Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Omelie di Monsignor Antonio Riboldi e altri commenti alla Parola, a cura di miriam bolfissimo
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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » ven mag 29, 2009 1:57 pm

      • Omelia del giorno 31 Maggio 2009

        Solennità di Pentecoste (Anno B)



        Vieni Spirito Santo
La solennità della Pentecoste, almeno per noi che viviamo la nostra vita di fede come un cammino verso la felicità, è l'immenso Dono dello Spirito Santo, che ispira, sorregge, conforta, si fa forza della nostra spiritualità. Potremmo definirla 'IL NATALE DELLA CHIESA'.

In essa sembra di assistere alla nuova creazione dell'uomo. Infatti, dopo aver composto 'con il fango' questo incredibile frutto della Sua fantasia di Amore, che siamo noi, Dio ci rese partecipi della Sua vita divina, infondendoci il Suo Spirito. Così l'uomo non è più solo; da solo è come non vivere. L'uomo ha bisogno di essere profondamente amato e di amare.

È bello ricordare come Gesù, quando venne tra di noi e scelse, all'inizio della sua vita pubblica i Dodici, fu per loro come un 'noviziato' di preparazione a quello che, secondo i disegni del Padre, sarebbe stato l'inizio della Chiesa. In questo 'noviziato' gli apostoli mostrarono tutta la debolezza - che è di ogni uomo - senza la presenza dello Spirito. E la fuga davanti alla cattura di Gesù sta proprio a dimostrare la loro e nostra fragilità e miseria umana... che non dovrebbe essere propria dell'uomo, creatura di Dio! Dopo la Resurrezione, per quaranta giorni il Signore apparve tra loro; continuò la Sua scuola' di fede e, ascendendo al Cielo, raccomandò loro di 'stare insieme in preghiera, in attesa dello Spirito, che avrebbe mandato'. Fino a quel momento erano deboli, poveri uomini, un gruppo di amici, tenuti insieme da un'attesa e da una speranza, forse non immaginando neppure ciò che Dio avrebbe operato in loro con la Pentecoste.

Quel giorno avrebbe segnato l'inizio della Chiesa: quella Chiesa cui noi apparteniamo e che, forse, non sempre abbiamo saputo 'essere', per tante ragioni. Cosa avvenne il giorno di Pentecoste lo narra questo piccolo brano degli Atti degli Apostoli, con la semplicità delle grandi opere di Dio:
  • Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, stavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un rombo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano. Apparvero loro lingue di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro e FURONO PIENI DI SPIRITO SANTO; e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro di potere esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei, osservanti di ogni nazione, che è sotto il cielo. Venuto quel fragore la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e, fuori di sé per lo stupore, dicevano: 'Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E come è che li sentiamo ciascuno parlare con la nostra lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e delle parti della Libia„ stranieri di Roma, Ebrei e proseliti, Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio (At 2, 1-11).
Si rimane quasi increduli nel leggere questo brano, che narra ciò che lo Spirito ha operato, su quanti erano in preghiera nel Cenacolo. In un attimo cambia letteralmente la nostra storia e, da poveri uomini, ci rende capaci di grandi cose, fino al martirio. Tutto questo cambiamento, operato dallo Spirito Santo in noi, lo vediamo moltissime volte in fratelli, sorelle, che non nascondono la debolezza della propria natura, ma poi, quando lasciano operare lo Spirito in loro, vediamo le grandi opere che riescono a compiere.

Sono tanti i fatti che hanno 'la loro origine nell'ispirazione e forza dello Spirito Santo e, noi stessi, nella nostra stessa vita, se siamo attenti e abbiamo occhi soprannaturali, li possiamo osservare e provarne stupore, lo stesso della gente di Gerusalemme, nel giorno della Pentecoste. Forse non diamo o non abbiamo dato abbastanza peso, nella vita, alla trasformazione dell'umanità nella Pentecoste, che iniziò e ha guidato nei secoli la vita della Chiesa, a cui noi abbiamo il dono e il privilegio di appartenere. Quante volte, io stesso, mi sono chiesto: 'Ma come ho potuto fare questo o quello? Dove ho trovato la forza per affrontare una tale situazione?'. E chissà quante volte anche voi siete stati colti da sorpresa per la fortezza e l'ispirazione - sempre se avete la coscienza della presenza dello Spirito in voi - davanti a decisioni o fatti, che avrebbero dovuto dare scacco matto alla nostra debolezza umana.

Se allunghiamo lo sguardo da quella Pentecoste, inizio della Chiesa, ai 20 secoli del suo cammino, sono tante, ma tante, le opere pentecostali che mostrano come la venuta dello Spirito 'è il giorno di chi veramente, come gli apostoli, può compiere opere da suscitare lo stupore di chi vede'. È lo Spirito Santo che continua a manifestare la Sua gioia di darci una mano là dove la nostra povertà non riesce.

Dovremmo sapere che il primo incontro, in cui riceviamo direttamente lo Spirito, è quando il sacerdote unge la fronte con il sacro Crisma, nel Sacramento della Cresima o Confermazione. Il Vescovo invoca lo Spirito Santo su di noi e inizia il nostro cammino di cristiani consapevoli, che dovrebbero testimoniare la Presenza dello Spirito in loro, con i suoi sette doni. Nelle ordinazioni sacerdotali, di nuovo, il Vescovo prega lo Spirito su colui che 'è stato scelto' e, sempre con il Crisma, unge le mani, che diverrano 'mani di Dio' nel donare i sacramenti, opera di salvezza. Anche ai futuri vescovi, preceduto dalla grande preghiera e imposizioni delle mani, viene unto il capo, segno di fedeltà nell'annuncio del Vangelo fino al martirio.

Lo Spirito Santo dà ad ogni cristiano, a ciascuno di noi, quelle capacità Sue o 'carismi', che ci rendono idonei a esprimersi là dove Dio ci manda. Così S. Paolo scrive ai Corinti:
  • Fratelli, nessuno può dire 'Gesù è il Signore' se non sotto l'azione dello Spirito Santo. Vi sono poi diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore. Vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione dello Spirito per l'utilità comune. Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un solo corpo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi, e tutti ci siamo abbeverati in un solo Spirito (I Cor 12, 3-13).
Si rimane davvero stupiti di fronte a questa incredibile varietà di carismi, donati dallo Spirito, che sono Sua manifestazione là dove è ed opera nei credenti. Ne siamo convinti? Siamo in sintonia con lo Spirito 'che abita in noi'?

Se la Pentecoste è il Natale della Chiesa cui apparteniamo, ne sentiamo la gioia? Così il nostro caro Paolo VI manifestava la gioia della Pentecoste, nel 1956. Come vorremmo fosse anche la nostra gioia!
  • Grande ora è questa che offre ai fedeli la sorte di concepire la vita cattolica, come una dignità e una fortuna, come una nobiltà e una vocazione.

    Grande ora è questa che sveglia la coscienza dall'assopimento consuetudinario, in cui per moltissimi era caduta, e la illumina di nuovi diritti e doveri.

    Grande ora è questa che non ammette che uno possa dirsi cristiano e conduca una vita moralmente mediocre, isolata ed egoista, caratterizzata solo da qualche stentata osservazione di qualche precetto religioso e non piuttosto trasfigurata dalla volontà di vivere la propria fede in pienezza di convinzioni e di propositi.

    Grande ora è questa che bandisce dal popolo cristiano il senso della timidezza e della paura, il demone della discordia e dell'individualismo.

    Grande ora è questa che il popolo cristiano fonde in un cuor solo e un'anima sola, in un restaurato senso gerarchico e comunitario intorno all'altare di Cristo.

    Grande ora è questa in cui la Pentecoste invade di Spirito profetico, secondo l'annuncio dell'Apostolo Pietro, nella prima predica cristiana che l'umanità ascoltava: 'Profeteranno i vostri figli e le vostre figlie; e i giovani vostri vedranno visioni, e i vostri vecchi sogneranno sogni. E sui miei servi e le mie ancelle in quei giorni effonderò il mio Spirito' (At. 2, 17-18): cioè godranno di interiore pienezza spirituale ed avranno capacità di darne esteriore stupenda testimonianza.
E’ straripante la gioia del Papa nella Pentecoste, per tutti, sempre. In un tempo davvero senza più 'energie' di futuro, che vada oltre i confini della terra, in cui siamo pieni di parole inutili o dannose, senza più conoscere il 'volo nello Spirito', è urgente che risvegliamo lo Spirito che è in noi, riflettendo nelle nostre parole quel significato profetico, capace di andare oltre le miserie del tempo.

Saremo capaci di 'aprirci' all'azione dello Spirito, contemplando nella Pentecoste il 'grande giorno' della Chiesa e di ciascuno di noi? Così la Chiesa oggi prega:
  • Vieni Santo Spirito, manda a noi dal Cielo un raggio della Tua Luce. Vieni, Padre dei poveri, vieni Datore dei doni, vieni Luce dei cuori. Consolatore perfetto, Ospite dolce dell'anima, dolcissimo Sollievo. Nella fatica riposo, nella calura riparo, nel pianto conforto.

    O Luce beatissima, invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli. Senza la Tua Forza, nulla è nell'uomo, nulla senza colpa.

    Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina. Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato. Dona ai tuoi fedeli, che solo in Te confidano, i Tuoi santi Doni. Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna.


Antonio Riboldi – Vescovo –

Internet: www.vescovoriboldi.it

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven giu 05, 2009 9:30 am

      • Omelia del giorno 7 Giugno 2009

        Santissima Trinità (Anno B)



        Solennità della Santissima Trinità
Mi ha sempre fatto impressione visitare gli orfanotrofi o vedere bambini, che non hanno conosciuto papà e mamma. A parte il fatto che non saremmo vivi, se l'amore di papà e mamma non avesse permesso a Dio Creatore - il vero nostro Papà - di farci dono della vita, immenso dono, se la si interpreta con il Cuore di Dio. Facendomi vicino a questi bambini 'orfani', e dando loro un minimo di tenerezza, reagiscono come se avessero trovato quello che manca, il cuore di papà, la sua guida, la sua protezione e la tenerezza della mamma. Si affezionano subito, come a cercare di appropriarsi di un aspetto importante della vita, che sentono mancare.

Non avere papà e mamma, è sentirsi 'diversi', 'incompleti'. Una diversità o incompletezza nel cuore, che segna profondamente il modo di vivere.

‘Come è un papà?’, con angoscia, mi chiedeva una volta un bambino, guardandomi fisso, come a cercare nel profondo dello sguardo una risposta, che intuiva, ma che le labbra non sapevano o non potevano dare. E quel bambino me lo chiedeva, dopo avergli raccontato familiarmente, la mia vita di bambino vicino a mamma e papà, con i miei fratelli. Non seppi o non volli rispondere? E il bambino, come avesse compreso il mio imbarazzo, ma nello stesso tempo non volendo restare privo di una risposta, che riteneva troppo importante per il suo cuore, a bruciapelo mi chiese: ‘E tu, vorresti essere il mio papà?’. ‘Con tutto il cuore’ gli risposi. E spuntò un gran sorriso sul suo volto, come avesse scoperto la vita, uscendo dal buio del 'sentirsi senza un papà'.

Oggi, solennità della Santissima Trinità, san Paolo, nella lettera ai Romani, così descrive la incredibile paternità di Dio, verso di noi:
  • Fratelli, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi, per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito di figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà Padre!: Lo Spirito stesso attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli siamo anche eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze, per partecipare anche alla sua gloria (Rom 8, 14-17).
I veri cristiani, che sanno entrare in questo ineffabile Amore, con cui il Padre avvolge la nostra vita, sentendo che appartengono a Lui, come a un Papà, conoscono la grande gioia, che deriva da questa che è la nostra vera identità di battezzati. Non siamo mai soli, ma, con quanto afferma la Chiesa, porgendo il saluto all'assemblea, all'inizio della Santa Messa, dico: “La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l'amore di Dio Padre e la comunione dello Spirito Santo sia sempre con noi”, ricordandoci così come tutta la Santissima Trinità, esprime il Suo Amore per noi nell'Eucarestia ed è coinvolta nel cammino della nostra vita.

Così come inizia sempre tutte le preghiere con il segno della croce, come a ricordarci che tutto quello che facciamo o pensiamo avviene nel 'Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo': il segno della croce, visibilmente, fa presente l'Amore totale di Gesù, che ha dato la vita per noi. Davvero non siamo orfani eppure, forse, non lo sappiamo o non ci pensiamo. Un segno che, secondo me, sembra riproporre la presenza della Santissima Trinità nella vita quotidiana, è la famiglia, sempre che sia una bella famiglia.

Ricordo come mio papà, severo, ma di un'immensa bontà, era quello che dava sicurezza alla casa, indicava il cammino tutti i giorni, provvedeva al pane quotidiano e la sua presenza per noi (eravamo sette figli) era il segno della stabilità e della fiducia. Con lui presente c'era sempre la pace. Ci furono anni di grande carestia, perché aveva avuto un incidente sul lavoro ed era stato licenziato. Ma ripresosi, ogni giorno, dopo aver fatto colazione e recitato le preghiere del mattino con mamma, in bicicletta, qualunque fosse il tempo, andava in cerca di lavoro per assicurarci il pane. Meraviglioso papà! Ricordo il suo pianto irrefrenabile, per la gioia e la commozione, il giorno che a Novara venni consacrato sacerdote. Per l'emozione non riuscì a 'legare le miei mani', come la liturgia richiedeva. Mamma era l'anima giusta della famiglia, quella che vegliava su tutto ciò che occorreva a ciascuno, con un amore e un sacrificio che spesso rivelava a noi, irrequieti: 'Siete la mia croce, come quella di Gesù, e la porto con amore'. Non riuscì a venire in Sicilia per la mia consacrazione episcopale, perché l'emozione e l'età la fecero ammalare.

In tutto regnava e si aveva il senso e la forza dell'amore, un grande e profondo amore. Era come un effondersi della Trinità nella famiglia, e quanto sarebbe bello che fosse così in tutte le famiglie, 'chiese domestiche'!
  • La Trinità - scrive Paolo VI, guida delle nostre riflessioni – è Dio eternamente generante in se stesso il Figlio; il suo stesso pensiero, il suo Verbo identico nell'identità di sostanza di Padre, di Figlio, spiranti l'amore, lo Spirito Santo. Unico essere divino, ma sussistente in tre Persone, eguali, distinte e coeterne, verità, eccedente la nostra capacità di conoscenza, essa tratta della vita stessa di Dio. Sant'Agostino dice, traendo dalle sue speculazioni teologiche: 'Io dico queste tre cose: essere, conoscere, volere. Io sono infatti, io conosco, io voglio'. Noi sappiamo adesso che Dio è Padre. Padre per la sua stessa natura divina, in se stesso, nella generazione del Figlio suo unigenito: ed è perciò Padre di quel Gesù, il Cristo, che si è fatto uomo: uomo come noi, nostro simile, nostro fratello. Noi ora siamo confusi di dovere appena accennare in modo sfuggente, quando l'importanza dovrebbe arrestare qui il nostro discorso. Dio è Padre, ha generato il Figlio primogenito, Dio da Dio, e, per la generazione in noi, mediante Cristo, elargita nello Spirito Santo. Qui la nostra fede, qui la nostra religione, qui il nostro battesimo, da qui il nostro volo nel mistero della vita divina, da qui la radice della nostra fratellanza umana. Dio è Padre dunque ci ama. La nostra religione non può che essere beata, serena, dominata da una sola parola filiale. Sì, o Padre, la nostra felicità è tutta in questa parola: Padre. E questa parola, Padre, Gesù ci invita a farla conoscere a tutti; che tutte le labbra, in tutti i cuori ci sia la gioia di dialogare con il Padre, con la preghiera che il Figlio ci ha insegnato, preghiera insuperabile:

    Padre nostro che sei nei cieli,

    sia santificato il tuo nome,

    venga il tuo Regno e sia fatta la tua volontà

    come in cielo così in terra.

    Dacci oggi il nostro pane quotidiano

    e rimetti a noi i nostri debiti

    come noi li rimettiamo ai nostri debitori

    non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male.
È una preghiera, direttamente nata dal Cuore di Gesù, Figlio Unigenito, che, contemplata e recitata con il cuore, dovrebbe farci gioire, e tanto, come in un dialogo con il papà. Non sono mezze parole come usiamo noi. Trasmettono la grandezza del cuore del Padre, che si rivela e dialoga con le creature che ama, come si amano i figli. È un poco come io parlo di mio papà e di mia mamma.

