sguardo nuovo: sono nostri fratelli in Cristo, sono Figli dello stesso Dio, sono creati a immagine di Dio.
Tutto ci parla di Dio, e nei nostri fratelli vediamo riflessa anche la sua immagine e il suo Amore. Oggi la Confessione: ricordiamola al Signore. Non é una fesseria, é l'inizio del cammino che le farà conoscere sempre di più il suo Creatore, il suo vero Padre. Che anche noi possiamo essere degni maestri nella crescita della sua fede, soprattutto con la testimonianza della nostra vita vissuta.
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Messaggio da Don Pino » mar apr 24, 2007 9:22 am

Signore, dacci sempre questo pane

Il profeta afferma: “Voi tutti assetati, venite all’acqua” (Is 55,1). Questa fonte è per chi ha sete, non per chi è sazio. Giustamente quindi chiama a sé quelli che hanno sete, che ha dichiarati beati nel discorso della montagna (Mt 5,6). Questi non bevono mai a sufficienza; anzi quanto più devono tanto più hanno sete. È dunque necessario, o fratelli, che noi sempre desideriamo, cerchiamo e amiamo la fonte della sapienza, il Verbo di Dio altissimo, nel quale, secondo le parole dell’apostolo Paolo, “sono nascosti tutti i tesori della sapienza e della scienza” (Col 2,3).

Se hai sete, bevi alla fonte della vita; se hai fame, mangia di questo pane di vita. Beati coloro che hanno fame di questo pane e sete di quest’acqua, perché, pur mangiandone e bevendone sempre, desiderano di mangiarne, e berne ancora. Deve essere senza dubbio indicibilmente gustoso il cibo che si mangia e la bevanda che si beve per non sentirsene mai sazi e infastiditi, anzi sempre più soddisfatti e bramosi. Per questo il profeta dice: “Gustate e vedete quanto è buono il Signore” (Sal 3,5). Per questo, o fratelli, seguiamo la nostra colui che ci chiama. La Vita, la sorgente di acqua viva, la fonte della vita eterna, la fonte della luce e sua sorgente ci invita in persona a venire e a bere (Gv 7,37). Lì troviamo la sapienza e la vita, la luce eterna. Lì troviamo l’acqua viva che zampilla per la vita eterna.
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Messaggio da Don Pino » sab apr 28, 2007 8:20 pm

Signore grazie per la vocazione che dai ad ognuno di noi.

Gesù dice: "Le mie pecore ascoltano la mia voce e mi seguono." Questa frase mi rimanda al vangelo di domenica scorsa. E' Pietro che ascolta la voce di Gesù che gli domanda insistentemente: "Mi ami tu?".

Seguirlo significa ascoltarlo dandogli retta, dimostrando di amarlo. Per farlo l'indicazione che Gesù da Pietro è: "Pasci le mie pecorelle", sii pastore anche tu del mio gregge. Per cui pecora del Signore è colui che si dispone a fare il pastore, come Gesù, figlio di Dio, Pastore supremo, si prende cura del suo gregge.

"Io do loro la vita eterna!", una vita che merita d'essere eterna, perché non viene a noia, una vita piena e in salita verso una piena comunione con l'unico Pastore, dal quale nulla ci può staccare.

Gesù e il Padre sono una cosa sola, e anche noi siamo chiamati a diventare un tutt'uno con loro; questo è la nostra vocazione di cristiani. Siamo invitati a nozze, ad essere assimilati a Lui, a sparire in Lui; questa è una grande prospettiva.

Signore grazie per la vocazione che dai ad ognuno di noi.
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Messaggio da Don Pino » lun apr 30, 2007 11:52 am

Come é di attualità la liturgia della Parola di oggi!

Ci sono Paolo e Barnaba che annunciavano la Buona Notizia e molta folla li seguiva e li ascoltava. I Giudei, però, cercavano di dissuadere il popolo contraddicendo le affermazioni di Paolo. Allora i due si rivolsero ai pagani, annunciando la parola di Dio, ma anche lì i Giudei sobillarono le persone importanti suscitando una persecuzione contro Paolo e Barnaba e scacciandoli dal loro territorio. Proprio come succede oggi... la storia si ripete! Ascoltavo in questi giorni gli interventi di alcuni esponenti politici di partiti dove purtroppo militano anche molti cattolici o presunti tali. Mi ha disgustato il modo violento e arroganten di scagliarsi contro il Papa, Mons. Bagnasco, la Chiesa, definendoli cattivi, senza pietà, omofobi, coloro che tentano di dividere gli uomini per metterli uno contro l'altro! Ma sono o non sono anche loro, al di là del ruolo che rappresentano, cittadini italiani con diritto di voto? E perché dovrebbe essere vietato a loro dire la loro opinione sulle cose, opinione tra l'altro autorevole, mentre a chiunque altro é concesso? E' veramente scandaloso poi come viene strumentalizzato lo sforzo del Papa e della Chiesa per portare la verità, l'unica verità, Cristo Gesù, Figlio di Dio! Dire che la Chiesa é senza pietà...ma Cristo si é fatto mettere in Croce perm egoismo, forse? Dire che la Chiesa é omofoba, quando Cristo ha perdonato l'adultera, ha mangiato con i peccatori, non si é schifato di perdonare un ladrone! Dobbiamo aprire gli occhi noi cristiani.
Stiamo seguendo Cristo è stiamo seguendo il dio denaro? Perché
poi tutto si riduce lì, a sporchi interessi, a sfavore dei deboli e degli indifesi. Stanno cercando si scardinare la famiglia, o meglio, il demonio sta cercando di farlo, perché quando avrà distrutto la famiglia, combattere testa a testa con ciascuno di noi, sarà uno scherzo per lui, e ci annienterà! Se stiamo uniti, non ce la farà a distruggere l'uomo e la terra. Bellissimo l'accostamento del vangelo con Gesù Buon Pastore. Siamo ad una svolta: con chi vogliamo stare: con Cristo Buon Pastore, o con i lupi rapaci? Non ci sono più mezze misure. Se seguiamo Pietro, siamo certi di essere forti, altrimenti... poveri noi. Non dimentichiamo il vangelo di oggi che finisce con "...nessuno può rapirle (le mie pecore) dalla mano del Padre mio" e se rimaniamo in Lui, fedeli a Pietro, al nostro Papa, nulla ci potrà vincere. Coraggio, tiriamo fuori il coraggio e testimoniamo che siamo di Cristo e non di mammona.
Sabato 12 maggio tutti a Roma nella giornata della Famiglia, non per andare contro a qualcuno, ma solo per dire che noi siamo per la famiglia cristiana, che esistono ancora famiglie che credono in questi valori, e sono la maggioranza! Essere cristiani fino in fondo non é facile, ma é bello, molto bello, bellissimo!
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