Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Omelie di Monsignor Antonio Riboldi e altri commenti alla Parola, a cura di miriam bolfissimo
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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven nov 27, 2009 10:27 am

      • Omelia del giorno 29 Novembre 2009

        I Domenica di Avvento (Anno C)



        Vegliate e pregate, Gesù è vicino
Oggi inizia, fratelli e sorelle, il grande tempo dell'attesa di Dio che viene, ossia l'Avvento, il cammino verso il Santo Natale. Così avverte il profeta Geremia:
  • Ecco verranno giorni - oracolo del Signore - nei quali io realizzerò le promesse di bene che ho fatto alla casa di Israele e alla casa di Giuda. In quei giorni e in quel tempo farò germogliare per Davide un germoglio di giustizia; egli eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra. In quei giorni Giuda sarà salvato e Gerusalemme vivrà tranquilla. Così sarà chiamato: Signore-nostra-giustizia (Ger 33, 14-16).
Forse per tantissima gente, anche battezzata, e che quindi dovrebbe sentirsi immersa nella stessa vita di Dio, tanto da percepire la. celebrazione dell'anno liturgico come un'anticamera del Regno dei Cieli, di fatto queste parole - 'anno liturgico', 'Avvento' - sono concetti astratti, lontani dalla vita interiore, dall'esperienza quotidiana, tanto che non dicono nulla. Quindi non si ritengono impegnati per nulla. Per molti l'Avvento diventa motivo di un rituale ‘pagano' che, strumentalizzando il sacro, traduce questo tempo, in una grande preparazione alla fiera delle parole, delle vanità, delle spese che conosciamo.

Proviamo invece ad entrare nel tempo di Avvento, per viverlo come un camminare sui passi della vita di Cristo, giorno per giorno, conformandoci a Lui: prima attendendoLo, poi faticando per arrivare a quella conoscenza che Lo farà esprimere, guardandoci, con le stesse parole che rivolse ai suoi apostoli nell'ultima cena: 'Non vi chiamo più servi, ma amici, perché tutto quello che il Padre mi ha rivelato, l'ho fatto conoscere a voi'.

Ricordiamoci come la Chiesa presenta l'anno liturgico: "La Santa Madre Chiesa – dichiara il Concilio – considera suo dovere celebrare con sacra memoria, in giorni determinati, nel corso dell'anno, l'opera della salvezza del Suo Sposo divino...Nel corso dell'anno, poi, distribuisce tutto il mistero di Cristo, dall'Incarnazione e dalla Natività, fino all'Ascensione, al giorno della Pentecoste e all'attesa della beata speranza e del ritorno del Signore"

Possiamo allora affermare con serenità che oggi, prima domenica di Avvento, inizia l'attesa della venuta del Signore. Un'attesa dell'irrompere di Dio nella nostra vita. Che gran giorno dovrebbe essere quello in cui Gesù entra nella nostra vita, ci forgia nella sua conoscenza fino a fare sparire le pericolose croste che si sono addensate sulla nostra bellezza, così come è uscita dal Cuore di Dio, creandoci: 'croste' che ci fanno prendere la figura di una roccia stanza vita o di un clown senza verità e storia o di un fiume inaridito o di chi sa solo raccontare ciò che non ha futuro.

Quando Gesù, venendo tra noi, si fa vicino, bussa alla nostra porta, attende che noi apriamo. Per questo, come in ogni attesa, occorre stare con le orecchie aperte, con l'animo sospeso, per percepire i passi della persona cara che si avvicina, spezzando il silenzio della notte, con il respiro della sua presenza. Così Gesù ci avverte della Sua venuta nel Vangelo di Luca:
  • In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: `Vi saranno segni nel cielo, nel sole, nella luna, nelle stelle e sulla terra angoscia di popoli, in ansia per il fragore del mare e dei suoi fluiti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con potenza e gloria grande. Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. State bene attenti che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all'improvviso; come un laccio esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia della terra. Vegliate e pregate in ogni momento, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che deve accadere e di comparire davanti al Figlio dell'uomo (Lc 21, 25-36).
Nel Vangelo Gesù ci ammonisce su quanto avverrà nella sua ultima venuta alla fine dei tempi. Ma noi sappiamo che a quel giorno ci prepariamo ora, perché la vita è un continuo 'tempo di avvento', attesa di Dio.

Viene da domandarsi seriamente. interessa ancora qualcuno l'amore di Dio che si fa vicino, come uno di noi, con il Natale di Suo Figlio Gesù? Fa ancora sussultare il cuore di gioia sapere che - anche se praticamente non ne teniamo conto -siamo con certezza 'nel Cuore del Padre'? Riempie ancora di sorriso la nostra vita il desiderio - almeno - di avere Dio vicino? Con la solita grandezza di fede Paolo VI affermava:
  • Oggi gli uomini tendo a non cercare più Dio. Tutto si cerca, ma non Dio. Anzi, si nota quasi il proposito di escluderLo, di cancellare il Suo Nome e la Sua memoria da ogni manifestazione della vita, dal pensiero, dalla scienza, dalle attività della società: tutto deve essere laicizzato, non solo per assegnare al sapere e all'azione dell'uomo il campo loro proprio, ma per rivendicare all'uomo un'autonomia assoluta, una sufficienza paga dei soli limiti umani, fiera di una libertà resa cieca di ogni principio obbligante. Tutto si cerca, ma non Dio; Dio è morto - si dice - non ce ne occupiamo più. Ma Dio non è morto, è semplicemente perduto, perduto per tanti uomini del nostro tempo. Non varrebbe la pena di cercarLo? Ecco il grande momento dell'Avvento! Tutto di fatto si cerca: le cose vecchie e quelle nuove; le cose difficili e le cose inutili; le cose buone e quelle cattive. Perché non cercare Dio? Non è Egli il 'valore' che merita la nostra ricerca? Non è forse Dio una realtà che esige una coscienza migliore? Non è forse Dio 'un problema', se piace chiamarlo così, che ci interessa da vicino? Il nostro pensiero? La nostra coscienza? Il nostro destino? E se fosse inevitabile un giorno un nostro incontro personale con Lui? E se Egli fosse nascosto, proprio perché noi Lo dobbiamo cercare? Anzi, sentite, se fosse Lui, Dio, Dio stesso in cerca di noi? (agosto 1970).
Incredibilmente stupenda, che la dice lunga su quanto Dio ci voglia bene e quanto voglia ad ogni costo incontrarci, la domanda che Paolo VI ci pone: “E se fosse Dio a cercarci?”. Credo proprio che l'Avvento sia il tempo in cui Dio cerca, in modo speciale, di farsi strada per trovare l'angolo di casa nostra dove poter finalmente nascere. E che stupendo Natale, per noi, se trovasse posto! Forse si nasconde dietro i dubbi o le sofferenze che tante volte rendono scura la nostra esistenza, come se la vita fosse una domanda in cerca di risposta.

Un fatto è certo: noi possiamo vivere ignorando Dio o mettendoLo nell'angolo delle cose da non valutare, e quindi superflue, ma Dio non ci abbandona. Lui, per riguardo alla nostra libertà di scelta, che ci ha donata, resta in attesa che noi apriamo gli occhi, sapendo finalmente scoprire il grande inganno che satana ha imbastito avvolgendo e accecando il nostro cuore con il materialismo e il consumismo.

Possono essere felicità le cose senz'anima, come il denaro o altro? Se siamo sinceri, sentiamo che ci manca nella vita 'Qualcuno'. Niente ci affascina a lungo, né tantomeno ci riempie. Alla fine, se siamo onesti, dobbiamo affermare quanto dice il libro dei Proverbi: 'Vanità, tutto è vanità'. Abbiamo davvero bisogno di Chi ci conduca oltre la vanità e povertà di questa terra, ma non sappiamo o non vogliamo metterci in ricerca.

L'Avvento è proprio il tempo in cui dovremmo aprire porte e finestre della nostra anima per sentire i 'passi' di Dio, che sta per venire tra di noi. Non è da saggi nascondere a noi stessi la nostalgia del Padre, di dignità e valori veri di vita, di amicizia profonda tra noi, nostalgia di solidarietà e fraternità, che danno senso all'esistenza E ci accostano ancor più all'amore del Padre, nostalgia insomma di Dio.

Un desiderio di 'miracolo' è in fondo ad ogni anima; i critici moderni pare siano sempre in guardia per contestarne la veridicità, la realtà, ma di fatto hanno paura. Le persone profane ne sono le più avide e più curiose; i fedeli, si, sarebbero felici di vedere un miracolo, ma nello stesso tempo sanno che questo è una forma eccezionale e rarissima di cui il Signore a volte si serve per mettersi in contatto... Il Signore ci vuole normalmente condurre a Sé, non per le vie di queste esperienze eccezionali, ma visibili. Egli segue altre vie, spirituali e morali: quella della fede, dell'amore, dell'esempio dei santi, da cui traspare il loro rapporto con Dio.

In questo tempo di Avvento, di attesa, proviamo a metterci sui passi della Madonna. Maria sapeva di portare nel seno Qualcuno che veniva direttamente dal Cielo: 'opera dello Spirito Santo', le aveva annunciato l'Angelo. Nell'ultimo mese, che la separava dal Natale, cosa provava nell'attesa di quel Figlio, che veniva direttamente da Dio? La sua attesa certamente sarà stata un intenso desiderio di 'vedere' la meraviglia di questo Bambino. Dovrebbe essere così il nostro tempo di Avvento.

Ci ispiri, Maria Santissima, gli stessi suoi sentimenti, per entrare nella grande gioia del Natale. Preghiamo:
  • Padre nei cieli, tutti guardiamo con attesa al futuro:

    abbiamo bisogno di speranza.

    Attorno a noi vediamo tanti problemi nelle persone,

    nelle famiglie, nella vita sociale e politica.

    A volte abbiamo l'impressione che il male sia più forte del bene,

    che l'egoismo prevalga sull'amore,

    che la discordia distrugga la pace.

    Abbiamo bisogno di speranza.

    Nel Tuo Figlio, fatto uomo per noi, Tu ci hai fatto una promessa di bene: rafforza la nostra fiducia in Te, alimenta la nostra speranza.

    A tutti un augurio di vivere l'Avvento, come attesa di Dio tra noi.


Antonio Riboldi – Vescovo –

Internet: www.vescovoriboldi.it

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven dic 04, 2009 4:40 pm

      • Omelia del giorno 6 Dicembre 2009

        II Domenica di Avvento (Anno C)



        Preparate la via del Signore
Viene subito da chiederci: ma la voce del profeta Giovanni o la voce della Chiesa, oggi, viene accolta? E sappiamo tutti come sia urgente 'raddrizzare i sentieri del Signore'. È una felice consuetudine dei nostri Pontefici, a cominciare dal grande Giovanni Paolo II, percorrere, sulle orme di san Paolo, tutte le vie del mondo, quasi volessero circondarlo di sciabolate di luce, condire i discorsi con vere catechesi o annunci, cercare i dibattiti con i giovani; e sono questi i momenti più esaltanti, forse anche più veri, almeno sul piano umano.

Amano tanto i giovani, lo sappiamo tutti e i giovani amano loro. Vi è una consonanza straordinaria tra le attese dei giovani, la loro innata voglia di verità e il desiderio di risposte autentiche, che è come se i giovani e il Papa si conoscessero da sempre. Si lasciano tranquillamente interrogare, come del resto farebbero tutti i saggi maestri di vita: invitano, anzi, i giovani, a rompere l'oscurità e la nebbia che avvolge la speranza; e i giovani non esitano un istante a raccontare le difficoltà che incontrano, sperando di trovare nelle parole del Santo Padre un senso di orientamento che aiuti a continuare il cammino.

In uno di questi colloqui, a Torino, in occasione del centenario della morte di san Giovanni Bosco, i giovani chiesero: 'Lei pensa che pace, sviluppo, solidarietà nel mondo siano solo ideali, ma irraggiungibili, o invece sono obiettivi concreti? E i giovani cosa possono fare?'. La risposta fu veramente degna di Giovanni Paolo II, della sua grande fede, che si estendeva alla buona volontà di tanti giovani: 'Potete essere ciò che gli uomini attendono da voi, se vi decidete ad agire. Solo abbiate la purezza delle motivazioni, che vi rende trasparenti; il respiro della speranza, che vi fa costanti; l'umiltà della carità, che vi rende credibili. Oso dire che un giovane della vostra età, che non dia, in una forma o in un'altra, qualche servizio per i fratelli non può dirsi cristiano, perché sono tanti e tali le domande che nascono dai fratelli e dalle sorelle, che ci stanno attorno'.

Ed è così. Basta fare due passi tra le gente che riempie strade, case, negozi, per cogliere il senso di smarrimento, di solitudine, fino all'angoscia. O basta una mattina scorrere le pagine di un giornale, per imbatterci in cronache o in analisi, che sembrano volerci costringere a mettere definitivamente nel regno delle utopie, ossia di realtà che non incontreremo mai, i desideri di civiltà o felicità.

E questo senso di smarrimento non lo si prova solo osservando ciò che succede attorno a noi, ma a volte ancor più se guardiamo nel profondo della nostra vita. A volte ci troviamo così confusi, anche noi avvolti nella nebbia, da girare per i vicoli della nostra vita quotidiana, non con il sorriso di chi cammina in piena luce, anche se si arranca sul Calvario, ma con la tensione di chi si sente fuori strada e teme di cadere in un burrone.Dio conosce questa nostra infelicità o questa nostra incapacità di vivere serenamente, 'come un bimbo in braccio a sua madre'.

Pare di essere al momento della creazione, quando Dio disse ai nostri progenitori: 'Vuoi accogliere l'amore che ti dono e diventare simile a me? Vuoi condividere la mia vita?'. È la stessa domanda che ci fa oggi, a tutti. Ma l'uomo, tentato dalla superbia, che forse non sopportava e non sopporta di condividere la vita con Qualcuno, ma voleva e vuole 'essere qualcuno', disse e dice: no.Testardi, come testarda è la superbia, che preferisce spaccarsi la testa contro il muro, piuttosto che spalancare gli occhi e il cuore sulla Luce. E la Luce c'è: è Dio che si è fatto UNO di NOI e vuole vivere con noi.

Di fronte a questo amore, che dal Cielo irrompe sulla terra, come se a Dio esplodesse il Cuore, così il profeta Baruc, oggi, ci esorta:.
  • Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell'afflizione, rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti il manto della giustizia di Dio, metti sul capo il diadema di gloria dell'Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore ad ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre 'Pace della giustizia e gloria della pietà. Vedi, i tuoi figli, riuniti da occidente ad oriente alla Parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. Si sono allontanati da te, ora Dio li riconduce. Poiché Dio ha stabilito di spianare ogni montagna e le rupi secolari, di colmare le valle e spianare la terra, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio (Baruc. 5, 1-9).
Anche noi, oggi, in questo prezioso tempo di Avvento, che celebra il ritorno di Dio tra noi, cosa possiamo fare per spianare la strada a Dio? Ci sentiamo dentro troppe montagne o troppi abissi e ci pare impossibile creare una `via piana' a Dio. È proprio così. Sono quei burroni che ci siamo scavati nel tempo, con le nostre ottusità e infedeltà, fino a rischiare che diventino abissi, che quando ti inghiottono difficilmente ti restituiscono alla vita. Sono quelle colline di piccole e grandi superbie, di cui abbiamo costellato la vita, facendone come una catena che imprigiona e non apre alla venuta del Signore.

L'ordine di Dio è di colmare burroni e spianare colline, fino a creare una grande strada su cui poter correre verso di Lui. È possibile tutto ciò?

Ho sotto gli occhi una lettera di un mio grande amico. È uno che è stato tristemente famoso per le sue gesta: gesta spengono la speranza e portano la disperazione. Lo incontrai in carcere. Ci teneva a dirmi che non si sentiva cristiano. Non riuscivo neppure a ribattere alle sue affermazioni, che arrivavano come schiaffi in faccia alla mia fierezza di esserlo.

Aveva un volto duro, scavato da un'esperienza amara, fatta forse per un amore sbagliato verso la società, più che per una reale cattiveria; una durezza che però non appariva nei suoi occhi, al contrario, esprimevano dolcezza. Si accorse della mia sofferenza non meritata e riparò raccontandomi del come stesse vivendo quel periodo. Dipingeva molto bene. Mi fece vedere un suo quadro, che dava esattamente la percezione di una vita 'in gabbia', ma anelante alla libertà.

Spiccava in primo piano una finestra con sbarre, in una forte tinta blu e sembrava l'urlo di disperazione del trovarsi dentro quella cella. 'Fuori', oltre le sbarre, una pianta ed un pastore, dipinti con colori tenui, dolcissimi, come sono quelli della libertà e più ancora quelli della salvezza, che Dio opera in noi. Si accorse del mio stupore e confermò la mia impressione. 'Lì - gli dissi - tra le sbarre ci sei tu che ti parli o vuoi parlarci. Ma quando sarai quel pastore tra mille colori di salvezza?'.

Non osai chiedergli se avesse mai alzato gli occhi al Cielo, che tra l'altro sapeva dipingere molto bene, un cielo privato di Dio.

Nacque tra noi una profonda amicizia. Quanti burroni doveva colmare questo mio amico. Ce la farà?'- mi chiedevo.

Si dette non solo alla pittura, ma cominciò a donare speranza ad altri, che erano come lui. E piano piano non si sentì più come uno che è dietro le sbarre ed ora 'è il pastore' che insegna e gode libertà. Il diaframma di quella sezione dipinta di blu (l'isolamento dipinto nel quadro) cominciò a cedere e così uno dopo l'altro, anche se lentamente, si aprirono dei varchi verso un cielo aperto e libero all'orizzonte. Ho visto il suo viso sollevarsi verso il Cielo stellato, dimenticato per troppi anni. Ora parla un altro linguaggio, come uno che ha demolito monti e colmato valli e sogna di avere una famiglia, figli e lavoro. Mi racconta che ad una mostra di pittura presentò il suo quadro e tanti tentarono di acquistarlo. Ma lui ha risposto a tutti: 'E' di Antonio vescovo'.

Mi pare adatta a lui e a tanti di noi, una preghiera detta da 'un pagliaccio':
  • Signore, sono un fallito, però ti amo. Ti amo terribilmente, pazzamente, che è l'unica maniera che ho di amare, perché io sono un pagliaccio.

    Sono vari anni che sto nelle Tue Mani e presto verrà il giorno che io volerò a Te,

    La mia bisaccia è vuota, i miei fiori appassiti, mi consola la Tua tenerezza.

    Sono davanti a Te come una brocca vuota e se vuoi però con questa creta puoi farne un'altra come a Te piace. Signore, accetta l'offerta di questa sera.

    La mia vita come quella di un flauto è piena di buchi, ma prendila nelle Tue Mani divine.

    Che la Tua musica passi attraverso me e sollevi i miei fratelli; sia per loro come un ritmo che accompagni il loro cammino, allegria semplice dei loro passi.
Verrebbe la voglia di pregare, perché in questo tempo di attesa del Natale, ci siano tanti di questi `pagliacci' e tra questi anche noi.
      • 8 Dicembre - Solennità dell'Immacolata Concezione di Maria
La Chiesa oggi, giustamente, fa grande festa per il Dono di Dio, che è Maria, concepita senza peccato originale, quindi purissima, perché era destinata ad accogliere nel suo seno il Figlio di Dio, Gesù. Quale dono e quale grazia: anche perché Maria non è solo la Mamma di Gesù, ma Gesù dalla croce ce l'ha donata come Mamma nostra. Noi la salutiamo con il canto della Chiesa:
  • O donna gloriosa, alta sopra le stelle,

    tu nutri sul tuo seno il Dio che ti ha creata.

    La gioia che Eva ci tolse, ci rendi nel tuo Figlio e dischiudi il cammino verso il Regno dei Cieli. Sei la via della pace, sei la porta regale; ti acclamino le genti redente dal Signore.

    A Dio Padre sia lode, al Figlio e allo Spirito Santo, che ti hanno adornata di una veste di Grazia. Amen


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun dic 14, 2009 8:33 am

      • Omelia del giorno 13 Dicembre 2009

        III Domenica di Avvento (Anno C)



        Natale è vicino: che cosa dobbiamo fare?
Credo che tutti avvertiamo il particolare clima natalizio, che è attesa di 'novità', o di gioia, a seconda di come viviamo questo incredibile evento di Dio che viene a noi, come uno di noi, per farsi carico della nostra vita e trasformarla. Davanti a questo Evento divino - non c'è altro aggettivo per definirne la sublimità - cosi, oggi, esprime la sua gioia il profeta Sofonìa:
  • Gioisci, figlia di Sion, esulta Israele, e rallegrati di tutto cuore, figli di Gerusalemme. Il Signore ha revocato la sua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d'Israele è il Signore in mezzo a te, tu non vedrai più la sventura. Il quel giorno si dirà a Gerusalemme: 'Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un Salvatore potente'. Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il Suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa” (Sof. 3, 14-18).
E Giovanni il Battista, nel deserto, suggerisce di attendere Gesù con parole chiare: mettere alle spalle gli sbagli, che ci separano da Dio. Immagino con voi la scena descritta dal Vangelo di oggi. L'evangelista Luca la situa nel deserto, il luogo che Giovanni aveva scelto per annunciare la venuta del Messia, che avrebbe dato certamente una risposta alla domanda di salvezza dell'umanità: salvezza da sempre invocata, anche se non si sapeva dare un volto a questa ricerca, ed è forse così anche oggi.

Siamo come assediati, almeno in apparenza, da troppi fatti, che mettono in dubbio la stessa speranza e il desiderio di una possibile pace, giustizia e serenità. ‘Non se ne può più' si sente affermare tante volte. E diventa nostra la preghiera del Salmo 62: "O Dio, Tu sei il mio Dio, all'aurora ti cerco; di Te ha sete l'anima mia; a Te anela la mia carne, come terra deserta, arida, senz'acqua". Ma nel deserto non arrivano le voci scomposte del mondo: il deserto evangelico, per chi davvero ha sete di serenità, di gioia, di Dio, si riempie della Sua Presenza. Ci andrà anche Gesù, e tante volte.

Il deserto è inospitale, eppure tanta gente di ogni condizione andava a vedere e sentire Giovanni, il Battista: gente andante - e forse è ancora così anche oggi, per tanti - che cerca la sorgente della vera acqua. Giovanni, con la sua vita spoglia delle scorie del mondo, dava il senso della verità. Faceva venire la voglia di gettarsi a capofitto nel Giordano, per essere battezzati, in quello che era chiamato `battesimo di penitenza o conversione'. A cercarlo, era - ed è forse anche oggi così gente semplice, comune, che, per entrare in una mentalità nuova, che onorasse la dignità della vita, riportasse la pace nel cuore, era disposta a cambiare vita.

Giovanni Battista dava consigli pratici, del tipo: 'chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha e chi ha mangiato faccia altrettanto'. Oppure a quanti esigevano troppe tasse, per intascarne una parte, o facevano prestiti onerosi, come i pubblicani,: 'non esigete più di quanto è fissato'. Ai soldati, che praticavano il diritto alla razzia e al saccheggio nei territori occupati: ‘Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, ma contentatevi delle vostre paghe'.

Viene da pensare alla grande schiera dei nostri contemporanei, che vivono nella loro sicurezza senza condividere nulla con chi lotta per la sopravvivenza; alla spaventosa massa di criminali, che fanno dell'usura, della rapina o del furto, più o meno palese, più o meno coperto o a volte ‘legalizzato', la regola per 'far fortuna'. Magari tutti costoro ascoltassero Giovanni il Battista! Tutti coloro che accorrevano da Giovanni, pensavano fosse lui il Messia. Il Vangelo di oggi ci aiuti a convertirci:
  • Le folle interrogavano Giovanni, dicendo: 'Cosa dobbiamo fare? : Rispondeva: "Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha e chi ha mangiato ne dia a chi non ne ha'. Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: 'Maestro, che dobbiamo fare?'. Ed egli disse loro: 'Non esigete nulla di più di quanto è dovuto e fissato'. Lo interrogavano anche alcuni soldati: 'E noi che dobbiamo fare?: Rispose: 'Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe'. Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo. Giovanni rispose a tutti dicendo: lo vi battezzo in acqua, ma viene uno che è più forte di me, al quale io non sono degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali; costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia, per raccogliere il frumento nel granaio, ma la pula la brucerà con fuoco inestinguibile'. Con molte esortazioni annunziava al popolo la buona novella". (Lc. 5, 10-18)
Credo che anche a tutti noi, che seriamente ci prepariamo ad accogliere Dio, che sta venendo tra di noi, - anzi che attende già oggi alla porta di 'casa nostra' - riconoscendoci tutti peccatori, - speriamo non incalliti!- e conoscendo le nostre imperfezioni, venga spontanea la domanda: 'Ed io che cosa devo fare?'. Non penso vi sia qualcuno che si senta talmente santo, da non aver bisogno di porsi questa semplice, ma esigente, domanda: 'Cosa devo fare?'.

Allora era Giovanni che dava una risposta a chi si rivolgeva a lui, ad ogni categoria di persone. Oggi è il Vangelo che guida, sono certo, la nostra retta coscienza, a porci la domanda. Sarebbe davvero un grave danno per la nostra vita – quella dello spirito che conta davvero – se non ce la ponessimo, rimanendo dove siamo, senza tener conto di 'come siamo' agli occhi di Dio. Tutti abbiamo bisogno di capire chi siamo, senza paura, con tanta fiducia, perché c'è Chi sa capire e, se incontra il nostro pentimento, è pronto a cancellare tutto, mettendoci le braccia al collo, come avvenne con il figlio prodigo.

Il Vangelo, continuando il racconto, narra che alcuni rimasero a vivere con Giovanni, altri se ne tornarono a casa propria – si spera diversi da prima - . Capita a volte, a noi pastori di anime, di sentirci come Giovanni il Battista. É tanta la gente, di ogni tipo, giovani o adulti, che viene a volte a raccontarci la propria nausea per quello che sente dentro, per come vive. Gente disposta, per Grazia di Dio, spinta da Lui, a 'tuffarsi nel Giordano' per cambiare vita o almeno capire la ragione del grande, a volte insopportabile disagio della vita interiore, ma con la paura che nulla cambi. E da soli, davvero, si può fare poco... ma sta venendo Natale di Gesù, anzi, Gesù è già venuto, è tra noi, a darci la certezza che tutto può cambiare!

Un giorno vennero dei giovani e mi invitarono ad una manifestazione per la pace, in un grande centro, teatro di tradizionale violenza di ogni tipo, dagli omicidi alle estorsioni. C'era in tutti una gran voglia di occupare una volta per tutte quelle strade, che sembravano proibite alla libertà, al diritto della persona di vivere con dignità. Era uno schierarsi apertamente dalla parte dell'amore contro la violenza. Si partì in pochissimi. Ma, lentamente, la gente si fece vincere dal desiderio di essere persone vive, senza paura, forti del coraggio che viene dalla coscienza buona, che non tollera più offese alla propria dignità. Facile immaginare l'entusiasmo di quei. giovani. Durante la manifestazione, qualcuno mi fece una domanda simile a quella che ponevano a Giovanni: 'Padre, ed ora cambierà qualcosa nella nostra città?'. 'Siete davvero discepoli di Gesù?' - chiesi, lasciandoli un po' perplessi. Alla fine risposi: 'Se l'uomo, ogni uomo, non cambia interiormente - come ‘battezzati nel Giordano' dico oggi - può darsi che ottenga che questa criminalità oggi finisca, ma se l'uomo rimane quello che è, inginocchiato davanti al dio denaro e al dio potere, presto o tardi ne sorgeranno altri'.

Mi si fece vicina una ragazza, che chiese di poter camminare accanto a me. Mi accorsi presto che era una tossicodipendente, ma il suo volto ispirava tanta tenerezza. ‘Perché lo fai?' chiesi un poco ingenuamente, alludendo alla droga. ‘Perché lo faccio? – mi rispose – perché è bello. Cosa mi avete insegnato voi preti di diversamente bello? Chi è mai Cristo, che voi dite essere la verità e la gioia? Se veramente è quello che voi dite che sia, perché non si fa vedere?'. Uscivano domande ed imprecazioni a getto continuo, che erano urla di disperazione.

Faceva veramente compassione quel volto sfregiato dalla confusione e dal dolore. Non aveva vergogna di buttarmi in faccia il suo animo, che forse aveva sognato una vita bella e si era trovato, senza che lei ne sapesse spiegare il perché, in una palude, che non offriva uscite. Urlava tanto da attirare l'attenzione dei vicini. Io non osavo neppure interrompere e mi lasciavo sommergere da tutta quella rabbia. 'Cosa posso fare?' furono le sue ultime parole - la stessa domanda rivolta al Battista. Chinammo il capo tutti e due, come in cerca di risposte. Nel silenzio mi passavano davanti agli occhi tantissimi come lei, fino a confondermi. Più tardi presi un foglio e scrissi questa preghiera:
  • Signore, questa sera, non ho più voce, se non per dirti parole vuote: insegnami a pregare.

    Signore, non so più trovare in questo mondo, pieno di voci che tradiscono, la voce che giunge a Te: insegnami a pregare. Signore, ora ti sto gridando che la mia vita e di tanti è cosi vuota di senso, che non vogliamo neppure credere che il vero senso della vita sei Tu: insegnami a pregare.

    Signore, ci rimproveriamo che ormai siamo incapaci di amare ed intento non ci ricordiamo che ogni amore viene da Te: insegnami a pregare.

    Signore, questa sera, vorrei farTi vedere a questa mia sorella, che è sfatta da una vita sbagliata e il mio volto è diventato un pezzo di ghiaccio per il dolore che vivo con lei: insegnami a pregare. Signore, sono confuso al punto che mi pare di vivere balbettando, non sapendo neppure più cosa dire: insegnami a pregare.

    Signore, vorrei regalare a questa mia sorella e a tantissimi come lei, un sorriso che dica 'Dio ti ama teneramente come la pupilla dei Suoi occhi' ed invece ho gli occhi pieni di lacrime.
Le feci avere la preghiera. Quella ragazza, si chiamava Nadia, mi rispose: ‘Le avevo chiesto di tenermi compagnia, perché mi sentivo insicura. Lei ha accettato di cuore ed io l'ho sommersa con la mia rabbia e con la voglia di uscire da questo tunnel. Le ho fatto tanto male?'. Incontrandola le diedi la risposta: 'Non importa, quello che conta è che tu ora abbia intravista la speranza'. Oggi Nadia è diversa, tutt'altra cosa. Per Nadia, quel giorno, è stato Natale



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven dic 18, 2009 10:55 am

      • Omelia del giorno 20 Dicembre 2009

        IV Domenica di Avvento (Anno C)



        Beata te che hai creduto
Sono giorni questi in cui si respira l'aria del Natale e, per chi crede, è la gioiosa attesa dell'Evento divino, difficile da descrivere a parole, che è Dio che viene tra noi, uomo come noi, per aprirci le porte della salvezza. I pochi giorni che ci separano dal Natale dovrebbero essere giorni di grande gioia dello spirito. La stessa gioia che la Chiesa ci offre oggi nel racconto dell'Incontro di Maria con sant’Elisabetta, che esclama: 'Beata te che hai creduto'.

Mi capita sempre, visitando i santuari mariani, da Lourdes a Fatima, di essere come afferrato da un che di soprannaturale che scuote ‘dentro’: come se ancora una volta la Mamma celeste ci venisse incontro a visitarci, come fece con la cugina Elisabetta. Non si staccherebbero mai gli occhi dalla piccola statua a portata di mano. Pare che immediatamente si stabilisca un dialogo, cuore a cuore, che ti strappa letteralmente fuori dal solito mondo in cui viviamo, per immergerci in un altro che sogniamo, ma che a volte crediamo impossibile. Li la fede si fa certezza; presi per mano da Maria, la fede si fa conoscenza ed esperienza dell'amore di Dio. Lì, nella fede e nella preghiera, si sciolgono tanti nodi 'dentro', 'nodi' che la nostra ignoranza, per non dire altro, giorno dopo giorno ha costruito. E, alla fine, è come se in noi 'sussistesse il divino', che si è risvegliato. Viene spontaneo dire: 'Ora mi sento felice! Vorrei quasi che il viaggio finisse qui, per conservare intatta la pace e serenità che provo'.

Doveva essere davvero immenso lo stupore e la gioia della giovane Maria dopo l'annunciazione che sarebbe diventata Madre di Dio: una gioia che vuole condividere con Elisabetta, come ad averne conferma. E corre da lei. A Fatima, se si è avuta la gioia di andare, ricorderete come sul frontale della basilica campeggiano le parole di Elisabetta a Maria: 'Beata te, che hai creduto'. Così racconta l'incontro l'evangelista Luca:
  • In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto dà Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: 'Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento della parola del Signore!: Allora Maria disse: 'L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della Sua serva' (Lc. 1, 39-48).
La Madonna era giovane, giovanissima. Non sognava neppure le 'grandi cose' che sogniamo a volte noi, abituati a 'sognare ambiziosamente le cose del mondo'. La Sua inimitabile umiltà, unita alla povertà, certamente la portava continuamente a contemplare la bellezza di Dio, vivendola poi nella semplicità della vita. Nulla poteva attrarla qui, perché nulla incuriosiva il suo cuore, solo attratto dall'amore di Dio e dalla sollecitudine per i fratelli, come verso Elisabetta.