Tutti si accorgono che, descrivendo un rapporto di affetto, è come dipingere il cielo di colori. Gesù, ogni volta che nel Vangelo parla del Padre e Lo prega, è come se spalancasse le porte del Paradiso per dirci. 'Guarda come è Tuo Padre; guarda di chi sei figlio; guarda come sei amato!'. Così parlava Mosè al suo popolo: “Interroga pure i tempi antichi, che furono prima di te dal giorno in cui Dio creò l'uomo sulla terra e dall'estremità all'altra, vi fu mai una cosa grande come questa? Che cioè un popolo abbia udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l'hai udita tu e ne rimanesse vivo? Sappi dunque e conserva bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù e quaggiù sulla terra: e non ve n'è un altro. Osserva dunque la sua legge e i suoi comandi che oggi ti do, perché sia felice tu e i tuoi figli dopo di te” (Dt 4, 32-34).

Davanti a questo cielo di amore della Trinità, continuamente aperto su di noi o, meglio, in noi, ci viene da domandarci: Come mai noi uomini siamo tanto lontano dalla gioia divina? Come mai ci rendiamo così irriconoscibili, da sembrare tragiche maschere, più che immagini viventi di una bellezza e di una felicità infinita, che ci viene dal Padre?

La risposta è semplice: viviamo, spesso per ignoranza, come fossimo orfani o, peggio, come maschere da strada senza volto, perché, per presunzione o errato senso di autosufficienza, abbiamo rifiutato la gioia offerta dal Padre. Da qui l'invito di Gesù ai suoi apostoli:
  • In quel tempo gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato. Quando Lo videro, gli si prostrarono innanzi: alcuni però dubitavano. E Gesù, avvicinatosi, disse loro: Mi è stato dato oggi potere in cielo e in terra: Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo (Mt 28, 16-20).
Non ci resta, in questo mondo che soffre proprio perché è 'orfano del Padre' e per questo si affida ad altri che sono mercenari e non padri, di riportare e rivivere il dono offertoci dal nostro Dio Trinità.

Non dimentichiamo mai che, nella fatica quotidiana, non siamo soli, mai e poi mai soli, ma c'è Dio che ha detto, per bocca di Gesù: IO SONO CON VOI SEMPRE FINO ALLA FINE DEL MONDO.

Un'incredibile compagnia!



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven giu 12, 2009 2:30 pm

      • Omelia del giorno 14 Giugno 2009

        Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno B)



        Una grande festa il Corpus Domini - Gesù in noi: l'Eucarestia
  • Ecco il pane degli Angeli, pane dei pellegrini,

    vero pane dei figli, non deve essere gettato...

    Buon Pastore, vero pane, o Gesù, pietà di noi.

    Nutrici e difendici, portaci ai beni eterni

    nella terra dei viventi.
    (Inno)
Sappiamo tutti, o dovremmo saperlo, che non c'è amore più grande per noi, di quello di dare la vita. E sappiamo che, il più delle volte, dell'amore conosciamo solo la superficie', fino ad usare la parola, troppe volte, con scorrettezza o ambiguità, o semplicemente come 'un modo di dire'. Noi, tutti, abbiamo un enorme bisogno di amare ed essere amati, più dell'aria che respiriamo. Sappiamo tutti, se siamo sinceri, che il dono di un vero amore è respiro dell'anima'. 'Posso vivere - afferma il saggio - senza sapere perché, ma non posso vivere senza sapere per chi'. L'amore è davvero l'impronta che Dio ha lasciato in noi creandoci. Ignorare questa verità è cadere nell'infelicità, o peggio, affidarsi all'odio o all'indifferenza.

E Gesù ha voluto essere il grande Dono del Padre: ha accettato di farsi uomo come uno di noi, condividendo tutto della nostra condizione umana, da Nazareth al Golgota. Ha conosciuto l'indifferenza di molti, l'odio devastante di alcuni, l'amore sincero e profondo dei Suoi. Non ha avuto vergogna di piangere nel dolore, per la morte dell'amico Lazzaro. Non ha nascosto la compassione, che poi trasformava in amore fattivo, come nella moltiplicazione dei pani: 'Ho compassione di questa folla - disse - è un gregge senza pastore'.

Che cosa prova oggi di fronte al nostro mondo, che davvero fa compassione per le tante sofferenze, povertà o ingiustizie e cattiverie? Gesù è andato oltre: ha assicurato che Lui, dopo la Resurrezione, sarebbe stato vicino a noi 'fino alla fine del mondo'. Fa sussultare di gioia e fiducia chi crede, il sapere che, mai e poi mai, è 'solo': Gesù è con noi, a condividere tutto. Il Suo Amore oltrepassa quei confini che appartengono alla nostra povera e fragile umanità.

Gesù non si accontenta di dare la vita per noi, ma vuole addirittura essere 'cibo', 'pane della nostra esistenza'. Vivere di 'quel pane' dovrebbe essere la fame di ogni credente che vuole conoscere da vicino e ricevere la forza, la fede che Dio può e vuole donare nell'Eucarestia. Sapessimo, mediante la fede, cogliere quello che realmente avviene nella Santa Messa, al momento della consacrazione, quando il sacerdote pronunzia le parole di Gesù, che rinnovano il dono di Dio, credo che 'vivremmo di Eucarestia'! Mettiamoci in ascolto, col cuore, del discorso di Gesù sul 'pane della vita' – un discorso di grande attualità, perché sembra rivolto a noi:
  • Ve l'assicuro: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane che dà la vita. I vostri antenati nel deserto mangiarono la manna e poi morirono ugualmente, invece il pane che viene dal cielo è diverso: chi ne mangia non morirà. Io sono il pane vivo, venuto dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà per sempre. Il pane che io gli darò è il mio corpo, dato perché il mondo abbia la vita.
E poi replica ai suoi avversari increduli:
  • 'Io vi dichiaro una cosa: se non mangerete il corpo del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia il mio corpo e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno'. Molti discepoli, sentendo Gesù parlare così, dissero: 'Adesso esagera! Chi può ascoltare cose simili?: Ma Gesù si era accorto che i suoi discepoli protestavano e disse loro: 'Le mie parole vi scandalizzano? Ma allora che cosa direte se vedrete il Figlio dell'uomo tornare là dove era prima? Le parole che vi ho detto hanno la vita perché vengono dallo Spirito di Dio. Ma ci sono alcuni tra voi che non credono'. Da quel momento molti discepoli di Gesù si tirarono indietro e non andavano più da Lui. Allora Gesù domandò ai Dodici: 'Forse volete andarvene anche voi. Simun Pietro gli rispose: 'Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita, che danno la vita eterna. E ora noi sappiamo che Tu sei quello che Dio ha mandato'. (Gv. 6, 47-70)
Fa impressione come l'annuncio dell'Eucarestia, ossia di Dio che vuole essere addirittura cibo della nostra povera, ma molto povera vita, non sia stato capito e, per alcuni, un motivo per abbandonare il Maestro. È del resto quello che succede oggi.

Andare alla Santa Messa, almeno alla domenica, anziché essere considerato come il grande evento di Dio, che chiede di essere accolto come 'pane della vita' - 'Prendete e mangiate questo è il mio corpo' - viene ritenuto da troppi un tempo perso. Sarà colpa di una superficiale formazione alla fede, o ignoranza, o incomprensione, come accadde ai discepoli che abbandonarono Gesù per sempre, o disistima del divino... Di certo, è voltare le spalle a quello che è l'Amore indispensabile per la nostra vita: 'pane della vita'. Fa male, tanto male, come certamente ha ferito il cuore di Gesù, vedere il suo invito, la sua offerta, trascurati come tempo perso!

Atteggiamento ben diverso da quello di molte persone di fede, che sento dire: 'Fosse possibile la Comunione la farei tante volte al giorno!'. Le stesse parole che sentivo pronunciare da mia mamma, quando le chiedevo la ragione dei suoi quotidiani sacrifici per recarsi presso la Chiesa, prima dell'inizio della fatica con la famiglia: 'Senza comunione non passo vivere: è la vera forza che mi permette di reggere la famiglia!'.

C'era un tempo in cui la solennità del Corpus Domini, assumeva la forma di una grande festa, anche all'esterno. Là, dove passava la processione eucaristica, dalle case, in segno di omaggio, venivano esposte le cose più belle che si possedevano: la strada era 'forata', coperta con un manto di fiori per il passaggio di Gesù. Era una grande festa per tutto il paese e commuoveva il solo pensare che Gesù, passando tra le nostre case, 'vedeva' dove si svolgeva la nostra vita. Chi meglio di Lui poteva non solo vedere il calore di amore con cui era accolto, ma anche leggere i sospiri, le preghiere, quel linguaggio nascosto del cuore, che era in tutti?

Ora tutto questo è molto ridotto: passa quasi inosservato, e, tante volte, come un 'fastidio' per la circolazione stradale!!! I tempi che viviamo, davvero lasciano poco spazio alla processione eucaristica! Ma il cuore torna alla divina affermazione di Gesù: 'Io sono il Pane'.
  • Gesù dice di farsi nostro cibo: può sembrare una cosa paradossale. No, noi dobbiamo nutrirci di quel pane per osservare i suoi precetti e gustare la Sua bontà e misericordia. Cristo è il pane della vita - afferma Paolo VI - . Cristo è Colui che viene a saziare le nostre reali attese, le nostre necessità vere. Gesù viene incontro alla nostra attesa spirituale di essere alimentati misteriosamente dalla sua presenza, dalla sua Persona, dalla sua parola e da questa sua capacità di comunicare e moltiplicare per venire a contatto con tutte le anime. `Io sono il Pane del cielo. Io sono il Pane della vita. Sono venuto per dare alimento alla vita del mondo'. Questa è la lezione che Gesù imparte nel suo Vangelo. Ce lo ripete la Chiesa che chiede a ciascuno di noi: 'Ma io ho desiderio di Cristo? So che posso nutrirmi di Lui? So cogliere dalla sua grazia, dalle sue parole, dal suo insistere alla porta della mia anima, il senso della prossimità che Egli stabilisce col mio spirito? So avvalermi della immensità di bontà, di carità, con cui Egli vuole che io viva di Lui?.
Sono domande che dovremmo porci per scrutare in noi stessi quale posto abbia Gesù: è 'pane della nostra vita'? Sappiamo che chi 'vive veramente Cristo', non riesce a vivere senza Eucaristia: cristiani dal cuore grande che sanno accogliere la bontà di Dio, colmando il nulla che siamo senza di Lui. Dopo i giorni del terremoto nel Belice, essendo crollata la Chiesa e non sapendo dove mettere le ostie consacrate, non trovai di meglio che portarle al collo, chiuse in una teca. Confesso che era dolcissimo sapere di vivere 'accanto' a Gesù in quei giorni umanamente difficili. Ci sono ancora tante persone 'beate', che vivono di Eucaristia.

A parte nei monasteri, dove il tempo dedicato all'adorazione eucaristica, in una giornata, è fondamentale e prevalente per la vita. Ma ci sono anche fedeli di alcune comunità parrocchiali che hanno i 'turni' per l'adorazione eucaristica continua. Così come esistono Chiese e cappelle, aperte anche di notte - grande dono di Dio - per l'adorazione e... sono frequentate! Sono queste anime 'beate' che sanno dare alla vita quel senso di divino e, quindi, di serenità, che le rende calme e forti anche nelle difficoltà.

L'uomo ha davvero bisogno del 'pane di vita'! Perché, dunque, la Santa Messa, a cominciare da quella festiva, è messa in disparte, come pure l'Eucarestia? È una domanda che non vuole una risposta banale, ma esige di entrare nel mistero di Amore di Dio che chiede di essere 'nostro pane'. Con la Chiesa preghiamo:
  • Tu che tutto puoi e sai, che ci nutri sulla terra,

    o Gesù, pietà di noi,

    conduci i tuoi fratelli alla tavola del cielo

    nella gioia dei Tuoi santi.
    (Inno)


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven giu 19, 2009 10:28 am

      • Omelia del giorno 21 Giugno 2009

        XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Perché siete così paurosi?
‘Non riesco a capire - mi scrive uno di tanti di voi, che avete ormai intessuto un meraviglioso dialogo di vita (ed è la cosa più bella) - come faccia lei a essere sempre tanto sereno in quello che scrive e, quando ho avuto il dono di ascoltarla, trasmettere, sia pure con la precisa visione del male che è nel mondo, spargere a larghe mani un raro ottimismo della vita. Io ogni giorno, quando inizio la mia giornata, mando a scuola i figli, li vedo crescere sempre più difficili, ho come l'impressione che all'angolo ci attenda una cattiva notizia, che mandi in briciole l'ottimismo’. Per questa cara persona e per tutti coloro che mi scrivono chiedo sempre, nella preghiera, tanta serenità, di cui tutti hanno bisogno, come leggo nelle tante vostre lettere.

La spiegazione della paura, di questo essere sempre all'erta, come sentinelle pronte a contrastare ciò che potrebbe farci sprofondare nel timore, è nella nostra natura debole, nella nostra fragilità. Scrivevano i vescovi, dopo il Convegno di Verona, del 2007:
  • In un'epoca che coltiva il mito dell'efficienza fisica e di una libertà svincolata da ogni limite, le molteplici espressioni di fragilità sono spesso nascoste, ma mai superate. Il loro riconoscimento, scevro da ostentazioni ipocrite, è il punto di partenza per una Chiesa consapevole di avere una parola di senso e di speranza per ogni persona che vive la debolezza delle diverse forme di sofferenza, della precarietà, del limite, della povertà relazionale. Gesù Cristo infatti ci mostra come la verità dell'amore sa trasfigurare anche l'oscuro mistero della sofferenza e della stessa morte nella resurrezione. La vera forza è nell'amore di Dio che si è definitivamente rivelato e donato a noi nel mistero pasquale. Con la forza del Vangelo occorre diffondere una cultura e una prassi dell'accoglienza della vita, e curare forme di volontariato.
In altre parole sempre dobbiamo lasciare la certezza, in quelli che avviciniamo, che il nostro 'essere vicini' non è solo 'un modo di dire', ma è vivere la parte del buon samaritano che sa fermarsi e almeno lasciare, in chi è in difficoltà e soffre, la sensazione che non è solo, ma c'è qualcuno che si impegna a condividere il suo sforzo per ritornare alla serenità. Quanti miracoli si possono compiere in questo senso.

Come pastore da tanti anni, con due terremoti alle spalle, Belice ed Irpinia, ho davvero conosciuta la profondità della nostra fragilità e il limite della sofferenza, e so quanto è davvero medicina il sapere che non si è soli nel superare il baratro inatteso. Ma è necessario voler 'spendere' la propria serenità.

Non potrò mai dimenticare l'esperienza del Belice, subito dopo il terremoto. Mia cura, anzi mio solo scopo della vita, fu stare vicino a tutti, cercare di fare capire che si era perso un passato, ma c'era posto per il futuro, per la certezza del grande bene della vita salvata e la speranza. Mi accompagna sempre la storia di uno che amava definirsi 'ateo a tutto campo', definendo i cristiani che incontrava 'imbecilli'. Ebbe bisogno, dopo il terremoto, di un aiuto per la sua casa in campagna... 'ma senza che lei mi dica di farmi cristiano, io non svendo la fede'. Venne tre volte, sempre ripetendo lo stesso ritornello, cui rispondeva sempre il mio sorriso. Quel sorriso, quella mano tesa per avere salva la vita fu la porta che lo aprì alla fede e divenne 'un cristiano fiero'.

Ripeteva spesso Giovanni Paolo II: "Non abbiate paura!" ed era il suo stile di vita ovunque si recasse. Sapeva che con lui camminava, parlava, sosteneva la fatica, Cristo, suo grande 'Pane di vita'. E non fu colto dalla paura neppure dopo l'attentato.

Quelli che sanno di essere in compagnia di Gesù non si fermano nelle difficoltà. Sanno che la natura umana è fragile in tutti i sensi, ma con noi, 'sulla nostra barca, in un lago - la vita - che alterna momenti di calma a furiose tempeste, c'è sempre Dio, che a volte sembra solo 'indifferente' a tutto, 'dormendo a poppa su un cuscino'... Ed è davvero così, per le tante esperienze vissute da pastore, quando incontro chi si trova nella tempesta. Quello che racconta oggi il Vangelo di Marco, è un brano di vita umana di sempre:
  • In quel giorno, verso sera, disse Gesù ai suoi discepoli: Passiamo all'altra riva. E lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. Nel frattempo, si sollevò una grande tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: Maestro, non ti importa che siamo perduti? Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: Taci! Calmati!: Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. Poi disse loro: Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede? E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono? (Mc 4, 35-41).
Il richiamo di Gesù, a chi è nella bufera o nella paura, è per tutti: Non avete ancora fede? Vorrei dire le stesse parole a quanti mi leggono e sono come spaventati dalle improvvise tempeste che si abbattono sulla vita, o in famiglia, o attorno a noi. Come vorrei, in questo momento, essere vicino a tanti temono 'le tempeste della vita' e sono smarriti, per ripetere le parole di Gesù: 'Perché avete paura?’. È bello leggere la riflessione che Paolo VI fa su Gesù che affronta la sofferenza, che era il prezzo da pagare per la nostra salvezza:
  • Un aspetto di chiara evidenza è la pazienza: Gesù nella sofferenza non si lascia sfuggire alcun lamento; nella sofferenza tace. Nella Sacra Scrittura Giobbe, il paziente tipico, ha delle parole estremamente amare, non sa nascondere, direi, la disperazione a cui la sofferenza lo ha portato. 'Oh, diceva, la notte nella quale sono stato generato si cancelli dalla storia!'. Gesù invece è un eroe, che non si è piegato alla sofferenza. Gesù interiormente resta invulnerabile: non si lascia schiacciare dalle umiliazioni e dalle sofferenze. È il segreto del silenzio di Gesù. Con il silenzio ha difeso la sua cella interiore proprio colui che è definito la Parola. Come nella musica la paura fa capire il brano che è stato eseguito e lo stacca da quello che seguirà, così il silenzio di Gesù mette in risalto enorme le rare parole che il Signore ha pronunciato durante la passione. Si vede la sorgente e l'interiorità del suo dolore. Gesù non lo sciupa. Gesù lo accumula, lo attrae, lo gusta fino alla fine e parla più con se stesso che con gli altri, fino a che un gemito, l'unico, qualcosa di assoluto ed estremo, inconcepibile, viene strappato dalle sue labbra: 'Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?'.

    Devono essere state parole impressionanti se l'evangelista le ha voluto conservare nel linguaggio originario, nel quale Gesù si era espresso sulla croce. Gesù in quel momento sente lo strazio della sua abiezione interiore; sente che le sue due nature, umana e divina, sono lacerate interiormente. Perché Gesù soffre così? Quale lezione viene da questa estrema sofferenza?

    La meditazione di questa sofferenza ci insegna la difficile arte del saper soffrire, di rendere meritevole la nostra sofferenza. Che grande cosa!
Il dolore a volte ci fa diventare egoisti, strappa lamenti, ci rende cattivi. Gesù invece nella sua estrema sofferenza ha avuto cuore, tanto cuore per noi. Ed era il grande prezzo del dolore per conoscere la vera felicità, se si ha fede. In un mondo di sofferenze come il nostro, forse non sappiamo fare del dolore la strada verso la serenità e la felicità, anzi rischiamo di trasformare le sofferenze, le disgrazie o le tante calamità, in un tempo di tenebre. Ma non è così.

Dobbiamo dire grazie a chi soffre con amore e come offerta, perché sono coloro che danno un altro volto al futuro, quello di Dio. Non sono certamente gli errori e le vanità del nostro tempo a farci sognare, ma è questa immensa moltitudine che soffre, ama, si fa offerta sacrificale a Dio. Vorrei ricordare in proposito quello che all'inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II diceva quel grande Papa buono, che era Giovanni XXIII:
  • Nell'esercizio quotidiano del nostro ministero pastorale ci feriscono alle volte l'orecchio suggestioni di persone pur ardenti di zelo, ma non fornite di senso sovrabbondante di discrezione e di misura. Nei tempi moderni essi non vedono che prevaricazioni e rovina; vanno dicendo che la nostra età, in confronto di quelle passate, è andata peggiorando e si comportano come se nulla abbiamo imparato dalla storia che è nostra maestra di vita... A noi sembra di dover dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano eventi sempre infausti, quasi che incombesse la fine del mondo. Nel momento storico presente, la Provvidenza ci sta conducendo ad un nuovo ordine di rapporti umani, che, per opera degli uomini e per di più al di là delle loro stesse aspettative, si volgono verso il compimento di disegni superiori ed inattesi.
Sembra una conferma del Vangelo di oggi. Gesù, svegliato dal sonno sulla barca, dice al mare: 'Taci! Calmati!' e il vento cessò e il Maestro, rivolto ai Suoi, a noi, muove il rimprovero: ‘PERCHÉ SIETE COSÌ PAUROSI? NON AVETE ANCORA FEDE?’. Mi pare giusto fare nostra la preghiera del salmo 131:
  • Signore, il mio cuore non ha pretese,

    non è superbo il mio sguardo,

    non desidero cose grandi, superiori alle mie forze:

    io resto tranquillo e sereno.

    Come un bimbo in braccio a sua madre,

    è quieto il mio cuore dentro di me.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » ven giu 26, 2009 6:41 pm

      • Omelia del giorno 28 Giugno 2009

        XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Una meravigliosa fede semplice
Leggendo il Vangelo di oggi si rimane stupiti dalla natura profonda, spontanea, della protagonista, tipica di chi sa affidarsi a Qualcuno che capisce e può. Noi, abituati a volte a tante parole, come volessimo strappare dal Cuore di Dio ciò che chiediamo, rimaniamo davvero senza parole, di fronte alla meravigliosa semplicità di una donna, che fra l'altro non apparteneva al 'gruppo' o alla 'sequela' di Gesù.

Lo aveva semplicemente visto passare e, quello che a lei stava a cuore, era solo trovare chi la sollevasse dalla malattia che la perseguitava da anni. Era ricorsa a tanti medici - lo racconta il Vangelo - che, non solo non avevano saputo risolvere il suo caso, ma le avevano fatto 'sperperare tutti i suoi averi' senza averne nessun vantaggio. Ormai la sua fiducia era solo più riposta in quel 'profeta o Maestro', grande nella sua capacità di capire e di guarire, se voleva, ma che probabilmente conosceva unicamente per sentito dire.

Si aggiunge alla folla che seguiva Gesù, come una qualunque, ma con la certezza che le sarebbe bastato poco per essere guarita: 'toccare il suo mantello'. Non formula nessuna preghiera, lascia tutto lo spazio ad una fede illimitata, che è totale fiducia,ed esprime con quel gesto di una semplicità disarmante. Ha la possibilità di mettersi alle spalle di Gesù e, con la certezza nel cuore, gli tocca il mantello. Immediatamente viene guarita. Incredibile oggi, in questo nostro tempo di languida fede. Meravigliosa testimonianza di una donna semplice, ma dalla fede immensa!

Come è diverso il suo dal nostro modo di accostarci a Dio, soprattutto nel bisogno. Diciamo tante parole....ma c'è davvero la stessa fiducia di quella donna nel nostro cuore?

Non sfugge a Gesù quello che è accaduto e che certamente 'sapeva', perché non poteva uscire da Lui tanta potenza senza il suo consenso. Non aveva bisogno, Gesù, di 'sapere e vedere' chi si affidava alla potenza del Suo Cuore. Lui sa. Lui vede la profondità e totalità della fede, che si è espressa in quel gesto semplice. Ma vuole sottolineare e confermare l'amore. Racconta il Vangelo:
  • Ora una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle e gli toccò il mantello. Diceva infatti: Se riuscirò a toccare il suo mantello, sarò guarita.
Il cuore di questa donna non ammette dubbi: la sua è la certezza propria delle semplici persone di fede, che sanno che Dio non ha bisogno di parole, ma di totale fiducia.
  • Dopo aver toccato il mantello, subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era stata guarita. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da Lui, si voltò alla folla dicendo: Chi mi ha toccato il mantello?: I discepoli gli dissero: Tu vedi la folla che si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?: Egli intanto guardava attorno per vedere colei che aveva fatto questo.
E ancora una volta quella semplice donna, che vorremmo essere tutti noi, agisce:
  • E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne e gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: 'Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male (Mc 5, 21-43).
La fede semplice, lodata da Gesù, davvero mette in discussione la nostra fede: è davvero `grande' come quella della donna tra la folla? Per trovare tanta 'radicalità' di fede, che commuove il cuore del Padre, basterebbe avere la gioia di presiedere la processione pomeridiana eucaristica a Lourdes.

Ho avuto questo dono parecchie volte. Al termine, proprio vicino alla basilica, si forma il grande cerchio degli ammalati, colpiti da ogni tipo di malattia, che certamente sono venuti a Lourdes per essere esauditi. Un grande desiderio di guarigione, che tutti possiamo avere ed una grande fiducia. Passavo tra quella folla di sofferenti per dare la benedizione eucaristica, mentre la preghiera che saliva era: 'Se vuoi, puoi guarirmi'.

Spesso mi veniva alla mente l'episodio della donna malata, raccontato dal Vangelo di oggi. Ma il grande miracolo era la serenità che si diffondeva sugli ammalati, come avessero avuto la certezza che Madonna si era fatta interprete della loro preghiera e a Lei affidavano se stessi. Era commovente, quella semplicità di fede, che tocca il Cuore di Dío, e donava loro la capacità di accogliere la Sua volontà.

Stupendo questo affidarsi fiduciosi a Dio, che sa tutto di noi, come a dirGli: 'Io ti prego, ma Tu, che sai tutto e mi ami, fa' quello che' ti pare più grande per me'. Non ci resta che cogliere da questi fratelli e dal Vangelo, l'esempio. Non dimentichiamo mai, nelle necessità che sono il bagaglio della vita, di chiedere la stessa fiducia e lo stesso abbandono in Dio.

Nello stesso brano del Vangelo di Marco, si intreccia un altro episodio. Protagonista è ancora un 'estraneo' alla cerchia di Gesù, come la donna, ma che mostra la stessa fede, 'senza se e senza ma', una fede che è affidamento fiducioso al Maestro: è Giairo, capo di una sinagoga. Alla sua fede in Gesù, ancora una volta si contrappone l'incredulità di tanti, che giungono a 'deridere'.
  • Si recò da Lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: 'La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva. Gesù si recò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno”. Mentre avviene il miracolo della donna e Gesù sta parlando con lei “dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: Tua figlia è morta, perché disturbi il Maestro? Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: 'Non temere, continua ad avere fede! E non permise a nessuno di seguirLo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. Entrato disse loro: Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, dorme. Ed essi lo deridevano. Ma egli cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. Presa la mano della bambina, le disse: Fanciulla, ti dico: alzati! Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare: aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare (Mc 5, 21-43).
Si rimane davvero senza parole dinanzi a questi due fatti: da una parte la totalità della fede della donna e del capo della sinagoga, che non hanno il minimo dubbio sulle parole e sulla potenza di Gesù, dall'altra lo stupore e, peggio ancora, l'incredulità di tanti, che non sanno rassegnarsi alla potenza di amore di Dio.

Quanto c'è da meditare oggi sulla fede! Noi tante volte, di fronte a veri 'miracoli', soprattutto quelli che avvengono nelle anime, ma anche attorno a noi, non sappiamo né vedere né lasciarci prendere dallo stupore, pur magari esclamando: 'E' un miracolo!' oppure 'Sono vivo per miracolo!'. Forse ci manca la profondità dello sguardo della fede, ma soprattutto la spontaneità disarmante della donna, che tocca il mantello del Maestro, o la fiducia di Giairo, che segue Gesù, anche se gli dicono che 'non c'è più nulla da fare'.

Il Padre ha sempre cura di noi. Ci ama, ci segue, anche nella nostra povertà e difficoltà umane e, se si ha fede, tante, ma tante volte, interviene, al punto che noi stessi ci meravigliamo per come sono andate le cose: 'E' un miracolo!' ....ma lo diciamo a parole e non sempre lo crediamo davvero con il cuore cosi....non ne ringraziamo l'Autore! Avessimo più fiducia nell'amore provvidenziale di Dio, come cambierebbe la nostra vita. Ma forse è troppo debole la nostra fede e, senza Dio,...siamo soli!
  • La fede - affermava Paolo VI – è propriamente una risposta al dialogo di Dio e alla sua Parola, alla Sua Rivelazione. È il 'sì' che consente al pensiero divino di entrare nel nostro. La fede è un atto che si fonda sul credito che noi diamo al Dio vivente: è l'atto di Abramo che credette a Dio e che da ciò trasse salvezza. È un insieme di convinzione e fiducia, che pervade tutta la personalità del credente e impegna la sua maniera di vivere. È la miglior offerta dell'uomo a Dio, a Cristo Maestro ed è la scelta più personale, più intima, più decisiva. È il passo con cui il fedele varca la soglia del regno di Dio ed entra nel sentiero del suo eterno destino (nov. 1966).
È dunque giusto chiederci, oggi, quale dimensione ha la nostra fede: se è 'un modo di vivere Dio' o un atteggiamento superficiale che non dà credito alla Sua onnipotenza? Non vorremmo che fosse rivolta a noi la frase di Gesù: 'Quando il Figlio dell'uomo tornerà, troverà ancora fede sulla terra?’

Che Dio ci doni sempre una fede illimitata in Lui, da renderci sereni anche nei momenti difficili, perché davvero credere, ossia affidarci a Dio, è sentirsi 'piccoli nelle braccia della Madre'.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 03, 2009 2:02 pm

      • Omelia del giorno 5 Luglio 2009

        XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Profeti disprezzati
Difficile compito, oggi, quello di coloro che si propongono di fare dono del Vangelo, o meglio della Parola di Dio, agli uomini del nostro tempo. In troppi sono così sazi delle dannose e vuote parole nostre e del mondo, che non sentono più il bisogno di 'parole vere, che contengano verità e vita', come sono quelle che Dio offre, gratuitamente, per il Suo grande Amore, che desidera comunicare con noi.

Eppure quando, con fiducia, ci si lascia illuminare da un Dio che ci parla, senza rumore, con la Sua delicatezza, ci si sente come sollevati. È anche vero, per fortuna, che molti, oggi, accompagnano i passi della propria vita con il Vangelo, sempre con sé, alla ricerca delle ragioni della loro stessa vita: una ragione che supera le miserie della nostra natura e ci mostra la bellezza di una Parola, che non solo è verità, ma comunica amore, tanto amore. Basterebbe pensare ai tanti che nei monasteri o nelle case, dedicano ore, ogni giorno, perché la Parola diventi sostanza e gioia della vita.

Ma, per troppi, non è cosi, ed è veramente doloroso assistere a tanti sbandamenti, perdita di senso della vita, nelle difficoltà. Ha meravigliato tantissimi, se ricordiamo, quella settimana di lettura continua dell'intera Bibbia, ininterrottamente, a Roma. E quello che ha destato stupore non era l'iniziativa coraggiosa di fare conoscere l'intera Sacra Scrittura, leggendola senza commenti, a turno, ma la grande affluenza di fedeli che si sentivano come ‘quell'uomo, di cui racconta il Vangelo, che ha trovato un tesoro nel campo e va, vende tutto quello che ha e compra il campo’.

La Parola del Padre, per vivere serenamente e conoscere la bellezza di Dio e del dono della vita, senza provare il vuoto dell'anima, non può essere ignorata. Ecco perché noi non possiamo tacere. 'Guai a noi se non predicassimo!' - ci avverte l'Apostolo. Un 'guai' che pesa sulla nostra società, tante volte priva di valori umani e divini: valori che solo la Parola sa suggerire. Penso che le parole. che oggi la Liturgia ci offre, suonino come un grave avvertimento. il profeta Ezechiele che parla:
  • In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. Mi disse: Figlio dell'uomo, io ti mando agli Israeliti, a un popolo di ribelli, che si sono rivoltati contro di Me. Essi e i loro padri hanno peccato contro di Me sino ad oggi. Quelli a cui ti mando, sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: Dice il Signore Dio - Ascoltino o non ascoltino – perché sono una genìa di ribelli, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro (Ez. 2, 2-5).
Un giorno, mi trovavo di passaggio per una cittadina. Era una domenica. Mi venne spontaneo cercare una chiesa dove stare un momento con Cristo, che è luce della vita, senso della pace interiore. Vicino all'altare, poche persone. Dall'altare un sacerdote, dal volto veramente ispirato, stava offrendo la Parola di Dio. Non ricordo con precisione le parole, talmente fui preso dalla luce che emanava dal suo volto. Ho bene in mente il volto, che mostrava Dio, più delle parole, ma quella poca gente aveva l'aria annoiata, propria di chi non riesce a 'vedere' qualcosa di veramente bello.