La sua vita quasi non era avvertita da chi le viveva vicino, i suoi compaesani: Dio la teneva gelosamente nascosta agli occhi del mondo, per renderla tutta Sua. E sarà così con quel 'piena di grazia, il Signore è con te'. Così la semplicità e la povertà diventano luoghi in cui Dio si compiace di coltivare l'Opera più grande che sia possibile realizzare in una creatura: diventare Madre di Dio, farsi strumento docile del progetto incredibile di amore del Padre, che tanto ama il mondo, da affidare al cuore e alle mani di questa creatura, da Lui stesso plasmata, il Suo Figlio; mandarlo tra di noi, come uno di noi, passando per il grembo di una vergine, in modo ineffabile, per opera dello Spirito Santo.

Lontana da lei, Elisabetta, non più giovane e, avendo consumata l'età di poter generare un figlio, soffriva serenamente la sua sterilità. Anche lei una donna che aveva una grande intimità con Dio, di cui si fidava. Non sapeva che la sua non era sterilità, ma l'attesa di diventare 'madre al tempo giusto', non per volontà umana, ma per un disegno e dono di Dio. Sarà madre di Giovanni Battista.

L'incontro delle due donne diventa così l'incontro di due 'annunci dal Cielo', che le renderanno protagoniste di promesse divine. Questi due atti di fede si incontrano nella visita di Maria alla cugina Elisabetta, dove hanno la conferma che è proprio veto quello che Dio ha annunciato.
  • Ecco, - dice Elisabetta - appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell'adempimento della parola del Signore! E Maria risponde: L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della Sua serva.
E così, 'due povere donne' agli occhi del mondo, che, nella loro umiltà forse non osavano neppure alzare gli occhi al Cielo e tantomeno avevano pretese di segni particolari, per sentire la presenza di Dio, diventano il 'luogo' della manifestazione stessa di Dio. Quanti insegnamenti da questo episodio evangelico. Ci richiama al nostro dovere di carità, di farsi vicini o visitare tanti, per portare serenità e gioia. Soprattutto verso chi non sta bene o è afflitto.

Era un giorno di Natale, in quei momenti in cui, dopo le solenni celebrazioni, si aspira ad un momento di riposo. Venni invece invitato a fare visita ad una famiglia disastrata sotto ogni aspetto. ‘Lì, Padre, - mi si disse - c'è bisogno di portare l'annuncio che Dio è vicino ed ama. Se non nasce li, Lui nato in una mangiatoia, dove dovrebbe nascere?'. Si trattava di una famiglia davvero emarginata, tagliata fuori da ogni attenzione. Abitava in un tugurio, da far sembrare la grotta di Betlemme una reggia. Salendo una scala, che metteva in difficoltà lo stesso equilibrio, venni circondato da quattro bambini, dai quattro agli otto anni. Si rincorrevano silenziosamente, apparendo e scomparendo come topolini. In una stanza, che era probabilmente il solo luogo di ritrovo della famiglia, c'era il padre alcolizzato, con in mano una bottiglia, che non si accorse neppure di chi entrava. In un angolo, che alcuni volontari avevano cercato in tutti i modi di rendere presentabile, giaceva a letto la mamma. Aveva il petto letteralmente divorato dal cancro. Era evidente che soffrisse moltissimo. Ormai i medici non le avevano dato speranze e per lei, dato il suo stato di salute, non c'era più posto tra gli uomini, neppure tra i malati.

Del resto, non ne aveva mai avuto uno, per tutta la vita. Nonostante un'esistenza provata ai limiti della sopportabilità, nonostante il dolore che l'attanagliava, nonostante il suo sentirsi lontana da ogni affetto e aiuto, come non fosse una creatura di Dio, nonostante tutto... aveva due occhi di cielo, trapiantati in una palude. Era insopportabile il cattivo odore che impregnava anche i nostri abiti. Si fece di tutto per ridonare a quell'ambiente un decoro umano. 'So che devo morire - mi disse - e non mi importa. Sono stanca di soffrire. Ho solo tre desideri: che qualcuno si prenda cura dei miei bimbi, di poter assistere ad una Messa celebrata qui. Ma verrà Gesù fino a me? Non si spaventerà di questo ambiente, di tutti noi che ci abitiamo? Ed infine vorrei poter trascorrere i miei ultimi giorni in una stanza di ospedale, pulita, per sentirmi anch'io un essere umano'.

Le risposi: 'Per la Santa Messa gliela celebro oggi stesso, cosi Gesù celebra il suo Natale qui'. In breve tempo, con quanti vivevano la carità con me, la camera fu preparata. Celebrai la Santa Messa con attorno all'altare improvvisato i quattro ragazzini, che apparivano e sparivano ancor più velocemente, perché avevano percepito che in casa c'era festa: era il loro modo di parteciparvi. Attorno al letto vi erano i cari volontari, giovani che non riuscivano a nascondere la commozione. E di fronte quella donna, Maria, che letteralmente si beveva tutta la celebrazione con gli occhi, come se davvero fosse presente alla nascita di Gesù. Continuava a ripetere: 'Che bello! Se il Natale è cosi bello da me, come sarà in Paradiso? Non c'è più bisogno che trovi una bella stanza per vivere i miei ultimi giorni: sono certa che la bellezza e l'amore che ci ha portato Gesù, durerà per i pochi giorni che restano'.

È stata un'esperienza – tra tante altre – che mi ha educato a vivere con amore. E Natale ci insegna che non è più tempo di sole parole, ma di amore fattivo. È tempo di aprirci all'Amore che Dio ha per noi, per poi donarlo agli altri, come fu per Maria Santissima e santa Elisabetta.

È tempo di generosità. È tempo di rinunciare a tante futilità, che rischiano di mettere in un angolo Gesù, che viene tra noi. Un sorriso, una mano che si apre ai poveri, un atteggiamento di tolleranza, che diviene accoglienza, verso chi già è più fragile, perché si sente 'straniero in terra straniera', e i tanti infiniti modi di dire, anche ai più vicini, che li si ama, che siamo contenti di essere amati, diventano il grande annuncio degli Angeli: 'Oggi è nato per noi il Salvatore!'. Ma saremo capaci? Preghiamo:
  • Gesù, quando hai voluto condividere la nostra avventura umana,

    per indicarci la strada della vera vita,

    Tu, Signore, hai assunto la nostra carne mortale,

    Ti sei rivestito della nostra umanità,

    hai offerto la tua Persona al Padre,

    perché in Te trovasse compimento

    la speranza di tutta l'umanità.

    Anche noi ti presentiamo la nostra vita,

    ti offriamo le nostre persone, noi stessi,

    per divenire collaboratori al Tuo progetto di amore e di salvezza.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » lun dic 28, 2009 8:53 am

      • Omelia del giorno 25 Dicembre 2009

        Natale del Signore (Anno C)



        Vi annuncio una grande gioia: è Natale
Il Natale di Gesù è sempre stato un giorno di particolare festa, dolcezza e voglia di pace, come se quella notte di Betlemme, con tutto il suo divino fascino, non avesse perso nulla dell'incommensurabile Evento, che vedeva Dio in persona 'gridarci' qui, ora, sempre, quanto è profondo, fedele ed immenso il Suo Amore per noi. È tanta la dolcezza del Natale che quasi la si tocca con mano: è come avere riscoperto in noi la bellezza di essere amati da Chi è Amore ed origine di amore, Dio.

E risuona, come fosse un presente, il canto degli Angeli: 'Gloria a Dio nel cielo e pace in terra a tutti gli uomini che Dio ama'. Accostarsi al Natale con fede, meglio ancora 'vivere' il Santo Natale, è provare la grandissima gioia dei pastori, che obbedirono all'invito dell'Angelo di andare alla grotta, perché là era nato il Salvatore del mondo, Gesù, il Figlio di Dio.

E Dio sa come il nostro tempo abbia davvero bisogno di tornare ad avere fiducia e credere nell'incredibile e meraviglioso Dono, che è Gesù, nato tra noi, per stare per sempre con noi. Sappiamo tutti come nella mente del Padre la creazione dell'uomo avesse un solo scopo: riempire il Cielo di noi, Sue creature e figli, formati a Sua immagine e somiglianza. Creature che, secondo il progetto del Padre, avrebbero dovuto partecipare alla Sua stessa gioia ed immortalità. E così fece. Ma l'amore è sempre, per sua natura, un dono che viene dato gratuitamente ed accoglierlo è esercizio di libertà - non può essere che così. Non si ama né si corrisponde all'amore per forza. Mai. Non sarebbe più amore.

Ed è l'amore - questa vera somiglianza con Dio, se abbiamo conservato l'immagine della nostra creazione, senza farla distruggere dalla superbia, come i nostri progenitori - la grande ed inestinguibile sete di ogni uomo. Possiamo avere poco o nulla, ma quando si è amati e si ama ci si sente davvero ricchi. Ma l'amore è anche una 'conquista': ha sempre bisogno di 'fare pulizia' della nostra grettezza, che si perde in tante cose, che amore non sono.

Il Natale è una grande occasione: è la scoperta sorprendente dell'Evento più stupendo per noi uomini. È Dio che, di fronte all'uomo, resosi per superbia 'esule', privo della vera sua ragione di esistere, l'amore del Padre, fa il primo passo, scioglie la nostra solitudine venendo tra noi, condividendo tutto della nostra povertà senza di Lui. Lasciamoci coinvolgere e sorprendere dalla Sua visita, attraverso il racconto che ne fa l'evangelista Luca:
  • Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nazareth e dalla Galilea, salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme, per farsi registrare con Maria sua sposa che era incinta. Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché per loro non c'era posto nell'albergo. C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento, ma l'angelo disse: 'Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: vi è nato nella città di Davide un Salvatore che è il Cristo Signore. Questo per voi un segno: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una mangiatoia'. E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 'Gloria a Dio nel più alto dei cieli e Pace in terra agli uomini che Egli ama'. Andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il Bambino che giaceva nella mangiatoia... I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio, per tutto quello che avevano udito e visto" (Lc. 2, 1-20).
Ma quella notte santa, il Natale, non è un fatto storico irrepetibile, come di altri tempi. È l'Evento divino destinato oggi a noi, forse increduli o forse assetati di una gioia che cerchiamo là dove non può essere, o di cui troviamo un assaggio, quando incontriamo qualcuno o tanti che ci amano ed amiamo, perché si può vivere con poco, ma mai senza amore. Un segno della necessità di amare, facendosi vicini a chi non è amato, è la grande diffusione di gesti di carità verso i poveri, in tutte le città e chiese. Più che un augurio dovrebbe essere un segno, una certezza di fede, che i poveri altro non sono che Gesù che ci attende nella povertà della mangiatoia.

C'è nel Vangelo una piccola frase, che descrive il rischio, che tutti corriamo, di rifiutare Gesù nel povero: ‘Non c'era posto per loro in albergo'. Come si vorrebbe fosse sempre evitato questo atteggiamento, che causa sofferenza, ma anche 'impoverisce' e danneggia chi vive il rifiuto dei fratelli! Ultimamente la FAO ha posto davanti alla coscienza di tutti che nel nostro mondo più di un miliardo di uomini patiscono la fame e, se non erro, ben 17.000 bambini muoiono di fame ogni giorno. Per loro non c'è posto per il Natale!

Credo sia necessario che Gesù, presentatosi povero tra noi, ritrovi tra noi 'gli angeli' che annunziano a chi soffre che Lui è venuto anche per loro. Dobbiamo davvero riappropriarci del Natale come una rivelazione dell'amore di Dio per tutti e per ciascuno e diventare così ambasciatori di giustizia, di solidarietà, perché nessuno sia escluso dalla gioia di Dio. Dice san Paolo: 'A Natale apparve la bontà e l'amore di Dio Salvatore nostro verso tutti gli uomini. È il segreto di Dio che si è svelato in Gesù Cristo. Dio è bontà. Dio è amore.'

Vorrei ripensassimo a san Francesco che andava in estasi davanti al presepio e fossimo folgorati di meraviglia e di commozione davanti a questa scoperta dell'Amore, che ci può trasformare. Ripeto: noi siamo amati da Dio! Comprendiamo il filosofo Pascal che esclamava: 'Gioia, gioia, gioia, pianti di gioia. Perché il Verbo di Dio si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi!'.

L'augurio è che anche noi possiamo essere colmati da tale Gioia. La nostra preghiera a Natale:
  • Siamo qui, Padre buono, accanto al presepio,

    segno povero ed umile della Presenza viva di Gesù in mezzo a noi.

    Noi contempliamo in questo Bambino la Parola che Tu hai pronunciato sull'umanità per salvarla dalla tristezza, dall',egoismo, dall'ingiustizia.

    Con Lui è rinata la speranza sulla terra

    di vedere realizzati i Tuoi progetti di amore, di pace e di fratellanza universale. Grazie Padre. Grazie, Signore Gesù!

    Ancora una volta Ti gridiamo: `Maranathà! Torna Gesù, Signore nostro!
NB: Voglio assicurare tutti voi, che mi seguite nella ricerca di Gesù, accogliendo l’invito degli Angeli ai pastori, che a Natale tutti, ma proprio tutti, vi avrò vicini nella preghiera, perché a tutti e a ciascuno Dio doni la Sua Gioia e tanta Pace.

E grazie di cuore per fa vostra amicizia, così a me tanto cara e preziosa!



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Messaggio da miriam bolfissimo » lun dic 28, 2009 9:15 am

      • Omelia del giorno 27 Dicembre 2009

        Sacra Famiglia (Anno C)



        Festa della Sacra Famiglia
La Chiesa giustamente in questo clima natalizio celebra la festa di quell'irripetibile famiglia, che era la famiglia di Gesù. Commuove anche solo pensare come il Figlio di Dio abbia voluto sperimentare quello che per noi è vocazione e luogo di crescita o, a volte, di difficoltà: la famiglia. E come a descrivere le difficoltà, santa Luca racconta la prima esperienza del bambino Gesù, che si fa adolescente e mette in difficoltà i genitori – come accade in tante nostre famiglie.
  • I genitori di Gesù si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando Gesù ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo, secondo l'usanza, ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti e, non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: 'Figlio perché ci hai lasciati così? Ecco tuo padre ed io, angosciati, ti cercavamo.' E Gesù rispose: 'Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?. Ma essi non compresero le sue parole Partì dunque con loro e tornò a Nazareth e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. e Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini (Lc. 2, 41-52).
Sorprende questo brano evangelico, in cui l'evangelista mette a nudo un momento difficile, ma necessario, della Sacra Famiglia, dandoci così una testimonianza di quello che dovrebbe essere lo spirito, la bellezza e la natura della famiglia.

Sappiamo molto bene come oggi, proprio la famiglia, sia al centro del più vile attacco. Tutti noi, credo, conserviamo ricordi della vita in casa, forse anche alcuni spiacevoli, ma necessari per la crescita. Siamo nati, cresciuti, siamo stati amati, educati da mamma e papà e ci erano cari, erano credibili, non solo perché ci avevano dato la vita, ma perché ci accompagnavano come sicure guide in quel cammino di cui, da bambini e fanciulli, sapevamo nulla. Era come un addestrarci ad affrontare speranze e difficoltà, che avremmo incontrato nella vita e, quello che stava loro a cuore (almeno in tante famiglie) era di essere maestri di quella vita che, domani, avremmo dovuto affrontare responsabilmente.

Sappiamo e siamo profondamente addolorati, di come troppi rinuncino al bene della famiglia, preferendo quelle che si definiscono 'coppie di fatto', che, libere da vincoli ufficiali e, soprattutto prive della grazia del sacramento del matrimonio, che dovrebbe assicurare la fedeltà e la bellezza dell'unione, fanno della convivenza una mera esperienza personale. O la terribile piaga del divorzio, dove l'amore, che non dovrebbe mai conoscere la parola fine - sempre che lo si sappia coltivare, sostenuti dalla Grazia - a volte sparisce per un nulla, lasciando un vuoto negli sposi e soprattutto nei figli. Forse non ci rendiamo conto del disorientamento educativo dei figli, che assistono, senza poter far nulla, a una divisione, che poi cerca di riformarsi con un altro 'papà o mamma'. Difficile per i figli vedere nella nuova inquilina o inquilino... una mamma o un papà... e da qui tanti sbandamenti di figli.

La Chiesa sta da sempre ponendo la sua attenzione, cura ed istruzione per il matrimonio e la famiglia. Ma se non c'è un vissuto di fede, prima, difficilmente quello che si cerca di dire e far comprendere porterà frutti. C'è nel Vangelo di oggi anche un particolare che credo sia stata l'ispirazione dell'Evangelista, ossia l'atteggiamento di Gesù che quasi si svincola dalla famiglia, affermando il primato della sua vocazione o missione, e che è in fondo la ragione di ogni vita e che nessuno può modificare, ma è compito dei genitori educare.

‘Non sapete che sono venuto per le cose del Padre mio? Dovrebbe essere compito dei genitori educare, favorire questa ragione della vita del figlio, che è il domani in cui il figlio dovrà seguire la strada di Dio.

Mamma e papà - lo ricordo con commozione - pensavano a donarmi, da fanciullo, una formazione integralmente cristiana. Non interferivano mai nel mio domani. E quando misteriosamente nella mia vita irruppe il desiderio di una vocazione, che era consacrazione a Dio nella vita religiosa e sacerdotale, - avevo come Gesù 12 anni - lo manifestai loro, che mi invitarono a pregare, perché quella vocazione non era uno scherzo della fantasia, ma un impegno serio da assumere con responsabilità. Quando decisi di allontanarmi - anche se sentivo dentro un grande dolore nello staccarmi dai miei - mi accompagnarono anche loro con tanto dolore, come quello di Maria, ma mai si misero di traverso. A loro devo dire un grazie infinito. Offro alle famiglie che mi leggono quanto dice san Paolo scrivendo ai Colossesi:
  • Rivestitevi, come eletti di Dio, santi e amati, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza, sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri.

    Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi.

    Al di sopra di tutto vi sia la carità che è il vincolo della perfeziona.

    E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete chiamati in un solo corpo.

    E siate riconoscenti.

    La parola di Cristo dimori in voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali. E tutto quello che fate in parole e in opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di Lui grazie a Dio Padre.

    Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore.

    Voi, mariti, amate le vostre mogli e non inaspritevi con esse.

    Voi, figli, obbedite ai genitori, in tutto: ciò è gradito al Signore.

    Voi, padri, non inasprite i vostri figli, perché non si scoraggino (Lettera ai Colossesi 3, 12-21).
Una vera divina regola di vita per le famiglie, su cui misurarsi con l'aiuto della Grazia. Preghiamo:
  • Signore, grazie per la famiglia che ci hai dato,

    per l'amore che abbiamo ricevuto e che impariamo a donare ogni giorno.

    Ti preghiamo per tutti i genitori, perché, alla scuola della Sacra Famiglia di Nazareth, imparino a cercare il vero bene dei figli

    e ad accompagnarli nella ricerca della loro strada.

    Ti affidiamo tutti i figli, perché riconoscano l'amore dei genitori,

    siano docili ai loro insegnamenti,

    custodiscano nel cuore la loro testimonianza.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » mar gen 05, 2010 4:46 pm

      • Omelia del giorno 1 Gennaio 2010

        Maria Santissima Madre di Dio (Anno C)



        Vi do la mia pace
Anzitutto un sincero augurio di anno buono e nuovo. Dire Capodanno è, da una parte, andare alla memoria che ci fa mostra di pregi e difetti o mancanze del tempo che Dio ci ha donato di vivere nell'anno che abbiamo lasciato alle nostre spalle, ma è anche un invito a mettercela tutta, ognuno nel suo ambito, famiglie, società, economia, politica, perché si faccia di ogni giorno futuro un progetto di costruzione di quanto dona serenità, cancellando o lasciando alle spalle quella ruggine di rancori, indifferenze, ripicche, che sono la continua e mortale causa di sofferenze, morte e di guerre militari e non...

Non è facile togliere dalle mani dell'uomo, ovunque, le armi, oggi diventate tanto devastanti, da essere capaci di compromettere lo stesso pianeta, in cui Dio ci ha donato di vivere, ma dovrebbe essere saggezza di tutti, adoperare le forze per far tornare sereno il cielo della nostra umanità. Tutti sappiamo che non siamo padroni del tempo e della vita. Così come tutti dovremmo sapere che ogni giorno è un dono di Dio, che chiede di essere vissuto secondo la Sua Volontà, che è il nostro vero bene.

Il tempo è come la coroncina del Santo Rosario. Ogni grano un giorno e, quindi, un dono, ma sappiamo che ha fine, quaggiù, con la morte. Non resta che vivere proprio con la stessa 'devozione' con cui recitiamo il Santo Rosario. È di grande aiuto risentire quanto Paolo VI, profeticamente, disse all'ONU, nella sua visita, il 4 ottobre 1965:
  • Voi esistete ed operate per unire le Nazioni, per collegare gli Stati: diciamo per mettere insieme gli uni con gli altri. Siete un ponte tra i popoli. Siete una rete di rapporti tra gli Stati...La vostra vocazione è quella di affratellare non solo alcuni, ma tutti i popoli. Difficile impresa, ma questa è l'impresa, mobilissima impresa....Voi attendete da noi il messaggio che non può svestirsi di gravità e solennità: NON GLI UNI CONTRO GLI ALTRI, NON PIÙ, MAI PIU’… Ascoltate le parole di un grande scomparso, John Kennedy: 'L'umanità deve porre fine alla guerra o la guerra porrà fine all'umanità'... Se volete essere fratelli, lasciate cadere dalle vostre mani le armi. Non si può amare con armi offensive in mano. Le armi, quelle terribili specialmente, che la scienza moderna vi ha dato, ancora prima di produrre vittime e rovine, generano cattivi sogni, creano incubi, esigono enormi spese, arrestano progetti di solidarietà.
È davvero allucinante, tornando alla nostra vita quotidiana, essere costretti a camminare nelle strade dei nostri paesi o città, guardandoci le spalle, temendo sempre un pericolo, perché le strade di casa nostra, su cui un tempo regnava il dialogo, oggi paiono, troppe volte, diventare teatro di violenza. Così come vorremmo augurarci che avessero termine le guerre in tanti Paesi del inondo, guerre che riducono la cara terra ad uno scenario di atrocità, cambiando natura e volto all'Eden che Dio ci aveva preparato. Ho sempre davanti a me un ricordo di nostalgia di pace.

C'era stato il terremoto in Irpinia ed aveva lambito un po' tutta la Campania. Era il 1980. Proprio a Capodanno trovai il modo di recarmi in un paese totalmente colpito dal terremoto, con la gente costretta a vivere nelle tende. Durante la celebrazione, sentivo letteralmente addosso gli occhi di tutti, come volessero leggere nella mia anima e cogliere dal profondo del cuore, dove non ha mai posto la falsità, una risposta alla loro inquietante domanda: 'Ci sarà un domani di pace anche per noi?'. Avevo iniziato la Messa con il saluto: 'La pace sia con voi'. La Santa Messa si svolse regolarmente, in un silenzio che pesava, come quello di Maria, nei giorni del Natale di Gesù, costretto a nascere in una grotta e deposto in una mangiatoia: un silenzio rotto solo dalle folate di vento gelido, che trovava in quella grande tenda tante fessure, per giocare sulla pelle di quella comunità, ma senza riuscire a diminuire il calore della partecipazione. Giunti al momento di scambiarci la pace, mi feci incontro alla gente quasi gridando: ‘La pace del Signore nostro Gesù Cristo è sempre con voi'.

E avvenne ciò che è naturale che accada, in quell'atmosfera che respirava ancora il terrore del terremoto, ma soprattutto poneva la domanda inquietante sul proprio domani. Una donna si alzò in piedi e a voce alta, con naturalezza, come in un dialogo tra padre e figli, mi chiese: 'Padre, lei conosce bene che cosa sia un terremoto, l'ha vissuto nel Belice e sa bene cosa voglia dire perdere tutto, tutto, in meno di un minuto e, quel che è peggio, vedersi strappare le persone care dalla morte; le conosce bene le infinite lentezze della burocrazia, che sono peggio del vento freddo che tira qua dentro. Conosce bene questo: quale pace può donarci?'.

Rimasi un istante in silenzio, come a cercare le parole direttamente dalla bocca dello Spirito, che suggerisce sempre il bene, poi le dissi: 'Se la pace dipendesse solo dall'avere o meno una casa, dall'avere o meno una sicurezza, allora le risponderei che non ho risposta. Ma la vera pace è un grande dono di Dio che ha sede nel nostro cuore. I terremoti possono rubarci tutto, soprattutto i nostri cari, ma per chi ha fede questa non può essere rubata da alcuno e da niente. L'ho sperimentato, vivendo per mesi anch'io in una fradicia tenda. Quello che mi dava la forza era che proprio in quei giorni sentivo la gioia di amare i miei parrocchiani, il desiderio di stare loro vicino, condividendo tutto. Dio sa dare pace sempre, anche nel dolore". Fu come se in quell'assemblea entrasse una sciabolata di luce e di calore. Il ghiaccio del cuore e le lingue come cucite dal dramma si sciolsero. Tutti, con un sorriso appena accennato, ma convinto, mi dettero il segno della pace.

Potremmo ancora oggi, solennità che la Chiesa dedica a Maria Madre di Dio e Giornata della pace, forse, seppure in circostanze diverse, avere bisogno di ritrovare la pace. Oggi la Chiesa lancia il suo grido accorato per la pace sicura che, con la buona volontà di tanti, il desiderio dell'umanità intera, alla fine saprà fare breccia nel muro dell'odio. Non ci resta che pregare e, nello stesso tempo, ovunque siamo, qualunque momento di crisi passiamo con chi è vicino, ricordarci di essere 'operatori di pace', a cui Gesù promette la felicità. Innalziamo a Maria la nostra preghiera:
  • Maria, Madre di Dio, Regina della pace,

    noi affidiamo alla tua protezione questo nuovo anno appena iniziato: insegnaci a riconoscere che Dio è entrato

    nelle pieghe più nascoste della storia del mondo

    e della vicenda personale di ognuno di noi,

    chiamati ad,essere figli dello stesso Padre

    e a divenire da ogni popolo un'unica famiglia

    che vive nella giustizia e nella pace.
A ciascuno di voi, carissimi, che mi siete tanto cari, ai vostri familiari ed amici, conceda il Signore un anno di grande serenità; vi copra della Sua Benedizione e faccia di voi operatori di amore e di gioia ovunque siete. Il Padre dal cielo vi protegga e vi sia accanto la dolcissima Mamma celeste, Maria, cui vi affido. E vi abbraccio di vero cuore e vi benedico.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » mar gen 05, 2010 4:51 pm

      • Omelia del giorno 3 Gennaio 2010

        II Domenica dopo Natale (Anno C)



        Gesù venne tra i suoi
La Chiesa giustamente continua a farci respirare la bellezza del Natale di Gesù, Dio tra noi e con noi. Noi siamo abituati a volte a ricordare eventi di particolare intensità, ma che sono di breve respiro, magari soffocati da oscurità di ogni genere. Ma il grande Evento di Dio, che si fa uno di noi, per riportarci a Casa, il Cielo, nelle braccia del Padre, è una festa che dovrebbe essere di tutti i giorni.

C'è nel Vangelo di Giovanni un inizio che celebra la solennità di Dio, il Verbo, che si fa carne. È come un credo che è il fondamento del nostro essere di Cristo e che fino a pochi anni fa si ripeteva alla fine di ogni sacrificio eucaristico, come un dirci: 'Ricordati quanto Dio ti ama!' . Leggiamolo insieme, questo testo, che è la bellezza del nostro credo:
  • In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.

    Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.

    In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta.

    Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.

    Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero in Lui. Egli non era la luce, ma doveva rendere testimonianza alla luce.

    Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo.

    Egli era nel mondo e il mondo fu fatto per mezzo di Lui, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne tra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto.

    A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo„ ma da Dio sono stati generati.

    E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi: e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre, pieno di grazia e di verità.

    Giovanni gli rende testimonianza e grida: 'Ecco l'uomo di cui dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me.

    Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia. (Gv. 1, 1-18)
È un meraviglioso 'credo', suggerito dallo Spirito Santo a Giovanni. Colpisce quel leggere la non accoglienza di tanto Dono: 'venne tra i suoi e i suoi non l'hanno accolto', ma subito, l'evangelista definisce la sorte di quanti Lo accolgono: 'A quanti però l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio'. Ma noi siamo tra quelli che Gli chiudono la porta in faccia o tra i beati che gli spalancano la porta della fede e del cuore? E' il grande interrogativo che ci pone oggi il Vangelo. Commenta il 'nostro' caro Paolo VI:
  • Cristo è venuto per tutti. Cristo sarà raggiunto da chi vuole raggiungerLo. La sua salvezza non ci sarà data senza una nostra cooperazione. Non è magica, non è automatica la sua salvezza. Non è un dono imposto a chi non vuole riceverlo. L'economia della misericordia non ci dispensa da un nostro si, libero e personale, di buona volontà, da una collaborazione di accettazione. Anzi la venuta di Cristo fra noi fa risaltare, come una scelta drammatica, la vocazione della nostra libertà nel gioco della nostra salvezza. Chiamati ad un soprannaturale destino, siamo liberi, siamo responsabili, della scelta con cui noi lo applichiamo o da noi lo respingiamo. Il dramma morale del mondo e delle anime si fa grandioso e tremendo. (25 dicembre 1960)
Ed è vero: è meravigliosa e nello stesso tempo drammatica la libertà di accogliere Gesù nella nostra vita o di ignorarne addirittura la presenza o l'esistenza, come se Lui nulla avesse a che fare con la nostra vita. Davvero incredibile. Eppure, se ci guardiamo intorno, è facile incontrare fratelli e sorelle che vivono come se Gesù non fosse mai nato e non fosse la ragione stessa della vita di ogni creatura. Come sono vere le parole dell'Apostolo Giovanni: ' Venne tra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto. A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio'. È la grande scelta che si fa concreta nella vita di ciascuno di noi. Saremo capaci di scegliere bene? È bello leggere quanto Paolo, l'apostolo, scrive agli Efesini:
  • Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo.

    In Lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere Suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della Sua volontà.

    E questo a lode e gloria della sua grazia che ci ha dato nel Suo Figlio diletto.

    Perciò io, Paolo, avendo avuto notizia della vostra fede nel Signore Gesù e dell'amore che avete verso tutti í santi, non cesso di rendere grazie per voi, ricordandovi nelle mie preghiere, perché il Dio del Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una più profonda conoscenza di lui.

    Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria è la sua eredità fra i santi. (Ef. 1, 3-17)
Vorrei fare mio l'augurio e la preghiera di Paolo, affinché anche noi possiamo entrare in una più profonda conoscenza di Gesù.
  • Grazie, Padre, perché in Gesù ci hai resi tuoi figli

    e ci hai fatto conoscere il tuo progetto di amore

    su ognuno di noi e sull'umanità intera.

    A noi, che abbiamo contemplato in questi giorni,

    il Mistero dell'Incarnazione del Tuo Figlio,

    dona di accogliere e di realizzare questo progetto nella nostra vita.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » lun gen 11, 2010 9:14 am

      • Omelia del giorno 10 Gennaio 2010

        Battesimo del Signore (Anno C)



        Il battesimo, rinascere a vita nuova
Credo di non dire nulla di nuovo, che non si sappia, affermando che con il Battesimo noi 'nasciamo una seconda volta'. La prima quando mamma ci ha partoriti; la seconda quando siamo stati rigenerati nel Battesimo, ammessi alla vita divina. Ed è cambiato tutto. Ricordiamo brevemente la nostra storia. Quando Dio, alla fine della creazione dell'universo, volle che nello stupendo creato, ma senza cuore né voce, ci fosse chi Gli dicesse ‘ti amo', pensò alla creazione dell'uomo e della donna. Erano creature cui nulla mancava, 'simili' a Dio e quindi amati e capaci di amare, che è il dono offerto solo a chi può con la volontà e la libertà rispondere ‘ti amo'.

Ma c'era di mezzo proprio la libertà, esigenza dell'amore sempre, anche oggi. L'amore non è un fatto automatico, è un dono che si può accogliere o rifiutare. E sappiamo tutti come i nostri progenitori, tentati da satana, che proponeva un'uguaglianza come Dio, ma contro Dio, rifiutarono l'amore del Padre, per affermare il proprio io. E così, cacciati dalla nostra casa, che Dio ci aveva preparato, l'Eden, divennero orfani.

Il rifiuto del Padre, non solo ci fa conoscere l'amaro della solitudine, ma ci mette in balia di noi stessi e di satana, il che non può produrre che disordine e male, così devastanti come la tragica storia dell'umanità rivela. Cosa sarebbe mai stata la nostra vita eterna senza la speranza di un ritorno alla Casa del Padre? Sarebbe stata una storia di 'orfani di Cielo', se... l'amore pietoso del Padre non fosse stato 'vinto' dalla nostalgia per i figli, al punto da mandare il Figlio Prediletto, Gesù, fatto uomo che sulla croce ci ha riaperto le porte del Cielo, ridonandoci una nuova vita.

Per la Croce di Cristo ci è stata ridonata la possibilità di essere ancora figli del Padre. Quanto è stato fedele e totale il Suo Amore! Quanto è costato il sacrificio per riparare i nostri errori! Ma ora tutti possiamo, se vogliamo, 'tornare a Casa'. Il momento in cui questa possibilità si fa certezza è quando si riceve il Battesimo: il grande evento della nuova vita, che apre le porte, se vogliamo, al Paradiso, ad una vita da santi. Ma occorre ridare al Battesimo quella solennità e consapevolezza, che poi si proietta nella vita. Non più 'uomini senza Cielo', ma 'uomini del Cielo, figli di Dio': è la vita da cristiani.

Il santo Battesimo non può quindi essere un fatto di consuetudine, un motivo 'per far festa', ma senza seguito. Dovrebbe essere l'inizio di una vita nuova. Ricordo il racconto di mamma sul mio Battesimo. Per lei e papà era grande certamente il dono che Dio aveva fatto nel concedere loro i figli. Ma sapevano bene che un figlio è 'come incompleto', se non diviene quello che per loro era 'la bellezza di una vita in Cristo'. Nato il 16 gennaio, nonostante il freddo, vollero fossi battezzato il giorno dopo. E, senza alcuna cornice di esteriorità, nonostante il tempo inclemente, papà con il padrino mi portò al fonte battesimale. Era la festa di S. Antonio abate e mi dettero il suo nome.

Per i miei diventare figlio di Dio era la 'vera nascita', che dava 'senso alla mia vita' e quel giorno divenne sempre il riferimento del come impostare poi la mia vita 'da battezzato'. Tutta l'educazione era impostata sul Battesimo, sul 'diventare un vero cristiano'. Il Battesimo era l'inizio vero della mia vita, come fu per Gesù per l'inizio della sua missione. Non che Lui avesse bisogno del Battesimo di penitenza, ma voleva essere uomo in tutto e, quindi, andò da Giovanni il Battista per essere battezzato. Racconta l'evangelista Luca:
  • In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: lo vi battezzo con acqua, ma viene uno che è più forte di me, al quale io non sono degno di sciogliere neppure il laccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Quando tutto il popolo fu battezzato e mentre Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e scese su di lui lo Spirito Santo in apparenza corporea, come di colomba, e vi fu una voce dal cielo: 'Tu sei il mio Figlio prediletto, in Te mi sono compiaciuto'. (Lc 3, 15-22).
E come a 'completare' la presentazione su Gesù, espressa dalla voce del Padre, così profetizzava Isaia:
  • Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto nel quale mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui; egli porterà il diritto alle nazioni. Non griderà, né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta. Proclamerà il diritto con fermezza; non verrà meno e non si abbatterà finché non si sarà stabilito il diritto sulla terra; e per la sua dottrina saranno in attesa le isole. Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia, e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre. (Is. 42, 1-7)
Un vero inno a Gesù, che nel Battesimo dà inizio alla sua missione, avuta dal Padre, per salvarci. E noi, nel giorno del Battesimo, come presi per mano dai nostri genitori, abbiamo iniziato il nostro cammino di fede. Ma è ancora così? Vorrei ricordare quanto il sacerdote chiede ai genitori e padrini, prima del Battesimo:
  • - Cosa chiedete alla Chiesa di Dio per questo bambino o bambina? – Il Battesimo e la fede.

    - Siete disposti ad educarli secondo la nostra fede? cioè ad accompagnarli nel cammino della fede dal momento del Battesimo fino alla loro consapevole e libera scelta... ed oltre? Ad essere quindi maestri e testimoni?
E durante la cerimonia ancora chiede, se ricordate:
  • - Rinunciate a satana e alle sue opere? E, incalzando,

    - Credete in Dio Padre, in Gesù..... e snocciola i principi della nostra fede, come un rosario da ricordare sempre, per concludere ...

    - Questa è la nostra fede.
È il grande impegno che ogni papà, mamma, padrino o madrina del battezzato si assumono per accompagnarlo nella sua crescita spirituale. Come spiegare, allora, le tante. volte in cui i sacerdoti o i catechisti, preparando alla Prima Comunione o alla Cresima, si trovano davanti bambini o adolescenti che nulla sanno della fede, come se nel tempo della crescita, invece di educazione, ci sia stato solo un pericoloso 'vuoto', molto difficile poi da colmare? Che responsabilità! E come far capire ai genitori e ai padrini che nel momento del Battesimo si rendono responsabili della crescita cristiana del loro figlio?

È il grande problema che ci si pone: rendere consapevoli che il Battesimo non è una festa esterna che finisce lì, ma è l'inizio di un cammino serio e sereno di una creatura, che da semplice 'essere umano' diventa figlio di Dio, e la strada della sua completa realizzazione, come persona, sarà nel crescere giorno dopo giorno in santità.
  • Il Battesimo - afferma Paolo VI – comporta un preciso e deciso impegno dottrinale. Essere battezzati, cioè essere cristiani, esige la fede, sia soggettiva, risposta personale piena e gioia all'amore divino, sia oggettiva adesione alla Parola di Dio.... La vita cristiana, inaugurata col Battesimo, che ci eleva a un livello esistenziale nuovo, quello di figli adottivi di Dio, ci vuole 'santi e immacolati'. Sembra un'esigenza eccessiva, un'utopia morale, eppure è così. E se realmente noi vorremo proporci un programma di rinnovamento di vita cristiana, non potremo prescindere da questa imperativa esigenza. Bisogna davvero che essa sia vissuta in una grande riconoscenza a Dio per la santità già a noi conferita come suoi figli adottivi in una tensione indefessa di perfezione. Ce lo aveva detto il Signore: 'Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli.

Alla luce di tanta grazia, che è il Battesimo che abbiamo ricevuto, viene da chiedersi come effettivamente lo viviamo giorno per giorno: come figli adottivi del Padre? O come dimentichi di chi siamo?e qual è lo stile della nostra vita quotidiana? Accettiamo l'esortazione del caro nostro amico in cielo, don Tonino Bello:
  • Fratelli, mettiamoci davvero alla scuola di Gesù Cristo.

    Tutto il resto è inutile. Tutto il resto è retorica. Tutto il resto è commedia.

    È sceneggiatura se noi veramente non prendiamo questa decisione radicale di seguire Gesù Cristo, pastore che dà conforto alle nostre anime e dà senso ed orientamento alla nostra storia.

    Cambia la faccia delle cose, lo schema delle cose.

    Fermo nell'amore resta soltanto il Signore.

    E noi questo cammino lo vogliamo fare insieme con Gesù Cristo.
Innalziamo la nostra preghiera:
  • Signore Gesù, ti ringraziamo perché sei venuto in mezzo a noi,

    perché sei vicino a ogni uomo,

    perché il tuo amore non viene mai meno.

    Nel Battesimo ci hai rigenerati,

    siamo diventati tuoi fratelli, membri della stessa famiglia.

    Alimenta la nostra speranza,

    perché diventiamo costruttori di un mondo nuovo,

    e viviamo nell'attesa che si compia la pienezza del tuo Regno.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven gen 15, 2010 9:59 am

      • Omelia del giorno 17 Gennaio 2010

        II Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Non hanno più vino
Davvero Gesù, con le sue scelte, tra di noi e con noi, dà lezioni di vita, in tutto. Passa 30 anni a Nazareth, nella sua famiglia, e lì cresce in età, sapienza e grazia, nella graduale consapevolezza che il suo essere tra noi era una vocazione ricevuta dal Padre, una 'chiamata' da cui dipendeva la storia stessa dell'umanità. A differenza di tanti adolescenti e giovani di oggi, che amano buttarsi nella vita, senza sapere dove porta e se le loro scelte sono giuste, Gesù si affida al silenzio, impegnandosi nel discernimento, nutrendosi della Sacra Scrittura, l'Antico Testamento, che profeticamente annuncia la Sua storia di Messia, portatore di salvezza. Intendeva conoscere fino in fondo cosa dovesse compiere, la Parola da donare all'uomo: una Parola che è immutata oggi e lo sarà sempre. Lui stesso era la Parola fatta carne.

Così si presenta sulla scena dell'umanità - stando al Vangelo di Giovanni - con un miracolo alle nozze di Cana, quasi volesse privilegiare matrimonio e famiglia, due capisaldi dell'umanità. Racconta l'evangelista:
  • Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c'era la Madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Nel frattempo, venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: 'Non hanno più vino'. E Gesù le rispose: 'Che ho da fare con te, o donna: non è ancora giunta la mia ora'. La madre disse: 'Fate quello che vi dirà'. Vi erano là sei giare di pietra per la purificazione dei Giudei, contenenti ciascuna uno o due barili. E Gesù disse: 'Riempite di acqua le giare'. E le riempirono fino all'orlo. Disse loro di nuovo: 'Ora attingete e portatene al maestro di tavola'. Ed essi gliele portarono. E come ebbe assaggiato l'acqua diventata vino, il maestro di tavola, che non sapeva di dove venisse (ma lo sapevano i servi che avevano attinto l'acqua) chiamò lo sposo e gli disse: 'Tutti servono da principio il vino buono e, quando sono un poco brilli, quello meno buono; tu invece hai conservato fino ad ora il vino buono'. Gesù diede inizio ai suoi miracoli in Cana di Galilea, manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in Lui (Gv. 2, 141).
Se c'è una realtà che dovrebbe essere sempre difesa, conservata, amata, con tutte le forze, come fondamento della nostra società, è proprio il matrimonio. Ma pare che proprio contro questo grande sacramento e istituzione civile si sia scatenata una vera guerra. E non è proprio comprensibile. C'è forse sulla terra un dono più grande dell'amare ed essere amati, fino ad essere una sola carne e, quindi, per tutta la vita? Porto con me il commosso ricordo dell'amore che papà aveva per mamma, al punto che, dopo 30 anni di matrimonio, a me già prete disse: 'Amo immensamente tua mamma, ma prima ancora come mia sposa. Se mi venisse a mancare morirei anch'io'. E per fortuna sono davvero ancora tanti i matrimoni che possono affermare lo stesso.

Il segreto della fedeltà è l'autentico amore, che non è un sentimento occasionale, casuale, un'esperienza puramente sensuale, ma è dono cosciente di sé. Noi cristiani diciamo: è un sacramento, ossia un sapere che non si è soli nell'amore umano, che inevitabilmente conosce gioie e speranze, ma anche sofferenze, angosce e crisi. Gesù stesso vive con gli sposi, sostiene il loro amore, lo rivitalizza, lo purifica, lo fortifica, lo rende eterno con la grazia del Sacramento. Afferma il Concilio Vaticano II nella 'Gaudium et spes':
  • Cristo Gesù ha effuso l'abbondanza delle sue benedizioni su questo amore molteplice, sgorgato dalla divina carità e strutturato sul modello della sua unione con la Chiesa. Così come un tempo Dio venne incontro al suo popolo con un patto di amore e di fedeltà, ora il Salvatore degli uomini e sposo della Chiesa, viene incontro ai coniugi cristiani attraverso il Sacramento del Matrimonio. Inoltre rimane con loro perché, come Egli stesso ha amato la Chiesa e si è dato per lei, così anche i coniugi possono amarsi l'un l'altro, fedelmente, per sempre con mutua dedizione. Per questo motivo i coniugi cristiani sono collaboratori e quasi consacrati con uno speciale sacramento per i doveri e la dignità del loro stato (n. 48).
Il Vangelo, quasi a raccontare le difficoltà che si incontrano nel matrimonio, pare individuarle nella mancanza del vino. Gesù dona il 'vino nuovo', che sorprende tutti. Ma per gustare il 'vino nuovo' è necessario vivere l'esperienza dell'amore vero, che è davvero l'impronta di Dio in noi. La realtà ci dice quanto oggi l'uomo abbia perso la piena conoscenza dell'amore e ciò dipende, credo, dalla perdita della fede nell'amore di Dio, che tutto sostiene e diventa, non solo riferimento, ma forza efficace per affrontare ogni situazione di vita, anzi il senso stesso della vita.

Se poi pensiamo che il matrimonio è una vocazione, tanto più intensamente comprendiamo come sia necessaria la vicinanza di Dio. Potremmo riferire la mancanza di 'vino' in tanti matrimoni oggi, a quanto afferma il Santo Padre nella lettera ai sacerdoti: "Il vero problema in questo momento della storia è che Dio sparisce dall'orizzonte degli uomini e che allo spegnersi della luce proveniente da Dio, l'umanità viene colta dalla mancanza di orientamento i cui effetti distruttivi si manifestano sempre di più".

È certo che la causa di tanti fallimenti nell'amore viene proprio da questo 'terribile oscuramento delle coscienze'. Viene da pensare alle famiglie di oggi. Le statistiche - cui credo poco - dicono che tanti uomini e donne hanno 'paura del matrimonio', come fosse una possibile prigione. Come se donarsi all'amore per tutta la vita fosse quasi una schiavitù e non un'occasione di profonda e rasserenante pienezza. Dicono che tanti preferiscono stare insieme, ma senza alcun vincolo definitivo e le chiamano 'coppie di fatto', ma danno, almeno esteriormente, l'impressione di una casa senza porte e finestre, da cui si può evadere quando si è stanchi l'uno dell'altro. Altri preferiscono il matrimonio civile, escludendo il sacramento del Matrimonio, ossia rifiutando la presenza di Gesù, che con la Sua Grazia sacramentale, assicura la saldezza del vincolo. Ma chi ha la fede per vivere la sacralità del Matrimonio, sa molto bene quanto sia bello 'dimorare con Gesù', che li sostiene nelle difficoltà che possono incontrare.

Celebrando la Santa Messa, nella parrocchia in cui ora vivo, mi è data l'opportunità di celebrare i 25 anni, e qualche volta anche i 50 e alcuni 75 anni di matrimonio. Quello che sempre mi è dato di constatare è la gioia di questi sposi, come se quello fosse il primo giorno del matrimonio. Come qualche volta capita di dover confortare uomini o donne che, per la morte del coniuge, sono quasi inconsolabili e quasi desiderano morire con chi è tornato a Dio: difficile restare da soli, pur sapendo che un giorno il loro vincolo d'amore sarà premio e corona in cielo, per sempre. È vero che tutte queste testimonianze di amore coniugale che hanno, citando il Vangelo, conservato sempre nella vita 'il vino buono', la Presenza di Gesù, la Grazia, vengono ignorate dai mass media che, invece, offrono grande spazio ai fallimenti. Ma sono proprio queste tantissime coppie sempre 'innamorate', insieme da tanti anni, le stelle che brillano sul firmamento della storia dell'umanità.

Come non pregare, per chi mi legge, se sposato, perché curi la presenza della sua stella... nonostante tutto. È il futuro di Dio tra noi. È l'affermazione che amarsi per sempre è la più bella esperienza, dono di Dio e della buona volontà. Dedico a loro quanto dice Isaia oggi:
  • Per amore di Sion non tacerò; per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finche non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. Allora i popoli vedranno la sua giustizia, tutti i re la sua gloria e si chiamerà con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà. Sarai una magnifica corona nelle mani del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. Nessuno ti chiamerà più 'abbandonata', né la tua terra sarà più detta 'devastata', ma tu sani mio compiacimento e la tua terra sposata, perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo. Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo Creatore; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te (Is. 62, 1-5).
Così pregava Madre Teresa di Calcutta per chi si sposava:
  • O Signore, aiuta questa coppia ad essere un cuore solo pieno di amore.

    Da' loro una vita nella quale possano essere un cuore solo,

    nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia.

    Concedi loro amore per i figli che avranno

    e fa' che la loro casa sia sempre una porta aperta per il povero.

    Insegna loro, o Signore, di pregare insieme, così che possano restare uniti. Amen.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » gio gen 21, 2010 10:13 am

      • Omelia del giorno 24 Gennaio 2010

        III Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Lo Spirito del Signore è sopra di me
Viene da chiederci seriamente, oggi, alla luce del Vangelo e della lettera di Paolo ai Corinzi, quale sia la parte che noi abbiamo nell'esprimere la serenità e la fiducia, frutti della presenza dello Spirito Santo in noi. Oggi, i cristiani di buona volontà se lo pongono questo problema. Siamo in tanti a parlarne, ma a volte è 'suono di parole vuote', quando addirittura non fanno male. Tante volte si ha l'impressione di 'battere l'aria', senza lasciare una traccia di verità, di serenità, di ‘buona novella', insomma.

E questo tra di noi, in famiglia, nella società. Eppure Gesù, e quindi la sua Chiesa, in virtù del Battesimo e della Confermazione, hanno, non solo la missione, ma soprattutto la grazia dell'ispirazione, data dalla presenza dello Spirito Santo, che rende 'viva ed efficace' la parola, accompagnata dalla testimonianza, tanto da poter affermare: 'Ciò che dico è vero, perché è frutto dello Spirito che è in me'.

Essere cristiani non è solo un modo di dire, ma un modo di vivere la fede, che si esprime nel come pensiamo, come parliamo, come ci comportiamo, insomma nel come 'viviamo Cristo'. Occorre, credo, prendere coscienza che non possiamo più essere cristiani di 'facciata', ma dobbiamo diventare cristiani 'vivi', che, dove sono, operano 'ispirati', ossia mossi dallo Spirito Santo. Difficile? Sì, ma necessario se vogliamo 'realizzare' noi stessi ed aiutare gli altri, crescendo insieme nella fede e nella santità. Non è più tempo - e sono certo che voi, che siete ‘di buona volontà', siate d'accordo - di 'segni senza significato', ma di presenze che tornino ad essere 'sale della terra e luce del mondo'.

Abbiamo oggi due letture che dovrebbero aiutarci a crescere nella fede. L'evangelista Luca ci pone innanzi GESÙ che, a 30 anni, dopo una lunga preparazione nel silenzio di Nazarerh, si presenta ufficialmente nella sua città, nella sinagoga, iniziando a farsi 'PAROLA NUOVA E VERA', come solo Dio può e sa essere.
  • Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle sinagoghe e tutti ne facevano grandi lodi. Si recò a Nazareth, dove era stato allevato ed entrò, secondo il suo solito, di sabato, nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia. Apertolo, trovò il passo dove era scritto: Lo Spirito del Signore è sopra di me: per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato ad annunciare ai poveri il lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore. Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi su di lui. Allora egli cominciò a dire: Oggi si è adempiuta la Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi (Lc. 4, 14-21).
Possiamo facilmente immaginare lo stupore di quell'assemblea nel sentire che la profezia di Isaia si ‘incarnava' in quel giovane, Gesù, che loro da sempre conoscevano come 'il figlio del falegname'. E ancor più stupefacente - in quell'epoca, simile alla nostra, dove i deboli erano emarginati, privi di ogni diritto, come non avessero posto nel cuore dei fratelli, - era l'affermazione, senza mezzi termini, che un'epoca nuova era iniziata, in cui era iniziata la liberazione dei più emarginati.

È lo stesso problema e necessità che si pone anche oggi. Basta avere uno sguardo illuminato dallo Spirito, per vedere come il mondo sia diviso in chi si realizza e conta e in chi è messo al bando senza pietà. Una divisione che non è solo bestemmia alla giustizia umana e divina, ma è sempre sorgente di guerre aperte e sotterranee. La Chiesa - noi, che ci diciamo Chiesa - dobbiamo sentire rivolto a noi, quell’OGGI si è adempiuta la salvezza. Per grazia di Dio, tanti, in tanti modi, questo ‘oggi' lo stanno già attuando nelle innumerevoli forme della carità, animata dallo Spirito Santo. Paolo, scrivendo ai Corinzi, ci viene incontro, dando una risposta alla nostra domanda: Come possiamo noi cristiani realizzare quell'OGGI di Gesù?
  • Fratelli, come il corpo, pur essendo uno, ha molte membra, e tutte le membra pur essendo molte sono un solo corpo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi, e tutti ci siamo abbeverati in un solo Spirito. Ora il corpo non risulta dí un membro, ma di molte membra. Se il piede dicesse: 'Poiché io non sono mano non appartengo al corpo, non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l'orecchio dicesse: 'Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo' non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? E se tutto fosse udito, dove sarebbe l'odorato? Ora invece Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. E se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? E invece molte sono le membra, ma uno solo il corpo. Non può dire alla mano: 'non ho bisogno di te'; né la testa ai piedi: 'non ho bisogno di voi. Anzi le membra del corpo che sembrano più deboli, sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli, le circondiamo di maggior rispetto; e quelle indecorose, sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti, non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a chi ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une le altre Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. ORA VOI SIETE CORPO DI CRISTO E SUE MEMBRA, CIASCUNA PER LA SUA PARTE. Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di fare guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue. Aspirate ai carismi più grandi (Ef 12, 12-31).
Con una chiarezza davvero incredibile, Paolo, scrivendo alle prime comunità cristiane, e in questo caso a quella di Efeso, dove forse si dibatteva sul ruolo o su quello che era 'il posto' nella Chiesa e la parte da svolgere, descrive i carismi di ciascuno. E ce ne sono tanti, che si adattano alle varie necessità di una Chiesa che vuole essere tutta missionaria, non lasciando alcuno con le mani in mano!

Non si tratta qui solo dei ruoli o carismi, che siamo soliti vedere incarnati nelle varie vocazioni o al sacerdozio, o all'episcopato o alla vita consacrata, nelle diverse Congregazioni religiose, ognuna delle quali ha il suo proprio carisma, o al laicato, come operatori pastorali nelle parrocchie, ma dei carismi ‘semplici', legati alle realtà dove siamo e per ciò che facciamo.

Per esempio: l'Istituto cui appartengo, fondato dal beato Rosmini, ha come carisma la carità a tutto tondo, dalla carità temporale, che riguarda la cura del corpo, e quindi verso i poveri e gli ammalati, a quella intellettuale, a quella spirituale. Sarà l'obbedienza poi a discernere e dire quale carità ciascuno debba in modo più specifico esercitare. E così per le Congregazioni tutte... ognuna con il suo carisma... come a rendere presente ed efficiente la figura del 'corpo', attraverso le 'membra'. Ma quello che è davvero stupendo, o dovrebbe esserlo, è come tutti convergono, seppur in modo diverso, al bene dell'intera umanità e della Chiesa.

Nel piano di carità e di salvezza, che Dio ha disposto per tutti, ha fatto ín modo che ciascuno, senza eccezioni, sia costruttore. Dai genitori agli educatori, ad ogni fedele. C'è davvero posto e necessità che tutti, ma proprio tutti, ciascuno con il suo carisma, mettiamo mano all'edificazione del Regno di Dio e, quindi, ad un mondo più giusto, più bello. Non è ammesso il disimpegno, perché sarebbe come fare mancare il nostro necessario apporto, creando un 'vuoto' nell'edificazione del Regno e nella comunità.

E, ringraziando Dio, nella Chiesa, oggi, si stanno rendendo conto in tanti dell'urgenza di mettere a frutto i carismi che Dio ha donato. Ci sono una miriade di gruppi e di associazioni, che sono oggi il miglior commento alla lettera di Paolo. Ma anche se non si appartiene a qualche gruppo, c'è davvero tanto posto per sviluppare i propri carismi, silenziosamente, ma con efficacia, là dove il Signore ci ha posti a vivere. L'importante è non nascondere i nostri carismi 'sotto terra', per pigrizia o per paura, come dice Gesù nella parabola dei talenti da far fruttare. Scriveva Paolo VI:
  • A tanti cristiani, forse a noi stessi, è rivolto l'interrogativo che sa di rimprovero, rivolto dall'apostolo Paolo agli Efesini, perché la nostra vita spirituale non è un soliloquio, una chiusura dell'anima in se stessa, ma un dialogo, un'ineffabile conversione, una presenza di Dio, da non ricercare più nel cielo, né fuori, né solo nelle nostre chiese, ma in se stesso: quanta gioia e quanta speranza saremo capaci così di donare a tutti, ognuno a suo modo e dove è.
Abbandoniamo i nostri desideri nel cuore dello Spirito con le parole di Madre Teresa di Calcutta:
  • Signore, vuoi le mie mani per passare questa giornata aiutando i poveri e i malati che ne hanno bisogno?
    Signore, oggi ti dono le mie mani.

    Signore, vuoi i miei piedi per passare questa giornata visitando coloro che hanno bisogno di un amico?
    Signore, oggi ecco i miei piedi.

    Signore, vuoi la mia voce per passare questa giornata parlando con quelli che hanno bisogno di parole di amore?
    Signore, oggi ti do la mia voce.

    Signore, vuoi il mio cuore per passare questa giornata amando ogni uomo, solo perché è un uomo?
    Signore, oggi ti do il mio cuore.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven gen 29, 2010 9:02 am

      • Omelia del giorno 31 Gennaio 2010

        IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Gesù cacciato dalla sinagoga
Ci sono momenti nella vita di un Pastore, a cominciare dal Santo Padre, in cui sente necessario 'alzare la voce' per affermare la Verità, in un mondo che cerca di far valere la 'sua verità', che è menzogna e rischia di portare fuori strada tanti, voltando le spalle a Dio. Sono momenti necessari e 'guai a me – dice l'Apostolo – se non predicassi! Occorre avere la consapevolezza di cui parla il Profeta Geremia oggi:
  • Prima di formarti – dice il Signore – nel grembo materno, ti conoscevo; prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato, ti ho stabilito profeta delle nazioni. Tu, dunque, cingiti i fianchi, alzati e dì loro tutto ciò che ti ho ordinato; non spaventarti alla loro vista, altrimenti ti farò temere davanti a loro. Ed ecco oggi faccio di te come una fortezza, come un muro di bronzo, contro tutto il paese, contro i re di Giuda e i suoi capi, contro i sacerdoti e il popolo del paese Ti muoveranno guerra, ma non ti vinceranno, perché Io sono con te per salvarti" (Gr. 1, 4-19).
Sono i momenti in cui bisogna ricordare agli uomini la verità della vita, quella che esce dalla bocca di Dio ed investe, o dovrebbe investire, ciascuno, fino a tornare alla vera via della vita. Sono i momenti in cui bisogna usare il 'bisturi', in piaghe che potrebbero minacciare non solo l'esistenza fisica, ma la stessa esistenza spirituale, se non si interviene. Succede quando ci sono atteggiamenti di singoli o di comunità, che sono in netto contrasto con la verità e la legge dell'amore, arrivando, a volte, a creare una cultura che chiama onesto l'immorale, necessità ciò che invece è crimine. Come è stato da noi il divorzio, l'aborto, la lotta 'civile' per l'eutanasia', come il fare intendere che l'uso delle droghe non fa male!!! Come la catena di delitti che insanguinano i nostri paesi, fin nelle famiglie - per 'futili motivi'!!! - la morte di milioni per fame - per la salvaguardia del benessere di pochi!!! - la smodata ricchezza, che non si cura per nulla della sempre più diffusa povertà.

Ci fu un tempo che qui, da vescovo, nel mio ambiente si uccideva o si intendeva l'estorsione come mercato lecito; ci si faceva battaglia per il commercio delle droghe. Di fronte a questa scalata di criminalità, nella gente comune sale la paura, fino a spegnere la voglia di gioia che abbiamo tutti. La paura, poi, rende diffidenti, timorosi gli uni degli altri. Fu cosi che a Natale decisi di farmi 'muro di bronzo' verso l'atmosfera velenosa che si respirava. Improvvisamente, come una sorpresa inattesa, le mura della città furono ricoperte di manifesti, che invitavano tutti a prendere posizione. L'avevo pensato molto, quel manifesto, scomodo ma necessario. Si intitolava 'Lettera agli uomini della camorra'. Tra l'altro dicevo: "Voi, uomini della camorra, chiunque siate, da troppo tempo, seguendo un sentiero che certamente non porta alla pace di Betlemme, ma ad una foresta di vendette, di resa dei conti, di loschi interessi, che hanno un solo nome 'crimini contro l'uomo', state riempiendo le nostre contrade impaurite di morti. Sparando contro gli uomini, forse senza saperlo, sparate contro la vostra stessa dignità di figli di Dio, contro Dio stesso che è sempre in ogni uomo. Sparate contro la vostra città, trasformando il canto natalizio `Tu scendi dalle stelle', in una pioggia di lacrime, di odio, di sangue e di paura. È questo forse il Natale che volete per voi, per i vostri cari, per noi? Questa è solo barbarie che vi disonora e distrugge. Ma ricordatevi bene, uomini della camorra, ci sono uomini e donne, giovani, che amano la libertà come diritto a crescere; vorrebbero vivere con amore, unica grandezza di ogni uomo; vorrebbero costruire la pace come sola via alla civiltà. Non hanno alcuna intenzione di farsi piegare dalla paura e dalla vostra crudeltà. Oppongono il coraggio delle persone oneste che credono nella civiltà dell'amore. Per voi non vogliamo né odio, né vendetta, né carcere, né morte: preghiamo solo che deponiate le armi della morte e l'assurda arroganza che esibite...".

Da molti di loro non fu accolta con molto favore, anzi si proposero la vendetta, per la paura che la gente desse ascolto alla lettera e cessasse di vivere nel timore. Pagai per anni il prezzo di essere scortato. Un duro prezzo, ma da quel momento iniziò il cammino verso la vera libertà, che è tuttora. Vi fu il tempo in cui, sollecitato da molti uomini della camorra ad offrire la loro resa nella dissociazione, per poter in cambio evitare l'ergastolo, mi feci 'loro voce'. Furono momenti molto difficili, perché non ci fu accoglienza da parte delle autorità, solo qualche giudice accolse l'invito. Questo continuo battersi per la giustizia anche nella Chiesa, da alcuni, non era ben visto, come fosse un danno alla serenità. Una sera, durante un incontro, alcuni mi dissero: 'Perché non te ne vai in un'altra diocesi: qui pochi ti assecondano o ti vogliono'. Pensai a quello che era accaduto a Gesù.

Oggi, c'è da notare che la Chiesa da tempo si distingue per la forza di gridare la verità contro gli errori, senza riguardo a nessuno, divenendo così la speranza dei poveri, dei perseguitati, dei malati di AIDS, dei tossicodipendenti e, in questi giorni, degli immigrati. Basta leggere la cronaca del nostro tempo. Sembra non si sia mai spento il grido di Giovanni Paolo II – che sempre mi faceva coraggio a non venir meno e ora si avvia agli onori degli altari – ad Agrigento, durante la sua visita pastorale in Sicilia: 'Non uccidete!'. Così come ogni volta ci incontravamo mi raccomandava : 'Non abbia paura!'.

Tanti oggi mi chiedono quale sia stata l'ispirazione, che mi portò a prendere certe posizioni. Lo evidenziai in una lettera pastorale, scritta nei tempi duri, proprio rivolgendomi alla camorra. Un ‘imperativo' tratto dal profeta Isaia: 'Per amore del mio popolo non tacerò'.

Il Vangelo di oggi ci mostra come Gesù, dopo aver proclamato chi era – come abbiamo letto domenica scorsa. 'Lo Spirito del Signore mi ha mandato...' - , prima sorprende, poi discutono sulla sua identità e, alla fine, per la loro incredulità, viene cacciato e cercano di eliminarlo. Incredibile, se non fosse che questo succede anche oggi con chi, dicendo la verità, smaschera l'ipocrisia. Ma è bene leggere con stupore e sofferenza il Vangelo:
  • Gesù prese a dire nella sinagoga: 'Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udito con i vostri orecchi'. Tutti gli rendevano testimonianza ed erano ammirati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: 'Non è il figlio di Giuseppe?: Ma Egli rispose: 'Di certo voi mi citerete un proverbio: medico cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accade a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua patria!: Poi aggiunse: 'Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e tre mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese, ma a nessuna di esse fu mandato il profeta Elia, se non alla vedova di Zarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro'. All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono presi da sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori dalla città e lo condussero sul ciglio sul quale la loro città era situata per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò" (Lc. 4, 21-30).
Si rimane allibiti, sconcertati, dal come i suoi concittadini passino dalla meraviglia, per le parole di Gesù, ad invitarlo quasi a dare spettacolo (assurdo per la sua divinità), sottolineando la sua provenienza povera, e infine, davanti alla risposta sincera di Gesù, che non era certo un esibizionista, manifestano la durezza del loro cuore: le parole chiare di Gesù immediatamente accendono un odio che non ha confini,. fino a volerlo gettare dal dirupo su cui poggia Nazareth! Così commenta Paolo VI:
  • Gesù così incontra resistenza e ostilità. Ora un simile atteggiamento può essere riferito anche a noi oggi. Siamo per Cristo, oppure no? Rimaniamo cristiani o avviene il contrario? La Chiesa chiede a tutti noi: siete pronti a confermare vera la vostra adesione e fedeltà? Ma noi vorremmo rivolgere singolarmente a ciascuno di voi, per parlare con voce sommessa e dire: 'Tu accetti il Signore? Gli vuoi veramente bene? Pensi alle sue parole e le accetti? Sono vere per te, o passano come farfalle senza mèta? Sono effettivamente il colloquio tuo con Dio? Incalzano sopra di te e trovano posto nella tua vita?....ricordiamoci che la prima forma di negazione è il sistematico rifiuto di credere. C'è anche chi dice, come fecero nel Vangelo i compaesani di Nazareth: 'Signore, facci vedere un miracolo e allora crederò. Voglio vedere un segno come intendo io.' E se tutto questo non avviene si è pronti a cacciarlo dalla vita... Ma l'intero Vangelo, che è pieno di meraviglie, prove, luci, conferme, non aderisce al desiderio di quanti `tentano Dio'. Egli si dona con discrezione e totalità se ci si affida con fiducia" (21 marzo 1965).
Vorrei pregare Gesù, oggi, con le parole di Madre Teresa:
  • Io credo nel tuo Amore, o mio Dio.

    Guardando la Croce, fa' che possa vedere Gesù che inclina la testa

    per dargli un bacio;

    vedere il suo cuore aperto per offrirmi rifugio,

    e non avere più paura, perché Tu mi ami e ci amiamo.

    Anche se peccatori, Tu ci ami; il Tuo amore è fedele.

    Resta con noi, Signore, sempre!".