“Mostraci, Signore, il Tuo Volto”, preghiamo tante volte, ma ‘quel volto’, nell'annuncio del sacerdote, non veniva colto. Erano distratti. Ad un certo punto alcuni, di quel piccolo gregge, si alzarono ed abbandonarono la Messa. Mi passarono vicino e uno disse, con voce alterata: 'Questi preti non sanno proprio quello che dicono, mai, hanno solo la capacità di rubarci del tempo prezioso'. Io continuavo a farmi invadere dalla luce che proveniva dalle parole di quel semplice sacerdote, vero profeta disprezzato, e provai tanta sofferenza nel constatare come tanta luce divina venisse rifiutata. Mi chiedevo: 'Ma cosa vogliono sentire da noi, missionari del Vangelo?'

Il rifiuto veniva dalla semplicità, diremmo dalla povertà, di quel sacerdote, simile a quella del Santo Curato d'Ars: una semplicità che metteva in disparte gli aspetti dí rilevanza umana, donando la nuda ed essenziale Parola di Dio. Lì davvero c'era testimonianza di vita evangelica, come se Parola e vita si fossero fuse. È quello che successe a Gesù e ci racconta il Vangelo oggi:
  • In quel tempo, Gesù andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. Venuto il sabato incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?. E si scandalizzavano di lui. Ma Gesù disse loro: Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua. E non vi poté operare nessun prodigio, ma solo impose le sue mani a pochi ammalati e li guarì. E si meravigliava della loro incredulità (Mc 6, 1-6).
La dice lunga questo atteggiamento di Gesù, rifiutato per la semplice ragione di essere uno di loro, vissuto tra di loro e, quindi... di nessuna importanza!... come se Dio avesse bisogno di fare conoscere Se stesso, la Sua Parola, solo attraverso gente 'importante'!!! Quante volte, invece, le parole semplici, quelle che tante volte le nostre stesse mamme ci dicevano, illuminate ed ispirate dalla Parola, vanno diritte al cuore. Molte volte più in là di quelle che diciamo noi sacerdoti.

Dio per parlarci non si offre alla nostra loquacità o importanza, che tante volte offrono il fianco alla superbia e chiudono il cuore di chi ascolta, mettendo in risalto ciò che si è e non ciò che si dice, che chiede umiltà e spirito di servizio. È bello risentire quanto scriveva San Paolo, il grande Apostolo delle genti, nella lettera ai Galati:
  • Fratelli, vi dichiaro che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano: infatti io non l'ho ricevuto né imparato dagli uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo. Voi certamente avete sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo; perseguitavo ferocemente la Chiesa di Dio e la devastavo, superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei, accanito come ero nel sostenere le tradizioni dei padri. Ma quando Dio, che mi ha scelto fin dal seno di mia madre, mi chiamò con la sua grazia, si compiacque di rivelare in me il Figlio suo, perché Lo annunziassi in mezzo alle genti, subito, senza chiedere consiglio a nessuno, senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi a Damasco. In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per andare a conoscere Pietro e rimasi con lui quindici giorni; degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello di Gesù (Gal 1, 11-20).
Conoscendo i lunghi viaggi di Paolo per tante nazioni, con la passione di dare agli uomini il dono più grande, la conoscenza di Gesù e della Sua Parola, arrossiamo davanti alla pigrizia che ci assale di fronte al nostro dovere, ricevuto nel Battesimo, di essere tutti missionari. Tanto meno ci si deve lasciare prendere dalla paura di essere criticati; si dovrebbe, invece, sentire la necessità, ogni giorno, di trovare un tempo per nutrirci della Parola di Dio, per poi viverla ed annunciarla. Ci avverte il 'nostro' grande Paolo VI, verso cui nutro un grande amore, lui che voleva imitare l'apostolo Paolo per donare la fede a tutti:
  • Forse mai come oggi il mondo ha avuto cosi grande bisogno di valori spirituali e ne siamo convinti: mai è stato cosi ben disposto ad accogliere l'annunzio. Anche le nazioni più prospere del mondo stanno scoprendo che da sé la felicità non consiste nel possedere molti beni; stanno imparando da un'amara esperienza 'del vuoto', quanto siano vere le parole di Gesù: 'Non di solo pane vive l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio'.

    Dobbiamo dire a tutti gli uomini che la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana si trova in Cristo, nostro Signore e Maestro.

    Dobbiamo dire a tutti gli uomini che questo è vero non solo per i credenti, ma si applica a tutti. No, 'non ci vergogniamo del Vangelo' e il Papa, i Vescovi, i sacerdoti e i fedeli non si vergognano di evangelizzare". Se mai ci fu un tempo in cui i cristiani sono chiamati, più che in passato ad essere luce che illumina il mondo, questo è il nostro tempo. Noi infatti possediamo l'antidoto al pessimismo, agli oscuri presagi, allo scoraggiamento, alla paura di cui soffre il mondo. Noi abbiamo la Buona Novella (25 giugno 1971).
Così pregava Madre Teresa di Calcutta e noi con lei:
  • O Signore, fa' sì che ogni uomo sulla terra conosca la Bibbia.

    Suscita in loro la fame della Tua Parola

    e lascia che sia il nostro pane quotidiano.

    Fa' che quanti sanno leggere

    guardino al Vangelo con i loro occhi;

    mentre quanti non sanno leggere,

    incontrino chi possa leggere per loro.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 10, 2009 10:04 am

      • Omelia del giorno 12 Luglio 2009

        XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Esigenza di un Vangelo 'vissuto'
C'è nel Vecchio Testamento una figura destinata a turbare i sonni tranquilli di tanti di noi: quei sonni mai basati sulla verità, che non concede respiro nella sua ricerca – che sono solo frutto di menzogne o ipocrisie, a cui sappiamo ben assuefarci, creando un comodo 'nido' in cui adagiarci.

Dio che ci ama – come solo Lui sa farlo nell'immensità di un Amore che a stento riusciamo anche solo a immaginare, tanto è grande, totale ed eterno – dà corpo a questo Amore con la volontà della nostra salvezza, che è ciò che più conta nella vita, e non esita a mandarci Suo Figlio Gesù; contesta in continuità le tante mortali sicurezze che ci creiamo 'dentro' e tali non sono; manda uomini, donne destinati appositamente a scuotere le nostre coscienze, la stessa coscienza del mondo intero, se necessario, senza preoccuparsi delle reazioni o delle persecuzioni.

Ogni giorno, ancora oggi, leggiamo le difficoltà che incontrano i nostri fratelli missionari e le sorelle che cercano di portare, non solo il Vangelo, ma Cristo stesso, ovunque, sapendo di rischiare la vita. Basterebbe leggere qualche rivista missionaria, per sentirci in colpa per la nostra pigrizia. Tante volte, succede, si ha paura di professare la fede o, ancora di più, di crescere nella conoscenza di Dio, nelle nostre stesse famiglie....come se il Vangelo desse fastidio o disturbasse qualcuno e non fosse la necessaria Buona Notizia di Dio per ogni creatura.

Davanti a tanta tiepidezza, che genera ignoranza di Dio, quasi ci si augura la persecuzione, che perlomeno ci fa consci del pericolo che si corre nel rifiuto o nella ignoranza della Parola di Dio, anziché vivere in una 'quiete', simile ad un sopore da cui c'è il pericolo di non risvegliarsi. La figura 'scomoda' di cui parlavo all'inizio è il profeta Amos, a cui Dio si rivolge così:
  • In quei giorni il sacerdote dì Betèl Amasìa disse ad Amos: 'Vattene, veggente, ritirati verso il paese di Giuda, là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betèl non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno. Amos rispose ad Amasìa: 'Non ero profeta, né figlio di profeta: ero un pastore e raccoglitore di sicomori; il Signore mi prese di dietro al bestiame e il Signore mi disse: 'Va', profetizza al mio popolo in Israele. (Am. 7, 12-15)
Deciso davvero il richiamo che Dio fa al Profeta Amos, invitandolo a recarsi dal popolo d'Israele. Dio non ama che la Sua Parola rimanga nascosta, perché sa bene che solo la Sua Parola, come dirà Gesù, è `pane di vita'. Il grande Paolo, apostolo delle genti, così ringrazia Dio:
  • Benedetto sia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli, in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi ed immacolati al suo cospetto nella carità, predestinandoci a essere suoi figli adottivi per opera di Gesù Cristo, secondo il beneplacito della sua volontà. In lui anche voi, dopo aver ascoltato il vangelo della vostra salvezza e avere in esso creduto, avete ricevuto il suggello dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è caparra della nostra eredità, in attesa della completa redenzione di coloro che Dio si è acquistato, a lode della sua gloria. (Ef. 1, 3-14)
Dovremmo ricordarci sempre che il primo nostro vero Maestro, che ci ha manifestato 'il pensiero' del Padre, che è la Sapienza della nostra vita, è stato Gesù, il Verbo di Dio. Basta leggere i Vangeli – ma ne leggiamo con fede un brano al giorno, per farci guidare da Dio? – per dare alla vita il senso divino che ha creato i grandi santi e quelli feriali (e sono tanti!). Qualcuno ha affermato che se san Paolo tornasse tra noi, in una mano terrebbe il giornale per conoscere la storia dell'uomo di oggi nel mondo, la nostra storia, e nell'altra la Sacra Scrittura in cui cercare 'la medicina' che ci guarisca.

Non so quanti viaggi e quante comunità ho incontrato in tutta Italia, quanto Vangelo ho donato, ma sempre da una parte vedevo lo stupore di tanti che, trovandosi di fronte alla Parola di Dio, conosciuta superficialmente o per nulla, ritrovavano il desiderio di un approccio vero e vivo al Vangelo. Quanta gente splendida ho incontrato, ma anche quanta ignoranza che fa male! Ho consumato e consumo la mia vita donando la Parola, facendo dell'evangelizzazione il primario servizio che si possa fare a tutti. Così come da anni, tramite questo servizio di Internet e le e-mail che mi scrivete con tanta bontà – e vi ringrazio – è come sentire Gesù che mi dice: “Va' in tutto il mondo e annunzia la mia Parola, pane della vita”

E sono davvero grato a voi che mi accogliete con amore, sapendo che non svendo parole vuote, ma offro parole di verità, quelle che solo Dio sa suggerirci. Grazie di cuore. Così come so che tanti di voi, si fanno 'evangelizzatori', offrendo le riflessioni ai vicini, agli amici, ai conoscenti, divenendo così 'missionari del Vangelo'. Dio ve ne è tanto grato.

È vero che siamo spesso come storditi dal chiasso delle parole che arrivano da tanti mass-media e ignorano verità divina e speranza. Nei Vangeli, dietro le scarne note di cronaca della vita di Gesù, si nota come la Sua parola era accolta perché 'parla come uno che ha autorità'; altre volte era rifiutata, perché smontava false sicurezze interne o giungeva come una sferzata che strappava la maschera dell'ipocrisia, fino a suscitare tanto odio che portò Gesù alla croce.

Ma Gesù mai si lasciò sviare o condizionare: la Sua preoccupazione era che la voce del Padre non conoscesse silenzi, ma continuasse il suo cammino nel mondo fino a raggiungere tutti gli uomini. Un mandato che è valido anche oggi e noi assistiamo alla fatica di tanti sacerdoti, suore, comuni fedeli, che si spingono sulle frontiere di tutto il mondo per recare la Parola di Dio. Basterebbe pensare alla Cina o alle difficoltà dei cristiani nel mondo mussulmano. Davvero in tanti posti evangelizzare è vivere sul filo del rasoio: è facile imbattersi con la morte e, quindi, il martirio. Gesù è stato chiaro in questo e ce lo racconta il Vangelo di oggi:
  • In quel tempo Gesù chiamò i Dodici ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi. E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio, né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa, ma calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche E diceva loro: 'Entrati in una casa, rimanetevi finché ve ne andate da quel luogo. Se in qualche luogo non vi riceveranno, andandovene scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi a testimonianza per loro'. E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano. (Mc. 6, 7-13)
Fino a poco tempo fa, si aveva quasi la certezza che tutto fosse chiaro, almeno per quanto riguarda i grandi valori della vita: valori la cui origine e consistenza era nella Parola di Dio. Chi avrebbe mai osato discutere, per esempio, del grande ed intoccabile valore della famiglia? O del dono della vita? O del valore dell'onestà o, addirittura, della necessità di una fede cosciente e coerente, che era la dignità e il volto dell'uomo?
  • La gente – scriveva Paolo VI, cui faccio sempre riferimento per la grandezza e il coraggio del suo pensiero — o se vogliamo l'uomo contemporaneo, ascolta più volentieri i testimoni che i maestri o, se ascolta i maestri, è perché questi sono testimoni. Egli infatti prova una ripulsa istintiva per tutto ciò che può apparire mistificazione, apparenza, compromesso. In tale contesto si comprende l'importanza di una vita che risuoni veramente del Vangelo.

    L'uomo contemporaneo innanzitutto impegnato nella conquista e nell'utilizzazione della materia, ha fame di altro, prova una strana solitudine. Il cristiano consacrato a Gesù Cristo conosce un mistero più insondabile della materia: il mistero di Dio che invita l'uomo a una partecipazione di vita in comunione senza fine con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. In verità l'uomo aspira a questa pienezza di dialogo personale che la materia gli nega. Gli uomini di questo tempo sono degli esseri fragili che conoscono facilmente l'insicurezza, la paura, l'angoscia. Così come i nostri fratelli hanno bisogno di incontrare altri fratelli che irradiano la serenità, la gioia, la speranza, la carità, malgrado le prove e le contraddizioni delle quali essi stessi sono colpiti. Ed essere testimoni del Vangelo non significa alienare l'uomo, ma proporgli il cammino della libertà. Le nuove generazioni, soprattutto, sono particolarmente assetate di sincerità, di verità, di autenticità. Hanno orrore del fariseismo sotto tutte le forme. Davvero il mondo attende il passaggio dei santi, discepoli del Vangelo trasparente a Dio e rimasti giovani della giovinezza della grazia.
Possiamo, anzi è nella nostra voglia di autenticità e felicità, essere profeti.

Non dobbiamo avere paura del mondo, di quello che dice il mondo. Tutto questo appartiene al maligno. Invece, andiamo, grati e fieri della nostra saggezza evangelica, felici di spargerla ovunque e con chiunque incontriamo.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » gio lug 16, 2009 8:09 am

      • Omelia del giorno 19 Luglio 2009

        XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Venite...riposatevi un poco
La Parola di Dio, che la Chiesa ci offre oggi da meditare, pare sia un suggerimento per tanti di noi, che in questi giorni stanno programmando un tempo di riposo: uno stacco dal quotidiano, che si è fatto in questi ultimi tempi davvero difficile, per tante ragioni. Ma quello che impressiona, non è soltanto la crisi, che sta colpendo tanti, a cominciare dai poveri, ma la confusione che si è creata nelle anime, al punto da non sapere più affidarsi o cercare quei grandi valori della vita, che sono molto più vitali dei problemi della terra. Quante volte ci sentiamo come stritolati dalla quotidianità, che moltiplica esigenze - che tali molte volte non sono! - coprendo tutti gli spazi dell'anima e rendendoci infelici!

Abbiamo veramente bisogno di dare riposo, non solo al corpo, ma soprattutto allo spirito, per ritrovare noi stessi, o i veri valori, e scuoterci così di dosso le tante nebbie che il consumismo ha creato. ‘Non riesco più - mi scriveva una persona, con cui avevo viaggiato - a trovare un momento di quella serenità, che è il respiro dell'anima e fa vedere e vivere tutto in modo che cresca la gioia e diminuisca l'affanno. Fossimo capaci di scrollarci di dosso tutte le cose inutili che annebbiano cuore e anima! Ma appena ci provo, subito mi lascio afferrare da tanti 'impegni', anche inutili, dalle cose che, alla fine della giornata, sono il vero peso che toglie l'amore alla vita. Si corre, si corre sempre, e non sai dove vai e cosa troverai. Viviamo di sogni e di desideri, che alla fine rimangono tali e creano vuoto nel cuore. Bisognerebbe uscire da questa spirale del mondo, avere il coraggio di tagliare i ponti con tutto e fare riposare il cuore e, nel riposo, cercare ciò che rende la vita un dono prezioso’. Il Vangelo di oggi viene incontro a questo desiderio e dobbiamo saperlo afferrare.
  • Gli Apostoli si riunirono intorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Egli disse loro: Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco. Era infatti molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare Allora partirono sulla barca, verso un luogo solitario, in disparte. Molti però li videro partire e capirono e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sbarcando, vide molta folla e si commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore e si mise ad insegnare loro molte cose (Mc 6, 30-34).
Si intrecciano, in questo accenno alla vita quotidiana di Gesù e degli Apostoli, la grande fatica dell'evangelizzazione, quel profondo amore che cercavano di portare a tanti, e gli stessi uomini, destinatari dell'Amore, che erano 'come pecore senza pastore', davanti a cui Gesù si fa prendere dalla commozione.

Credo proprio che anche oggi Gesù senta compassione, stando tra di noi, perché assomigliamo a quella folla, con la differenza, forse, che, mentre quegli uomini rincorrevano Gesù, che consideravano come la sola speranza della vita, per la sua bontà, per le sue divine parole, i suoi gesti di amore concreto nei miracoli; noi oggi corriamo invece il rischio, tra gli affanni della vita, come nel tempo del riposo, anziché di vivere la ricerca della gioia di Dio, di farci avviluppare dalle spire degli imbrogli del consumismo, capace di rubare ogni istante, anche i momenti del meritato riposo, per riempirli di... niente, se non peggio. Diceva il grande, ormai nostro caro suggeritore nelle riflessioni, Paolo VI:
  • Noi vorremmo rivolgerci singolarmente a ciascuno per parlare con voce sommessa al cuore e dire: tu accetti il Signore? Corri da Lui? Gli vuoi bene? Pensi alle sue parole? Sono vere, esse, per te o passano come farfalle senza meta? Sono effettivamente un colloquio tuo con Dio? Riguardano la tua esistenza? Incalzano sopra di te e riescono ad ottenere che tu abbia a modellare la vita ai disegni di Dio? E perciò le ascolti secondo le norme del Vangelo? Si tratta ora di vedere qual è la nostra risposta al Signore e quali sono gli ostacoli da eliminare, perché sia una risposta degna di Lui...Purtroppo prende piede il sistematico rifiuto a correre in cerca di Gesù. Non si esita a parlare di mito, di fiabe, di rifiuto a credere. Questa opzione passa attraverso i mezzi di comunicazione e circola nel nostro mondo moderno e rischia di formare la mentalità di molti. Vi è chi ritiene atto di intelligenza opporsi all'insegnamento del Signore, alla dottrina della Chiesa. Per essere spregiudicati, più forti degli altri, bisogna dire di no: io non credo! La religione - dicono - è fatta per gli spiriti deboli.... E si servono del lume divino, che è la ragione, non per cercare la verità, non per accogliere con simpatia e con gioia la luce di Dio, che entra nelle anime mediante le parole del Signore, ma chiudono porte e finestre e usano la ragione per negare le verità del Credo e, quindi, resistere al Signore. Ma il Signore potrebbe un giorno prenderci in parola, ritorcendo contro di noi la negazione: non hai voluto riconoscermi, neppure lo ti riconosco. E sarebbe la condanna eterna (1965).
Ma, come a smentire il pessimismo dilagante, vi è sottovoce il bisogno di tanti di vero 'riposo' di ricerca della Verità e, quindi, di Dio. Basterebbe chiederlo alle numerose Case che ospitano questi 'ricercatori' nei corsi di Esercizi Spirituali, ovunque. Un vero 'esercito' di uomini, donne e giovani in ricerca...

Il mese scorso sono stato invitato, da un gruppo di Missionarie del Cuore Immacolato di Maria, a tenere un corso in un luogo, che è davvero l'emblema della ferocia dell'uomo senza Dio. La struttura di accoglienza era ai margini del campo di sterminio, a Birkenau, dove, tra gli altri, fu rinchiuso San Massimiliano Kolbe. Non riuscivo a staccare gli occhi da quelle baracche, che avevano ospitato decine di migliaia di deportati, finiti nelle camere a gas, e, nello stesso tempo, parlare della bellezza della santità. Due mondi diversi e contrastanti: quello della negazione dell'uomo e quello dell'amore di Dio per l'uomo.

Vivevo in quella casa, con lo sguardo a quel campo, e cercavo la risposta in Gesù, in mezzo a noi. Un'esperienza che gettava in faccia ciò che possiamo diventare senza o contro Dio e contro l'uomo e ciò che invece si può e si deve essere stando con Gesù. Ma per entrare in questo clima dello spirito, occorre 'ritirarsi in disparte e riposare un poco', per accogliere l'annuncio di pace di Gesù, diventare 'vicini' e 'presentarci al Padre in un solo Spirito' come suggerisce l'apostolo Paolo, scrivendo agli Efesini:
  • Fratelli, ora in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate i lontani, siete diventati i vicini, grazie al sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due un solo popolo, abbattendo il muro di separazione che era frammezzo, cioè l'inimicizia, annullando per mezzo della carne la legge fatta di prescrizioni e decreti, per creare in se stesso, dei due, un solo uomo nuovo, facendo la pace e per riconciliare tutti e due con Dio in un solo corpo, per mezzo della croce, distruggendo in se stesso l'inimicizia. Egli è venuto per annunciare la pace a voi che eravate i lontani e pace a coloro che erano vicini. Per mezzo di Lui possiamo presentarci, gli uni gli altri, al Padre in un solo Spirito (Ef 2, 13-18).
È quanto dobbiamo sapere ricostruire in noi, in questo tempo di 'riposo'. Ed è il grande desiderio di tanti, anche se spesso inconfessato. Ma bisogna avere il sano e santo coraggio di uscire dalla gabbia del mondo. Occorre fare spazio al silenzio interiore, che è il luogo dell'incontro con Dio e con il desiderio di Lui.

Un'estate, venni invitato, in occasione di una festa, in una cittadina, per portare una parola di vita. La settimana di festa era stata tutta impostata su iniziative 'materialistiche', senza alcun spazio per il cuore. Tempo di rumori che fanno solo male. Quando raggiunsi la località, il sacerdote che mi aveva invitato mi avverti di non farmi illusioni: ‘Abbiamo tentato in questi anni - mi diceva - di creare un momento di riflessione, invitando a sollevare lo spirito, ma non abbiamo mai avuto seguito’. Alla sera, alle ore 21, entrai nella grande sala. C'erano ad attendere una ventina di persone. ‘È quanto di solito riusciamo a mettere insieme’ mi disse. Chiesi di attendere: ‘Non si sa mai!’. Incredibilmente la sala si riempì, al punto che parecchi, per ascoltare, dovettero affacciarsi da fuori, attraverso le finestre aperte. Il tema era: ‘Gesù è la sola gioia possibile’. Parlai in un silenzio da chiesa, per un'ora. Quando cercai di salutare quella incredibile folla, si alzò uno e mi disse: 'Continui, Padre, qui dentro abbiamo respirato aria di cielo. Fuori è notte del cuore, notte fonda, senza speranza'. E dovetti prolungare il dialogo per un'altra ora.

Tornai l'anno dopo, nella stessa occasione, con il Prof. Zichichi. L'incontro avvenne, sempre sull'argomento fede, in un magnifico teatro. Era talmente affollato, che moltissimi dovettero restare fuori. perché non c'era più posto. Davvero la gente ha bisogno di scoprire il bello e radioso, che Gesù sa donare, ma solo se trova spazio nei cuori.

Viene da augurare a voi - Suoi discepoli oggi - quello che Gesù disse ai Suoi allora, e dice a noi oggi: “VENITE IN DISPARTE, IN UN LUOGO SOLITARIO, E RIPOSATEVI UN POCO”.

Auguri allora! con tutto il cuore. E chissà che non incontri qualcuno di voi nel Trentino, nella Val Rendena, su quei monti dove anch'io mi ritiro in disparte e riposo.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 24, 2009 10:24 am

      • Omelia del giorno 26 Luglio 2009

        XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Dove possiamo trovare il pane per questa grande folla?
È la grande domanda, l'invito di Gesù ai suoi apostoli a dare da mangiare alla folla immensa, che aveva lasciato alle spalle ogni certezza - o forse non ne aveva - e cercava Gesù per avere da Lui quella speranza, che nella vita era ed è difficile trovare. Quello che stupisce ed interpella ciascuno di noi è la sensibilità e tenerezza di Gesù che, non richiesto, si fa voce delle necessità della gente.

In un altro passo del Vangelo leggiamo che Gesù 'sente compassione' per la folla, 'che era un gregge senza pastore'. E questa Sua tenerezza ce la consegna nel Padre nostro, la Sua e nostra preghiera: 'Dacci oggi il nostro pane quotidiano'.

Viviamo un tempo di grave crisi economica. Tante persone non sanno come far fronte alla vita con quel poco che ricevono: operai licenziati, piccoli imprenditori o lavoratori autonomi, che si sentono letteralmente sul lastrico, in preda a gravi difficoltà per sostenere se stessi e la famiglia. Eravamo abituati a vivere nell'abbondanza, al punto da svenderci alla follia del consumismo, che invitava a comprare anche il non necessario. A volte abbiamo riempito la casa di tante cose, che ora sono lì, servono a nulla, se non a prendere polvere: un'abbondanza che era uno schiaffo al buonsenso, al risparmio, alla gente che soffre, ed ora siamo chiamati a renderci conto che la semplicità, che ci faceva conoscere la bellezza della beatitudine della 'povertà in spirito', non era un bene da dimenticare e svilire, ma da prendere come 'regola di vita'. Ci hanno predicato politicamente di 'produrre e consumare', ed ora paghiamo il prezzo di questa follia'. È quanto mi dicono in tanti, al punto da mettere in discussione in cosiddetto 'progresso', che poco tiene conto della vera felicità, frutto di semplicità e sobrietà.

Un tempo si viveva di poco, del necessario, e si era felici; la ricchezza erano gli affetti, la famiglia, i grandi valori dell'uomo. Non importava che tutto trasudasse semplicità: una vita semplice - diverso da banale! - era la vera ricchezza che si conservava con gelosia.

Ora ci si trova con le mani nude, costretti a mettere dietro le spalle, i capricci.

Bisognerebbe interpretare questa situazione come una lezione di vita, per preservarci, anche in futuro, da quella corsa al benessere a tutti i costi, che presto o tardi chiede il conto da pagare, e, soprattutto, avere il coraggio cristiano di guardare in faccia chi davvero sta male, 'vedere' quanto avviene in tanti Paesi dell'Africa, del mondo, dove centinaia di milioni non vivono, ma sopravvivono, altrettanti ogni giorno muoiono di fame, emarginati dal nostro, comunque, benessere! Davvero abbiamo un grave 'conto' da rendere al Padre, davanti a cui tutti siamo uguali e tutti dovremmo avere la possibilità, non solo di avere il necessario, ma di poter cooperare alla crescita del mondo con uno sviluppo che deve essere per tutti.

Mi pare una favola da incorniciare, quanto, una vigilia di Natale, vissi in famiglia. Ero ragazzo e in casa c'era nulla per fare festa. Con papà, a sera, andammo da una zia che gestiva una macelleria, chiedendo se avesse conservato qualcosa. Spolpò le ossa dei prosciutti e ne ricavò 'briciole' che per noi furono la gioia del Natale. Per questo il Vangelo di oggi ci invita a ritrovare nella solidarietà la bellezza dell'uomo e, quindi, anche una possibile rinascita per la società. Così l'apostolo Giovanni descrive il miracolo:
  • Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè dì Tiberiade, e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. Gesù sali sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Alzati gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare? Diceva questo per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo. Gli disse allora Andrea, fratello di Simon Pietro: C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci, ma che cosa è questo per tanta gente? Rispose Gesù: ‘Fateli sedere’. C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che erano seduti e lo stesso dei pesci, finché ne vollero. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: 'Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto.' Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che aveva compiuto, cominciò a dire: Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo! Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo” (Gv 6, 1-15).
Consideriamo alcuni particolari per riflettere:

- Gesù 'vede una grande folla' di gente, attirata dalla sua bontà e dalla capacità di liberarli dai mali naturali, le malattie, o forse dalla stessa miseria, e 'prova compassione', che è davvero mettersi nei panni del prossimo e riempire il 'vuoto', qualunque sia, con il proprio amore: la carità. Chiede che siano i Suoi a soddisfare tanta necessità, per metterli alla prova: 'Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?'. E i discepoli confessano la propria incapacità. Troppo grande, ieri e oggi, attuare la giustizia nel mondo e fare tutti, ma proprio tutti, partecipi del benessere almeno sufficiente. É quello che ci chiediamo anche noi, a volte: cosa fare per andare incontro alle tante povertà che ogni giorno bussano alla porta del nostro cuore, sapendo che, per quello che possiamo intervenire, con la carità, diventeranno la ricchezza che troveremo un giorno in Cielo?

- C'è anche un avvertimento a non sprecare nulla: 'Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto'. Ci sono studi su quanto noi, che apparteniamo al cosiddetto mondo dei Paesi Sviluppati, gettiamo nei rifiuti. Una cifra spaventosa, scandalosa, definita da uno studioso `sufficiente a soddisfare la fame di tanta parte dell'Africa!'.

- Ed infine Gesù, dopo aver saziato la folla di pane, 'si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo': si sottrae cioè alla tentazione di essere ritenuto 'un messia per il benessere della terra', quando invece la sua missione era altra, quella della nostra salvezza, che va 'oltre questa terra'.

Quello che ci conforta come cristiani è constatare come la Chiesa in tutte le sue diocesi, parrocchie, nei gruppi, apra le porte a chi ha bisogno, offrendo da mangiare, da vestirsi, e, se necessario, con aiuti più significativi. Ho sempre ritenuto che i Centri di ascolto nelle Caritas siano il cuore della Chiesa, che si apre ai poveri, che cosi sanno che c'è sempre chi può dare loro una mano. Penso alle tantissime iniziative di solidarietà, che sono ovunque e sono una concreta evangelizzazione: è la compassione di Gesù, che continua nell'oggi! Penso alle tante iniziative per le missioni. In questo tempo di riposo, sono davvero tanti i laici che rinunciano alle proprie ferie e scelgono di stare vicino ai missionari per dare una mano. Non donano qualcosa, ma se stessi. L'ultimo esempio di grande generosità del nostro popolo è stato dato dalla partecipazione, in tanti modi, alle sofferenze e ai disagi del terremoto de L'Aquila. Una generosità, in tempi di crisi, che ha mostrato il volto bello della nostra gente.

Finché vivrà e si moltiplicherà la 'compassione' per chi non ha, su di noi e in noi, continuerà a splendere il Volto del Padre. La nostra vera ricchezza è quella di fare ricchi gli altri, come fece Gesù... senza cercare gloria, non usando mai il bene per 'farsi re': è questa una stortura, che non si addice mai a chi vuoi fare davvero del bene! Scriveva il nostro sempre caro e grande Paolo VI:
  • Noi abbiamo tra tante angustie e amarezze questo quotidiano conforto di vedere ogni giorno scintillare gli esempi di carità, a volte eroica, nella santa Chiesa: e potremmo fare il giornale della carità, che sarebbe il documento quotidiano di quei segni commoventi e meravigliosi dell'attualità di Cristo fra di noi. Questi segni sono, per fortuna, dappertutto, nelle nostre istituzioni di assistenza, nelle nostre case di cura agli infermi, nella formazione cristiana dei fanciulli e dei giovani, all'opera buona, nelle missioni; e se davvero uno spirito di carità suggerisce queste molteplici attività, Cristo vi appare, perché sono cristianesimo vissuto. E anche quando l'intenzione cristiana non fosse palese, ma palese è la bontà dell'azione, noi scorgiamo nel sentimento generoso e nel gesto fraterno di tale solidarietà, uno stile, un'umanità che ci dicono essere, almeno in queste nobili manifestazioni, tuttora cristiana la nostra civiltà? I segni lo dimostrano. E per noi credenti, poi, hanno questo di bello simili atti di generosità e di carità, che tutti li possiamo compiere con quello spirito che li trasfigura: tutti abbiamo una certa capacità di fare della nostra Chiesa, a cui abbiamo la grazia di appartenere, un segno di Cristo: di rendere presente così Cristo nel nostro tempo e nel nostro ambiente. Lo dice il Concilio: Lo spirito di povertà e di carità è la gloria e la testimonianza della Chiesa di Cristo (novembre 1966).
Non ci resta che entrare in questo clima di carità, che davvero diventerà pietra fondamentale per la civiltà dell'amore, contro ogni intolleranza e spregio per la dignità della persona umana. Ho sempre presente, nella mia vita di vescovo, quanto mi disse un caro amico, che era stupefatto nel vedere come, ogni giorno, bussasse alla mia porta, ogni tipo di persona, con le sue urgenze e tribolazioni: ‘Finché su queste scale saliranno i poveri - mi diceva - la bellezza della Chiesa continuerà ad apparire e sarà credibile’.