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven feb 05, 2010 8:59 am

      • Omelia del giorno 7 Febbraio 2010

        V Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Prendete il largo...
C'è una domanda che tante volte la gente rivolge ad un sacerdote o ai religiosi e religiose. ‘Che cosa ci trovate di così attraente nell'abbracciare la vostra scelta di vita?'. Forse tanti rimangono stupiti dal 'nulla terrestre' che apparentemente si ha, seguendo Cristo che li ha scelti per Sé. Non si può negare che la vita 'normale' abbia tanti aspetti significativi, dal potersi costruire una famiglia propria, avere una donna o un uomo da amare in modo unico e speciale, occasioni di affermazione e tante altre piccole o grandi gioie, che sono comunque sempre accompagnate dalla fatica e, a volte, - o forse tante - da fallimenti in ogni campo che fanno soffrire.

Ma la risposta di chi è scelto da Dio per Sé nella vita sacerdotale o religiosa è una sola: ‘Chi mi attrae, non è il prestigio o il successo, non un amore umano, è Gesù, la Persona più desiderabile che si possa incontrare nella vita. Una Persona che offre semplicemente il Suo Amore, perché ne facciamo dono ai fratelli, come unico Bene. È un Bene tanto grande che, se accolto con tutta la generosità possibile, fa sparire tutti gli altri 'beni'. Difficile forse decifrare il cielo che passa negli occhi di chi Dio ha scelto e chiamato a seguirLo, a starGli vicino. Difficile spiegare ciò che si vive, quando ci si fa prendere totalmente da questo Amore. È come voler spiegare il Paradiso.

L'evangelista Luca oggi ci descrive minuziosamente la chiamata di Pietro: una chiamata fondamentale per la vita della Chiesa. Una chiamata che nel tempo mostrerà generosità, totalità nel darsi, ma anche fallimenti, e, dopo la Pentecoste, la capacità di divenire addirittura l'Apostolo che si prende carico di fondare e diffondere la Chiesa. Una generosità che arriva a noi oggi con la gioia, che dovrebbe essere la caratteristica che ci distingue come cristiani, anche se a volte anche noi conosciamo difficoltà e ‘fallimenti', che sono la realtà di chi ama e vuole donarsi. Racconta il Vangelo:
  • In quel tempo, mentre Gesù, levato in piedi, stava presso il lago di Genezareth e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Sali su una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca. Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: 'Prendi il largo, e calate le reti per la pesca'. Simone rispose: 'Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla, ma sulla tua parola getterò le reti. E avendolo fatto presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano.
Pietro aveva faticato inutilmente, per ore, sul lago di Tiberiade, che conosceva palmo a palmo, ma era tornato a mani vuote, il che significa anche... frustrazione per la propria incapacità! Eppure di fronte al Maestro questo uomo così stanco e deluso... non fa obiezioni! Riprende il largo e dà piena fiducia a Gesù, che lo invita a riprovare, come sfidandolo sul piano delle sue competenze professionali. Obbedisce con le disarmanti parole che rivelano il suo cuore semplice e la sua fiducia senza limiti:
  • Sulla Tua parola getterò le reti!
Per me è stupendo questo atteggiamento di Pietro. Aveva mille ed una ragione per essere furibondo con se stesso, con il mare di Galilea, e quindi scettico verso qualsiasi speranza di soluzione, perché per lui, trovarsi a mani vuote dopo una notte di grande fatica, era come avere perso, non solo le forze fisiche, ma la fiducia in se stesso... è come sentirsi rotte le gambe. Ma Pietro supera se stesso e, con la docilità di un bambino, fidandosi della parola di Uno, che forse conosceva appena di vista o di fama, e con il quale, forse, non aveva ancora familiarità, torna in mare con i suoi, avventurandosi al largo, dove davvero si misurano capacità, fede e coraggio.
  • E presero una quantità enorme di pesci che le reti si spezzavano.
Un fatto che intacca la dura scorza del pescatore.
  • Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: 'Signore, allontanati da me che sono un peccatore. Grande infatti era lo stupore che aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo, Giovanni, figli di Zebedeo che erano soci di Simone. Ma Gesù disse a Simone: 'Non temere, d'ora in poi sarai pescatore di uomini. Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono. (Lc. 5, 1-11)
Quella di Pietro sul lago è la storia di tutti, a cominciare da quelli che Dio ha chiamato a diventare ‘pescatori di uomini'. È la storia di ogni battezzato, chiamato da Gesù, nel Battesimo e nella Cresima, a seguirlo e quindi invitato a 'gettare le reti al largo'. Il risultato – e questa è la bellezza della nostra missione – non dipende dalle nostre capacità, ma dalla fede nella Sua Parola. A volte chiamati a stare vicini a Lui nella preghiera, sempre invitati a 'prendere il largo’, con fiducia in Lui, conoscendo le nostre debolezze. Siamo tentati a volte e come scoraggiati nel gettare le nostre reti in questo mondo, diventato un mare inquinato da mille veleni, dove sembra difficile sopravviva, almeno così ci pare, ogni forma di 'vita vera', di Presenza di Dio.

Eppure occorre la piena fiducia di Pietro e 'gettare le reti', come sanno fare tanti. Pensiamo alla mamma di sant’Agostino, che pregò una vita intera perché il figlio tornasse alla Chiesa di Cristo. E non solo ottenne quanto chiedeva, ma Dio le diede di più: un figlio Vescovo.

Quante volte mi si confida: ‘Non so più che cosa fare per mio marito, per i miei figli, per riportarli a quella bontà e fede su cui da tempo era fondata la mia famiglia'; oppure 'Con tutti gli sforzi, avrei voluto dare alla mia vita un indirizzo che mi portasse alla serenità interiore. Ma mi sento come una persona fallita'. Un poco come si sentiva Pietro al rientro da una notte di fatica... senza aver pescato nulla! Ma seguendo senza dubbi la parola di Gesù, può rientrare con la barca che... rischia di affondare per la quantità di pesce pescato!

È in questo momento che si rivela tutta la grandezza di Pietro. Va da Gesù e si confessa: 'io sono peccatore', ossia 'un buono a nulla, se da solo'. È lo stato d'animo che fa strada alla conversione piena. È consolante scoprire come Gesù, non solo lo incoraggia, ma addirittura gli indica la sua nuova missione: 'Sarai pescatore di uomini'. E Pietro va oltre: lasciò tutto e seguì Gesù. È vero che oggi viviamo un tempo,difficile. Fatichiamo e ci sembra di tornare sempre 'a mani vuote'. E si è spesso presi dalla sfiducia. Diceva Paolo VI:
  • Potremmo chiamare la presente perturbazione una crisi di fiducia, se la si considera negli animi nei quali scaturisce. Una sfiducia che percorre l'anima di non pochi. Sfiducia a volte nella dottrina e nella tradizione e diventa crisi di fede. Sfiducia nelle strutture e nei metodi e diventa critica corrosiva. Sfiducia negli uomini e diventa tensione e disobbedienza. Sfiducia nella Chiesa quale è e diventa crisi di carità e facile ricorso al profano. Gesù oggi ci dice: 'Uomo di poca fede perché dubiti?' e ci rammenta fino a quale grado noi possiamo spingere la nostra fiducia. Ricordiamolo sempre: Cristo è la nostra speranza e la nostra forza.
Ce lo ricorda anche l'Apostolo Paolo, di cui tutti conosciamo la conversione e l'entusiasmo nell'annuncio del Vangelo a tutte le genti, nonostante le infinite difficoltà e sofferenze sopportate, che avrebbero forse scoraggiato tanti di noi:
  • Io sono l'infimo degli apostoli e non sono nemmeno degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Cristo. Per grazia di Dio sono quello che sono e la Sua grazia in me non è stata vana: anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la Grazia di Dio che è con me. (Cor. 15, 1-11)
Tutti, senza eccezioni, conosciamo momenti difficili, che possiamo attraversare nella quotidianità della vita, nella famiglia, nella fedeltà del matrimonio, nell'educazione dei figli, sul lavoro, nella società in cui sembra che nulla funzioni, nella stessa Chiesa, dove a volte i pastori vedono le loro fatiche annullate, i loro piani pastorali subire fallimenti, causando quel terribile pericolo che è lo scoraggiamento, da considerare una grave tentazione per un uomo di fede 'chiamato e mandato'.

Quando Paolo VI mi pregò di accettare il mandato di vescovo, lo accettai per la grande fiducia che lui aveva in me. La Chiesa di Acerra, per non so quali motivi, era senza vescovo residenziale da ben 12 anni, affidata ad un Ausiliare della Diocesi di Napoli, che veniva quando poteva. Davvero era un gregge senza pastore e, per di più, un territorio tremendamente tenuto sotto pressione dalla camorra. Fui accolto molto bene. Cercai di affrontare le difficoltà, di mettere insieme un popolo che era senza guida, spargendo a larghe mani la fiducia. E divenne, in breve, ritrovando sacerdoti e fedeli la fiducia, davvero una bella diocesi, che alla fine del mio mandato donò alla Chiesa due Vescovi.

Direi davvero che la nostra fede o, se volete, il nostro coraggio nella prova, nel superare insieme i momenti difficili, che sono per tutti, sostenuti dalla Grazia di Dio, ha dato i suoi frutti. La misura del coraggio non è nel considerare la vita una bella 'discesa', ma una 'ripida salita' che porta alla 'porta stretta', ma molto in alto!

Ciò che prego per tutti oggi: tempo di coraggio, sentendoci sempre come Pietro 'peccatori', gente che senza la Grazia davvero è incapace anche solo di camminare, ma con la fiducia in Dio sa 'prendere il largo e gettare le reti'.

Preghiamo:
  • Dio, non solamente confido in Te, ma non ho fiducia che in Te.

    Donami dunque lo Spirito di abbandono,

    per accettare le cose che non posso cambiare.

    Donami anche lo Spirito di forza,

    per cambiare le cose che posso cambiare.

    Donami infine lo Spirito di saggezza,

    per discernere ciò che dipende effettivamente da me

    e poi...che io faccia solo la Tua santa volontà.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven feb 12, 2010 10:41 am

      • Omelia del giorno 14 Febbraio 2010

        VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Le BEATITUDINI di Gesù, sorgente di gioia
Se c'è un bene che tutti cerchiamo con ogni mezzo è la gioia o felicità. A nessuno piace essere infelice, da qualunque parti si arrivi... .e sono tante le cause di infelicità. Direi che la ricerca della gioia è un segno che ci portiamo addosso, come doveva essere nella mente di Dio quando ci creò: ci fece 'a Sua immagine e somiglianza' e chi, se non Dio è pienezza di Gioia? Il guaio nostro è che siamo portati a cercarla nelle creature o nelle cose che, a loro volta, non la ‘possiedono' e difficilmente possono darcela, se non in 'briciole', con poca durata.

E il mondo in cui viviamo, soprattutto oggi, indicandoci la via della ricchezza, del benessere, della potenza e di quanto altro si voglia, tutto può offrire... tranne quella che è vera felicità. Ricordo quando ero ragazzo - ma non si possono fare confronti con il passato, visto il grande progresso dell'uomo attraverso la scienza, il mercato, ecc. - si viveva in tanti in famiglia. Era tanta la povertà, ma tuttavia non turbava la serenità.

Direi anzi che il poco per vivere, allontanava il poco benessere che si vedeva e non si sognava! Ricordo che il più bel Natale l'ho vissuto quando in casa non c'era nulla. La vigilia con papà mi recai da una zia, che aveva una macelleria, per trovare qualche avanzo. Tolse quel poco che era rimasto agli ossi dei prosciutti... e con quel poco si fece un bel Natale. O quando, giovane diacono, mandato a dare una mano al Parroco, in una parrocchia rosminiana, a Milano, alla fine della Messa di mezzanotte, una famiglia alla porta della canonica chiese qualcosa, poiché non aveva nulla. Il Parroco, di gran cuore, si affrettò in cucina e le diede l'unico panettone e il poco di carne che avevamo. ‘Ma per noi?...è rimasto poco o nulla!' gli feci notare. Quel santo sacerdote rispose con un sorriso: ‘Abbiamo il vero dono del Natale: la gioia di Gesù... e poi la Provvidenza arriva sempre'. E così fu. La mattina dopo un signore ci portò carne e panettone, augurandoci: 'Buon Natale!'.

È bene, oggi, tornare alla memoria, tutti, che si stia bene o no, per scoprire quello che più conta nella vita, la vera sorgente della felicità. Quanta gente c'è tra noi, oggi, che sta bene, a cui non manca nulla, ma è priva della gioia!

Gesù scelse, venendo tra noi, proprio il disinteresse o distacco dalle cose umane: nacque in una grotta a Betlemme, deposto in una mangiatoia e visse in una famiglia povera di Nazareth... Lui, per il quale, afferma il Vangelo di Giovanni, 'tutto era stato fatto e senza di Lui nulla esiste'. È veramente il Signore!... ma, appunto perché la felicità di Gesù non poteva che venire da altro, ossia dall'amore, volle spogliarsi di tutto fino a dare Se stesso sulla croce. La sua ricchezza era vivere per amare e fare felici noi. Ogni volta che penso al Suo Natale, deposto in una mangiatoia, o povero nella casa di Nazareth, per me, ma penso per tanti, la Sua scelta di vita, non solo rende meraviglioso Dio, ma diventa una lezione per noi, oggi. Noi, che ci abbarbichiamo alle cose, che non hanno il potere di dare la serenità che si trova nella povertà di spirito.

Quando poi Gesù iniziò la sua missione evangelizzatrice tra di noi, subito ci diede il codice della gioia, rovesciando i nostri cosiddetti valori. E nacque il famoso discorso della montagna: le beatitudini. Giorno benedetto, allora, è quello in cui la Chiesa fa riecheggiare ai nostri animi la sequenza squillante delle beatitudini evangeliche. Gesù, per annunciarle, sceglie come cattedra la montagna – il monte delle beatitudini che tanti abbiamo visitato e contemplato nel pellegrinaggio nella Terra di Gesù - . Lo circondano gli apostoli, e questi le hanno trasmesse a noi.

Gesù è il profeta che parla, lì, della vita presente e futura. Annuncia il suo programma in sentenze limpide, che condensano tutto il Vangelo. Così il regno della terra, su cui ora viviamo, e il Regno dei Cieli hanno nelle beatitudini il loro codice iniziale e finale. Ascoltiamole con profonda riflessione e preghiera, fino ad incarnarle nella vita di tutti i giorni, come regola di felicità. Troppo belle per non essere conosciute e, soprattutto, per non essere vissute. Sembra di vedere la terra coniugarsi con il Cielo, rendendo tutti, se le viviamo, veri figli di Dio, lontani dal contagio drammatico del mondo.
  • Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

    Beati gli afflitti, perché saranno consolati.

    Beati i miti, perché erediteranno la terra.

    Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

    Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

    Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

    Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

    Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.

    Gioite ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli (Mt. 5, 3-12).
Sembrano davvero una dolce sinfonia, semplice regola per il Cielo.
  • Chi non ha ascoltato le beatitudini - afferma Paolo VI – non conosce il Vangelo; chi non le ha meditate non conosce Cristo.

    Gesù ha esaltato le beatitudini non tanto delle misere condizioni umane, quasi siano fine a se stesse, ma piuttosto ha predicato delle virtù magnifiche, che da quelle misere condizioni prendono il nome e che mediante quelle possono fare buono e grande l'uomo pellegrino. E perciò ha fatto scaturire dal suolo arido e sterile delle nostre debolezze e delle nostre sofferenze, stupende energie morali e spirituali; ha portato a termine la scoperta che i più alti spiriti umani avevano intuito, quella nobiltà sacra e misteriosa del dolore, quella inestinguibile grandezza dei poveri in spirito e dei perseguitati, quella dell'eroismo di chi dà la vita per la giustizia e la verità, quella dell'affermazione trionfante, che esistono valori e solo quelli del Regno di Dio, per cui la vita può essere spesa senza timore, l'affermazione cioè della legge del morire per vivere, la legge del sacrificio redentore. Chi ha compreso questa meravigliosa e difficile lezione, e l'ha applicata alla propria vita, è un santo, è il perfetto, è il beato. Resta che la lezione del Vangelo è difficile.

    La perfezione per il Vangelo ha queste due facce: una di rinuncia e penitenza qui e una di pienezza e di gaudio lassù e anche qui. Il mondo che ci circonda ed in cui siamo immersi, e sta voltando le spalle a Gesù, dimentica la Parola di Gesù, la deride, facendo dell'illusoria felicità del presente, lo scopo prevalente di ogni umana fatica, mentre talora gli stessi credenti, partiti magari per portare un ordine cristiano nella nostra società, sembra che non abbiano altre promesse da farle che quelle di un benessere temporale, legittimo, sì, e doveroso, ma insufficiente a fare felice e buona l'umanità, e non sanno offrire agli uomini del nostro tempo le più alte e vere promesse, quelle dei beni morali, dei beni del Vangelo. Ricordare e meditare le beatitudini per capire che qui è l'umanesimo vero, qui il cristianesimo autentico, qui la beatitudine vera. (5.1.1964)
Allora non sono un'utopia le beatitudini, ma il segreto della felicità a cui tendiamo: è qui che Gesù gioca le sue carte per noi e, contro di Lui, satana gioca le sue. A noi scegliere da che parte stare! Monsignor Tonino Bello, con profonda efficacia, così commentava alcune beatitudini:
  • E c'è, finalmente, il modo legittimo di leggere le Beatitudini. Consiste essenzialmente nel felicitarsi con i senzatetto e senza pane (gli affamati) come per dire: 'Complimenti, c'è una buona notizia! Sì, tutti si sono dimenticati di voi, ma Dio ha scritto il vostro nome sul palmo della sua mano, tant'è che i primi assegnatari della casa del Regno siete voi, che dormite sui marciapiedi e i primi cui verrà distribuito il pane caldo di forno siete voi, che ora avete fame. Felicitazioni a voi, che a causa della vostra mitezza vi vedete continuamente scavalcati dai più forti o dai più furbi. Il Signore, non solo non vi scavalca, nelle sue graduatorie, ma vi assicura il primo posto nella classifica generale dei meriti.

    E auguri a tutti voi che sperimentate l'amarezza del pianto e la solitudine dei giorni neri; c'è qualcuno che non rimane insensibile al gemito nascosto degli afflitti, prende le vostre difese, parteggia decisamente per voi e addirittura si costituisce parte lesa ogni volta che siete perseguitati a causa della giustizia. Ed infine, su con la vita voi, che sfidando le logiche della prudenza carnale, vi battete con vigore per dare alla pace un domicilio stabile sulla terra. Dio avvalla la vostra testardaggine.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven feb 19, 2010 2:36 pm

      • Omelia del giorno 21 Febbraio 2010

        I Domenica di Quaresima (Anno C)



        QUARESIMA: occasione divina per cambiare vita
Abbiamo lasciato alle spalle, con il Carnevale, - almeno spero - la farsa che il mondo ci invita a celebrare, con una spensieratezza che vorrebbe forse per un momento dimenticare le difficoltà di ogni genere che stiamo attraversando. Ci accorgiamo che è necessario un vero cambiamento, non nelle cose, ma nella vita. Quante volte si sente affermare: 'Così non va', riferendosi ai fatti quotidiani, che appaiono sul quadro della storia; occorre una profonda 'inversione' di rotta.

Confesso che, ogni volta annuncio con la Chiesa; che entriamo nella santa Quaresima, ho come un senso di sbigottimento, quello che viene dal pensare che, l'infinito Amore, il Mistero della morte e resurrezione di Gesù - sostanza della nostra vita di fede - possa disperdersi nel nulla, come le notizie di poco conto: quelle che si sentono di sfuggita dai mass media e che non ricordi nel giro di pochi minuti, a meno che non sia una notizia che ti ferisce profondamente. E sono tante le notizie che feriscono o indignano - e così deve essere - osservando quanto avviene attorno a noi, nel mondo.
  • Il mistero pasquale - avverte la Chiesa – risplende al vertice dell'anno liturgico. Il tempo di Quaresima ha lo scopo di preparare la Pasqua; la liturgia quaresimale guida alla celebrazione del mistero pasquale" (Messale n. 27).
C'era un tempo in cui il periodo della Quaresima era accompagnato da una continua catechesi, come a ricordare i principi della vita cristiana e a questi conformare la nostra vita. Non solo, ma c'era in tanti la volontà del cambiamento, facendo piccoli o grandi gesti di digiuno, segno della penitenza, che seguiva la catechesi. Si voleva, insomma, dare alla vita, tramite questo tempo prezioso, il senso giusto, correggendone la traiettoria.

Non bastava, e non basta, lamentarsi che 'così non può durare': per il bene di tutti, per la nostra gioia interiore, occorre decidere e fare dei giorni di Quaresima, un tempo di revisione seria della propria vita, alla luce della Parola e con atti significativi, che devono condurci ad una vita davvero 'da risorti'. Gesù, come ripercorrendo i passi della nostra storia, dalla creazione, accetta di essere 'tentato' da satana, ossia di mettere alla prova la propria fedeltà al Padre. Così, nel Vangelo di oggi, l'evangelista Luca racconta quei momenti drammatici:
  • Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano e fu condotto dallo Spirito nel deserto, dove per quaranta giorni fu tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: 'Se tu sei il Figlio di Dio, dì a queste pietre che diventino pane. Gesù gli rispose: 'Non di solo pane vive l'uomo'.

    Il diavolo lo condusse in alto, mostrandoGli in un istante tutti i regni della terra, gli disse: 'Ti darò tutta questa potenza e la gloria di questi regni, perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi voglio. Se ti prostri davanti a me, tutto sarà tuo. Gesù gli rispose: 'Sta scritto: Solo al Signore Dio tuo ti prostrerai, Lui solo adorerai'.

    Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul pinnacolo del tempio e gli disse: `Se tu sei il Figlio di Dio, buttati giù, perché sta scritto infatti: Ai suoi angeli darà ordine per te, perché essi ti custodiscano, e anche: Essi ti sosterranno con le mani, perché il tuo piede non inciampi in una pietra. Gesù gli rispose: 'E' stato detto: Non tenterai il Signore tuo Dio'.

    Dopo aver esaurito ogni specie di tentazioni, il diavolo si allontanò da Lui". (Lc. 4, 1-13)
Gesù era all'inizio della sua missione, ma si prepara all'altissimo compito di salvarci, affidandosi al digiuno nel deserto e al colloquio continuo con il Padre. É la Sua Quaresima. Alla fine, come a mettere alla prova Gesù e la Sua stessa fedeltà al Padre, interviene il demonio, tentandoLo, come fece con i nostri progenitori e come fa con noi sempre. In fondo satana fa leva sulla nostra debolezza, che è orgoglio, voglia di non dipendere da alcuno, per fare spazio solo a noi stessi e, quindi, cedere a quello che più ci attira.

Ricordiamo la storia della tentazione all'origine. Una vicenda che si perpetua nel tempo dell'umanità, è la nostra ogni giorno, e che Gesù ha voluto provare, mettendosi nei nostri panni... con la differenza che noi cediamo, Gesù ne esce trionfatore. É la risposta a satana che i Cristiani di sicura fedeltà a Dio, i santi – e siamo chiamati tutti ad esserlo, e tanti già lo sono – sono sempre chiamati a dare a Dio. Come con Gesù, satana – il serpente - così fece le sue proposte o tentazioni, secondo il testo biblico:
  • Il serpente era il più astuto degli animali selvatici che Dio, il Signore, aveva fatto. Disse alla donna: 'Così Dio vi ha detto di non mangiare nessun frutto degli alberi del giardino. La donna rispose al serpente: 'No, noi possiamo mangiare i frutti degli alberi del giardino. Soltanto dell'albero che è in mezzo al giardino Dio ha detto: Non mangiatene i frutti, anzi non toccatelo, altrimenti morirete!: 'Non è vero che morirete – disse il serpente – Anzi, Dio sa bene che se ne mangerete i vostri occhi si apriranno, diventerete come Lui, avrete la conoscenza di tutto'. La donna osservò l'albero: i suoi frutti erano certo buoni da mangiare, erano una delizia per gli occhi, era affascinante per avere quella conoscenza. Allora prese il frutto e ne mangiò. Lo diede anche a suo marito ed egli lo mangiò. I loro occhi si aprirono e si accorsero di essere nudi. Perciò intrecciarono foglie di fico intorno ai fianchi.

    Ma verso sera l'uomo e la donna sentirono che Dio, il Signore, passeggiava nel giardino.

    Ma Dio, il Signore, chiamò l'uomo e gli disse: 'Uomo, dove sei?. L'uomo rispose: 'Ho udito i tuoi passi nel giardino. Ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto'. Gli disse: 'Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai mangiato il frutto che ti avevo proibito di mangiare?: L'uomo gli rispose: `La donna che mi hai messo al fianco, mi ha offerto quel frutto ed io l'ho mangiato'. Dio, il Signore, si rivolse alla donna: 'Che cosa hai fatto?: Rispose la donna: serpente mi ha ingannata e io ne ho mangiato'." (Gen 3, 1-14)
È l'eterno duro confronto tra il nostro egoismo e l'amore. Nella vicenda dei progenitori si evidenzia la presenza della tentazione del maligno, che cerca di sviarci nelle nostre scelte di vita, portandoci ad una netta disobbedienza e al rifiuto del Padre.

Con Gesù si hanno le giuste risposte a satana, che dovrebbero essere sempre le nostre. Per avere in cambio che cosa? Alla fine gli Angeli si affiancarono a Gesù e gli offrirono il pane... ma se si segue la strada dei nostri progenitori, c'è solo l'abisso del voltare le spalle a Dio, per voler dare spazio al nostro orgoglio, e, alla fine,... sentirci nudi!

Sappiamo tutti che oggi, come sempre, sono tante le tentazioni che satana sa offrire. È davvero aria di tentazioni anche la nostra: voglia di potenza, voglia di ricchezza, voglia di affermarsi a costo di mandare a brandelli la nostra dignità e la serenità del nostro animo. Paghiamo caro, usciti dall'Eden, l'errore di avere ceduto. Affermava Paolo VI, la preziosa guida delle nostre riflessioni:
  • Noi parliamo di noi stessi come se fossimo padroni della nostra vita e non soltanto responsabili del suo impiego. Parliamo del mondo come se fosse nostro, e non avesse altri rapporti interessanti che quelli che noi creiamo con la nostra conoscenza e conquista. Il senso che abbiamo di noi stessi ci appaga, anche se è privo di valori e di Dio. Siamo egoisti e perciò orgogliosi e presuntuosi. Se avessimo il senso delle proporzioni vere dell'esistere, comprenderemmo la piccolezza nostra e la grandezza di Dio, sospesi tra il nulla della nostra origine e il tutto che potremmo costruire". (1961)
Ma ci vuole un continuo controllo di noi stessi o, se vogliamo, una solida difesa della nostra meravigliosa vocazione alla bellezza di Dio, che faccia da scudo alle tentazioni di ogni tipo che ci assediano. Per questo la Quaresima diventa tempo di preghiera, di fare della Parola di Dio il nostro pane e abituarci alla penitenza o mortificazione. Ricordiamocelo: se non moriamo a noi stessi, è impossibile risorgere con Gesù. Rifletteva don Tonino Bello:
  • Oggi la gente digiuna per ottenere un posto, un diritto di cui è stato spodestato. Non digiuna più per santificare un periodo sacro come la Quaresima. Che sia il nostro un digiuno di profezia. Astenetevi non tanto da un pasto, ma dall'ingordigia, dal sopruso, dalla smania di accaparramento. Più che privarvi di un piatto, privatevi del lusso, del superfluo: ci vuole più coraggio. E più che non toccare il pane, condividete il pane, condividete il pane con i disperati senza numero che vi stanno attorno.
Voglio augurare a tutti i miei amici un santo cammino di Quaresima, che ci accosti di più al Bene di Dio, prendendo le distanze da noi stessi: è l'unico modo per resistere alle tante tentazioni che il mondo ci offre. Buona Quaresima.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven feb 26, 2010 11:52 am

      • Omelia del giorno 28 Febbraio 2010

        II Domenica di Quaresima (Anno C)



        La Trasfigurazione di Gesù sul monte
La prima domenica di Quaresima siamo stati vicini a Gesù, nostro Maestro nella santità, quando 'condotto dallo Spirito' nel deserto, conobbe le tentazioni di Satana: tentazioni sottili, come sono tutte e sempre le tentazioni, che cercano di fare apparire bene il male, rifiutando così l'amicizia e l'obbedienza al vero e sommo Dio, nostro infinito Amore.

Gesù, le Sue scelte, le vide chiare nel silenzio del deserto, che è sempre stato, per i 'cercatori di Dio', il luogo privilegiato per l'ascolto, nell'intensità della preghiera che diventa l'appassionato dialogo con Dio, in cui diventa facile dire 'sì' a Lui e al prossimo; nella penitenza, che è come uno strapparsi di dosso le false sicurezze, se non addirittura i nostri motivi di rifiuto all'amore, come è ogni forma di egoismo, dalla ricchezza all'indifferenza, diventando disponibili ad accogliere l'Amore, itinerario alla santità. Le tentazioni rivolte a Gesù furono 'durissime': cercavano di portarlo a scegliere le vie facili ad un messianismo basato sulla potenza, sul prestigio, sul trionfo. Gesù scelse la via dell'umiltà, dell'annientarsi fino a dare tutto di Sé, fino alla crocifissione per la resurrezione. Nel deserto e nelle tentazioni dovevano apparire, senza possibilità di appannamento, 'i segni concreti' e le 'parole vere' dell'amore al Padre.

Ma le Sue scelte avevano bisogno di una conferma presso quelli che Lui aveva scelto, chiamato, gli Apostoli, che avevano accettato di seguirLo, forse sognando di fare con Lui strade trapuntate di gloria, come suggerisce sempre satana. Le vie della povertà, dell'umiliazione, del disprezzo totale di sé, dell'annientamento, faticavano ad entrare nelle prospettive umane degli Apostoli, e anche nostre, che amiamo vedere successi, più che fare strada ai `successi' del Cuore di Dio. Da qui il grande evento della Trasfigurazione, raccontato dall'evangelista Luca:
  • In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni, e salì sul monte a pregare. E mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante Ed ecco due uomini parlavano con Lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella loro gloria, e parlavano della sua dipartita che avrebbe portato a termine a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno, tuttavia restarono svegli e videro la sua gloria e i due uomini che stavano con Lui.

    Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: 'Maestro, è bello per noi stare qui. Facciamo tre tende, una per te, una per Mosè ed una per Elia. Egli non sapeva quel che diceva.

    Mentre parlava così, venne una nube e li avvolse; all'entrare in quella nube ebbero paura. E dalla nube uscì una voce che diceva: 'Questi è il Figlio mio, l'eletto: ascoltatelo!: E appena la voce cessò, Gesù restò solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono ad alcuno nulla di ciò che avevano visto (Lc. 9, 28-36).
Lascio che sia Paolo VI a commentare questo prezioso tassello della vita di Gesù con alcuni dei Suoi Apostoli, che così potranno ricordare, soprattutto nei momenti difficili della passione, Chi davvero era Gesù e perché era tra noi. Dopo aver descritto la scena della Trasfigurazione, Palo VI afferma:
  • Per gli Ebrei, dire Mosè era come accennare a tutta la propria storia, al popolo eletto, alla Legge; scorgere Elia era come ripercorrere i tristissimi anni durante i quali il grande profeta aveva cercato di rianimare il senso religioso e la tradizione in chi si era lasciato influire da dottrine pagane e aveva perduto la nota dominante del proprio costume religioso (come oggi).

    Pietro, come in altre circostanze, il più entusiasta ed esuberante, prorompe in un grido di gioia: 'Come è bello stare qui, per sempre!' e 'Se vuoi, Signore, facciamo qui tre capanne, una per te, una per Mosè ed una per Elia', come a voler permanere in eterna beatitudine. Si aggiunge la parola divina che dona l'identità di Gesù, Figlio dell'uomo: ‘Questi è il mio Figlio prediletto, ascoltatelo!’.

    Poi tutto torna alla vita normale.

    La testimonianza per Gesù, in questo racconto, rimase quasi un testamento e ci domandiamo: perché la Chiesa ripropone nella liturgia un quadro così sfavillante della gloria del Signore?

    In quel contesto sul monte, Gesù intende dare un saggio di chi Egli veramente è: perché poco prima aveva parlato della sua passione e ne riparlerà anche in seguito. Sono gli ultimi giorni della sua missione in Galilea. Gesù sta per trasferirsi in Giudea ove accadrà il grande dramma della vita temporale del Signore. Gesù sarà crocifisso. E perché i suoi conservino la fede, non scandalizzati, anzi esterrefatti dalla fine triste del Maestro, decide di imprimere nelle loro anime la meraviglia vista sul Tabor. In altri termini, questa scena del Vangelo pone dinnanzi a noi oggi una questione di grande attualità; si direbbe fatta su misura delle nostre condizioni spirituali.

    La domanda è la medesima rivolta da Gesù, sei giorni prima dell'evento del Tabor: ‘Chi dite che sia il Figlio dell'uomo?’. È la stessa che oggi siamo invitati a rivolgerci: Chi pensiamo sia Gesù? Chi è per noi Gesù? Sappiamo bene cosa sia nella nostra vita realmente?

    Alla domanda alcuni, forse molti, non sanno rispondere, non sanno che dire.

    Esiste come una nube opaca di ignoranza che preme su troppi. Si ha una vaga conoscenza di Gesù, non lo si conosce bene... al punto che all'offerta di Gesù di essere per tutti guida, Maestro, si risponde di non averne bisogno e si preferisce tenerLa lontano.

    Ma noi, che abbiamo questo grandissimo e dolcissimo Nome da ripetere a noi stessi, noi che siamo fedeli, noi che crediamo in Gesù, sappiamo bene Chi è?

    Sappiamo dirGli una parola diretta ed esatta, chiamarLo veramente per Nome, chiamarLo Maestro, Pastore ed invocarLo quale Luce dell'anima e ripeterGli: Tu ci sei necessario, noi non possiamo fare a meno di Te, sei la nostra fortuna, la nostra gioia e felicità e speranza?

    Ecco il senso del racconto evangelico. Bisogna che gli occhi della nostra anima siano rischiarati, come abbagliati da tanta luce e che la nostra anima prorompa nell'esclamazione di Pietro: 'Come è bello stare qui, davanti a Te, Signore, e conoscerTi ed amarTi!’ (4 aprile 1965).
Ho avuto modo di stare vicino a fratelli che avevano un solo desiderio nella vita: 'contemplare, stare con Gesù' ... e la loro vita sembrava una 'tenda', in cui vedevano e stavano con il Maestro. Sono tanti, più di quello che pensiamo. Gente di tutte le età, che non possono fare a meno di visitare Gesù, capaci di ritagli nella giornata per 'stare con Gesù', per farsi rigenerare nella fede e nella gioia. Vivete, insomma, 'stando in casa con Gesù'. Gente serena, buona, che nulla ha a che fare con le tende che gli uomini sanno moltiplicare nelle nostre piazze e che contengono amarezza e stordimento, ma nulla che sia respiro dell'animo.

Ci sono chiese aperte anche di notte per accogliere quanti vogliano stare con Gesù… e risulta che sono soprattutto i giovani a scegliere la notte per uscire dal chiasso del mondo e della vita, e gustare il silenzio con Gesù. Ci sono anime consacrate che fanno della loro vita un continuo stare con Gesù: sono le 'adoratrici perpetue', che si danno il turno anche di notte per non lasciare mai solo Gesù.

Mia mamma, innamorata di Gesù, che aveva sempre sulle labbra e nel cuore, trovava sempre il tempo per il suo turno di adorazione durante la settimana e spesso affermava: 'Per me Gesù è la sola gioia piena della vita'. Sono uomini e donne 'tende di Gesù', che sanno ancora ricordarci che c'è Chi ci ama ed è prezioso ai nostri cuori. Viene da ricordare un piccolo brano di passione di Paolo VI, che già vi ho donato (forse tante volte!), ma che sempre, ed oggi in particolare, mi pare essenziale - non ci si stanca mai di meditarlo e gustarlo per farlo diventare nostra esperienza -.
  • O Gesù, nostro unico Mediatore, Tu ci sei necessario per venire in comunione con il Padre, per diventare con Te figli adottivi.

    Tu ci sei necessario, o vero Maestro delle verità recondite e indispensabili della vita, per conoscere il nostro essere, il nostro destino, la via per conseguirlo.

    Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire la nostra miseria e per guarirla, per il concetto del bene e del male e la speranza della santità.

    Tu ci sei necessario, o grande Paziente dei nostri dolori, per conoscere il senso della sofferenza e dare ad essa un valore di redenzione.

    Tu ci sei necessario, o Gesù, o Signore, o Dio con noi, per imparare l'amore vero, per camminare nella gioia e nella forza della Tua carità, lungo il cammino della nostra vita faticosa, fino all'incontro finale con Te amato, con Te atteso, con Te benedetto nei secoli.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven mar 05, 2010 2:26 pm

      • Omelia del giorno 7 Marzo 2010

        III Domenica di Quaresima (Anno C)



        Una vita di apparenza e non di sostanza
Vi è un termine, 'superficialità', che la dice lunga sul modo di dare senso a quello che si fa, ossia trascurare le radici. Facile sentirsi dire: 'Che male c'è? Lo fanno tutti.' e di conseguenza non si cerca più di dare senso e trovare la vera ragione in ciò che operiamo. Senza contare che troppe volte siamo portati a fermarci a quanto vediamo, senza andare alle radici della verità. È proprio della Quaresima, o se vogliamo delle persone che amano la verità, cercare invece di essere coerenti con la verità stessa e il bene.

Oggi l'Evangelista Luca ci fa assistere ad un dialogo fra Gesù e alcuni che Lo seguivano e forse Lo avevano cercato solo per porgli delle domande imbarazzanti. Pilato infatti, con l'arroganza dei potenti, che tante volte ignorano i più elementari diritti delle persone - che invece dovrebbero servire! - assumendo come sola regola il potere, non solo aveva ordinato la pena di morte per alcuni Galilei, ma aveva deciso che la condanna dovesse essere eseguita in luogo sacro, al punto che il sangue degli uccisi si era mescolato con il sangue dei sacrifici rituali. La domanda di fondo era: ‘Ma perché si disprezza tanto la vita dell'uomo? Perché l'uomo e i suoi sacrosanti diritti vengono con tanta facilità calpestati? E potremmo aggiungere: perché tanti bambini in Africa, e non solo, muoiono di fame senza alcuna colpa? Perché tanti, anche tra di noi, vengono emarginati senza averlo meritato? E potremmo continuare il 'rosario' delle violenze di oggi e di sempre, usate verso i deboli.

Ci sono insomma fatti che, imprudentemente, per alcuni, mettono 'in discussione' l'amore del Padre, che di fatto si prende cura di ogni uomo. Un giorno, volendo dare una spiegazione, a suo modo di pensare, della catastrofe dei terremoti, uno mi disse: ‘Si vede proprio che Dio in questi giorni era distratto e non si è accorto del nostro dolore!' Gli risponde la Sacra Scrittura, oggi, con un brano dell'Esodo:
  • Mosè stava pascolando il gregge di Ietro, suo suocero, sacerdote di Madian, e condusse il bestiame oltre il deserto e arrivò al monte di Dio, l'Oreb. L'angelo di Dio gli apparve in una fiamma di fuoco in mezzo al roveto. Egli guardò ed ecco, il roveto ardeva nel fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè disse: 'Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?'. Il Signore vide che Mosè si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: Mosè, Rispose: 'Eccomi!'. Riprese: 'Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo dove stai è una terra santa!'. E disse: 'Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe.' Mosè allora si velò il viso, perché aveva paura di guardare verso Dio. Il Signore disse: 'Ho osservato la miseria del mio popolo, in Egitto, e ho udito il suo grido a causa dei suoi sorveglianti! Conosco infatti le sue sofferenze Sono sceso per liberarlo dalla mano dell'Egitto e per farlo uscire da questo paese, verso un paese bello e spazioso, dove scorre latte e miele'. Mosè disse a Dio: 'Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico: il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?'. Dio disse a Mosè: lo Sono Colui che Sono! Poi disse: 'Dirai agli Israeliti: 'Io Sono Colui che Sono mi ha mandato a voi. (Es. 3, 1-15)
È commovente come Dio non sia insensibile ai tanti mali del suo popolo e, quindi, oggi, di tutti gli uomini. È, quella di Dio, una dichiarazione che nessun tempo, nessun fatto, nessuna circostanza può minimamente offuscare, perché il solo dubitarne sarebbe mettere in discussione la fedeltà del Suo Amore. Vero che viviamo un tempo in cui è facile farsi prendere dalla mentalità del mondo, che descrive bene il nostro grande Paolo VI:
  • Innanzitutto voi non troverete più nel linguaggio della gente, cosiddetta perbene oggi, nei libri, la tremenda parola che invece è tanto frequente nel mondo religioso, nel nostro, segnatamente in quello vicino a Dio, la parola 'peccato'. Gli uomini nei giudizi odierni non sono più ritenuti peccatori. Vengono catalogati come sani, malati, bravi, buoni, forti, deboli, ricchi, poveri, ma la parola peccato non si incontra mai. E non torna perché, distaccato l'intelletto umano dalla sapienza divina, si è perduto il concetto del peccato. Diceva Pio XII: 'Il mondo moderno ha perduto il senso del peccato', che cosa sia, in altre parole, la rottura dei rapporti con Dio.

    Il mondo non intende più soffermarsi su tali rapporti. E allora la filosofa contemporanea parte da un ottimismo aprioristico. L'uomo è buono, sarà la società a renderlo cattivo: ma di per sé, lasciate che si sviluppi con spontaneità e in un ambiente favorevole, e sarà di sua natura probo e virtuoso.

    Viene adottata così, quale norma, una indulgenza molto liberale, molto facile, che spiana le vie ad ogni sorta dì esperienze e di capricci. Il male dunque non esiste, secondo il mondo. Ed ecco l'incoerenza. Mentre il punto di partenza è tanto sicuro, il punto di arrivo, il giudizio terminale che il nostro mondo dà sull'uomo qual è? Non erriamo asserendo che il giudizio dato dall'uomo di se medesimo, con a propria testimonianza, dice che l'uomo guardato dentro è una cosa orribile.

    Quante volte coloro che ci si presentano davanti con aspetto bonario, nascondono al contrario il sepolcro imbiancato più deforme! Anche Gesù guarda a noi che siamo davvero povera gente con tanti malanni. Egli, dopo avere sollecitato in noi, con noi, con questa sua luce, un esame di coscienza, per il quale si avverte la colpa, ma anche la redenzione, entra nell'anima con un torrente di letizia e di amore. Se lo vuoi – Egli ci conforta – Io ti ridono l'integrità, la grazia di sentirti veramente quello che deve essere restituito alla tua statura, come il Signore ti ha creato: a sua immagine e somiglianza". (settembre 1964)
È davvero questo il tempo di scrollarci di dosso quell'insopportabile apparenza buona ed avere il coraggio di andare fino in fondo, con la forza della grazia, per ritrovare la gioia dell'amicizia con il Padre. ‘Ho sempre l'amaro in bocca – mi confessava una persona -. E non è quell'amaro che si prova fisicamente per una cattiva digestione, ma quello del cuore che non è in pace con se stesso e, forse, in ultima analisi con Dio. Un giorno, trovandomi solo in Chiesa, chiesi a Gesù di farmi conoscere la dolcezza della vita. E il mio sguardo continuava a fissare il confessionale. Ed era come mi dicesse che li poteva esserci la soluzione ai miei problemi. Con coraggio mi accostai a quel confessionale: ebbi la fortuna di incontrare un sacerdote davvero secondo il cuore di Dio. Comprese la mia situazione e seppe condurmi per mano nel capire il male che era in me e, di conseguenza, finalmente raggiungere quella gioia che sognavo e che per me è ormai il vero dono della vita che Dio dà'.

È davvero tempo che ognuno trovi il coraggio di vedere in faccia le tante superficialità, che conducono al male che non vorremmo e lasciano sempre la bocca amara, ossia l'insoddisfazione del cuore. Nulla è bello, infinitamente bello, come avere un cuore riconciliato da Dio, con se stessi e con gli altri: è la via per ritrovare la gioia di vivere in grazia e così poter dare un senso alla vita e a quanto facciamo o ci accade. Non si può far convivere fede e mediocrità, voglia di bontà e corsa al male.

Dovremmo seguire l'esempio del figlio prodigo, che, dopo aver abbandonato la casa del Padre ed essersi trovato a saziarsi delle carrube dei porci, 'rientrò in se stesso e tornò a casa'. Fu sommerso dalle braccia del padre che commosso lo accolse. Dobbiamo evitare quel vivere 'senza frutti' di cui parla il Vangelo di oggi:
  • In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù circa quei Galilei il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola Gesù rispose: 'Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per avere subito tale sorte? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quei diciotto sopra i quali rovinò la torre di Siloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo'.

    Disse anche questa parabola: 'Un tale aveva un fico piantato nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: Ecco sono tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno?

    Ma quegli rispose: 'Padrone, lascialo ancora quest'anno, finchè non gli zappi attorno e vi metta concime e vedremo se porterà frutti per l'avvenire: se non, lo taglierai. (Mc. 13, 1-9)
Non ci resta che farci aiutare da santa Teresa di Calcutta, nel rivolgere a Dio una preghiera, perché ci apra la via della fiducia in Lui:
  • Signore, aiutaci a vedere nella tua crocifissione e resurrezione un esempio di come sopportare e idealmente morire

    nella lotta e nel conflitto della vita quotidiana,

    in modo che possiamo vivere più pienamente e creativamente.

    Tu hai accettato pazientemente e umilmente le mortificazioni

    della vita umana, come le torture della passione.

    Aiutaci ad accettare le pene e i conflitti che ci aspettano ogni giorno. Fa' che attraversiamo pazientemente e coraggiosamente la vita fiduciosi che Tu ci assisterai.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven mar 12, 2010 10:40 am

      • Omelia del giorno 14 Marzo 2010

        IV Domenica di Quaresima (Anno C)



        Le meravigliose braccia aperte del padre
In questa domenica, la IV di Quaresima, la Chiesa con la Parola di Dio ci fa quasi respirare la bellezza della nostra resurrezione, frutto della Resurrezione del Maestro, sempre che la Sua Grazia ci raggiunga e arrivi a parlare al nostro cuore, che ha davvero bisogno di assaporare, nel ritorno a Lui, lo stupendo bacio di gioia e di pace che solo Dio sa e può donarci. È il tempo in cui Dio si 'lascia commuovere' dalla nostra povertà, quando finalmente comprendiamo, 'rientrando in noi stessi', quanto profonda sia la tristezza di sentirsi 'orfani' e lontani da Casa.

Se ci lasciamo conquistare dalla Grazia e non sbarriamo le porte del cuore, fatto per essere amato da Dio ed amarlo, consapevoli della nostra fragilità e pochezza, avvertiremo un profondo bisogno di sentire il calore delle braccia del Padre, che si tendono verso i figli per accoglierli, stanche forse di essere state inutilmente aperte nell'attesa, ma pronte a chiudersi su quanti sanno gettarsi dentro con fiducia.
  • Fratelli – ci avverte san Paolo – se uno è in Cristo, è una nuova creatura: le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove Tutto questo però viene da Dio, che ci ha riconciliati con Sé mediante Cristo e ha affidato a noi il ministero della riconciliazione. Noi fungiamo, quindi, da ambasciatori per Cristo; come se Dio esortasse per mezzo di noi. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio. (II Cor. 5, 17-21)
In fondo la storia del Padre verso di noi, Sue creature, ha come stupendo scenario immutabile il Suo incredibile Amore: un Amore che dà la vita e rigenera, ossia ci rende pienamente Suoi figli, anche quando Gli voltiamo le spalle, ignorandoLo o ancora peggio offendendoLo.

Il Padre non si lascia intimorire né frenare dal rifiuto in cui noi siamo capaci di cacciarci, per l'egoismo che è spuntato nei progenitori e continua a dare i suoi perfidi frutti anche in noi. Il Padre sa bene, molto bene, che nulla è paragonabile anche solo ad un centimetro di parete della ‘propria Casa', che è la Sua stessa Casa. Sa molto bene quanto sia dura la solitudine, che può prendere possesso del cuore dell'uomo: è una terribile morte del cuore, che striscia vicino a troppi per un motivo o per un altro.

Troppe volte perdiamo anche la verità del peccato e facciamo passare per lecito quello che invece offende Chi ci ha creati e a cui dobbiamo amore ed obbedienza: l'Unico che ben conosce quanto il peccato possa farci del male. E tante volte riteniamo che sia sufficiente un superficiale 'chiedere perdono direttamente a Dio', per sentirsi liberati e scolparsi. Ma non è così. Ci viene incontro, per guidarci ad una retta coscienza e consapevolezza, la stupenda parabola del figlio prodigo, un capolavoro di misericordia. Leggiamola insieme, assaporandola, parola per parola, per capire il Cuore di Dio.
  • Un uomo aveva due figli. Il più giovane disse al Padre: Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta. E il Padre divise tra loro le sostanze. Dopo non molti giorni, il figlio più giovane, raccolte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò le sue sostanze vivendo da dissoluto. Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò e si mise al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube che mangiavano i porci, ma nessuno gliene dava.

    Allora rientrò in se stesso e disse: Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei garzoni. Partì e si incamminò verso suo padre.

    Quando era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio.

    Ma il padre disse ai servi: Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso e ammazzatelo; mangiamo e facciamo festa perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto ed è stato ritrovato.

    E cominciarono a fare festa. (Lc. 15, 11-32)
Una parabola che apre il cuore e la mente sulla misericordia di Dio, che nulla ha a che fare con la cosiddetta 'confessione' di chi sbaglia ed è giudicato nei nostri tribunali. ‘Chi sbaglia – si sente dire spesso – è giusto che paghi!': una condanna, che non lascia spazio al perdono o alla speranza.

La parabola del figlio prodigo ha poco a che fare anche con quelle che ancora oggi chiamiamo ‘confessioni', dove ha spesso più spazio la paura, il senso di umiliazione e di imbarazzo, invece della gioia. É un modo di concepire il sacramento della penitenza sullo stile del giudizio umano: un incontro con un Giudice che condanna, non con un Padre che perdona! Ma Cristo ci ha insegnato ben altro.

La storia del peccato, è lasciare la Casa del Padre, dove regnava la gioia e l'innocenza, per fare spazio alle prospettive del mondo, dove tutto può avvenire, fuorché donarci la gioia di vivere nell'amore, e quindi nella serenità e nella gioia. La gioia del mondo è effimera e si consuma in fretta, come avviene per il figlio prodigo. Può capitare a tutti di fare questa scelta errata, affidandosi alle chimere ed illusioni del mondo, privandosi del clima della Casa del Padre, un clima di Cielo. Così come è facile farsi stordire dalle tante offerte del mondo, che sanno di disgusto della vera bellezza e della bontà. Quanto è facile per molti, per ognuno di noi, lasciarsi ingannare anche oggi, dalla voglia di abbandonando la Casa del Padre!

È sotto gli occhi di tutti il disordine morale che ha come conseguenza il disgusto dell'anima, magari sbandierato come spettacolo o capacità di trasgressione, un'amarezza profonda, colmata con ogni sorta di sciocchezze, vanità e idoli sbagliati, o peggio, tradimenti, avventure, senza riuscire a superarla e venirne fuori, anzi! Si ha voglia di purezza di cuore e ci si sente immersi nel fango. Si avverte il bisogno di uscirne e non si trova la forza o la Grazia per venirne fuori. È il momento di entrare nei panni del figlio prodigo, che ha perso tutto, è abbandonato da tutti e, per sopravvivere, deve contendere le ghiande destinate ai porci.

Il figlio prodigo - e qui davvero si tocca con mano l'intervento dello Spirito - dopo aver toccato il fondo, 'rientra in se stesso e dice: Tornerò da mio padre': è la capacità di mettersi in discussione e lasciare che il proprio cuore ricerchi la sua bellezza ed innocenza, ritornando in pace con se stesso, con gli altri e con Dio. Basterebbe recarsi nei grandi santuari come Lourdes o Fatima e, quello che davvero penso sia il miracolo della Mamma Celeste, è vedere tanta gente accostarsi al sacramento della Penitenza, aiutata dalla Mamma che pare tenerli per mano verso la loro rigenerazione. Può sembrare difficile lasciare alle spalle il peso delle colpe... ma farlo è rinascere.

Non si può ignorare il Cuore buono del Padre, la sua voglia di riaverci nella Sua e nostra Casa. Occorre superare vergogna o rilassatezza e 'tornare a Casa'! Cosa scopriremo nel grande sacramento della Penitenza - sbagliato definirla confessione - se avremo il coraggio del figlio che torna a casa? Ce lo racconta Gesù: "Quando il figlio era lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò".

Sembra quasi impossibile per noi uomini, di piccole vedute, che Dio possa rispondere alle nostre tante offese o indifferenze, o ancora peggio al preferire il nostro egoismo e le sciocche e vane sue gioie senza amore, con quell'Amore misericordioso che giunge alla commozione ed è narrato dal Vangelo. Ma è così l'Amore!

Tutti noi, chi più chi meno, sentiamo l'amarezza nel cuore e il bisogno di Uno che ci ridia la gioia di essere amati, passando per il perdono: Qualcuno che è lì sulla porta di casa, che abbiamo abbandonata, forse da tanto tempo, sino a quasi aver dimenticato (ed è terribile) di avere un Padre.

Non resta che la verità dell'umiltà del figlio prodigo, che sa di non poter avanzare pretese, ma può solo dire: 'Padre, ti ho voltato le spalle, anzi ho preferito sciocchezze, che credevo un 'paradiso possibile' ed erano invece come i colori sulle ali delle farfalle; ho creduto di poter essere felice senza di Te, come se altri o le cose potessero essere 'Padri' e 'casa'. Ho sfidato quella che credevo la tua collera. Oggi mi trovo con i vestiti laceri. Sono disorientato, confuso, angosciato. Prendimi così come sono e rivestimi degli abiti di Casa: ridonami l'innocenza. Hai voluto che il Tuo pieno e sicuro perdono mi raggiungesse tramite il sacerdote che Ti rappresenta e a lui hai dato l'incredibile e stupendo potere di dire, a nome Tuo: Ti assolvo da tutti ì tuoi peccati: va' in pace e non peccare più'.

Grazie, Padre, di questa certezza, ma abbiamo bisogno che lo Spirito, come fece con il figlio prodigo, ci ispiri quel difficile e meraviglioso 'rientrare in noi stessi e dire: tornerò da mio Padre'. Aiutaci. Ti preghiamo:
  • Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi

    e molto più: ho offeso Te infinitamente buono,

    degno di essere amato sopra ogni cosa.

    Propongo con il Tuo santo aiuto di non offenderTi mai più,

    e di fuggire le occasioni prossime del peccato.

    Signore, misericordia, perdonami


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven mar 19, 2010 11:25 am

      • Omelia del giorno 21 marzo 2010

        V Domenica di Quaresima (Anno C)



        Donna, neppure io ti condanno
Se ricordiamo, il Vangelo di domenica scorsa mostrava, da una parte la grande incoscienza del figlio che abbandona la casa e sceglie il mondo, riducendosi alla più nera delusione ed infelicità: la solitudine di un figlio che, dopo aver vissuto nella serenità di un profondo rapporto con il padre, alla fine, per sua maldestra scelta, si trova veramente 'nudo di tutto', abbandonato da tutti, senza un futuro. È un figlio che però alla fine trova la forza interiore di rivedere le sue scelte e riorientare la sua vita tornando dal Padre, riconoscendo la sua indegnità ad essere considerato figlio e disposto ad essere accolto anche solo come servo: 'Rientrò in se stesso e disse: tornerò da mio padre'.

Dall'altra c'è il padre, che, sulla porta di casa, lo attende ansiosamente da tempo, 'gli corre incontro commosso, gettandogli le braccia al collo' e invita 'a fare festa', perché il figlio che era morto è tornato in vita'. Questo per spiegare l'infinita misericordia di Dio verso di noi, nonostante la nostra indifferenza, superficialità o cattiveria. Tutta la vita di Gesù, compresa la Passione e la Morte, é stata sempre una risposta alla misericordia del Padre, all'immenso amore che Lui ha per noi.

È davvero grande il Cuore di Dio. Nulla a che fare con il nostro cuore, che ha sete di amore, di perdono, di comprensione, ma poi si rivela di una meschinità incredibile di fronte alle debolezze altrui. Quando qualcuno, per debolezza, sbaglia, non abbiamo nessuna pietà nella condanna.

Ricordo, ai tempi del terrorismo, avevo avuto la fortuna di visitare nelle carceri quelli che venivano definiti 'dissociati', ossia 'confessavano' le proprie colpe, si dissociavano dal terrorismo, senza coinvolgere gli altri compagni. C'erano poi i cosiddetti 'pentiti', che raccontavano ai giudici i delitti, propri e di altri, commessi, aprendo la strada a controlli ed indagini serrate su tutte le cellule. Infine vi erano gli 'irriducili', che restavano fissi nelle loro idee, considerandosi 'a posto', rispetto ad una società che ritenevano di dover cambiare con la violenza. Mi faceva da apripista negli incontri suor Tersilla, stupenda suora, vero angelo delle carceri, benvoluta da tutti i condannati, che poi morì in un incidente, e il fratello di Vittorio Bachelet, Padre Bachelet. Così come ho avuto la grazia di incontrare uomini 'illustri' della criminalità organizzata ed in alcuni (pochi) ho potuto notare la volontà di riconoscere il male commesso, affidandosi alla misericordia di Dio.

Ogni volta che incontravo quei fratelli e sorelle, che avevano fatto scelte errate ed erano cancellati dalla compassione di tutti, mi si affacciava spontanea alla mente e al cuore la differenza tra la misericordia di Dio, che chiede il riconoscimento delle colpe, ma offre la grazia del perdono, anche se rimane sempre il dovere della riparazione, e la nostra tendenza ad una condanna senza appello. Tutti dalla giustizia umana chiedevano solo uno spiraglio per poter tornare nella società e vivere, anche se per poco, la bellezza di essere uomini dal cuore rinnovato.

Questo mio pellegrinaggio nelle carceri, che aveva il solo scopo di indicare la via del 'figlio prodigo', ossia 'rientrare in se stessi e tornare alla Casa del Padre, non come servo, ma come figlio', non era ben accolto da gran parte dell'opinione pubblica. ‘La rispettiamo, Padre, - mi fu detto dopo un incontro pubblico sull'argomento del perdono e della riabilitazione – per tutto quello che ha fatto e fa, ma in questo non approviamo. Chi sbaglia deve pagare!'. E ricordo come, proprio nell'anno in cui la Chiesa celebrava il Convegno sulla Riconciliazione, in un incontro, presenti alcuni vescovi, uno di loro, Mons. Magrassi, mi fece coraggio dicendomi: 'Lei, caro fratello, è come chi vuole aprire almeno una fessura nella coscienza umana del 'chi sbaglia paghi', invitando alla riconciliazione. Può darsi che si rompa la punta di diamante che usa, e dovrà pagare lei. Ma vale la pena di tentare, se se la sente'. Scelsi di continuare e lentamente si fece strada un'apertura di volontari tra carcere e mondo.

Capita a tutti nella vita di sbagliare. E nella nostra fragilità. Ma non dobbiamo dimenticare che quando lo sbaglio è di dominio pubblico e chiede l'intervento della giustizia, ossia si è indagati, lo spettacolo dell'arresto sotto lo sguardo impietoso delle telecamere, distrugge totalmente l'uomo... tanto più se poi risulterà innocente!!! Ben triste la giustizia degli uomini, spettacolare, che a volte rischia di diventare una giustizia ingiusta, che riesce a distruggere anche chi è innocente!

Ben diversa la misericordia giusta di Dio, che riporta a vita chi per debolezza sbaglia, ma poi riconosce il proprio errore. La Parola di Dio, oggi, indica la via della Misericordia di Dio, la sola che sa rimetterci in piedi quando cadiamo... anzi lo fa in modo che dall'errore si esca migliori. Il Vangelo di oggi non è una parabola, come quella del figlio prodigo, ma un fatto accaduto.
  • In quel tempo – racconta l'apostolo Giovanni – Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. Allora gli scribi e i farisei, gli conducono una donna, sorpresa in flagrante adulterio, e postala nel mezzo, gli dicono: 'Maestro, questa donna è stata colta in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?:

    Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo.

    Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: 'Chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra contro di lei'. E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.

    Ma quelli, udito ciò, se ne andarono, uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi. Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. Allora Gesù le disse: 'Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?: Ed essa rispose: 'Nessuno, Signore. Gesù le disse: Neanch'io ti condanno: va' e d'ora in avanti non peccare più. (Gv. 8, 1-11)
Da un lato, come protagonista, vi è la donna 'colta in flagrante adulterio'. Il solo immaginare la situazione fa venire i brividi: deve essersi 'sentita morire dentro' al pensiero della stima perduta da parte di chi la conosceva 'e le voleva bene. Dall'altra vi è la schiera degli scribi e dei farisei, che portano la donna a Gesù, con l'intento di farlo cadere in contraddizione. Al centro della scena Gesù e la sua meravigliosa risposta, che è davvero il Cielo che si apre, dopo che noi lo abbiamo chiuso con i nostri plateali errori: Neanch'io ti condanno: va' e d'ora in avanti non peccare più.
L'atteggiamento di Gesù, verso chi sbaglia, è davvero nettamente diverso da quello di noi uomini. Gesù fa conoscere la bellezza della resurrezione, ossia del ritorno alla vita, attraverso la grande Misericordia del Padre. Il nostro invece è l'atteggiamento di chi 'seppellisce' nella disistima e quindi emargina chi sbaglia, come fosse morto.

La rinascita è quello che avviene nel sacramento della Penitenza, a cui ci accostiamo, Dio voglia non solo a Pasqua, ma sempre, quando, come l'adultera, siamo vittime della debolezza. E ricordiamocelo sempre: quando uno sbaglia, cade, non implora dita puntate e disistima, ma mani che lo aiutino a rialzarsi, come nel sacramento della Riconciliazione, che ha bisogno di essere più considerato e frequentato.

Davanti a noi, che ci sentiamo forse avviliti dai nostri peccati, non c'è mai un giudice impietoso, come vorrebbero gli scribi e i farisei del nostro tempo, sempre pronti a condannare e mai a risuscitare. C'è sempre Gesù, nelle 'vesti' del sacerdote, che ascolta, compatisce, cerca di incoraggiare e rimettere sulla buona strada.

Gesù che, con il sostegno della Sua Grazia, sempre rinnovata, ci fa tornare a vivere... come è stato per la donna adultera. Così canta il profeta Isaia:
  • Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche!

    Ecco, Io faccio una cosa nuova; proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?

    Aprirò anche nel deserto una strada, immetterò fiumi nella steppa.

    Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi,

    perché avrò fornito acqua nel deserto, fiumi nella steppa,

    per dissetare il mio popolo, il mio eletto.

    Il popolo che Io ho plasmato per me, celebrerà le mie parole. (Is. 43, 16-21)
Non resta che augurare a tutti di 'tuffarsi' con le nostre miserie tra le braccia del Padre, manifestatosi nella grande compassione che Gesù ebbe, prendendo le distanze dai nostri atteggiamenti di condanna sbagliati. Il nostro Dio non si lascia 'condizionare' da chi punta il dito, ma ascolta e scrive per terra, attendendo, per poi meravigliosamente dire: Va' in pace e non peccare più!'. Conosciamo la storia di Suor Faustina, l'apostola della Misericordia di Dio, che Giovanni Paolo II innalzò agli onori degli altari. Con lei preghiamo:
  • O Dio benigno,

    ricorro alla tua Misericordia, a Te che sei il solo buono.

    Benché la mia miseria sia grande e le mie colpe numerose,

    confido nella tua Misericordia, perché sei il Dio della Misericordia e da secoli non si è mai udito né in cielo, né in terra,

    che un'anima, fiduciosa nella tua Misericordia, sia rimasta delusa. O Dio di pietà,

    tu solo puoi perdonarmi e non mi respingerai mai,

    quando ricorrerò pentita al tuo Cuore Misericordioso,

    dal quale nessuno mai ha ricevuto un rifiuto,

    fosse anche il più grande peccatore.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven mar 26, 2010 10:43 am

      • Omelia del giorno 28 Marzo 2010

        Domenica delle Palme e Settimana Santa (Anno C)
Oggi, Domenica delle Palme, inizia la Settimana, che mette a nudo quanto Dio ci ami: una Settimana, in cui sfilano davanti alla nostra fede i grandi momenti, irripetibili, della vita di Gesù. L'entrata trionfale di Gesù in Gerusalemme, accolto con palme ed acclamato dalla folla è, quasi a confermare la nostra fede, prima del Suo essere annientato dalla Passione e morte in croce, una vera, inaspettata epifania del Cristo, come a ricordare Chi veramente Egli sarà ed è: il Risorto. Così, questa epifania, la racconta l'evangelista Luca:
  • Gesù proseguì davanti agli altri salendo verso Gerusalemme. Quando fu vicino a Betfage e Betania, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo: 'Andate nel villaggio di fronte: entrando, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è mai salito; scioglietelo e portatelo qui. E se qualcuno vi chiederà: Perché lo sciogliete? Direte così: il Signore ne ha bisogno'. Gli inviati andarono e trovarono tutto come aveva detto. Mentre lo scioglievano, i proprietari dissero loro: 'Perché sciogliete il puledro?: Essi risposero: 'Il Signore ne ha bisogno'. Lo condussero da Gesù e, gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. Via via che egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. Era ormai vicino alla discesa del monte degli ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto dicendo: 'Benedetto Colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in terra, e gloria nel più alto dei cieli! Alcuni farisei tra la folla, gli dissero: 'Maestro, rimprovera i tuoi discepoli. Ma egli rispose: ‘Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre" (Lc 19, 28-40).
La richiesta di Gesù di procurargli un puledro, per fare una 'strana' entrata in Gerusalemme, deve avere procurato un poco di stupore. Non aveva mai fatto una tale richiesta né un simile gesto. Ma Gesù alla vigilia della 'Sua Pasqua', che diverrà poi la Pasqua del mondo, lo compie. Aveva percorso, da povero, senza alcuna sicurezza umana, tutti i sentieri della Palestina.

In solo tre anni, aveva fatto conoscere, 'gridando dai tetti', la Buona Novella agli uomini, accompagnando la parola di vita con moltissimi segni di amore, rivolti ai malati, ai peccatori. La Sua vita era stata uno 'spaccato' del Cuore del Padre, che si era rivelato con chiarezza a quanti potè avvicinare, senza fare preferenze o distinzioni. Aveva veramente accostato tutti, a cominciare dai poveri, dagli ultimi, ossia da quanti si riconoscevano bisognosi di amore. Si era fatto trovare sulla strada da tutti, indifferenti, deboli, e potenti, poveri e ricchi, amici e nemici, offrendo 'nulla' ed donando tutto', cioè l'esperienza di essere amati con tutta la potenza e fedeltà dell'Amore.