Gli devo dare ragione.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 31, 2009 4:22 pm

      • Omelia del giorno 2 Agosto 2009

        XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Signore, dacci sempre questo pane
Cerchiamo di farci scrivere, a caratteri d'oro nella nostra fede e vita, le semplici, ma ineffabili e divine Parole di Gesù, oggi, dette alla folla affamata che lo aveva spinto da ogni parte e che bene raffigura il nostro tempo, affamato di 'un pane' che gli tolga la fame: 'Io Sono il Pane della Vita'. Possiamo facilmente immaginare la scena che l'apostolo Giovanni ci descrive nel suo Vangelo. La folla era stata saziata dal miracolo dei pani, compiuto da Gesù. Aveva, quindi, nella sua immaginazione e nella sua sete di serenità e sicurezza economica, che troppe volte manca a tanti nel mondo, in ogni tempo, la possibilità di trovare in Gesù una certezza ‘materiale'.

Gesù era diventato, per la folla, uno che, in un modo o in un altro, avrebbe soddisfatto e risolto i problemi quotidiani, quelli che affliggono tragicamente intere famiglie e intere nazioni, anche oggi. Purtroppo sono ancora tanti tra di noi e lontano da noi, che si sentono condannati a vedere il diritto alla vita, alla salute, alla libertà, come sogni irraggiungibili... al punto che non sentiamo neppure la loro voce, coperta dal frastuono del benessere di pochi, che però ora già paghiamo e che cerca di coprire i lamenti o i diritti di chi ha fame.

Ma se ne è fatta voce la Chiesa, con il Santo Padre, che ha messo nell'agenda dei cosiddetti ‘grandi', nel G8 dell'Aquila, il grande problema della fame, non solo di pane, ma di diritti umani, in Africa e in tante altre parti del mondo. Lo hanno urlato tante organizzazioni, come a far diventare 'invitato', buon invitato, tutta quella parte del mondo in cui non sono rispettati gli elementari diritti alla vita, che potrebbero essere soddisfatti se solo avesse fine l'ingordigia di pochi che, per avere tanto, arrivano 'a togliere il pane di bocca' a chi ne ha diritto. I 'grandi' una prima risposta l'hanno data: 20 miliardi di dollari per l'Africa.

Sembra una speranza, una svolta per iniziare una più equa distribuzione delle ricchezze della terra, una nuova consapevolezza che la terra non appartiene a qualcuno, ma è di tutti. È un primo passo che la gente di fede e di buona volontà si attendeva, per avere ancora una volta fiducia in chi ha nelle mani le sorti del mondo – quale responsabilità! - ma il percorso è appena iniziato e si spera che non si torni indietro, come purtroppo molte volte è accaduto.

Ma, tornando al Vangelo di oggi, quella folla che accerchiava Gesù non vuole certo farsi sfuggire di mano un ‘messia speciale', che si è ritrovata miracolosamente sulla strada della propria vita. Lo cerca affannosamente, attraversando il lago di Tiberiade, fino a raggiungere Gesù e i Suoi, che si erano appartati, come se l'incontro fosse ormai chiuso, dopo il segno dei pani moltiplicati. Gesù voleva e vuole essere cercato per quello che era ed è, per la missione che era venuto a compiere tra noi e per noi, non come risposta a fragili certezze materiali. Cerchiamo di entrare nel Suo Cuore, facendoci illuminare dalla Parola:
  • Quando la folla vide che Gesù non era più là e neppure i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao, alla ricerca di Gesù.

    Trovatolo al di là del mare, gli dissero: Rabbì, quando sei venuto qui?'.

    Gesù rispose: 'In verità, in verità vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo. Gli dissero allora: 'Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?.

    Gesù rispose: 'Questa è l'opera di Dio, credere in Colui che Egli ha mandato.'

    Allora gli dissero: 'Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come è scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo.'

    Rispose Gesù: 'In verità, in verità vi dico: non Mosè vi ha dato il pane del cielo, quello vero. Il pane di Dio è Colui che discende dal Cielo e dà la vita al mondo.'

    Allora gli dissero: 'Signore, dacci sempre di questo pane'

    Gesù rispose: 'Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. (Gv. 6, 24-35)
Il discorso che apre il segreto della vita interiore di ogni uomo, che desidera davvero 'entrare nella vita', anche oggi, soprattutto oggi. Ricevere il Pane di Dio significa credere di fatto in Gesù, accostarsi a Lui come al Figlio di Dio, per ricevere da Lui la Vita. Gesù; parlando di Sé, ci conferma che è venuto a saziare la 'vera fame' dell'uomo, che nulla ha a che fare con la fame delle cose di questa terra, ma è quella nostalgia - a volte 'disagio', vuoto, magari 'noia' - che tante volte sentiamo e a cui non sappiamo dare un senso e un valore. Spesso non ci rendiamo neppure conto che, pur sazi di cose, 'dentro' sentiamo come un vuoto, che non sappiamo come riempire. Bisogna prenderne coscienza, per poi seguire le indicazioni che oggi Gesù ci offre: Lui è il Pane, che può colmare quel vuoto... se abbiamo fede e fiducia.

Sedevo, una sera, su un muretto, che domina una grande città. Vicino a me c'era un giovane, che questa vita se l'era goduta fino in fondo, cercando disperatamente in ogni situazione 'qualcosa', `qualcuno', che lo saziasse. Giungevano sino a noi le luci della città, ubriaca di vita. Come a manifestare la voglia di pazzia, arrivava il rumore assordante delle macchine e di suoni, che, da lontano, creavano l'impressione di una festa senza fine. ‘Ha mai pensato, padre, - mi diceva quel giovane – cosa voglia dire passare notti e notti in discoteche, farsi assordare dal grande chiasso che chiamano musica? Essere circondati, urtati da persone che continuamente parlano e ridono nello sforzo di dare un volto a un divertimento che invece è solo stordimento, per non prendere coscienza della propria fame e sete di vera vita? Lo sa quante volte si prova disgusto per tutto questo? Amicizie che sono solo egoismi soddisfatti e buttati. Discorsi che sono solo rumori per ingannarsi'. Ascoltavo la litania di quel giovane, fatta di amarezze e lacrime.

Dopo un lungo silenzio gli chiesi.- 'Che ne dici di quei giovani, che credono e cantano: “Gesù, Tu sei la mia vita, altro io non ho?”. Sono tanti, sai, giovani e meno giovani, che non 'vedono' la vita come te. Hanno gettato dietro le spalle ogni fiducia nelle certezze di cartapesta, nella disperata corsa ad una felicità che questa terra non può dare, perché non le appartiene. Sono tanti questi giovani: sono nelle scuole, nelle piazze, al lavoro, nei conventi. Sono pazzi, secondo te?'. Entrambi tacemmo. Pensavo a quando, adolescente, mia mamma mi insegnava che 'una buona Comunione è molto meglio di una buona colazione'. Pensavo a Chi può essere la sola ragione dell'esistenza, Chi davvero può farmi felice, a Chi posso affidarmi tranquillamente, come unica certezza che non tradisce: Gesù, il pane della vita.

E ancora mentre scrivo mi commuove questo mio Dio, che non si impone con la grandezza che spaventa, ma si avvicina con passi discreti, come sa fare solo chi ama veramente, e si fa cibo che veramente dà la Vita, quella vera. Alla fine ci confidammo le nostre riflessioni. Gli dissi della mia gioia interiore con Cristo. ‘Non sto un giorno senza Messa. Sono disposto a rinunciare a tutto, ma non a quel Pane'. E il giovane: 'Padre, mi aiuti a trovare questo cibo. Diversamente non so dove finirò con la mia disperazione'. Quel giovane, oggi, è un padre di famiglia, mio carissimo amico, felice e con una famiglia numerosa per giunta, e vive, giorno per giorno, una vita diventata Eucaristia, ringraziamento. E racconta ai suoi figli del giorno in cui 'Gesù è diventato la mia vita, altro io non ho... oltre che voi, che mi siete stati affidati da Lui!'

L'ho rivisto poco tempo fa e siamo tornati sul muretto del primo incontro, a sera. La città celebrava gli stessi riti di follia, come un disco rotto, incapace di inventare novità. Siamo stati un attimo a guardare, poi ci siamo improvvisamente voltati uno verso l'altro, ridendo. ‘Rido, padre, per il pericolo scampato. Potevo essere uno di quella folla anonima: oggi invece mi sento come un missile che vola verso il Cielo, lontanissimo da tutta questa baraonda, ma ci voleva `quel pane di vita'. Grazie!'

Quel giovane, come tanti, ha avuto la grazia, con il Pane della Vita, di imparare a 'volare alto' nella vita, come certamente ognuno di noi vorrebbe poter fare. Per questo preghiamo con don Tonino Bello:
  • Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita.

    Ho letto da qualche parte, che gli uomini sono angeli con un'ala soltanto:

    possono volare solo rimanendo abbracciati.

    A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore, che tu abbia un'ala soltanto. L'altra la tieni nascosta, forse per farmi capire che anche Tu non vuoi volare senza di me. Per questo mi hai dato la vita, perché io fossi tuo compagno di volo.

    Insegnami, allora, a librarmi con Te.

    Vivere non è un trascinare la vita, non è strappare la vita.

    Vivere è abbandonarsi come un gabbiano all'ebbrezza del volo.

    Vivere è assaporare l'avventura della libertà.

    Vivere è stendere l'ala con la fiducia di chi sa di avere nel volo

    un partner come Te.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » mar set 01, 2009 10:08 am

      • Omelia del giorno 9 Agosto 2009

        XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Il grande dono di Dio poco compreso
Giustamente la Chiesa ci propone, oggi, il grande dono di Gesù - un dono allora e sempre, per tutti - l'Eucarestia. Per un cristiano vero, l'Eucarestia, in cui si fa comunione con il Corpo e il Sangue di Gesù, è il grande segreto della vita interiore, ma è anche il concreto farsi vicino o, se vogliamo, farsi uno di noi del Signore. Sembra impossibile, frutto della nostra ignoranza, passare oltre questo grande mistero, come interessasse poco per la vita. E facciamo male... ci facciamo male!

Ma cosa intendiamo per Eucaristia? Lo descrive ben il Santo Padre nella sua enciclica intitolata 'Sacramento dell'amore':
  • Il nuovo culto cristiano – scrive – abbraccia questo aspetto dell'esistenza trasfigurandola: 'Sia dunque che mangiate o che beviate, sta che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio.'

    In ogni atto della vita il cristiano è chiamato ad esprimere il vero culto a Dio. Da qui prende forma la natura intrinsecamente 'eucaristica' della vita cristiana. In quanto coinvolge la realtà umana del credente nella sua concretezza quotidiana.

    Il Signore Gesù, fattosi per noi cibo di verità e di amore, parlando del dono della sua vita, ci assicura che `chi mangia di questo pane vivrà in eterno. Colui che mangia di me, vivrà per me.'

    Vale anche qui quanto sant’Agostino, nelle sue Confessioni dice del Logos eterno, cibo dell'anima; mettendo in rilievo il carattere paradossale di questo cibo, il Santo Dottore immagina di sentirsi dire: ‘Sono il cibo dei grandi: cresci e mi mangerai. Non Io sarò assimilato a te, come cibo della tua carne, ma tu sarai assimilato a Me.' Infatti non è l'alimento eucaristico che si trasforma in noi, ma siamo noi che veniamo da esso misteriosamente cambiati. Cristo ci nutre unendoci a Sé, e ci attira dentro di Sé." (S.C. 70-71)
Possono apparire parole difficili o troppo misteriose, per la sola ragione che appartengono alla sublimità dell'amore di un Dio che non si limita ad amare superficialmente, ma fa del suo amore cibo. Come l'aria per la nostra vita fisica. Fossimo capaci di farci affascinare oda questo Mistero di Amore, credo che faremmo della Messa e della Comunione il vero centro della vita, come Io è per tutti i santi. Può sembrare difficile, per tanti, anche solo accostarci a questo Dio che ci ama, ma chi ha fede lo sa che è davvero toccare il Cielo,

Quando Gesù, come narra il Vangelo di oggi, continuando il discorso della settimana scorsa, tentò di farlo capire ai suoi ascoltatori, suscitò addirittura mormorazione. Si rimane davvero perplessi davanti all'atteggiamento di chi aveva la fortuna rarissima di vederLo e ascoltarLe e, anziché accogliere e gioire per quello che rivelava – ed era tutto amore, solo amore – non solo non comprende, ma mormora. Così racconta l'evangelista Giovanni:
  • In quel tempo i Giudei mormoravano di Lui perché aveva detto: 'Io sono il pane disceso dal Cielo.' E dicevano: 'Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Io sono disceso dal Cielo?'. Gesù rispose: 'Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a Me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei Profeti. 'E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da Lui, viene a me. Io sono il pane della vita. I vostri Padri hanno mangiato la manna del deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita eterna' (Gv. 6, 41-53)
Quanti stavano ad ascoltare Gesù certamente si attendevano altre parole, che interessassero il benessere sulla terra. Erano forse poveri, come tanti di noi a volte. Forse non pensavano che la più grande povertà nostra non è quella materiale, ma quella 'dentro', là dove davvero tante volte siamo 'affamati e assetati' di ben altro, che non esiste sulla terra, non è frutto di opera umana, ma ha un'altra origine, viene dal Cielo: quel Cielo che troppe volte non entra nelle nostre aspirazioni o vedute.

Diciamocelo con franchezza: la nostra fiducia è posta in quello che ci offre la terra ed il mondo e, non è solo fiducia, ma spesso ricerca affannosa, con tutte le nostre forze. Lì è il nostro terribile credo. Ma la nostra origine è dal Cielo e non possiamo quindi ignorare che, se siamo sinceri, abbiamo proprio bisogno di 'quel pane disceso dal Cielo.'

In questa scelta si misura la serenità di tanti, che si affidano al pane del Cielo, e la tristezza di chi si affida al pane della terra. Quanta gioia si prova quando si riceve Gesù che si fa nostra carne e così comunica la sua Pace. Ma quanti, tra noi cristiani, ne fanno davvero esperienza, se ne accorgono? Torna alla mia mente il detto dei martiri di Abilene, quando dissero al giudice, che esigeva rinnegassero l'Eucarestia, per avere salva la vita: 'Senza domenica non possiamo vivere', che è quanto dicono tanti fratelli e sorelle: 'Senza Comunione non possiamo vivere.'

Forse è un dono da meritare con la fede, quello di sapere entrare nello spirito della fiducia totale in Gesù. Sappiamo dal Vangelo che di fronte all'affermazione di Gesù: 'Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna' – incomprensibile allora e forse anche oggi – 'Quanti lo seguivano si allontanarono e non tornarono più.'

Gesù, amareggiato da quella incomprensione, si rivolse ai Dodici, che lo seguivano, e chiese: 'Volete andarvene anche voi?'. Quanta amarezza in queste parole! Ed è la stessa amarezza che, credo, provi nel vedere tanti cristiani 'snobbare' l'Eucarestia oggi. Cristiani che davanti alla Messa e alla Comunione... se ne vanno e non tornano più. Ci siamo anche noi, a volte, tra costoro?