Aveva incontrato consenso e dissenso, l'amicizia di chi voleva seguirlo incondizionatamente e l'odio di chi progettava già la Sua morte. Agli amici, che cercavano - e cercano oggi - la bellezza di amare ed essere amati, aveva chiesto di liberarsi dal ciarpame della vita, offrendo in dono se stessi. Questi a volte si erano entusiasmati di Lui, ma non sempre erano riusciti a capire la durezza, della povertà, da Lui scelta, anche se era ed è il solo terreno fertile per la totale libertà dello spirito e la piena disponibilità a farsi dono. Ma lo avevano amato, e alla fine... seguito.

Non così i suoi nemici, dei quali la povertà di spirito metteva in discussione facili ipocrisie, potenze umane che sono sempre la maschera dell'uomo che vuole primeggiare su tutti, e diventano il vero e grave impedimento per l'incontro con Lui e incapacità a gustare la bellezza del farsi dono e gioia per i fratelli. Ma in questa Domenica delle Palme, il trionfo di Gesù a dorso di un puledro, lungo la discesa dal monte degli Ulivi, Lo rivelava come il fondamento di tutta la storia dell'uomo.

L'ingresso di Gesù a Gerusalemme è l'aperta sfida alla nostra superbia. A dorso del puledro, Gesù manifesta tutta la Sua mansuetudine che Lo renderà - e Lo rende ancora oggi - l'Agnello pronto ad essere umiliato, senza opporre resistenza. E forse in quei momenti lo sguardo del Maestro si sarà posato con dolcezza e commozione su quella folla di poveri in spirito e semplici di cuore', che davano prova di credere nella potenza dell'Amore che, per diventare 'pane di Vita' per gli uomini, doveva diventare povero ed umile, tanto da essere considerato 'un nulla', agli occhi di chi ama la potenza.

Ma negli occhi e nel cuore di Gesù rimanevano e rimangono i Suoi amici, che sempre ignorano lo scherno dei potenti e si fanno illuminare ed esaltare dall'unica e vera forza dell'umiltà e della povertà. I 'grandi e potenti del mondo' possono pensare: quale importanza può avere UNO che si presenta a dorso di un puledro? Gesù a tutti costoro, ancora oggi, risponde: 'Grideranno le pietre!'.

Quanti discepoli, dopo di Lui, hanno cavalcato e cavalcano il puledro dell'umiltà e della povertà, fino a farsi mettere ai margini della stima umana. Il mondo li ha ritenuti e li considera 'pazzi', per poi forse troppo tardi accorgersi che sono essi, i santi, i cardini della civiltà vera, dell'uomo creato a immagine di Dio e non della superbia umana. Pensiamo a san Francesco, san Vincenzo de' Paoli, Madre Teresa di Calcutta e quanti altri...
  • A gridare osanna al figlio di Davide, fu il popolo che Lo riconobbe, i ragazzi, i fanciulli. - scrive Paolo VI – D'improvviso si accese la fiamma, il fuoco divampò in tutta quella moltitudine, inducendola finalmente a dare una risposta al diffuso interrogativo: 'Chi era quel Gesù di Nazareth, che aveva predicato per tre anni lungo le vie della Galilea e della Giudea? Quel Gesù che mostrava tanta potenza e tanta umiltà, e del quale si ignorava chi fosse realmente sì che Lo ritenevano uno dei famosi personaggi quali Elia, Geremia o Giovanni Battista? Ebbene nel radioso mattino delle ‘palme', la coscienza del popolo semplice ebbe grande intuito della realtà. Fu tale l'esplosione che Gesù pianse. Indifferenti a tale pianto i suoi nemici gli chiesero di fare tacere quel popolo. E invece Gesù, che aveva sempre cercato di velare la Sua personalità, considerò propizio quel momento, perché essa si manifestasse e disse: se non parlassero in questo momento le lingue degli uomini, sarebbero le pietre a proclamare il mio carattere di Mandato del Padre e la Mia Missione salvatrice".
Ogni volta, pellegrino in Terrasanta, percorro la via degli ulivi, che scende fino al Getsemani, penso, come, sia pure tra le acclamazioni della folla, Gesù fosse consapevole di quanto lo attendeva: dall'Ultima Cena, al tradimento di Giuda, alla fuga degli Apostoli, a quel passare da un tribunale all'altro, alla flagellazione, all'incoronazione di spine, alle percosse e agli sputi sul Suo meraviglioso Volto, la via Crucis verso il Calvario e la Crocifissione. Chissà quanto avrà pianto ‘dentro il cuore'. Ma sapeva che tutto questo era necessario per salvare me, voi, ogni uomo.

E mi nasce una domanda: siamo pronti e capaci di farci prendere per mano dai Misteri di questa Settimana Santa, fino ad asciugare le sue lacrime e vedere spuntare il sorriso di Gesù nella nostra Pasqua? Ci accompagni quanto Paolo scrisse ai Filippesi:
  • Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e gli ha dato un Nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel Nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre. (Fil. 2, 6-11)


IL GIOVEDÌ SANTO ci attende, al mattino, - presenti tutti i nostri sacerdoti, come a celebrare la loro unità insieme al Vescovo - la solenne S. Messa del Crisma, ossia degli oli santi, che serviranno per la nostra crescita cristiana, e, alla sera, la più conosciuta Santa Messa 'In Caena Domini', ossia il memoriale della istituzione del Sacramento, mai abbastanza compreso, dell'Eucarestia: 'Prendete e mangiate, questo è il mio Corpo'. Alla fine, la deposizione del Santissimo in quello che un tempo chiamavano 'sepolcro' e, in segno di partecipazione al dolore di Gesù, le campane taceranno fino all'alba della Resurrezione.



IL VENERDÌ SANTO è il giorno, per noi cristiani, di intensa partecipazione alla grande sofferenza di Gesù arrestato, flagellato, incoronato di spine, condotto al Calvario e crocifisso: 'Spirò'. Tutti questi Misteri del dolore la Chiesa li celebra nel pomeriggio con la lettura della Passione e Morte, la preghiera universale, per tutti, l'adorazione e il bacio della Croce e la Santa Comunione.



IL SABATO SANTO è il giorno del grande silenzio, uniti a Gesù nel sepolcro, e dell'attesa della Sua Resurrezione. Verso mezzanotte con la lettura della Parola, dalle profezie dell'Antico Testamento, ci si prepara alla novità del 'giorno dei giorni, senza fine' ossia la festa della Resurrezione. Per chi di noi professa una fede sincera e profonda, davvero questa è la Settimana Santa e non può non partecipare ai suoi Misteri.



Ma ne siamo profondamente consapevoli e quindi pronti ad immergerci in questo oceano di Amore che, non solo si celebra, ma si offre a noi come Dono attuale, incredibile, rendendoci partecipi di quella che sarà un giorno la nostra resurrezione e quindi il coronamento della nostra vita di fede? Dio può tutto, dona Tutto Se Stesso, ma non vuole 'servi', sempre attende la nostra risposta, libera, di figli che Lo amano, per poter effondere in noi la Sua Grazia, i Suoi Doni, lo stesso Spirito di Vita.

Non mi resta che UN AUGURIO per tutti i miei amici: VIVIAMO INTENSAMENTE QUESTA SETTIMANA IN UNIONE DI FEDE E DI AMORE PER UNA VERA PASQUA DI RESURREZIONE.

Ne abbiamo bisogno!



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven apr 02, 2010 4:36 pm

      • Omelia del giorno 4 Aprile 2010

        Pasqua - Resurrezione del Signore (Anno C)



        Gesù è risorto e noi con lui: alleluia!
Mi preme anzitutto porgere a tutti un grande augurio per questa divina e sublime Festa, che riguarda tutti noi ed è la vera sorgente della speranza e della felicità: la SANTA PASQUA. La Gioia che Gesù ci dona raggiunga tutti e dia alla vostra vita il 'vero respiro' del cuore, che sgorga proprio dal Divino Amore del Padre.

AUGURI e Vi assicuro che TUTTI SARETE PRESENTI NELLA MIA PREGHIERA E GIOIA, CON AFFETTO.

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La Pasqua è, per noi cristiani, la più grande festa dell'anno liturgico. Vogliamo metterci per un giorno nei panni degli Apostoli, di Maria Santissima, Sua Madre, e di quanti amavano Gesù, pronti a seguirLo fino in fondo. E Lo amavano sul serio, 'scelto' come 'il Tutto della vita'. Per Maria Santissima poi Gesù era 'il figlio prediletto'. Un figlio 'venuto dal Cielo', è proprio il caso di dirlo: annunziato dall'arcangelo Gabriele, nato per opera dello Spirito Santo, circondato da tante profezie e fatti straordinari, ma anche il Figlio dell'uomo, 'intessuto' nel Suo verginale grembo, `sangue del suo sangue'.

I 30 anni, vissuti 'insieme' a Nazareth, nella semplicità e povertà, dovevano essere stati per Lei una vera esperienza di 'vivere con Dio', anche se l'ombra della Croce era sempre presente, a cominciare dalla Natività a Betlemme. Con il cuore sempre pronto a ricevere e conservare ciò che sentiva, vedeva ed accadeva al Figlio, chi meglio di Maria poteva affermare quanto poi anche l'apostolo Paolo dirà di sé: 'Per me vivere è Cristo'? Un grande Bene, un Dono celeste, come nessun altro: un vivere in pienezza, che non può avere nulla di migliore da contrapporre.

E Maria lo aveva accolto, questo Dono, vivendolo fino in fondo, accompagnando Gesù nella Sua missione, fino a percorrere la via del Calvario, 'stando' sotto la Croce, completamente unita a Lui. Ma ora Gesù era morto, era stato sepolto. Scomparso dalla loro vista, ma non dalla loro vita.

Quanti non amavano Gesù, forse avevano ritrovato una misera e umana tranquillità di chi non sa, ancora oggi, riconoscere il Bene che è Dio per tutti, e quindi non possono amarLo. Sapevano — come sappiamo — che le futilità, di cui tante volte riempiamo la nostra esistenza, ci nutriamo, sono come i fiori di cartapesta, ma si accontentavano, anzi forse preferivano questo: `uomini di dura cervice', arroccati nel proprio ego.

Per Maria e gli Apostoli deve essere stato davvero angosciante e triste quel venerdì e sabato santo. Sulla nostra misera terra era apparsa, in Gesù, il Figlio fatto uomo per noi e come noi, la Grazia, ossia l'Amore stesso del Padre. Gesù aveva camminato per un tratto di storia con noi e tra noi uomini.

È immensamente bello anche solo sapere che Dio 'fatto uomo', abbia sperimentato il sapore della nostra terra, fatto di speranze, ma anche di tante tristezze. Ma quel sabato santo la terra, l'umanità si sentiva nuovamente tremendamente sola. Voler cancellare le impronte di Dio tra noi – anche oggi – è cancellare l'alito di Vita di Dio in noi. Ma non era possibile che Gesù, la Vita, fosse stato spazzato via dalla morte, dall'odio o meglio dall'ottusità degli uomini... come pare continuino a voler fare oggi, stupidamente.

L'Amore, ricordiamocelo, è sempre una vita che resta, e non conosce fine. Gesù lo aveva affermato più volte: 'Il terzo giorno risusciterò...Io sono la resurrezione e la vita'. Grande giorno la Pasqua... come se il passato di noi uomini, pellegrini senza patria dopo il peccato originale, orfani senza gioia, improvvisamente fosse spazzato via, facendoci entrare in un mondo nuovo, 'nelle braccia del Padre', aperte per sempre ad accoglierci... sempre che noi 'rientriamo in noi stessi' e crediamo in Lui, 'tornando a Casa'. Cerchiamo di vivere insieme la Pasqua, mettendoci nei panni degli apostoli e di quanti non avevano cessato di sperare.
  • Il primo giorno dopo il sabato, di buon mattino – racconta Luca – le donne si recarono alla tomba portando con sé gli aromi che avevano preparato. Trovarono la pietra rotolata via dal sepolcro, ma, entrate, non trovarono il corpo del Signore Gesù. Mentre erano ancora incerte, ecco due uomini, apparire vicino a loro in vesti sfolgoranti. Essendosi le donne impaurite, e avendo chinato il volto a terra, essi dissero: 'Perché cercate tra i morti Colui che vive? Non è qui, è risuscitato. Ricordatevi come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell'uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, che fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno'. Esse si ricordarono delle Sue parole e tornate dal sepolcro, annunziarono tutto questo agli Undici e a tutti gli altri. Erano Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo. Anche le altre che erano insieme lo raccontarono agli apostoli. Quelle parole parvero loro un vaneggiamento e non cedettero ad esse. Pietro tuttavia corse al sepolcro e chinatosi vide solo le bende E tornò a casa pieno di stupore per l'accaduto. (Lc. 14, 1-12)
È comprensibile l'atteggiamento di stupore e di incredulità in chi era stato vicino a Gesù e Lo aveva visto morire in croce, martoriato. Assomiglia tanto alla nostra incredulità di fronte all'annuncio che un giorno risorgeremo.

Se pensassimo che verrà anche per noi la Pasqua, quando saremo noi a risorgere e - speriamo - entreremo nella gloria del Risorto, come vivremmo più intensamente la nostra esistenza quaggiù! È un pensiero che dovrebbe accompagnarci sempre, per dare alla vita quotidiana la giusta prospettiva con il senso dell'attesa di quel giorno.

Se vivessimo in tale consapevolezza, cambierebbe tanto di noi, che a volte ci affidiamo alla vita come una situazione 'provvisoria' senza futuro. Per questo la Pasqua ci aiuta ad entrare nel Mistero della vita con Cristo. Il saluto dei primi cristiani era: 'Gesù è risorto! Alleluia!', come conferma della loro fede. Così Paolo VI spiegava l'Alleluja:
  • Per noi questo Alleluia conserva il duplice significato originale di lode e di gioia, l'una e l'altra riferite al Signore ed erompenti dall'anima, piena, ad un tempo, di entusiasmo religioso e di gaudio spirituale. Anche noi oggi facciamo nostra l'esultanza commossa della Chiesa. Possiamo dimenticare questo avvenimento, che fa ricordare a noi e in noi rivivere la resurrezione di Cristo? La sua vittoria sulla morte? La sua promessa, già in via di iniziazione mediante la virtù e il sacramento del Battesimo che anche noi un giorno risorgeremo? Possiamo dimenticare che sul fatto prodigioso, reale e soprannaturale della resurrezione del Signore, si fonda la nostra certezza che Gesù è il Salvatore del mondo e quindi il nostro impegno a fare della nostra vita una testimonianza che appunto si chiama cristiana?

    E tutto questo noi diciamo con la acclamazione convenzionale: Alleluia! Atto di fede, di fiducia, di gaudio, di vittoria, che in sé riassume una somma di verità e di sentimenti. E questo atteggiamento di lieto vigore dell'anima si va diffondendo fra tanti cristiani anche di oggi, tempo difficile: essi sono disinvolti e allegri a un tempo: e sta bene. Ma così sia, ad una condizione che li preservi dal decadere in naturalismo gaudente, che rischia di diventare illusorio. Occorre custodire nel tempo questa nostra fede e con essa la gioia interiore e la propria esteriore serenità. Sia l'Alleluja il canto che ci accompagni fino a quando sarà pieno in cielo con Cristo Signore!
Esprimo così i miei auguri a tutti voi, carissimi, con un piccolo brano che scrissi anni fa, in occasione della Santa Pasqua.
  • Ci doveva essere un grande silenzio sul Calvario, quel mattino.

    Il silenzio della paura, forse, per quello che era successo con la crocifissione di Chi meritava, per la Sua bontà, un grande altare.

    L'ignoranza, l'odio, l'inferno che alle volte diventa il cuore dell'uomo, credevano di averla spuntata addirittura su Dio, che è l'Amore.

    Forse ci fu chi, quella notte, si era compiaciuto del male fatto, ma si può essere felici quando crocifiggiamo Gesù con i nostri peccati?

    Regnava anche il silenzio dell'attesa, quel mattino!

    Silenziosamente si alzò il sipario della Vita, come se il mondo aprisse gli occhi per la prima volta. Era la Pasqua di resurrezione di Cristo, nostro Signore.

    Finalmente era spuntato il Giorno del Signore, giorno che non conosce tramonto e fa tramontare definitivamente il giorno dell'uomo, che è sempre notte.

    Tutto il creato, quel mattino, deve aver spalancato gli occhi, sbalordito e commosso di aver ritrovato i passi del Suo Signore. Ogni fiore deve aver fatto cadere l'ultima goccia, che lo chiudeva nella notte, come una lacrima di gioia, vestendosi a festa. Era il giorno del Signore!

    È ancora oggi il giorno del Signore. Alleluia!

    Eppure ci sono ancora tanti uomini e donne che si affaticano stupidamente e tragicamente a costruirsi un Golgota, convinti di creare 'giorni di uomini', illusi di poter, ancora una volta, oscurare il giorno del Signore.

    Ma ci sono anche - per Grazia di Dio - oggi, uomini e donne (e tra questi voi che mi leggete) che si fanno riempire gli occhi di stupore e il cui cuore trabocca di amore, raccontando le meraviglie del mattino della Resurrezione. Sono uomini e donne 'pasquali', che con gioia e sincerità sanno farsi lavare nel sacramento della Penitenza dal Sangue di Cristo, per essere perdonati e continuare a vivere, giorno per giorno, nella Gioia del Risorto.
Viene da pregare con le parole della sequenza della Messa di Pasqua:
  • Raccontaci, Maria, che hai visto sulla via?

    La tomba del Cristo vivente, la gloria del Cristo risorto,

    e gli angeli suoi testimoni, il sudario e le sue vesti.

    Cristo, mia speranza, è risorto e vi precede in Galilea.

    Si, ne siamo certi: Cristo, nostra speranza è risorto,

    Tu, Re vittorioso, portaci la Tua salvezza.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » gio apr 08, 2010 3:38 pm

      • Omelia del giorno 11 Aprile 2010

        II Domenica di Pasqua (Anno C)



        Tommaso, metti qua la tua mano e credi!
Fino a poco tempo fa, questa seconda domenica di Pasqua era detta 'IN ALBIS', ossia, quanti nella notte di Pasqua erano 'risorti a vita nuova' nel Battesimo o nella conversione della vita, a significare la loro 'nuova vita in Cristo', indossavano una veste bianca, che conservavano per una settimana e deponevano in questa domenica, anche se in realtà erano tenuti, partecipando sempre dello Spirito del Risorto, a conservarla integra, nella vita, fino alla resurrezione dopo la morte.

Se facciamo attenzione, nel rito del Battesimo, dopo aver ricevuto il sacramento, e quindi essere ‘risorti', il ministro del Battesimo fa indossare al neobattezzato una piccola veste bianca, invitando a non deporla mai con la vita. C'è da chiedersi se conserviamo quella veste battesimale, ancora oggi, magari stazzonata o sporca per le nostre debolezze, ma con la volontà di non deporla mai?! In fondo il Mistero pasquale della Resurrezione, dovrebbe essere presente e vissuto e, anche se con tante debolezze e incertezze, accompagnarci nella vita come 'stella polare' delle nostre scelte. Afferma Paolo VI, che ci accompagna sempre nelle nostre riflessioni:
  • Così grande, così importante per noi è il fatto della resurrezione di Gesù, che, come la Chiesa prolunga per alcune settimane la meditazione su di essa e ravvisa nell'avvenimento della passione, morte e resurrezione del Signore Gesù, il Mistero per eccellenza, così noi cristiani, rinnovati dalla sua recente celebrazione, sostiamo ancora una volta sulla riflessione, per chiederci qual è il nostro rapporto tra Cristo Risorto e noi. Cosa ci resta di Gesù Risorto. La questione non è una curiosità vana. È una domanda essenziale per la nostra fede e la nostra vita religiosa. Che cosa resta di Gesù Risorto in noi? È presente in noi e come? Le ultime parole di Gesù, registrate da Matteo, ci attestano una cosa meravigliosa. Nell'atto di scomparire dallo sguardo dei suoi discepoli, Gesù disse: 'Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo'. Dunque Gesù continua la Sua Pasqua, oggi. Sta a noi partecipare, anche se è grande ma necessaria fatica sostenuta dalla Grazia sentire e vivere il Mistero della Pasqua nella vita quotidiana. È possibile? Direi necessaria per dare alla vita quel senso di eternità con Cristo che è la verità dell'esperienza".
Il Vangelo di oggi ci prende per mano per superare le debolezze della natura così ansiosa di un vero domani. Racconta l'apostolo Giovanni:
  • La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano gli apostoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi!: Detto questo mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono nel vedere il Signore Gesù disse loro di nuovo: 'Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: 'Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi'. Tommaso, uno dei dodici, chiamato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: 'Abbiamo visto il Signore. Ma egli disse loro: 'Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi, e non metto la mano nel suo costato, non crederò'.

    Otto giorni dopo (oggi per noi) i discepoli erano di nuovo a casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse; si fermò in mezzo a loro e disse: 'Pace a voi. Poi disse a Tommaso: 'Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani, stendi la tua mano e mettila nel mio costato e non essere più incredulo, ma credente!'. Rispose Tommaso: ‘Mio Signore e mio Dio!'. Gesù gli disse: 'Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!

    Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio e perché credendo abbiate la vita nel Suo Nome. (Gv. 20, 19-31)
Possiamo immaginare lo stupore degli apostoli nel vedere ciò che mai avrebbero potuto immaginare, ossia che un morto possa risuscitare. Ma se vogliamo è anche il nostro stupore quando riflettiamo che 'forse' la vita non finisce qui. Confusi di fronte alla prospettiva di una vita senza domani e senza sapore, quando all'improvviso scopriamo che va oltre con la resurrezione, davvero questo Mistero dà quel senso alla vita che cambia tutto in noi.

Altro è vivacchiare, passando da un'esperienza all'altra, senza mai essere felici, altro è sapere con certezza che, se vivremo nella fede di Tommaso, tutto prende altra forma. In fondo il nostro domani è sempre quello che ci interpella ed è un domani che non ha un suo traguardo solo qui su questa terra, ma va oltre, e lo sentiamo profondamente nel cuore, anche se a volte qualcuno non vuole ammetterlo! È questa non accoglienza della verità che crea le incertezze di tanti, che sembrano dare ragione alle parole di Tommaso: 'Se non metto le mie mani nelle piaghe...'. Ma se ci apriamo al 'dubbio' – quello vero, riguardante le nostre 'scientifiche', pregiudiziali, ‘troppo terra, terra' certezze – disposti ad accogliere la Verità, anche a noi Gesù si fa presente e mostra i segni della Sua Resurrezione e anche noi diremo: 'Signore, mio Dio!'.

Per gli Apostoli, come per noi, da quel momento la prospettiva cambia. Essi avevano lasciato tutto per seguire Gesù, lasciando alle spalle le poche sicurezze che offre la vita. C'era stato il momento della prova nella passione e morte del Maestro, come un sogno, forse, di felicità terrena svanita e la grande paura del fallimento e di una fine come quella del Maestro.

Ma poi tutto è cambiato. Ora sanno, e anche noi lo comprendiamo, che cosa significhi seguire Gesù. Vuol dire andare dove Lui è andato, essere magari scherniti, essere uccisi... ma è soprattutto partecipare alla gloria del Maestro, che li ha, ci ha chiamati a seguirlo, fino a risorgere con Lui. È la vocazione di tutti coloro che sono stati 'chiamati da Gesù nel Battesimo', sempre che Lo seguiamo.

Ma Gesù non si limita a confermare i suoi nella fede in Lui; apparendo loro li fa partecipi della Sua missione tra di noi, consegnando loro, addirittura, ‘le chiavi del Regno': 'Tutto quello che voi rimetterete, sarà rimesso'. Così là dove Gesù risorge inizia la resurrezione degli uomini; là dove si manifesta la gioia, la pace del Signore, questa è estesa a tutti gli uomini.

Gli apostoli sentono ormai di appartenere a quella Resurrezione, di essere inondati da quella gioia, da quella pace, ma nello stesso tempo ricevono il mandato di farne parte all'intera umanità. Il dubbio di Tommaso sembra proprio la provocazione dell'uomo che di fronte a tanto ineffabile Mistero contrappone le sue certezze, ed è accettata da Gesù, per dare una ulteriore conferma alla Resurrezione.

E Tommaso rappresenta molto noi. C'è troppa gente, magari battezzata e quindi chiamata alla resurrezione, che vive, ma senza pensare al domani che l'attende e neppure si dà pensiero del dopo. È triste vivere così, è riduttivo...è drammatico, angosciante. Spiega forse il fallimento di tanti nella vita, che ricorrono al suicidio e di tanti che si disperano interiormente perché non trovano la ragione e il senso del vivere, quasi la vita fosse una maledizione e non una meravigliosa opportunità, una vocazione alla felicità piena con Dio e con gli altri.

È facile incontrare persone così, vanificate o distrutte dentro. Ne ho incontrate nella mia vita di pastore e si rimane senza parole, perché di fronte a queste tragedie dell'anima, l'unico atteggiamento è l'ascolto... è la preghiera... nell'attesa che Gesù si affacci e trovi spazio nel loro cuore per dire: 'La pace sia con te’.

Sono tanti questi 'smarriti' tra di noi. È il dolore di noi pastori che spesso non riusciamo a raggiungerli, perché spesso rifiutano di essere raggiunti. In questo caso non sono paragonabili a Tommaso: egli non ha rinunciato a stare con gli altri apostoli ed è lì che Gesù lo ha cercato e trovato... ed è rinata la gioia.

A volte, è vero, ci sentiamo cosi miseri e confusi nella nostra vita di cristiani, che proviamo un senso di smarrimento, quasi di averLo perso e ci ritroviamo 'abbattuti e nascosti', come gli Apostoli. Ricordiamocelo sempre: nella vita non c'è peggior scelta di quella di chiudere la porta del cuore in faccia a Dio o di perdere la fiducia in Lui, nel dono della Sua Resurrezione, tanto da credere che parlare di Pasqua sia qualcosa che non ci appartiene.

Noi pastori vorremmo 'usare le chiavi del Regno' per aprirlo a tutti, rimettendo i peccati. Ma quanta fatica. Una fatica però necessaria se si ama l'uomo ovunque sia, comunque sia. Vorremmo che la Pasqua fosse la festa per tutti e non resta che pregare e amare. Lo faccio con le parole di Madre Teresa di Calcutta:
  • Signore, Ti prego dona luce agli smarriti e disperati

    per vedere la cupa profondità della loro tentazione.

    Dà loro il Tuo amore affinché possano almeno intravedere

    le ricchezze che Tu hai preparato per tutti noi.

    Infondi in loro lo Spirito Santo

    affinché possano vedere che Tu hai bisogno di loro

    e li ami ed hanno ancora uno scopo nella vita,

    quello di trasmettere l'amore e la misericordia che hai per loro.

    Dà loro la speranza per il futuro e lasciali vivere, Signore.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven apr 16, 2010 3:12 pm

      • Omelia del giorno 18 Aprile 2010

        III Domenica di Pasqua (Anno C)



        Simone di Giovanni, mi ami?
Sembra siano passati centinaia di secoli dal momento della paura e della fuga degli Apostoli alla vista della cattura di Gesù nell'orto del Getsemani. Avevano accolto con grande prontezza l'invito di Gesù a seguirLo: erano stati con Lui per tre anni, il tempo per rinsaldare amicizia e fiducia, ma all'ora della prova erano fuggiti tutti, abbandonando Gesù al suo destino. Non ebbero il coraggio di seguirLo fino in fondo, rivelando così l'intera debolezza dell'uomo, di tutti gli uomini.

Solo dopo la discesa dello Spirito Santo a Pentecoste ritroveranno fede e coraggio in modo impressionante, come se fossero passati secoli dal momento dell'abbandono: erano diventati uomini ‘nuovi'. Ce lo raccontano oggi gli Atti degli Apostoli:
  • In quei giorni, il sommo sacerdote cominciò ad interrogare gli apostoli, dicendo: 'Vi avevamo espressamente ordinato di non insegnare più nel nome di costui, ed ecco voi avete riempito Gerusalemme della vostra dottrina, e volete fare ricadere su di noi il sangue di quell'uomo. Rispose allora Simon Pietro insieme agli apostoli: 'Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini. Il Dio dei nostri padre ha resuscitato Gesù che voi avevate ucciso appendendolo alla croce Dio lo ha innalzato con la sua destra facendolo capo e salvatore per dare ad Israele la grazia della conversione e del perdono dei peccati. E di questi fatti noi siamo testimoni, noi e lo Spirito Santo, che Dio ha dato a coloro che si sottomettono a lui'.

    Allora li fecero fustigare e ordinarono loro di non continuare a parlare nel nome di Gesù: quindi li rimisero in libertà. Ma essi se ne andarono dal sinedrio lieti di essere stati oltraggiati per amore del nome di Gesù. (At. 5, 27-32)
Dopo la fuga, la paura al momento dell'arresto di Gesù nel Getsemani, che cambiamento è avvenuto negli Undici! Alla paura si è sostituito il coraggio della testimonianza, fino alla gioia di essere oltraggiati per amore di Gesù! Ricordate? Al momento dell'arresto di Gesù, Pietro e gli altri avevano tentato una timida difesa del Maestro, talmente intrisa di spavento che non poteva che conoscere il fallimento disastroso e vergognoso della fuga.

Pietro, che amava Gesù e non si rassegnava a lasciarLo in mano ai nemici, Lo aveva seguito, cercando però di passare inosservato. E quando era stato scoperto, per la paura, addirittura, aveva ricorso al falso giuramento di non conoscerlo affatto, rinnegando un'amicizia e un amore che invece viveva profondamente. Solo dopo aver sentito cantare il gallo, Pietro si era reso conto del male fatto - aver negato di conoscere Chi amava tanto, ma proprio tanto - e aveva pianto amaramente.

Quanto sarà stato difficile ammettere e riconoscere la vigliaccheria cui aveva ricorso per non correre pericoli! Non è facile accettare una tale umana debolezza. Ma Dio lo aveva permesso proprio per preparare nell'umiltà e nel coraggio colui che poi designerà per grandi cose. E capita a tutti noi.

Quante volte ci sentiamo pronti ad affrontare chissà cosa - parlo nel campo della fede, dell'amicizia, della virtù, della dignità - e poi al momento del confronto con la mentalità del mondo, che chiede a volte 'martirio' nel confessare ciò che siamo e crediamo, si manifesta tutta la nostra debolezza. Quanta gente generosa, che avrebbe, a parole, data la vita per il Regno di Dio, di fronte alla virulenza della mentalità che vuole dominare le persone, annullando i grandi valori, si china per paura. Non c'è da spaventarsi: è ciò che siamo senza la Grazia di Dio che ci sostiene.

Essere davvero cristiani, fino in fondo, con naturalezza, senza venir mai meno a ciò che veramente siamo 'dentro', non è facile. Più facile piegare la testa al mondo, per evitare, come Pietro, di fare, seguendoLo, la fine di Gesù nella passione.

Il Vangelo di oggi è bene leggerlo parola per parola. Pietro aveva ammesso il suo fallimento durante la passione, senza tentennamenti, anzi con aria di disfatta. Sapeva quanto era grande la fiducia di Gesù, che lo aveva chiamato e scelto, ma forse, essendo venuto meno nella prova, ormai dubitava di poter essere ancora amato da Gesù, come prima, ... ma non dubitava del suo amore per il Maestro, che sicuramente era aumentato dopo quanto successo. Era un amore, quello di Pietro, che ora era fondato su una profonda e sincera umiltà, come deve essere sempre l'amore. Ma è bene affidarsi a questo gioiello di Vangelo, che svela quanto sia grande l'amore di Gesù e la sua fiducia in noi, quando trova nel nostro cuore l'umiltà, di chi sa fidarsi di Lui.
  • Gesù si manifestò di nuovo agli apostoli sul mare di Tiberiade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, i figli di Zebedo e altri due discepoli. Simon Pietro disse loro: 'Vado a pescare: Gli dissero: 'Veniamo anche noi con te.' Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla. Quando era già l'alba Gesù si presentò loro: 'Figlioli, non avete nulla da mangiare?: Gli risposero: 'No'. Allora disse loro: 'Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete. La gettarono e non potevano più tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: 'E' il Signore!

    Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi la sopravveste, perché era spogliato, e si gettò in mare. Gli altri discepoli vennero invece con la barca, trascinando la rete piena di pesci; infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri....

    Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, così pure il pesce....

    Quando ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: 'Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?: Gli rispose: 'Certo, Signore, tu lo sai che io ti amo'.

    Gli disse: 'Pasci i miei agnelli. Gli disse di nuovo: ‘Simone di Giovanni, mi ami?. Gli rispose: ‘Certo, Signore, lo sai che ti amo. Gli disse: 'Pasci le mie pecorelle: Gli disse per la terza volta: ‘Simone di Giovanni mi ami?: Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli dicesse: 'Mi ami?'e gli disse: 'Signore, tu sai tutto: tu sai che ti amo. Gli rispose: 'Pasci le mie pecorelle. In verità in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E detto questo disse: ‘Seguimi'. (Gv. 21, 1-19)
Incredibile quanto abbiamo letto nel Vangelo: la fragilità non sempre va insieme al non amore e soprattutto la fiducia illimitata di Gesù non viene meno, perché Lui 'conosce i nostri cuori', impastati di miseria e di slanci di generosità e continua a 'credere' in noi... come se nulla fosse accaduto. La storia di Pietro è un poco la nostra vita cristiana: può essere grande la nostra fragilità, ma quando si ama, con la fiducia in Gesù possiamo andare oltre.