Toccherà a Pietro dire le parole che toccarono il cuore di Gesù e vorremmo fossero le nostre: ‘Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna.' Sono le parole di tanti cristiani pronti a rinunciare a tante cose del mondo, soprattutto la domenica, ma mai e poi mai a perdere il dono dell'Eucarestia. Scriveva il nostro Paolo VI:
  • Ora un'osservazione pare evidente su l'impiego raffinato ed intenso dell'intelligenza nel mondo moderno, che esso è governato da scopi pratici. Non esistono più studiosi contemplativi, non più oranti, non più profeti. Tutta l'attività spirituale dell'uomo è rivolta o a scopi utilitari o a scopi edonistici. Il che significa che l'escursione del pensiero umano è una grande parabola che ricade sulle cose esteriori inferiori, e si attarda in soddisfazioni soggettive, inclinate verso esperienze animali. È la parabola della morte. È la ricerca del cibo che perisce. È la conquista del pane che sazia i pellegrini morituri: manna sì, discesa dal cielo dello spirito, ma priva di immortalità. L'Eucarestia a questo punto è come un paradosso inatteso, si preannuncia con l'annuncio dell'immortalità: cibo di vita eterna... Il fedele, nutrito del pane celeste, prova un'esperienza nuova e originale, avente in sé ogni delizia. E Sant'Ambrogio dirà di quel pane: 'In te c'è una spirituale allegrezza celeste'.
Ma a volte manca questa spirituale allegrezza, che confessa la nostra mancanza di 'cibo celeste', e ci fa sentire quanto è duro vivere, come avvenne ad Elia:
  • Elia si inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto un ginepro. Desideroso di morire, disse: 'Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri.' Si coricò e si addormentò sotto il ginepro. Allora ecco un angelo lo toccò e gli disse: 'Alzati e mangia!' Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio di acqua. Mangiò e bevve, quindi tornò a coricarsi. Venne di nuovo l'angelo del Signore, lo toccò e gli disse: 'Su mangia, perché è troppo lungo per te il cammino.' Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti, fino al monte di Dio, l'Oreb. (I Re 19, 4-8)
È davvero toccante questo episodio e si addice a tante situazioni, in cui a volte ci veniamo a trovare: situazioni così difficili che viene la voglia di dire 'basta' a tutto e a tutti. Chi non ha conosciuto questi momenti, in cui si è manifestata, non solo tutta la nostra debolezza, ma anche la voglia di 'gettare la spugna', che risolve nulla. Ad Elia, perseguitato, viene incontro l'angelo e porta pane e acqua. Facile accostare questo esempio, di ritrovata volontà di continuare a lottare e vivere, nel dono del 'pane eucaristico', ossia l'Eucarestia.

Quante persone conosco, che sanno ricorrere a questo dono, per avere la forza di continuare a vivere, con fedeltà e serenità, nonostante le fatiche e i dolori! Quanti malati hanno trovato il sorriso della speranza nutrendosi del 'pane del Cielo'! Con Madre Teresa preghiamo:
  • Signore, Tu sei la Vita che voglio vivere,

    la Luce che voglio riflettere,

    il Cammino che conduce al Padre,

    l'Amore che voglio amare,

    la Gioia che voglio condividere e seminare attorno a me.

    Gesù, Tu sei Tutto per me, senza di Te non posso fare nulla.

    Tu sei il Pane di vita, che la Chiesa mi dà.

    È per Te, in Te, con Te, che posso vivere.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » mar set 01, 2009 10:12 am

      • Omelia del giorno 15 Agosto 2009

        Assunzione della Beata Vergine Maria (Anno B) (Anno B)



        Maria Assunta in Cielo: una mamma che ci attende
L'Assunzione è la grande festa, che dà un senso, anche se non lo vogliamo, al momento di festa, di riposo e di quanto altro chiamiamo ferragosto. Il ferragosto raggiunge tutti e sa come cambiare il volto delle nostre città e, se vogliamo della nostra vita feriale, cercando di darle un volto diverso, di gioia, purtroppo a volte smodata, che va oltre i confini del lecito e della dignità. Non è così che si fa festa.

La vera gioia non può essere delegata al chiasso senz'anima, alle manifestazioni, che a volte bandiscono ogni moralità, quasi esaltando la trasgressione, che è stravolgimento dei valori dell'uomo e dell'umanità.

All'interno di questo momento di riposo e di festa, che rompe con la monotonia della vita, diventata ancora più triste, quest'anno, per la crisi economica che genera insicurezza in tanti, la Chiesa pone una grande solennità che è l'annuncio di cosa ci aspetta dopo il nostro cammino di vita: una vita, che non dovrebbe essere una costruzione della casa sulla sabbia, come direbbe Gesù, ma sulla roccia; una vita protesa oltre i confini di 'questo breve momento', per sconfinare nell'eternità, da cui siamo venuti ed a cui dobbiamo tornare con le carte in regola, davanti a Chi ci ha fatto dono della vita stessa, Dio.

Siamo stati creati per amore, dobbiamo vivere per l'Amore, volando alto, senza fermarci alle cose che non sanno cosa sia l'eternità. La festa di Maria Assunta in Cielo è il richiamo alla vita eterna, alla vera ragione della nostra faticosa esistenza., questa 'valle di lacrime'.

È pericolosa miopia vivere con gli occhi continuamente attratti da ciò che finisce ed è senza futuro, come la bellezza fisica, la ricchezza, il benessere, il potere, la gloria e quanto vogliamo. La vera sapienza è vivere con i piedi a terra, ma con gli occhi al Cielo.

Così doveva certamente essere la vita di Maria Santissima, la nostra cara Mamma. Una vita vissuta nella pienezza della Grazia - l'Immacolata -, ma senza sfuggire ai suoi compiti di sposa, di madre, nella semplicità della vita di Nazareth, seguendo il Figlio nella sua predicazione, con la discrezione di una mamma, ma non esitando a stargli vicino 'sotto la croce', con un amore che vive il Figlio senza paura - l'Addolorata - per poi gioire della Sua resurrezione, dell'inizio della Chiesa con la Pentecoste, attendendo, come tutti noi, il ritorno al Padre, presso il Figlio - l'Assunta.

Uno 'stile' di vita proposto da una Mamma a tutti noi suoi figli. È meraviglioso sapere che la nostra vita non è un vicolo cieco, ma una strada che, superato il limite della morte, trova la sua eternità in Cielo. Vale la pena di far echeggiare nel nostro cuore il canto di Maria, perché diventi in qualche modo il modello della nostra vita di figli:
  • L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore, perché ha guardato l'umiltà della sua serva,

    d'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

    Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente, e Santo è il suo Nome;

    di generazione in generazione la Sua Misericordia si stende su quelli che lo temono.

    Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore, ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili;

    ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.

    Ha soccorso Israele sua servo, ricordandosi della Sua Misericordia...
Mi affido ad una riflessione del caro Paolo VI su Maria Santissima Assunta:
  • Noi viviamo in un periodo in cui l'attrattiva delle cose naturali si fa assai suggestiva: natura, scienza, tecnica, economia e godimento impegnano potentemente la nostra attenzione, il nostro lavoro, la nostra speranza, e la fecondità meravigliosa che l'ingegno e la mano dell'uomo hanno saputo trarre dal seno della terra; ci ha procurato beni, ricchezze, cultura, piaceri, che sembrano saziare ogni nostra aspirazione, e che sembrano corrispondere perfettamente alle nostre facoltà di ricerca e di possesso. Le parole del Vangelo dicono il rimprovero di Gesù a Marta, troppo sollecita delle cose materiali. Qui è la vita, dice la nostra faticosa speranza, e qui si ferma il nostro amore. E quando è così — come spesso lo è — non siamo più capaci di pregare, di aspirare alle cose trascendenti e supreme, di porre la nostra speranza al di là del quadro della nostra immediata esperienza. Il mondo della religione ci sembra vano: quello soprannaturale poi, al quale noi siamo effettivamente destinati, inconcepibile. L'idea della Madonna Assunta che di là ci osserva e ci attende, ci sembra strana e forse importuna. E invece certamente quella Beatissima, se ancora fosse capace di trepidazione e di lacrime, soffrirebbe per noi, vedendoci intenti ad altri fini che non sono quello che a Lei ci conduce. Soffrirebbe dolorosamente vedendoci fermi e distratti sul sentiero, che invece dovrebbe stimolare i nostri passi verso la mèta, dove Lei ci aspetta.

    In altri termini siamo gente tutta occupata dai desideri e dagli affari di questo mondo, come se altro noi non dovessimo cercare e amare. Così noi non siamo più spiriti veramente religiosi, che concepiscono la contingenza radicale delle cose presenti e non siamo più allenati ad estrarre i valori superiori, che sono quelli connessi con il nostro eterno destino, nel rapporto, che pur dobbiamo cercare, per perfezionare le cose presenti, le quali sono solo prodighe a noi di valori, magari utili, ma non definitivi.

    Ecco allora il ricordo dell'Assunzione di Maria fa risuonare nelle nostre anime quasi uno squillo di trombe celesti, una chiamata che parte di là, dall'altra riva della vita, quella oltre il tempo e oltre il quadro del nostro mondo naturale: quella dell'eternità e della vita soprannaturale nella sua dispiegata pienezza.

    Così l'Assunzione ci obbliga con suadente invito a verificare se la via che ciascuno di noi percorre, è rivolta verso il sommo traguardo e a rettificarla decisamente verso di esso. Maria allora ci chiami. Maria ci dia la fede nel Paradiso e la speranza di raggiungerlo. Maria ci aiuti a camminare per la via di quell'amore che a quel beato termine conduce. Maria ci insegni ad operare con bravura e con dedizione, sì, nella cura delle cose di questo mondo, che ci danno il programma dei nostri immediati doveri, ma Maria ci dia insieme la sapienza e la povertà di spirito, che tengano liberi i nostri cuori e agili i nostri animi per la ricerca dei beni eterni. (15 agosto 1961)
Si respira davvero in ogni parola quella nostalgia che l'uomo, che 'conserva gelosamente la sua natura di figlio di Dio', sente per la 'Casa', quella vera, dove la vita è piena e noi ci sentiamo realizzati. D'altra parte, mi chiedo sovente: 'Che senso avrebbe essere nato, se non si sapesse perché si è nati?'. Se è il Padre a donarci la vita, sicuramente ha una via che devo percorrere e su cui realizzo la Sua volontà, per raggiungerlo ed essere con Lui in Cielo. Ma oggi siamo spesso come travolti dai tanti 'ingannevoli paradisi del mondo', che non hanno futuro, per cui rischiamo di affidarci a loro, perdendoci. Con don Tonino Bello prego:
  • Santa Maria, donna dell'ultima ora, disponici al grande viaggio.

    Aiutaci ad allentare gli ormeggi senza paura.

    Sbriga tu stessa le pratiche del nostro passaporto.

    Se ci sarà il tuo visto, avremo più nulla da temere alla frontiera.

    Aiutaci a saldare con i segni del pentimento e con la richiesta del perdono le ultime pendenze nei confronti della giustizia di Dio.

    Procuraci tu stessa i benefici dell'amnistia,

    di cui Egli largheggia con regale Misericordia.

    Mettici in regola le carte, insomma, perché, giunti alla porta del Paradiso, essa si spalanchi al nostro bussare.

    Ed entreremo finalmente nel Regno.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » mar set 01, 2009 10:18 am

      • Omelia del giorno 23 Agosto 2009

        XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Signore, da chi andremo?
Se c'è un atteggiamento che urta nei nostri rapporti quotidiani, dalla famiglia agli amici, alla politica, è la mancanza di chiarezza nel dialogo, soprattutto quando questo chiama a scelte di vita, che non ammettono ambiguità o silenzi o incomprensioni. A volte nel proporci qualche cosa, si ricorre a giri di parole, che alla fine sanno solo di compromessi pericolosi, fino a togliere credibilità e bontà. Non è così per Gesù e non potrebbe esserlo per Lui, che è la Verità che si comunica a noi uomini, che abbiamo sete di verità, anche se fanno male, perché non è concepibile una vita basata sulla menzogna o sulla ignoranza.

Nel Suo rapporto di divina amicizia con noi - un'amicizia che è fondamento di salvezza - Gesù parla con la lucidità della verità, senza alcun velo, in modo che il nostro 'sì' o 'no' sia totale: non vi sia insomma nessuna scusante per un ‘ni', impossibile e assurdo in un rapporto fondato sulla vera amicizia. Quando si parla 'senza dannosi veli', ci si può trovare di fronte ad un 'discorso duro', cosa che capita anche tra di noi, quando la carità sí fa dono a chi si ama o a chi si vede fuori strada. Facile, ma ingannevole, parlarsi senza dire niente: è come mettere un grande sipario che nasconda il reale teatro interiore della nostra vita.

D'altra parte un 'parlare chiaro' esige sempre sincero amore alla verità, spirito di umiltà e carità. A volte stare zitti, per non avere fastidi o rifiuti o peggio, è come recitare la parte del 'sacerdote', raccontata da Gesù nella parabola del buon Samaritano, che 'vede' il semivivo abbandonato sulla via dai ladri e 'passa oltre'. Quanti fratelli e sorelle potremmo 'salvare' solo se avessimo il coraggio, tutti, di usare il linguaggio della verità nella carità. Ma si preferisce non avere fastidi e così si tessono conoscenze, o cosiddette amicizie, fasulle, fondate sul vuoto del mancato dialogo.

Nel Vangelo di oggi, continuando il discorso sulla Eucaristia, Gesù fa esperienza dell'incomprensione e del rifiuto. Gesù aveva offerto il massimo dell'amore: 'farsi pane' della nostra vita, farsi mangiare perché potessimo assaporare la forza, la bellezza di una vita, sapendosi amati al punto che il nostro Dio si fa nostra carne. Poteva dare di più, Dio, a noi uomini, che siamo assetati non di parole o gesti banali, ma dell'Amore totale ed assoluto? Quell'amore che entra nelle ossa e diventa gioia di vivere, se è vero, com'è vero che il 'pane' di cui tutti abbiamo bisogno è l'amore?

È già grande gioia quando sperimentiamo l'amore sincero di una persona cara. Cosa dire, poi, se questo Amore, che ci si offre, è la Vita, la Carne e il Sangue di Dio stesso? Quanti accorrevano in folla a Gesù, certamente erano attratti dalla sua divina personalità: uno che era diverso, venuto direttamente dal Cielo e non un povero uomo come noi, che abbiamo poco da offrire, anche quando amiamo.

Gesù si imponeva per l'autorevolezza della Sua Parola e la testimonianza continua della sua carità, a differenza degli uomini del suo tempo - e anche del nostro -. Un'autorevolezza che sgorgava dal suo 'essere' la Verità, di cui tutti abbiamo sete. Era un punto di riferimento - diremmo noi - o, se vogliamo, una fonte di speranza, per tanti, troppi, che sguazzavano nella disperazione... come oggi.

È impressionante, leggendo il Vangelo, vedere come le folle Lo cercassero e, per trovarlo, venissero da ogni parte, mettendolo al centro della vita, fino a togliergli il tempo per mangiare o dormire. E a queste folle 'affamate di amore', Gesù dava sempre una risposta di speranza e di fiducia, con l'annuncio della Buona Novella, racchiuso in poche certezze: 'Dio, il Padre, vi vuole bene, un bene così grande da mettere in gioco la vita del Figlio prediletto, fino a consumarla totalmente con la crocifissione e la morte, per poter farvi partecipare della Sua Vita, nella resurrezione'.

E Gesù non esitava a moltiplicare í segni della carità del Padre nei miracoli, guarendo ogni tipo di malattia, moltiplicando i pani, risuscitando persino i morti, creando attorno al Suo Vangelo-Annuncio un'atmosfera di concreto amore. Un'atmosfera che le folle respiravano a pieni polmoni, fino a farsi coinvolgere totalmente, lasciando tutto pur di stargli vicino.

Ma se era facile entrare in un amore che nutriva il corpo, ossia era fatto di segni diretti a questa nostra vita tribolata dalla fame, dalla sete, dalla malattia, non era altrettanto facile farsi coinvolgere ed entrare in un amore che interpellava il cuore, le scelte della vita. Così, quando, dopo la moltiplicazione dei pani, passa bruscamente all'offerta del Pane della vita, ossia del Suo Corpo e del Suo Sangue, la mente delle folle si confonde... come la nostra!
  • In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue non avrete in voi la vita eterna....Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. (Gv. 6, 51-59)
È quanto ancora oggi Gesù offre a noi nell'Eucarestia e noi riceviamo nella Santa Comunione. Parole che davvero suscitano immenso stupore in chi davvero crede e fanno dire: 'Davvero Gesù con il suo Corpo, la Sua Vita, viene a me e si fa mia vita?'. Un dono che dovrebbe far sussultare di gioia chi crede: 'Signore, dammi sempre questo pane!' Ma è davvero così? Se onestamente riflettiamo sulla nostra fede e quanta parte nella nostra vita abbia la Santa Comunione, ci accorgiamo di essere davvero 'uomini di poca fede'.