A volte possiamo essere vittime della nostra miseria, che ci porta quasi a negare Gesù, ma poi al giusto momento, diventiamo capaci di affermare un amore grande. Forse l'amore ha bisogno, per trionfare, di questa nostra debolezza, che troppe volte si affida, per affermarsi, alla superbia, dimenticando le parole del Maestro: 'Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli'.

E commuove davvero la fragilità di Pietro, che torna a riva a mani vuote, dopo una faticosa notte di pesca, ma riempie il cuore di grande stupore l'impeto nel cercare di raggiungere a nuoto Gesù e poi la forza convinta con cui risponde alla meravigliosa domanda: 'Mi ami tu?'. Chissà quante volte queste due realtà, fragilità umana e amore, si sono alternate nella nostra vita. C'è solo da pregare che alla fine prevalga sempre l'amore.

Ricordo quando nel Belice mi giunsero assolutamente inaspettati, attraverso la comunicazione del Santo Padre Paolo VI, che mi voleva davvero un grande bene, la richiesta e l'invito di Gesù: Mi ami tu? Pasci le mie pecorelle'., ossia la nomina a vescovo. Non nego, che grande fu la mia sorpresa: 'Impossibile - mi dicevo - che Dio si fidi della mia povertà e mi affidi ‘il Suo gregge'. Mi sentivo smarrito, come Pietro. Ma qualcosa dentro mi invitava a rispondere come Lui, perché era la verità: 'Signore, tu sai che io ti amo'.

È la storia di tutti noi, che tanto assomigliamo a Pietro: fatichiamo tanto, in tutte le direzioni, per poi vivere la sensazione di essere a mani vuote. Forse occorre cambiare rotta: non affidarci unicamente alle nostre povere forze, ma alla Presenza di Gesù nella nostra vita.

Se Gesù ci domandasse oggi: 'Mi ami tu?', guardando alla quotidianità del nostro vivere, quale sarebbe la nostra risposta? L'augurio e la preghiera è che sia sempre, nonostante tutto: ‘Signore, tu sai tutto; tu sai che ti voglio bene'. Con Madre Teresa preghiamo:
  • Signore, tu sei la vita che voglio vivere,

    la luce che voglio riflettere,

    il cammino che conduce al Padre,

    l'amore che voglio condividere,

    la gioia che voglio seminare attorno a me.

    Gesù, tu sei tutto per me, senza di te non posso nulla. Tu sei il Pane di vita, che la Chiesa mi dà.

    per te, in te e con te, che posso vivere. Amen


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » gio apr 22, 2010 9:12 am

      • Omelia del giorno 25 Aprile 2010

        IV Domenica di Pasqua (Anno C)



        L’Amore del Pastore
Il Vangelo di oggi ci presenta un brano che con due pennellate dipinge la situazione degli uomini ‘lontani da Dio', non si sa se per scelta o per ignoranza, e la vicinanza di Dio, che dà davvero un grande respiro di speranza anche a noi, oggi, a cui sembra che troppi lascino la Chiesa, avventurandosi in un mondo che non può che fare del male. In un'altra parte, il Vangelo definisce poi 'cattivi pastori, mercenari', coloro a cui nulla importa della felicità del 'gregge' loro affidato. È la tragedia, non solo di oggi, ma di tutti i tempi.
  • Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, predicando il Vangelo del Regno e curando ogni malattia e infermità. Vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite, come pecore senza pastore. Allora disse ai suoi discepoli: 'La messe è molta, ma gli operai sono pochi! Pregate dunque il padrone della messe, che mandi operai nella sua messe. (Mt. 9, 35-38)
In questo piccolo racconto c'è soprattutto Lui, Gesù, mandato dal Padre a dare la vita, perché noi l'avessimo e in abbondanza. Si avvicinava a tutti, con la cura di un padre, di un fratello: li guardava con lo sguardo di uno che ama senza limiti, gratuitamente, liberamente ed ha nel cuore non la volontà di morte del peccatore, ma la sua salvezza. Voleva guardare in faccia le ferite di tutti per guarirle: 'Non sono venuto per i sani, ma per i malati', dirà. Non accetta facilmente che qualcuno si perda e, quando qualche 'pecora', per dabbenaggine o per altre ragioni, si allontana, Gesù stesso racconta come vada in cerca di lei, senza curarsi dei pericoli, della fatica, della sofferenza: l'importante è ritrovare chi è stato catturato dai 'mercenari', che per nulla si curano della sua felicità e della sua vita. Come succede oggi.

Sono tanti davvero i mercenari, ossia quelli che catturano con le lusinghe – la ricchezza, il prestigio, il successo, il piacere, il potere ... - e tutti sappiamo come a costoro nulla interessi della nostra felicità vera, della nostra sofferenza o insoddisfazione. Basta osservare quanti giovani, attratti dalle discoteche e dalle droghe, sono poi vittime delle loro stesse scelte.

Nello sguardo di Gesù c'è lo sguardo di Dio: uno sguardo incredibilmente e meravigliosamente pietoso, ‘ebbe compassione'. Quelle folle che Lo cercavano e seguivano, come per aggrapparsi all'ultima speranza, attendendo da Lui chissà che cosa, apparivano 'stanche e sfinite'. Due aggettivi che danno la piena misura di un uomo che è giunto ad un punto morto: non ha più nessuno da cui sperare giustizia, amore, verità; non ha più chi gli dia ancora la voglia di 'camminare' e, soprattutto, un senso e un gusto al cammino che è costretto a compiere.

Gente sferzata da tante ingiustizie, che l'uomo stesso, ripiegato su se stesso, inventa giorno per giorno, cercando solo vie per affermarsi, magari calpestando gli altri. Sono le stesse folle che incontriamo ancora oggi: un triste spettacolo, che penetra fino in fondo al cuore, come ci riguardasse da vicino, come sofferenza nostra, e non ci dà pace.

A questa umanità in cerca di pastore, Gesù indica la strada: 'Pregate il padrone della messe, che mandi operai nella sua messe'. E questi operai che Gesù manda siamo noi, sacerdoti, vescovi, chiamati giustamente, sull'esempio di Gesù, 'pastori'. Lo sappiamo molto bene, noi che siamo pastori' di una comunità, nella Chiesa, come la quella ‘compassione' debba essere il nostro cibo quotidiano.

È dal 1951 che la Chiesa mi ha ordinato pastore. Poi ci fu l'obbedienza che mi affidò il gregge, tra cui, per 20 anni rimasi , a Santa Ninfa nel Belice: una parrocchia molto provata e sfiduciata, soprattutto verso i sacerdoti, per un cattivo esempio avuto prima. Fu il vescovo di Mazara del Vallo, che ci pregò di accettare quel gregge disperso, perché la gente chiedeva ad alta voce preti ‘continentati'. Eravamo in tre confratelli e per alcuni anni, dovemmo solo 'essere lì', dare fiducia ed attendere che la fiducia si ricostruisse giorno per giorno. La gente voleva vedere i segni che eravamo pastori a cui potersi affidare. La pazienza, il tempo, la bontà, la prontezza nel servizio, si fecero strada fino a creare tanta, ma tanta fiducia, soprattutto quando poi fummo colpiti dal terribile terremoto che sconvolse il Belice, distruggendo tutto. Ma la gente, fin dal primo momento, vide in noi, terremotati come loro, la sola via alla speranza nell'immediato e nel futuro. La nostra fiducia fu ripagata in pieno.

E quando i miei superiori credevano fosse il tempo di cambiare, intervenne Paolo VI, che mi affidò come vescovo la diocesi di Acerra: un'altra realtà difficile, ma niente affatto impossibile se si ha fede e zelo, come devono essere le doti di un pastore. Solo Dio conosce la mia passione per chi mi veniva affidato e il mio abbandono alla Sua opera di 'Buon Pastore', che sa tracciare strade e sostenere lo zelo... nonostante tutto, compresa la nostra povertà. Oggi mi ritrovo ad affermare la bellezza dell'essere stato scelto come 'pastore', e a non avere parole adeguate per ringraziare Dio e tutti coloro che ho guidato nei 'pascoli eterni'.

A chi, forse chiamato, ha tanta difficoltà nell'accogliere la vocazione del Signore, vorrei trasmettere la bellezza e l'immensa gioia che viene dal sapere di avere dato tutto, ma proprio tutto, per la salvezza. Scriveva il nostro caro Paolo VI, davvero esperto nell'amore del sacerdote:
  • E' il giorno dell'amore questo. Tutta la nostra iniziazione sacerdotale si è svolta proprio su questo tema: Ti amerò, Ti amerò per tutta la vita. Il mio cuore è tuo, quello ti dono, di comprensione, di emozione, di affetto, tutto è tuo, o Signore. Io sono tuo. Abbiamo detto questo nel giorno in cui abbiamo ricevuto il nostro sacerdozio. Lo diciamo ogni giorno.

    Nella stessa misura? Con la stessa capacità di dono, di sacrificio? Con la stessa pienezza? O è passata sopra di noi l'usura del tempo? Le cose, nel tempo, diminuiscono, si affievoliscono; non siamo capaci, noi, di perdurante intensità. Di fedeltà sì, io spero che lo siamo tutti, ma di intensità, deboli come siamo, probabilmente no; ci lasciamo a volte andare, e diviene complice forse di questa nostra debolezza, l'abitudine. L'abitudine toglie l'emozione, la meraviglia dei doni che Dio ci ha dato con tanta effusione per farne dono ai fratelli nel nostro immenso esercizio che ci fa esaltare di gioia e di umiltà ogni volta ne siamo catturati, e così ciò che prima ci dava tanta gioia ora a volta passa senza emozioni sulle nostre labbra.

    Sì, abbiamo tante cose da fare alla fine. E queste 'cose', se da un lato sono sempre amore, prove di servizio e fedeltà a Gesù, rischiano di essere esteriorità. Ma il focolare della nostra vita ha continuato, per fortuna, ad ardere, a brillare, a darci alimento per esercitare bene il nostro ministero; forse un po' di cenere si è adagiata sopra la brace infuocata. Ma dovremmo sempre ricordare le parole che Gesù disse ai suoi, ieri, e oggi a noi: 'Rimanete nel mio amore'. E risentiamo sempre quanto Gesù, dopo la grande debolezza mostrata durante l'arresto di Gesù, domandò a Pietro: ‘Mi ami tu?'. E che la nostra risposta sia come quella di Pietro, che intuendo forse la sua debolezza, confermò: 'Signore, tu sai tutto, tu sai che io ti voglio bene'. ..In fondo a Gesù diciamo oggi: 'Sono un tuo sacerdote, povero, debole, manchevole, ma sono tuo'. (11.4.1963)
È proprio vero, i fedeli che Dio ci dà da amare, vogliono vedere testimoniato sempre e in tutto il grande Amore, che diventa comunicare gioia evangelica, ottimismo, felicità di essere con Dio e nel Cuore di Dio, proprio attraverso il prete. Forse a volte c'è chi ci guarda con distacco o si fa di noi un'immagine deformata. A volte ci cancella dalla sua vita, se non ci disprezza, generalizzando senza ragione.

Ma, ripeto, noi ci sentiamo sommersi da un'infinita compassione al punto che le loro sofferenze, le loro stanchezze, sono le nostre sofferenze e stanchezze. Lo sperimentavo da vescovo e lo sperimento oggi. Ai miei confratelli vorrei affidare quanto dice il Santo Padre, Benedetto XVI:
  • Lo stupore per il dono che Dio ci ha fatto in Cristo, imprime alla nostra esistenza un dinamismo nuovo, impegnandoci a essere testimoni del Suo amore. E diveniamo testimoni, quando, attraverso le nostre azioni, parole, modo di essere, un ALTRO appare e si comunica. Si può dire che la testimonianza è il mezzo con cui la verità dell'amore di Dio raggiunge l'uomo nella storia, invitandolo ad accogliere liberamente questa novità radicale. Nella testimonianza Dio si espone, per così dire, al rischio della libertà dell'uomo. (Sacramentum veritatis, n. 85)
Ai fedeli, di cui ho avuto la fortuna di essere loro pastore, confermo che li ho sempre amati, tutti, come è possibile amare e ho avuto la gioia di conoscere l'accoglienza di Cristo, che passava per questo amore. Così come sono felice dell'accoglienza che mi riservate ogni settimana.

Quante volte mi ringraziate, ed è il segno che l'amore di Dio è in noi e tra noi. Grazie a voi!



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven apr 30, 2010 8:19 am

      • Omelia del giorno 2 Maggio 2010

        V Domenica di Pasqua (Anno C)



        Fratelli amatevi gli uni gli altri
Credo sia bello ricordare a tutti i miei cari lettori, che con me seguono Gesù, guidati dalla Sua Parola, che il mese di Maggio si veste della dolcezza della devozione a Maria Santissima, la Mamma che Gesù ci ha dato. Tutti ne sentiamo il fascino. Basta essere a Lourdes o Fatima in un pellegrinaggio, per commuoversi nel vedere come ci si affidi a Lei, tutti, a cominciare dai nostri fratelli infermi. È davvero una grande commozione, non solo, ma è come se ci aprisse il cuore al desiderio del Cielo.

E tanti di noi portano con sé il Santo Rosario, come compagnia della vita, contemplando la vita di Gesù e di Maria ogni giorno. Nella grande processione della sera, con le lampade accese, al canto 'andrò a vederla un dì' nasce davvero il desiderio di uscire dalla tristezza della nostra ferialità, per andare con Lei nella gioia senza fine del Cielo. Nostalgia di Mamma.

Non lasciamola cadere nel vuoto questa nostalgia, ma conserviamola.

Così come è rassicurante scoprire che lì ci sentiamo 'una cosa sola' e ci si ama tanto, uniti dallo stesso amore a Dio e a Maria Santissima. Ed è l'atteggiamento a cui ci esorta il Vangelo di oggi:
  • Quando Giuda fu uscito dal cenacolo Gesù disse: Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato e anche Dio è stato glorificato in Lui. Se Dio è stato glorificato in Lui, anche Dio Lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito. Fratelli, ancora un poco sono con voi. VI DO UN COMANDAMENTO NUOVO, CHE VI AMIATE GLI UNI GLI ALTRI, COME IO VI HO AMATO, COSÌ AMATEVI GLI UNI GLI ALTRI. DA QUESTO SAPRANNO CHE SIETE MIEI DISCEPOLI, SE AVRETE AMORE GLI UNI PER GLI ALTRI. (Gv. 13, 31-35)
È il grande testamento che Gesù ha consegnato alla Chiesa; il comandamento che distingue il cristiano dal mondo dominato dalla superbia, che porta non solo a isolarci in noi stessi, a essere indifferenti verso chi ci sta vicino, come non esistesse, ma anche a fargli del male, per prevalere su di lui. E in questi modi non solo è come se si cancellasse la presenza del fratello, ma si rischia di cancellare l'amore di Dio.

La sentiamo tutti questa tristezza di vivere in una famiglia, in una società, come non vivessimo... quando per natura siamo portati a riconoscerci e fare dono del nostro amore sempre. È la grande tristezza del nostro tempo, così come vivere, sapendo di trovare in tutti amici pronti ad offrire, è dare alla vita quella gioia che è 'pane della vita'.

La scorsa domenica, se ricordate, Gesù, parlando soprattutto di noi sacerdoti, ma potremmo dire la stessa cosa di una mamma, di un papà, dei nonni, e di chi ha responsabilità. Portava l'esempio del buon pastore, che vigila con amore sul gregge, al punto che se una 'pecorella' si perde, non esita a mettersi alla ricerca, finchè la ritrova. E ritrovatala se la mette sulle spalle e invita a fare festa.

Così dovrebbe essere per tutti noi, qualunque sia il ruolo che copriamo, nei confronti di ogni nostro fratello. Ciò che fa strada nel cuore di tutti è l'amore che si dona. Come è stato per noi l'amore di mamma, papà, dei nostri sacerdoti, insegnanti, tutti.

C'era un tempo, di povertà, in cui regnava solidarietà, amicizia, aiuto vicendevole, ma molto di questi valori, sembra spazzato via dall'egoismo del benessere che, per fare posto nel cure a cose senza vita, non fa più posto all'amore. Peccato, perché ne soffriamo tutti.

Rimane lì, come regola fondamentale, il richiamo urgente di Gesù: 'AMATEVI GLI UNI GLI ALTRI, COME 10 HO AMATO VOI". Così Paolo VI rivolgeva un giorno le sue esortazioni, parlando in un 'oratorio':
  • Grande voi lo sapete è la vostra missione - parlando ai sacerdoti. Voi avete la custodia del campo pastorale, più bello, più delicata, i giovani. Voi esercitate la funzione più assidua, più umana, più feconda del sacro ministero, quella pedagogica. Voi siete in contatto più continuo e più diretto con anime di cui potete avere tutta la filiale confidenza, la completa fiducia. Voi potete indovinare nell'istintiva sensibilità delle anime giovanili i problemi vivi e nuovi del nostro nuovo mondo moderno. Voi potete dare alla professione cristiana, nel cuore delle crescenti generazioni, un'espressione nuova, forte, autentica. Voi avete in mano l'avvenire delle famiglie, della parrocchia, della società. Potete fare del vostro ministero una palestra di esperienze spirituali, una rete di amicizie, un sacrificio giocondo. Voi siete Gesù fanciullo, Gesù adolescente, Gesù operaio, Gesù maestro, Gesù modello in mezzo alla nostra gente e alla gioventù.

    Questo lo sapete. E sapete quanto la Chiesa attende da voi, energia mai stanca, letizia pura, lavoro indefesso, paziente, senza gloria e pieno di meriti.

    Coraggio, quindi, mettete riflessione, mettete impegno, impegno, impegno.
Una delle mie preoccupazioni pastorali, sia come parroco nel Belice, sia come vescovo, era quella di amare con tutte le forze, non badando alle difficoltà, chi il Signore mi consegnava da amare. Tanto che un giorno, ai fedeli che si chiedevano la ragione di quanto facevo, durante una Messa festiva, sentii il bisogno di esplicitarla: 'Tutto quello che faccio ha una sola ragione, quella di amarvi con tutte le forze, perché so che per noi sacerdoti, e potrei dire per tutti, per ciascuno di voi, il sale della gioia è l'amore'. Era come se avessi dato sfogo al cuore e mi venne da piangere, tanto che, non riuscendo a frenarmi, mi riaccompagnarono nella mia baracca.

Lo stesso mi fu chiesto da vescovo. Vedendomi impegnato con tutte le forze su tutti i fronti, compresa la guerra alla malavita, tanti si chiedevano la ragione: 'É solo perché so che il cuore della gente si lascia condurre dall'amore e per noi pastori amare con tutte le forze, in nome e con la grazia di Dio, come fece Gesù, è la sola strada da percorrere'. E non c'è opera più grande nelle famiglie, nelle parrocchie, nella società, che l'amore dato. Così come nella Chiesa è il compito primario nella costruzione della comunità, come è descritto negli Atti degli Apostoli:
  • Molti ascoltavano con assiduità l'insegnamento degli Apostoli, vivevano insieme fraternamente, partecipavano alla mensa del Signore e pregavano insieme. Dio faceva molti miracoli e prodigi per mezzo degli Apostoli. Tutti i credenti vivevano insieme e mettevano in comune tutto quello che possedevano. Lodavano Dio ed erano ben visti da tutta la gente. Di giorno in giorno il Signore faceva crescere il numero di quelli che giungevano alla salvezza. (At. 2, 42-46)
Paolo VI, reduce da un Congresso eucaristico, tenuto a Bombey, così proclamava l'urgenza del vivere come fratelli in comunità:
  • Il progresso civile viene scoprendo come esigenza, come conquista, ciò che Cristo, fattosi uomo come noi e nostro Maestro, già .,ci aveva insegnato dalle pagine, ma non pienamente comprese, non ancora universalmente applicate, del Suo Vangelo: 'Voi siete tutti fratelli', cioè uguali, solidali, cioè obbligati a riconoscere che in ciascuno di voi è riflessa l'immagine dello stesso Padre celeste... Oggi la fratellanza si impone, l'amicizia è il principio di ogni moderna convivenza umana.

    Invece di vedere nel nostro simile l'estraneo, il rivale, l'antipatico, l'avversario, il nemico, dobbiamo abituarci a vedere l'uomo, che vuoi dire un essere pari al nostro, degno di rispetto, stima, assistenza, amore, come a noi stessi.

    Ritorna a risuonare nel nostro spirito la stupenda parola di un santo dottore africano: 'che i confini dell'amico sì allarghino'. Bisogna che cadano le barriere dell'egoismo e che l'affermazione di legittimi interessi personali non sia mai offesa per gli altri.
Si dovrebbe a questo punto pregare e sognare che avvenga oggi quanto Giovanni l'apostolo scrive nell'Apocalisse: "Ecco la dimora di Dio tra gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo, ed egli sarà Dio-con-loro' e tergerà ogni lacrima dai loro occhi". (Apocalisse 21, 1-5) Ogni volta scrivo le riflessioni sul Vangelo, che poi arrivano a voi, ciò che mi anima e mi accompagna è il grande amore che vuole solo trasmettere Amore, quello di Dio, in modo che non vi sentiate soli. E i tanti 'grazie', che poi mi arrivano dalle vostre e-mail, sono un racconto di amicizia. Grazie a voi!

E con don Tonino Bello, prego che non siate mai vittime della solitudine, invocando la Madonna così:
  • Mettiti accanto a noi e ascoltaci, mentre confidiamo le nostre ansie quotidiane, che assillano la nostra vita moderna:

    la paura di non farcela, la solitudine interiore, l'instabilità degli affetti,

    l'educazione difficile dei figli, l'incomunicabilità persino con i più cari.

    Ritorna, Maria, in mezzo a noi, e offri l'edizione aggiornata di quelle grandi virtù umane, che ti hanno resa grande agli occhi di Dio.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven mag 07, 2010 9:14 am

      • Omelia del giorno 9 Maggio 2010

        VI Domenica di Pasqua (Anno C)



        Non sia mai turbato il vostro cuore
Stiamo sempre vivendo il grande Mistero della Resurrezione, che è la pietra fondamentale della nostra vita, sempre che la consideriamo un breve passaggio verso la verità della nostra creazione: la resurrezione. Così don Tonino Bello descrive l'Eucarestia come memoriale della Pasqua:
  • L'Eucarestia è un convito, un banchetto, una cena, un segno che cade sotto i nostri occhi, palpabile con le nostre mani. Ritornano il pane, il vino, la visibilità della Grazia. L'Eucarestia è un banchetto, un segno rivolto verso una triplice direzione, verso il passato, il presente e il futuro. È il memoriale della Passione: quando noi celebriamo la Messa non ricordiamo solo la nascita di Gesù, ma ricordiamo anche la sua morte, la sua sepoltura, la sua resurrezione. È sempre Pasqua: morte e resurrezione, sempre. Tutto il Mistero pasquale giunge fino a noi e noi ne siamo coinvolti e così Gesù diventa nostro contemporaneo.
Il lungo, ed insieme breve periodo, che Gesù fa intercorrere tra la sua resurrezione fino all'ascensione al Cielo, deve essere stato denso di attese tra gli Apostoli e quanti erano rimasti fedeli al Maestro: tempo di incertezze e di attesa di certezze, di domande sul da farsi. Gesù andava e veniva, apparendo in continuità, come volesse guidare i passi di un lungo cammino verso il Regno, che Lui aveva iniziato in terra tra noi e fra noi: un Regno a cui anche noi siamo chiamati a partecipare e costruire, giorno per giorno.

Se la bellezza e la profondità della Buona Novella era stata così poco capita, se i confini dove farla giungere erano immensi, se tutto questo era apparso difficile stando vicino a Gesù, doveva apparire quasi una follia per gli Apostoli 'andare'. 'Andare', ma da chi? E dicendo che cosa? Con quali mezzi persuasivi? Bastava annunciare, come faranno poi gli Apostoli e siamo chiamati noi, la morte e la resurrezione di Gesù, figlio di Dio? Bastava e basta dire agli uomini, sempre malati di scetticismo, che Gesù è la Verità e non ha certamente bisogno di fatti eclatanti, di potenza umana, ma solo di un'autentica ricerca, per poter diventare 'Luce che illumina le nostre tenebre'?

Gesù poi li mandava - e ci manda - raccomandando di andare in totale povertà, ossia non ricorrendo a strategie, a fatti miracolosi, rifuggendo così i metodi del mondo, che quando annunciano qualcosa di ‘grande' usano una tale forza di mezzi e di pubblicità, da non far più capire se quanto si proclama sia vero o nasconda altro, che nulla ha a che fare con la bellezza e il valore dell' evento stesso. Tutti interrogativi e perplessità 'umane', che spesso inondano la nostra anima, trovano la loro risposta dopo Pentecoste. Così oggi leggiamo dagli Atti degli Apostoli:
  • In quei giorni, alcuni venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli questa dottrina: 'Se non vi fate circoncidere, secondo l'uso di Mosé, non potete essere salvi! : Poiché Paolo e Barnaba si opponevano risolutamente e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Barnaba e alcuni altri andassero dagli apostoli e dagli anziani per tale questione. Allora gli Apostoli, gli anziani e tutta la Chiesa decisero di eleggere alcuni tra di loro e di inviarli ad Antiochia insieme a Paolo e Barnaba. E consegnarono loro la seguente lettera: 'Gli Apostoli e gli Anziani ai fratelli di Antiochia, di Siria e di Cilicia, che provengono dai pagani, salute! Abbiamo saputo che alcuni da parte nostra ai quali avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con i loro discorsi sconvolgendo i vostri animi. Abbiamo deciso perciò tutti d'accordo di eleggere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Barnaba e Paolo, uomini che hanno votato la loro vita al Nome del nostro Signore Gesù Cristo. Abbiamo deciso, lo Spirito Santo e noi, di non imporvi nessun altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: astenervi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue e dalla impudicizia. State bene. (At. 15, 1-22-29)
Quanta autorevolezza e decisione, così differente dalla paura che, subito dopo la morte del Maestro, aveva invaso gli Apostoli! È la stessa debolezza o timore che tante volte si nota tra di noi: paura di testimoniare la nostra fede, una testimonianza che nasce sola da una vita vera di fede.

Troppe volte siamo superficiali e, davanti alla prova, mostriamo la nostra titubanza e debolezza.

Non pregheremo mai abbastanza per avere quella pienezza di fede, che ci fa andare oltre l'umano e la mediocrità di troppi.

Ma il nostro tempo - e lo abbiamo vissuto e lo viviamo drammaticamente a causa della pedofilia - il mondo, accusandoci – sia pure senza distinzioni - per un peccato davvero totalmente inaccettabile, sembra invitarci, senza saperlo, ad una coerenza che ci si attende da chi è credente e chiamato alla santità: una coerenza di vita, che assume tutte le istanze dell'uomo e del creato.

Ma forse trova ancora in troppi quella che possiamo definire 'incertezza'. Ed è proprio questa incertezza, aggravata anche da scenari di scienza e tecnologie, che quasi si considerano 'onnipotenti', a rendere nuovo il tempo che viviamo. Sono sfide di carattere culturale, educativo, morale, di fronte alle quali nessuno può restare indifferente, tanto meno un credente.

Il credente fedele non può mai chiudersi in se stesso, isolandosi spiritualmente dalla comunità, ma è chiamato a vivere in un continuo scambio con gli altri, con vivo senso di fraternità, nella gioia e nel rispetto della uguale dignità e nell'impegno di fare fruttificare insieme l'immenso tesoro ricevuto in dono. Fanno tanto pensare le parole che Gesù rivolge ai suoi discepoli, che oggi siamo noi:
  • Gesù disse ai suoi discepoli: 'Se uno mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserverà le mie parole e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Queste cose vi ho detto quando ancora ero tra voi. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà a mio nome, egli vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, Io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito ciò che vi ho detto. Vado e tornerò a voi: se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l'ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate. (Gv. 14, 23-29)
Parole che Gesù pronunciò nell'Ultima Cena, prima di affrontare il supremo dono della sua vita con la passione e crocifissione. Conosceva bene la debolezza umana dei suoi discepoli. Sapeva che per un poco avrebbero messo in dubbio la loro totale fiducia, fino a rinnegarLo. Sapeva tutto di loro. Ma volle rinfrancarli con queste parole, che abbiamo letto: hanno tutto il sapore di un testamento da non dimenticare. Tutto è in quella stupenda espressione, che ripeterà all'infinito nell'Ultima Cena: CHI MI AMA. L'amore, in e con Gesù, non conosce i limiti della morte, ma anzi è la chiave che apre il Cielo.

Occorre partire dalla convinzione che la vitalità nella fede e nella comunione fraterna nasce dal sublime: ‘Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate gli uni gli altri come Io ho amato voi: così amatevi anche voi gli uni gli altri'.

C'è stata e c'è una pericolosa diffidenza verso gli altri, che porta all'indifferenza, come se non ci appartenessero, e peggio ancora al rifiuto. Fa tanto soffrire. Gesù ha affidato il comandamento di amarci gli uni gli altri, all'intera Chiesa. Il che vuol dire che tutti, ma proprio tutti, hanno il dovere di fare dono di sé con quella manifestazione dello Spirito che è data a ciascuno, come direbbe S. Paolo, 'per l'utilità comune'. Oserei dire come avviene tra noi, che ci troviamo nella riflessione settimanale della Parola di Dio... ed è talmente tanta l'amicizia, la comunione che mi comunicate, che mi commuove sempre. Siete veramente buoni! E Dio solo sa quanto sia necessaria questa carità, per dare respiro a tanti che si sentono soli, o soffrono, o sono poveri. Amarsi, come ci dice Gesù, è costruire un piccolo o grande segno di speranza in tanti, oggi... ed è il miglior modo per essere e fare felici e permettere a Dio di accoglierci nel suo Cuore. Ricordiamocelo sempre, come a sconfiggere la tentazione dell'indifferenza e della solitudine: ‘Chi mi ama, osserverà la mia Parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui’. Con san Francesco preghiamo:
  • O Signore fa' di me uno strumento della Tua pace.

    Dove c'è odio che io porti l'amore, dove c'è offesa che porti perdono,

    dove c'è discordia, che io porti l'unione, dove c'è errore che io porti verità,

    dove c'è dubbio che io porti la fede e dove c'è disperazione che io porti la speranza.

    Dove c'è tristezza che io porti la gioia e dove sono tenebre porti la luce.

    O Divino Maestro, che io non cerchi tanto di essere consolato, ma di consolare;
    di essere compreso, quanto di comprendere – di essere amato, quanto amare.
    Poiché è dando che si riceve, dimenticandosi che si trova comprensione,
    perdonando che si è perdonati, morendo che si risorge alla vita eterna.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven mag 14, 2010 7:17 am

      • Omelia del giorno 16 Maggio 2010

        Ascensione del Signore (Anno C)



        Gesù ascende al cielo
Negli Atti degli Apostoli è narrata la solennità di oggi: Gesù, che dopo la sua missione tra gli uomini - diremmo noi - 'torna a Casa': ma è un ritorno che, in altro modo, assicura la Sua Presenza - come è di fatto - tra di noi.
  • Nel mio primo libro – così inizia san Luca, riferendosi al suo Vangelo – ho già trattato, Teofilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio fino al giorno in cui, dopo avere dato istruzione agli apostoli, che si era scelto nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo.

    Egli si mostrò vivo ad essi, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del Regno di Dio. E mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre: 'quello che avete udito da me: Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni'. Così, venutisi a trovare insieme Gli domandarono: 'Signore, è questo il tempo in cui ricostruirai il regno di Israele?: Ma egli rispose: 'Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti in cui il Padre ha riservato la sua scelta, ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra.' Detto questo fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. E poiché stavano a guardarlo, fissando il cielo mentre se ne andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: 'Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù che è stato tra di voi assunto in cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo'. (At. 1, 1-11)
Forse ci saremmo aspettati, alla fine del breve racconto dell'Ascensione, che si evidenziasse l'afflizione degli Apostoli per la partenza ormai definitiva del Maestro, ma non è così, perché non vi fu tristezza, come racconta, sempre Luca, nel suo Vangelo:
  • Poi li condusse fuori verso Betania, e alzate le mani li benedisse, Mentre li benediceva, si staccò da loro e fu portato verso il cielo. E gli apostoli, dopo averlo adorato, tornarono a Gerusalemme con grande gioia e stavano sempre nel tempio, lodando Dio. (Lc. 24, 46-53)
C'è una bella differenza rispetto al Venerdì santo, quando erano stati lasciati nella paura e nello smarrimento... come se tutto avesse avuto una fine inaspettata. Sulla croce era apparso un 'uomo' privo dì dignità e di grandezza. Come se Gesù, che era stato seguito come il Maestro, il Signore, si fosse sbriciolato sotto i colpi della superbia umana: un 'giocattolo' di estrema fragilità, che pareva non resistere al paragone con l'apparente potenza dell'uomo. Non avevano ancora capito che era proprio quella croce a glorificarlo.

Era vero: gli uomini, nella loro stupidità, non avevano fatto alcuna fatica a 'demolire' la potenza del Figlio dell'uomo... almeno esternamente. È un poco quello che accade anche tra di noi, quando crediamo di poter annientare la potenza di Dio, per dare posto alla nostra immensa fragilità, che cerchiamo di nascondere con la superbia. Non si erano resi conto, e a volte non ce ne accorgiamo neanche noi, che 'quella' era stata la scelta dello stesso Gesù: non era stato crocifisso, ma si era lasciato crocifiggere, dando di propria volontà la vita, estremo atto di amore per noi.

Era difficile però, per gli Apostoli, capire il trionfo di Gesù sulla croce e la sconfitta dei crocifissori. Erano poveri uomini, con l'ignoranza e la cecità di spirito, che sperimentiamo anche noi. Ma ora Gesù, con la sua resurrezione, ha messo fine, ai loro e nostri dubbi: ha cambiato completamente la verità della fragilità nella nostra vita, chiamata ad una gloria, che solo Dio, il Figlio di Dio, poteva conquistare per noi. La resurrezione ha ormai tracciato strade, che possono conoscere l'infinito di Dio. Gesù 'passa le pareti', non conosce più spazio né tempo: ci ha aperto la porta della vita eterna.

I discepoli ormai sanno che ora il Maestro sarà sempre con loro... e dovremmo saperlo anche noi! L'Ascensione chiude solo l'esperienza terrena di Dio tra noi, ma continua la più grande storia di amore mai scritta o immaginata. Adesso sappiamo che la nostra vita non è un'esperienza di poco conto, senza alcuna speranza nel dopo.... al contrario, anche se può essere o apparire un Calvario, ci conduce ad ascendere con Gesù. Chi davvero crede e vive, preparandosi all'eternità, sa quanta nostalgia prende a volte di entrare nel Cielo.

Tutte le volte che mi reco a Lourdes, stando ai piedi della grotta, e ancora più alla sera, durante la processione con le fiaccole, in quello scenario che tanto rende vicino il Paradiso, al canto 'Andrò a vederla un dì’, sempre mi assale il desiderio di salire in cielo, abbandonando questa terra, che propone così tante sofferenze. E confesso che sarei felice se Dio ascoltasse la mia nostalgia. Dando uno sguardo al mondo, proprio non capisco perché questa nostalgia non appaia, forse troppo ‘appagati' dal nulla di questa terra. Così presentava l'Ascensione di Gesù al Cielo il nostro sempre caro Paolo VI, che ci guida nelle riflessioni:
  • L'avvenimento finale della vita di Cristo sulla scena della storia umana, è la sua ammirabile ascensione al Cielo, il suo passaggio da questa terra, da questo nostro mondo, a noi conoscibile, in cui noi siamo immersi come pesci nell'oceano, ad un altro mondo, ad un altro universo, ad un'altra forma di esistenza, della quale abbiamo la certezza, ma ancora scarsa notizia e, forse, nessuna esperienza. Si chiude così quel breve periodo di presenza dell'umanità del Figlio di Dio tra di noi, e comincia quell'altro periodo che dura tuttora e che chiamiamo storia del cristianesimo.

    Perciò da un lato il nostro pensiero, il nostro culto è rapito in alto nello sforzo amoroso di seguire Gesù, che scompare al nostro sguardo, e si sottrae alla nostra conversazione terrena: non lo vedremo più, fino a quell'ultimo giorno, non da noi calcolabile e in cui ritornerà per giudicare i vivi e i morti.

    Dall'altro canto il nostro ricordo di tale avvenimento misterioso e storico ad un tempo, ci fa sentire la nostra solitudine, la nostra condizione di seguaci di Cristo, di credenti in Cristo, di legati a Cristo, rimasti in terra senza la sua visibile presenza. Nasce nei fedeli, privi del rapporto sensibile con Gesù, lo sforzo di comunicare ugualmente con Lui; nasce cioè la ricerca di vincoli che tuttora ci uniscono a Lui; una ricerca che sarà subito ricca di risultati, fino a darci la prova della promessa realizzata di una sua dolcissima parola di commiato: 'Non vi lascerò orfani, verrò da voi' e di quell'altra parola solenne, che proclama Cristo presente nei secoli: 'Ecco io sono con voi fino alla fine del mondo'. E noi vogliamo metterci nei panni degli apostoli, che scomparso Gesù dai loro occhi, se ne tornarono a Gerusalemme, si raccolsero con Maria nel cenacolo in attesa dello Spirito Santo. (maggio 1963)
Dovremmo anche noi ritrovare quanto hanno provato gli Apostoli il giorno in cui Gesù salì al Cielo: ‘Tornarono a Gerusalemme can grande gioia', una gioia che diverrà, con la Pentecoste, forza e capacità di trasmetterla a tutti.

Il giorno dell'Ascensione, gli Apostoli sanno ormai - e dovremmo esserne certi anche noi - che Gesù sarà dovunque essi si troveranno. Quando parleranno diranno 'Parole Sue'; Lo troveranno nel cuore, riempito dalla Sua pace, anche quando saranno arrestati; i loro gesti saranno i 'Suoi gesti', per continuare la Sua opera, segno del grande bene che il Padre ci vuole, quella carezza che quotidianamente Dio, se abbiamo fede, ci fa, perché dimentichiamo le frustate dell'indifferenza, della cattiveria e violenza cieca. E per sentirseLo ancora più vicino, ogni volta parteciperanno, parteciperemo, all'Eucarestia, lasceranno il posto principale libero, perché a presiedere sia sempre Lui.

Con passo deciso, illuminati dalla certezza del nostro futuro con Lui, camminiamo per le strade del mondo, testimoni del Risorto, a 'predicare' Lui, salvezza di tutti.

Sono venti secoli che questa Presenza divina nella Chiesa si fa strada nella storia, tessendo la vera nostra storia, che non conoscerà più tramonto. Oggi davvero tutti noi, che crediamo, alzando le mani al cielo, indichiamo il Maestro che si eleva su di noi ed è assiso alla destra del Padre, eppure continua a camminare al nostro fianco! Questa è davvero la gioia dell'Ascensione di Gesù al Cielo per noi. Con madre Teresa di Calcutta preghiamo:
  • Signore, nostro Dio, tu hai dato te stesso per noi.

    Noi vogliamo essere a tua disposizione per essere tuoi, affinché un giorno possiamo possederti e per ricevere tutto ciò che dai e dare tutto ciò che chiedi, con un sorriso.

    Prendi ora tutto di noi, perché ti serva di noi come ti piace, senza tentennamenti. Prenditi la nostra volontà e tutta la vita

    affinché tu possa compiere le tue opere con le nostre mani,

    e così un giorno possiamo ascendere in cielo con te. Per sempre.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven mag 21, 2010 10:04 am

      • Omelia del giorno 23 Maggio 2010

        Pentecoste (Anno C)



        Pentecoste: grande ora della Chiesa
“Grande ora della Chiesa”, così definisce Paolo VI la Solennità della Pentecoste, ossia il giorno in cui lo Spirito Santo, come a completare l'opera iniziata da Gesù, per riportare gli uomini alla nobiltà di figli di Dio, ci ha donato la forza ed energia, che solo Dio può dare e dà. Così narrano quel giorno gli Atti degli Apostoli:
  • Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso un rombo dal cielo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano gli Apostoli. Apparvero loro lingue di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro ed essi furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito Santo dava loro di potere esprimersi.

    Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore e dicevano: 'Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E come mai li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?

    Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e della Libia, vicino a Curne, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio. (At. 2, 1-11)
Si ha come l'impressione che a Gerusalemme, quel giorno, si fosse radunato tutto il mondo, come a essere testimoni del grande evento, che era la 'nascita della Chiesa di Dio'. E sembra di assistere al racconto biblico della stessa creazione dell'uomo, quando Dio, dopo aver composto con il fango la sua creatura, la rese partecipe della sua stessa vita, infondendole il Suo Spirito.

Per questa sua natura spirituale, che viene direttamente da Dio, l'uomo non può stare solo. Ha profondamente bisogno di essere amato e di amare. Senza amore si sente paralizzato... menomato. Gli Apostoli, che conoscevano molto bene le debolezze e paure della natura umana, e ne avevano dato prova piena il giorno della passione di Gesù, quel giorno è come fossero rinati, riscoprendo e ritrovando in se stessi, per azione dello Spirito, la stessa energia di Dio, così da potersi esprimere ormai senza più paure, dando vita alla comunità cristiana.

Basta leggere gli Atti per toccare con mano il grande cambiamento interiore avvenuto in loro. Lo Spirito Santo ormai li aveva trasformati, fino al punto da non temere più opposizioni, ma addirittura gioire, ogni volta venivano perseguitati, messi in carcere, flagellati, tornando sempre sulla piazza e nel tempio a 'lodare Dio' e continuare l'opera di evangelizzazione, che era stata loro affidata dal Maestro, la stessa a cui siamo chiamati tutti noi cristiani, oggi, sia pure in modi diversi.

C'è un giorno nella nostra vita in cui anche per noi accade l'Evento della Pentecoste, ossia il giorno in cui riceviamo il grande sacramento della Cresima: lo Spirito Santo diviene l'anima del nostro coraggio nel vivere e diffondere il Vangelo. Ma è così? Quante volte questa domanda mi viene sulle labbra, quando amministro agli adolescenti il sacramento. Esternamente è grande festa, ma pare si fermi lì, quando invece la vita cristiana dovrebbe da quel momento avere un inizio più incisivo e consapevole.

La mia vocazione alla vita religiosa è nata proprio il giorno della mia Cresima, quando il Cardinal Schuster mi 'lesse negli occhi' (ero chierichetto) forse il segno di una particolare vocazione. La forza dello Spirito mi aiutò a dire 'sì' e così ho potuto conoscere una discesa ancora più potente dello Spirito Santo, il giorno in cui il Vescovo stese le mani sopra di me, invocando lo Spirito Santo, nel ricevere il sacramento dell'Ordine. Ma fui come sconvolto quando, circondato da circa 30 vescovi, in piazza a Santa Ninfa, rispondendo alla chiamata di Paolo VI, che mi aveva voluto vescovo, sentii le mani del Cardinal Pappalardo stese sul mio capo, poi unto dall'olio crismatico. Compresi che qualcosa di nuovo, tutto interiore, sorprendente avveniva in me, come vescovo, pastore delle anime, affidatemi dal Maestro.

A distanza di anni, ogni volta do uno sguardo al mio servizio di parroco nel Belice e ancora di più agli anni da vescovo nella non facile diocesi in cui vivo, mi è chiara 'la presenza dello Spirito Santo' al punto da chiedermi: chi ha agito? Chi ha dato energia e discernimento? La risposta è sempre la stessa: lo Spirito ha operato ed io sono stato uno strumento.

Anche se in modi diversi, ogni cristiano nel giorno della Cresima, riceve lo stesso Spirito. A volte lo si costringe a restare ininfluente, per impreparazione, - poiché lo Spirito opera sempre attraverso la nostra libera volontà – a volte rende davvero la nostra azione profetica. Penso ai grandi Pontefici che ci hanno accompagnato nel secolo scorso.

Chi non ricorda Giovanni XXIII? Non è forse stata ispirazione dello Spirito l'aver indetto il Concilio Vaticano II, da parte di questo Papa buono, considerato da molti, all'inizio, 'solo un Papa di transizione'? La sua stessa presenza sorridente e affabile, come se nulla fosse impossibile, non ha forse suscitato meraviglia, infuso ottimismo e coraggio? Ricordate la sera dell'inizio del Concilio, quando con semplicità salutò i pellegrini in piazza San Pietro, invitando tutti a dare una carezza ai bambini?

E che dire di Paolo VI, vero apostolo delle genti, che soffrendo seppe guidare il Concilio e la Chiesa in tempi tanto difficili? E del coraggio di Giovanni Paolo II, che fino alla fine ha testimoniato 'il vento gagliardo' dello Spirito?

Così come possiamo ricordare tanti vescovi che hanno lasciato la loro impronta di uomini dello Spirito, o sacerdoti che abbiamo ammirato per la loro profonda spiritualità e zelo apostolico.

Ma il pensiero corre anche ai tanti martiri, che non temono di andare incontro alla morte, a volte dopo tanti tormenti... anche oggi, in tante parti del mondo. E viene da chiedersi: 'Ma chi dà la forza del martirio?'. Vi è una sola risposta: lo Spirito Santo.

Così come il pensiero va ai tanti fratelli e sorelle laici, che, in tante parti del nostro pianeta, devono ogni giorno mostrare grande forza d'animo per essere fedeli a Cristo, a cominciare dalla Cina, dove è facile essere arrestati e si deve ricorrere alla clandestinità per esercitare la fede, o nell'India dove si può avere la casa distrutta e perdere la vita per la fede in Cristo.

Sono davvero tanti i testimoni, oggi, dell'opera dello Spirito Santo. Anche tra la nostra gente. Ne incontro in ogni parte d'Italia: giovani, uomini e donne, che sono stupendi testimoni che lo Spirito opera in modo incredibile e non ha certamente paura delle tante mode o contrasti. Qualcuno ha detto che è difficile essere cristiani coerenti, ossia testimoni veri dello Spirito, oggi. Credo invece che siano ancora tanti e ovunque ed in ogni categoria. Come a dare ragione a quanto, scrisse San Paolo ai Corinzi:
  • Fratelli, nessuno può dire 'Gesù è il Signore' se non sotto l'azione dello Spirito Santo. Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito. Vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore Vi sono diversità di operazione, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei e Greci, schiavi o liberi, e tutti ci siamo abbeverai a un solo Spirito. (Cor. 12, 12)
Davvero grande il Dono dello Spirito Santo. Sapere che Lui è forza e luce dona coraggio nelle vicende della vita. Per questo la Pentecoste è la 'grande ora' della Chiesa, che deve mostrare il suo vero volto. Paolo VI così commentava questa grande Solennità, il Dono per eccellenza:
  • Grande ora è questa che offre la sorte di concepire la vita cattolica come una dignità e una fortuna, come una nobiltà e una vocazione.

    Grande ora è questa che sveglia la coscienza dall'assopimento indolente in cui per moltissimi era caduta e la illumina a nuovi diritti e doveri.

    Grande ora è questa che non ammette che uno possa dirsi cristiano e conduca una vita moralmente mediocre, isolata ed egoista, caratterizzata solo dalla osservanza stentata di qualche precetto religioso, e non piuttosto trasfigurata dal vivere la propria fede con pienezza dí convinzioni. Grande ora è questa che bandisce dal popolo cristiano il senso della timidezza e della paura, il demone della discordia e dell'individualismo.

    Grande ora è questa in cui la Pentecoste invade di Spirito Santo il Corpo mistico di Cristo e gli dà un rinato senso profetico, come affermava Pietro nella prima predica cristiana che l'umanità ascoltava: Profeteranno i vostri figli e le vostre figlie, e i giovani vedranno visioni e i vostri vecchi sogneranno sogni. E sui miei servì e le mie ancelle in quei giorni effonderò il mio Spirito e profileranno'. (At. 2, 17-18): cioè godranno di interiore pienezza spirituale ed avranno capacità di darne stupenda testimonianza. (giugno 1957)
Tocca ora a noi lasciarci invadere dallo Spirito Santo. Lo preghiamo con la sequenza della Santa Messa del giorno di Pentecoste:
  • Vieni, Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce. Vieni, Padre dei poveri, vieni Datore dei doni, vieni luce dei cuori. Consolatore perfetto, dolce Ospite dell'anima, dolcissimo Sollievo. Nella fatica Riposo, nella calura Riparo, nel pianto Conforto. O Luce beatissima, invadi nell'intimo, il cuore dei tuoi fedeli. Senza la tua Forza, nulla è nell'uomo, nulla senza colpa.

    Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato, Dona ai tuoi fedeli, che soli in Te confidano, i tuoi santi doni. Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna. Amen.
E a tutti, carissimi, BUONA PENTECOSTE!



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven mag 28, 2010 9:39 am

      • Omelia del giorno 30 Maggio 2010

        Santissima Trinità (Anno C)



        Nel Cuore della Santissima Trinità
Il primo insegnamento che usciva dal cuore delle nostre mamme – un tempo e speriamo ancora oggi era di educare la nostra mano ed il nostro cuore a farsi il segno della croce. Era il 'segno' che apriva e chiudeva la giornata, vissuta così nell'amore della Santissima Trinità. Eravamo ancora incapaci di camminare sicuri, ma la nostra manina si lasciava condurre da quella sicura di chi ci aveva donato la vita, e tracciava sulla nostra fronte, sul cuore e sulle spalle, fino a disegnarla con chiarezza, come segno di tutta l'esistenza, la croce, quella di Gesù, accompagnando il segno con le parole ‘Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo'. Una brevissima professione di fede che avrebbe dovuto segnare ogni passo del nostro pellegrinare: ogni inizio di giornata, di lavoro, di sacrificio, dì riposo, vero distintivo e professione di ciò che siamo diventati con il Battesimo: figli di Dio.

Figli di un Padre, che si è donato gratuitamente e da cui siamo creati e a cui apparteniamo; un Fratello, il Figlio di Dio, Gesù, mandato dal Padre per salvarci e talmente vicino a noi da essere 'pane di vita'; l’Amore stesso di Dio , lo Spirito Santo, effuso su di noi nella Cresima, che ci assiste e dà forza nella difficile nostra vita. Tracciando il segno della croce, se siamo attenti, professiamo le principali verità di fede: Dio Uno e Trino, Padre, Figlio e Spirito Santo e la morte e resurrezione di Gesù, espressione concreta di quanto sia infinito l'Amore.

È tanto grande la verità contenuta nel Mistero della Santissima Trinità, da rimanere sbalorditi, non solo per ciò che è, ma per il Suo divino degnarsi di abbassarsi fino a farsi dono per noi! Viene proprio da chiedersi quanto prega il Salmista:
  • O Signore, nostro Dio, quanto è grande il Tuo Nome su tutta la terra.
    Se guardo il cielo opera delle Tue dita, la luna e le stelle che Tu hai creato,
    che cosa è mai l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi?
    Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli; di gloria e di onore l'hai coronato;
    gli hai dato potere sulle opere delle Tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi. (Salmo 8)
C'è da confondersi, se pensiamo quanto l'uomo di oggi difficilmente sappia riferirsi a questa sua grandezza, che gli viene dalla Santissima Trinità. Difficilmente sappiamo volgere la nostra attenzione sul grande Amore, di cui siamo onorati e circondati. Così Gesù ha annunciato ed continua ad annunciare questo grande Amore:
  • In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli: 'Molte cose ho da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito, e vi annuncerà le cose future Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede é mio, per questo vi ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà. (Gv. 16, 12-15)
Cosi il nostro caro Paolo VI, descrive il grande Mistero della Santissima Trinità:
  • Il santo Natale non ci rivela soltanto Cristo, ma da Lui traspare la visione abbagliante e avvincente della Paternità di Dio e con quella il Mistero della stessa vita di Dio, il mistero della Santissima Trinità. Dio è Padre eternamente generante, in se stesso, il Figlio, il suo proprio vivente Pensiero, il suo Verbo identico nella natura, cioè nell'essere al Dio unico principio assoluto e insieme, nell'identità di sostanza di Padre e del Figlio, spiranti l'Amore, lo Spirito Santo. Unico l'Essere divino, ma sussistente in Tre Persone uguali, distinte e coeterne, verità eccedente la nostra capacità di conoscenza; essa tratta della vita divina in se stessa e perciò ineffabile, ma non senza un minimo ma meraviglioso riflesso, che riscontreremo e che riscontriamo in S. Agostino: lo dico – scrive – queste tre cose, essere, conoscere, volere. Io sono, io conosco, io voglio... In queste tre cose quanto sia inseparabile la vita... quanto inseparabile la distinzione... veda chi può. (7 gennaio 1974)
Purtroppo sembra difficile vedere oggi gli uomini farsi il segno della croce, accompagnandolo con una vera professione di fede: o non lo sanno più fare o, ancora più triste, non ne conoscono il contenuto. E viene tanta nostalgia di quando le nostre famiglie, nella loro composta, a volte dura povertà, che non si vergognavano di manifestare, erano meravigliosamente illuminate da questo semplice segno di fede. Anzi era la 'croce', che papà e mamma piantavano, non solo al centro della famiglia, ma ancor più della nostra vita, come a ricordarci che 'il Padre ti ama, il Figlio ha dato la vita per questo amore, lo Spirito Santo è l'Amore, prezioso sale della vita'.

Quel 'segno della croce' raccoglieva le tante lacrime, che in Gesù acquistavano il sapore dell'amore. Le braccia aperte di Dio, costrette dai chiodi a non chiudersi mai, mettevano una gran voglia di abbandonarsi, come a voler affondare la testa su quelle spalle, che si offrivano per accogliere. E quel Cuore sempre aperto era come la porta di casa. Sentivi che ti introduceva in un infinito, desiderato Paradiso, la Casa di Dio, che Lui vuole, da sempre e per sempre, condividere con i Suoi figli.

Ma ora la gente pare che voglia camminare senza quella croce, con il senso di chi ha deciso, non se ne capisce la ragione, di sfrattare dalla propria vita il Mistero dell'Amore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo e così... finisce che ci si sente sfrattati dalla pace, dalla pietà, dalla compassione e dalla misericordia!

Così tanti si sentono come sul lastrico della vita a mendicare gioie che non ci sono, con nel cuore, al posto della Croce, voglia di ricchezza, dì gloria, svendita di vita, dignità e tentazione di violenza. Rimane l'amarezza di non percepire nella propria vita lo sguardo del Padre, che dal trono della croce del Figlio, pare ci dica: 'Sono qui a dirti che ti amo tanto, da darti come segno del mio amore questo stare sulla croce del mio Figlio; un amore che condividiamo pienamente, un amore che diventa Fuoco con lo Spirito’. Non è forse rassicurante e bello sapere di essere amati da Dio?

Nella nostra debolezza o ignoranza, amiamo a volte piccole cose che non hanno cuore e durano poco. Erano gli ultimi giorni della vita di mia mamma. Nella sua lunga vita, durata 99 anni, non si potevano contare i segni di croce che aveva fatto ed aveva aiutato i figli a fare. Tanti come i passi della sua vita, così come sono diventati l'alfabeto della mia vita su cui Dio ha composto la mia esperienza. Ed ogni segno di croce esprimeva tanta fede, che era come dire, anche in situazioni, che avrebbero fatto gridare di disperazione: 'Io ti amo, Signore, si faccia di me secondo il Tuo Cuore'. Anche quando vide morire –allora non vi erano le cure di oggi – un figlio piccolo, che si chiamava Francesco, e mi aveva preceduto nella nascita; o quando morì un'altra figlia, una bambina a cui aveva dato il nome di Maria Redenta, in onore dell'anno della Redenzione, il 1933; o quando seppe del terremoto nel Belice ed io ero là, senza poter comunicare con lei, per rassicurarla; o nominato vescovo ad Acerra, sotto scorta. Era sempre lo stesso abbandono all'amore del Padre, che la guidava, anche se spesso... faceva un gran male. Conoscevo molto bene quel suo muovere le mani come recitasse il 'Credo'. La contemplavo come si contempla il Mistero della Trinità. E conservo nel cuore l'ultima benedizione e la stessa solennità nel fare il segno di croce, l'ultimo giorno della vita, quando mi chiese di benedirla. Era la croce il suo incessante credo, che ornava e sosteneva la sua vita.

Quanto amore contiene la Trinità, quando la lasciamo 'incarnare' nel nostro vissuto! Così scrive Paolo ai Romani:
  • Fratelli, giustificati per la fede, noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo: per suo mezzo abbiamo anche ottenuto, mediante la fede, di accedere a questa grazia nella quale ci troviamo e ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio. E non soltanto questo: ma ci vantiamo anche delle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. (Rom. 5, 1-5)
E con Madre Teresa di Calcutta offriamo la preghiera:
  • O Dio del cuore, tu che hai creato e dato la vita a tutti noi,

    facci crescere in amore per Te e l'uno per l'altro.

    Hai mandato Tuo Figlio, Gesù Cristo, per rivelarci che Tu ti prendi cura di noi tutti e che Tu ci ami.

    Donaci il Tuo Santo Spirito, affinché susciti in noi una fede forte,

    abbastanza forte per capire con profonda comprensione la vita degli altri popoli,

    in modo da saper scorgere in ogni bicchiere d'acqua, offerto all'assetato, un bicchiere d'acqua offerto all'amato tuo Figlio.


Antonio Riboldi – Vescovo –

Internet: www.vescovoriboldi.it

E-mail: riboldi@tin.it
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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2009/2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven giu 04, 2010 8:01 am

      • Omelia del giorno 6 Giugno 2010

        Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno C)



        Corpus Domini: l’incredibile Amore di Dio
  • Sion, loda il Salvatore, la tua guida, il tuo pastore con inni e cantici.

    Impegna tutto il tuo fervore, Egli supera ogni lode, non vi è canto che sia degno.

    Pane vivo, che dà vita: questo è tema del tuo canto, oggetto della lode.
    (dalla sequenza della Santa Messa).
Ci sono parole che fanno sobbalzare di stupore e di gioia insieme: uno stupore ed una gioia interiore profondi per noi poveri uomini, che ci permettono di entrare là dove è il centro dell'Amore, il Cuore del Padre. Già è difficile per noi entrare nel sacrario gelosamente custodito del cuore degli altri, ossia sapere come e quanto ci ami uno che si dichiara amico. E tutti facciamo l'esperienza che l'amicizia, se è vera, profonda, è un bene che non conosce tramonto, è un prezioso, libero dono che aiuta a condividere gioie e sofferenze. Incredibile dono, ma è anche vero che troppe volte è ridotto ad un 'effimero', che si ferma alle parole, ma non varca la porta del cuore. Ma le parole che Gesù oggi ci offre, solennità del Corpus Domini, ci rassicurano di come, in Dio, la natura dell'amore davvero non ha confini né di tempo né di spazio:
  • Io sono il pane vivo disceso dal cielo dice Gesù chi mi mangia vivrà.
Il Concilio Vaticano II così definisce l'Eucarestia:
  • Il nostro Salvatore, nell'Ultima Cena, la notte in cui fu tradito, istituì il Sacrificio eucaristico del suo Corpo e del suo Sangue, onde perpetuare nei secoli, fino al suo ritorno, il Sacrificio della croce, e per affidare alla sua diletta Sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e resurrezione, sacramento di pietà, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l'anima è ricolma di grazia e ci è dato il pegno della gloria futura. (S.C..n. 47)
Ed è lo stesso Gesù che si incarica di introdurci nella grandezza del dono, partendo da una realtà che è vita quotidiana, ossia la necessità del pane come nutrimento per questa vita terrena. Il Maestro come sempre era circondato da tanta gente che si lasciava affascinare - dalla Sua Parola 'di vita, al punto da non preoccuparsi delle necessità immediate.

Era sempre l'attenzione di Gesù ad interpretare i bisogni, anche materiali, magari invitando gli apostoli a farsene carico e, davanti alla loro impotenza, era Lui a provvedere. Pensiamo alla moltiplicazione dei pani e dei pesci... Gesù sa molto bene che senza 'pane' l'uomo non può vivere. É sempre davanti al nostro cuore la dura realtà di milioni di uomini, donne e bambini, nei Paesi poveri – ma che ora con un eufemismo sono diventati Paesi in via di sviluppo - . E sappiamo tutti che la giustizia, lo sviluppo non si fermassero alle sole nazioni ricche, ci sarebbe cibo per tutti. Lo dicono le statistiche. È davvero una grande responsabilità che grava sulle coscienze, se pensiamo che Gesù è arrivato ad affermare: 'Avevo fame e non mi avete dato da mangiare...Andate, maledetti!’.

Ma Gesù sa che, anche quando vi è il pane terreno, occorre qualcosa di più per la vita dello spirito, che certamente è un valore superiore a quello del corpo. C'è tanta gente povera di pane materiale, ma di una ricchezza spirituale incredibile. Per questo Gesù, dopo la moltiplicazione dei pani, continua, possiamo dire, a manifestarci tutta la verità, cioè qual è la vera forza dell'uomo: la salute e vita del cuore. Ed è in questa dimensione che c'è bisogno del 'pane, che Dio offre dal Cielo…ed annuncia il grande dono dell'Eucarestia, che allora come oggi, non tutti s'armo accogliere con fede. Così racconta Giovanni:
  • Io sono il pane quello vivo venuto dal cielo...Chi mangia la mia carne vivrà per sempre. Il pane che io darò è il mio corpo, dato perché il mondo abbia vita.
Ma...
  • Gli avversari di Gesù si misero a discutere tra di loro e dicevano: 'Come può darci il suo corpo da mangiare?' Gesù replicò: 'Io vi dichiaro una cosa: se non mangiate il corpo del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita'.
Ma...
  • Molti discepoli, sentendo Gesù parlare così dissero: ‘Adesso esagera! Chi può ascoltare cose simili?’ … E da quel momento molti discepoli di Gesù si tirarono indietro e non andavano più con Lui. Allora Gesù (certamente molto deluso e lo è ancora oggi nel vedere rifiutato un tale immenso dono) domandò agli Apostoli: 'Forse volete andarvene anche voi?’.
Gli rispose Simon Pietro:
  • Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna. E ora noi crediamo e sappiamo che Tu sei quello che Dio ha mandato (Gv. 6, 51-70).
Si rimane davvero sconcertati nel leggere questo stupendo racconto del Vangelo. Il cuore del Vangelo e della nostra vita da cristiani, che dovrebbe suscitare gioia, meraviglia, sapendo che nella vita ora non dobbiamo solo più contare sulle nostre deboli forze, quando vogliamo essere buoni discepoli di Gesù, perché il Signore si fa una cosa sola con noi nell'Eucarestia. Confesso che ogni volta celebro la Santa Messa, al momento della Consacrazione, quando si avverano le parole di Gesù: 'Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo; prendete e bevetene tutti questo è il calice del mio sangue' sento la forza di questo mistero della fede, consapevole che ci si dovrebbe sempre fermare in adorazione: Troppo grande per la nostra corta intelligenza e piccolo cuore. E si dovrebbe non riuscire a contenere la pienezza del cuore nel momento che il Suo Corpo lo riceviamo nella Comunione.

Senza il sostegno dello Spirito, impossibile 'credere' che Dio non solo, abita in noi, ma si fa 'pane di vita' con la nostra vita. Per questo tanti santi - e lo si racconta tra l'altro di San Pio da Pietrelcina - si fermavano a lungo nella contemplazione di questo Mistero di Amore.

Sono tanti gli anni del mio sacerdozio e da vescovo, e posso confessarvi che mai e poi mai ho rinunciato alla Messa quotidiana. Troppo necessaria l'Energia divina di Gesù per affrontare la vita con i suoi impegni. E davvero non riesco a capire come troppi, che si dicono cristiani, guardino alla Santa Messa come un obbligo o, peggio ancora, una formalità che si può tralasciare con estrema facilità. Un comportamento simile a quello di coloro che sentendo Gesù, se ne andarono dicendo: 'Adesso esagera: chi può ascoltare cose simili?:

E di fronte a coloro che 'snobbano' l'Eucarestia, pare di sentire la voce del Maestro: ‘Ve ne volete andare anche voi?’. Come sarebbe bello se tutti sentissero l'urgenza di ripetere con Pietro: 'Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna'. Commentava il nostro Paolo VI:
  • L'Eucarestia è anzitutto comunione con Cristo, Dio da Dio, Luce da Luce, Amore da Amore vero, sostanzialmente e sacramentalmente presente. Agnello immolato per la nostra salvezza, amico, fratello, sposo, misteriosamente nascosto sotto la semplicità delle apparenze eppure glorioso nella sua vita di risorto, che vivifica, comunicandoci i frutti del mistero pasquale. La mente si perde, perché ha difficoltà a capire, i sensi dubitano, perché si trovano dinnanzi a realtà note, il pane e il vino, i due elementi più semplici del nostro vivere quotidiano... Se l'Eucarestia è un grande mistero che la mente non comprende , possiamo almeno capire l'amore che vi risplende. Possiamo almeno riflettere sull'intimità che Gesù vuole avere con noi.
Ho ancora vivo il ricordo di un casuale incontro con un donna anziana che faticava a camminare, ma era tanto assorta che non si accorse che mi ero fermato con la macchina per assicurarmi della sua salute. Accettò di salire in macchina, mi indicò dove abitava e per tutto il breve tempo che restò non proferì una parola, tutta assorta in se stessa. Quando scese mi chiese scusa: 'Ero in dialogo con Gesù che ho ricevuto nella Comunione e non volevo perdere un briciolo della gioia della Sua Presenza'. Meravigliosa donna!

Pensando spesso a lei, durante la Santa Messa festiva, mi chiedo il perché di tante assenze. Che cosa è più importante di Gesù? Forse la gita, le cose da sbrigare, chissà... Di fatto per un nulla troppi sacrificano il tutto che dà la vita: il vero Pane della Vita.

Che Gesù ci faccia innamorare tutti fino a non lasciarLo mai fuori della porta della nostra vita. Con la Chiesa cantiamo:
  • Ecco il pane degli Angeli, pane dei pellegrini,

    vero pane dei figli, non deve essere mai gettato.

    Buon Pastore, vero Pane, abbi pietà di noi:

    nutrici, difendici, portaci ai beni eterni

    nella terra dei viventi.

    Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra,

    conduci i tuoi fratelli alla gioia del cielo

    nella gioia dei tuoi santi (Sequenza del Corpus Domini).


Antonio Riboldi – Vescovo –

Internet: www.vescovoriboldi.it

E-mail: riboldi@tin.it
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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