A volte io stesso mi stupisco come la Chiesa, un tempo e oggi, ricordi a noi questo grande Dono, chiedendoci di riceverlo 'almeno una volta a Pasqua?! Quando tutti sappiamo, o dovremmo saperlo, che si può fare a meno qualche giorno del pane della terra, ma è difficile fare a meno del Pane del Cielo, che è il segreto della gioia interiore e la forza di vivere, soprattutto nelle difficoltà. L'esperienza mi dice che altro è vivere ogni giorno del Pane del Cielo, altro è vivere soli con le nostre debolezze. Di fronte a tanto amore mi viene da mettermi nel Cuore di Gesù e vivere la grande amarezza del rifiuto. Cosa poteva dare di più? Questa amarezza è il Vangelo di oggi:
  • In quel tempo, molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: 'Questo linguaggio è duro: chi potrà intenderlo?: Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: 'Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dove era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra di voi che non credono'. Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con Lui. Disse allora Gesù ai Dodici: 'Forse anche voi volete andarvene?. Gli rispose Simon Pietro: `Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio' (Gv. 6, 61-70)
C'è tanta tristezza nelle parole del Maestro: e come non provarla nel vedersi incompreso proprio nel memento in cui offre l'incredibile, non un amore superficiale, ma il Pane della vita, Se stesso. Sembra impossibile che tanta gente, che gli era stata vicina per tanto tempo, aveva riposto in Lui ogni speranza, fino a seguirlo da vicino, aveva assaporato il gusto stupendo della Sua amicizia, che era il dono di Sé, abbia poi fatto marcia indietro, abbandonandolo per sempre.

Viene da chiederci – è una domanda che ciascuno di noi deve avere il coraggio di rivolgersi personalmente - : Perché avevano, abbiamo, seguito Gesù? Cosa speravano, speriamo, da Lui? Chi era Gesù per loro, per noi? Sono domande che sorgono spontanee anche oggi, di fronte alle statistiche, secondo le quali tanti fratelli nella fede, senza una ragione plausibile, dall'oggi al domani, lasciano Gesù, svuotando così le nostre assemblee liturgiche.

Uno staccarsi che è forse 'delusione', perché nel rapporto con Dio non hanno ottenuto ciò che chiedevano di materiale? Uno staccarsi che è 'scontento', per non essere riusciti a cambiare la natura del Cuore di Dio, piegandolo ai capricci di questa vita terrena, che non porta da nessuna parte? Uno staccarsi che è la 'pretesa' di sapere cosa è meglio per noi e l'incapacità di mettersi in ‘sintonia' con Dio, affidandosi a Lui, credendo che solo Lui, davvero, conosce quale sia il nostro vero bene?

Gesù non richiama chi se ne va e Gli volta le spalle. Non può compiacere l'uomo con dannosi compromessi, sarebbe tradirlo: l'amore è anzitutto fedeltà al bene. Si chiude nel suo silenzio, pieno forse di tristezza, ma non per Sé, ma per chi si allontana, rischiando di diventare presto una... 'pecorella smarrita'! Si volge poi a coloro che sono rimasti e hanno bisogno di essere confermati nella loro scelta. ‘Volete andarvene anche voi?'.

È pronta la risposta di Pietro: 'Da chi andremo?' Deve diventare la nostra risposta convinta ed appassionata. La Chiesa, come a confermare che la risposta di Pietro dovrebbe essere la nostra, ci offre un brano di Giosuè:
  • Giosuè radunò tutte le tribù di Israele in Sichem e convocò gli Anziani d'Israele, i capi, i giudici e gli scribi del popolo che si presentarono davanti a Dio. Giosuè disse a tutto il popolo: 'Se vi dispiace di servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire: se gli dei che i vostri padri servirono oltre il fiume oppure gli dèi degli Amorrei, nel paese dei quali abitate. Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore'. Allora il popolo rispose e disse: 'Ungi da noi l'abbandonare il Signore per servire altri dèi! Poiché il Signore nostro Dio ha fatto uscire noi e i padri nostri dal paese d'Egitto, dalla condizione servile, ha compiuto questi grandi miracoli davanti ai nostri occhi e ci ha protetti per tutto il viaggio che abbiamo fatto e in mezzo a tutti i popoli fra i quali siamo passati. Perciò anche noi vogliamo servire il Signore, perché Egli è il nostro Dio. (Giosuè 24, 1-18)
Oggi il Signore chiede anche a noi se vogliamo andarcene o accogliere il Suo Dono? Qual è la risposta?



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » mar set 01, 2009 10:27 am

      • Omelia del giorno 30 Agosto 2009

        XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        La verità dell'uomo è nel suo 'cuore'
È fuori dubbio che attualmente - ma è sempre stato così, cambiano solo i modi esterni - molta gente, troppa, si comporta in modo a volte davvero ributtante. Ci stiamo lasciando alle spalle un'estate, che tutti temevamo castigata per la crisi, ma poi i mass media, che cercano di nascondere la verità della vita, hanno amplificato nelle manifestazioni - e quel che è ancora peggio sottolineando quasi con compiacenza - la disinvoltura dei costumi, senza rispetto all'etica che deve essere la vera bellezza dell'uomo o della donna, credente o no. E non solo in questo ambito, ma in tutti i comportamenti dell'uomo, si ha l'impressione di non intenderci più su quello che veramente è buono e giusto e su quello che non lo è.

Alle esclamazioni scandalizzate, da una parte, che affermano: Non c'è più né legge né fede!, si risponde dall'altra: 'Ma che male c'è?'. Pare che tanti abbiano l'idea che andando in vacanza, si possono 'mandare in vacanza' anche quelle norme che sono il vero volto della nostra bellezza. E fa davvero male quel non dare più nessun peso alla dignità, che è il meraviglioso abito della vera personalità, per la sfacciata voglia di farsi notare e mettersi in mostra.

Ma accanto alla sfacciata immoralità, vi è un altro atteggiamento altrettanto riprovevole, che Gesù bolla con dure parole, ed è l'ipocrisia, mostrare cioè quello che non si è. Lo racconta bene il Vangelo di oggi:
  • In quel tempo si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni scribi venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde – cioè non lavate, i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati le mani fino al gomito, attenendosi alle tradizioni degli antichi e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature dei bicchieri, stoviglie e oggetti di rame – quei farisei e scribi lo interrogarono: 'Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?'. Ed egli rispose loro: `Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: 'Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate le tradizioni degli uomini'.

    Chiamata di nuovo la folla, Gesù diceva loro: 'Ascoltatemi tutti ed intendete bene: non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo. Dal di dentro, infatti, dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnie, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo (Mt 7, 1-23).
Gesù mette a nudo il nostro cuore, che considera 'origine' del bene e del male. Non ci vuole molto, se si ha l'occhio puro e amante della verità, capire dagli atteggiamenti il bene o il male che il nostro cuore genera. Quando parliamo del cuore dell'uomo non intendiamo riferirci al muscolo cardiaco, che è la vita del corpo. E neppure al fluttuare dei sentimenti. Per 'cuore' intendiamo il centro dei progetti, che il Signore ha come depositato in ciascuno di noi: un bene che ha origine dal Suo stesso cuore e si esterna nelle azioni o nelle parole, negli stessi sguardi, coinvolgendo tutto quello che si è.

Come è facile, a volte, incontrare persone che - ci si accorge subito - hanno la chiarezza di cuore in quello che dicono o fanno. In questa dimensione, seguire 'la legge del cuore' - e dovrebbe essere la norma dei nostri comportamenti - è lo stesso che 'seguire la legge dell'amore, che Dio dona a noi' e noi, 'con tutto il cuore' la doniamo agli altri. Dio solo sa quanto ci sia bisogno che tutto quello che facciamo, diciamo, doniamo agli altri, sia l'espressione di un cuore semplice e pulito! È come donare un raggio di cielo, anche solo con uno sguardo, una parola.

Ma è anche difficile mantenere 'pulito il cuore' dalle tante tentazioni che si hanno. Occorre una disciplina costante, come è sempre nei santi, anche 'feriali'. Siamo forse abituati a difenderci stupidamente con l'ipocrisia, ossia a fermarci solo a ciò che appare, che non ha alcun senso, se non è ispirato dalla sapienza del cuore. Tante volte siamo abituati a nascondere dietro i nostri atteggiamenti, apparentemente irreprensibili, vere mostruosità. Certi silenzi 'educati' o certe 'mezze frasi' sono, a volte, o vogliono essere schiaffi sferzanti indirizzati a fare il più grande male possibile. Certe giustizie 'esterne' sono solo vere coperture di grandi ingiustizie. Certe condotte 'irreprensibili' altro non sono che raffinati modi di tenere nascoste coscienze che sono veri letamai.

E tutto questo Gesù lo chiama ipocrisia. Afferma il nostro grande Paolo VI, che conosceva bene l'uomo di oggi:
  • Siamo in un periodo di lassismo morale, veramente grave e non affatto conforme alla retta interpretazione del vero senso umano e cristiano.

    Ma, sessualismo degradante, edonismo frivolo e passionale, culto della violenza e della ribellione nell'ambito della convivenza, arte del furto e dell'estorsione, e poi la droga con i suoi criminali commerci, minacciano davvero di avvilire il livello morale della nostra generazione.

    È perduto il senso morale? No, speriamo di no.

    Forse in alcune di queste anormali e sconcertanti manifestazioni, si nasconde una reazione a false condizioni di vita associata, a ipocrisie farisaiche, nel pseudo-ordine sociale e morale, al vuoto pedagogico di scuole materialistiche e agnostiche. Ma dobbiamo noi cristiani, noi cattolici, correggere la facile piega al conformismo ideologico e pratico. Ricordiamoci che la 'scala morale di Gesù, non discende, ma sale: è la scala 'dei più' e non del 'meno’. (14 luglio 1971)
Liberarci dal male dell'ipocrisia e rendere libero il cuore di aprirsi al bene, non significa solo cercare di avere una condotta buona davanti agli uomini, osservare tradizioni e modi di pensare o norme degli uomini, ma è soprattutto il vestito pulito di ciò che 'siamo dentro'. Se infatti 'dentro' siamo 'luce', questa si riflette 'fuori'. Così ci avverte l'apostolo Giacomo, oggi:
  • Fratelli miei carissimi, ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall'alto e discende dal Padre della luce, nel quale non c'è variazione né ombra di cambiamento. Di sua volontà ci ha generati con una parola di verità, perché noi fossimo come una primizia delle sue creature. Accogliete con docilità la Parola che stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime. Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo. (Gc. 1, 17-27)
Così oggi preghiamo la Mamma Celeste con le invocazioni di L. Grandmaison:
  • Santa Maria, Madre di Dio,

    conservami un cuore di fanciullo puro e limpido come acqua di sorgente.

    Ottienimi un cuore semplice, che non si ripieghi ad assaporare le proprie tristezze. Ottienimi un cuore magnanimo nel donarsi, facile alla compassione.

    Un cuore fedele e generoso, che non dimentichi alcun bene

    e non serbi rancore di alcun male.

    Donami un cuore dolce e umile, che ami senza esigere di essere riamato.

    Un cuore contento di scomparire in altri cuori,

    sacrificandosi davanti al tuo divin Figlio.

    Dammi un cuore grande e indomabile,

    così che nessuna ingratitudine lo possa chiudere,

    nessuna indifferenza lo possa stancare.

    Donami un cuore tormentato dalla gloria di Gesù Cristo, ferito dal Suo Amore, con una ferita che non si rimargini se non in Cielo.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 04, 2009 2:02 pm

      • Omelia del giorno 6 Settembre 2009

        XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Beati voi, poveri in spirito
“Credevamo di essere ricchi, o meglio di stare bene”, si sente spesso dire, oggi, ed invece la crisi economica ha messo a dura prova la sicurezza materiale, - tranne per alcuni ‘privilegiati’, davvero ricchi - e ci fa compiere un passo indietro nelle nostre certezze di benessere acquisito. È più che giusto che il nostro pensiero e la carità della Chiesa - come sta avvenendo in tante diocesi con prestiti agevolati o in altri modi - si faccia vicino a chi davvero non sa come sostenere la famiglia, o perché disoccupato o per i pochi mezzi.

È in questi momenti che, al posto dell'egoismo del benessere, dovrebbe, per noi cristiani, sorgere il dovere della generosità, ossia la capacità di farsi prossimo a chi non sa più come affrontare la vita quotidiana. È davvero il momento della carità o, se volete, della beatitudine della povertà, proclamata da Gesù. È quanto oggi ci insegna l'apostolo Giacomo nella sua lettera:
  • Fratelli miei, non mescolate a favoritismi personali la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore dello gloria. Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcun con un anello d'oro, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: Tu siediti qui comodamente e al povero dite: Tu mettiti in piedi lì oppure: Siediti qui ai piedi del mio sgabello, non fate voi stessi preferenze e non siete voi giudici dai giudizi perversi? Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri del mondo per farli ricchi nella fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che Lo amano? (Gc 2, 1-5).
Chi non ricorda quella dignitosa povertà di spirito e di mezzi, che era la veste nuziale di un passato, povero di cose, ma ricco di amore, di fede? ‘Si stava bene - mi diceva mamma, esperta nella povertà - quando si stava materialmente male. Ora che abbiamo tutto, si sta davvero molto male spiritualmente e come cuore'. Affermava Paolo VI, riferendosi alla povertà che Gesù aveva scelto come stile di vita:
  • La povertà è da Cristo onorata: bisogna che la onoriamo anche noi. Dobbiamo onorarla, non maledirla, non disprezzarla, come condizione di vita, cioè come stato di povertà, tanto se tale stato di vita sia nostro, sia quando lo vediamo nei fratelli.

    E dobbiamo onorarla come virtù, cioè come volontaria disposizione di animo, che lo libera dall'attaccamento ai beni temporali e lo dirige verso beni spirituali e verso la pratica della carità. Oggi la povertà è oggetto di lodevolissimo interesse. Importante, perché impegna tutti; difficile, perché, più o meno, tutti, specialmente nel nostro mondo moderno, siamo assorbiti dalla vita economica. Né a questa vita economica si deve abdicare, sì bene la si deve ragionevolmente promuovere, perché legge della vita umana.

    Ma poveri in spirito, se vogliamo essere ricchi di carità, se vogliamo essere cristiani, e, alla fine, se vogliamo essere veri e civili, dobbiamo pur diventare. Poveri in spirito vuol dire essere liberi di spirito rispetto a quelle ricchezze che non possono assolutamente formare lo scopo vero ed unico della vita. Liberi, cioè capaci di dominare quei beni temporali, che tanto impegnano la vita, così da non essere dominati.

    Chi possiede, spesso è posseduto dalle sue ricchezze e dalle preoccupazioni che esse portano con sé. Difficile virtù, oggi, la povertà di spirito, perché la ricchezza da conquistare, da accrescere, da godere, ha invaso il cuore umano; ecco perché il cuore langue. Il materialismo di chi lotta per raggiungere una ricchezza che non ha, non è diverso dal materialismo di chi manovra per mantenere egoisticamente e per godere edonisticamente una ricchezza che già ha: e forse questo è peggiore perché più sazio di sé. Difficile virtù, ma ci è raccomandata, comandata anzi, dal codice della salvezza, che è il Vangelo. (Natale 1959)
E non è davvero una virtù, la povertà in spirito, che è nuova. L'ha sposata Gesù, Figlio di Dio, 'Colui da cui tutto è stato fatto e senza il quale nulla è stato fatto', dalla nascita a Betlemme, fino al totale dono di sé sulla croce.

La povertà in Gesù è totalità di amore. Lui, Dio fatto uomo, - come è nella lettera di san Giacomo – non ha cercato nel 'banchetto della vita' il primo posto, ma l'ultimo. È la natura stessa dell'amore, che mette sempre al primo posto il fratello, soprattutto se bisognoso, scegliendo di diventarne servo. È stata la scelta di tutti i santi: ricordiamo come san Francesco d'Assisi chiami la povertà 'sorella' e l'ha abbracciata totalmente.

Il mio fondatore, il beato Rosmini, apparteneva ad un casato molto ricco, a Rovereto: era ricco. Ma quando si sentì chiamato da Dio ad una vita consacrata, fondando l'Istituto della carità, scelse subito una dimora, conservata ancora oggi al Sacro Monte Calvario di Domodossola, che è l'immagine reale di una povertà inimmaginabile. Amava tanto la povertà, da definirla 'muro di sostegno della Chiesa'.

Ho sempre in mente, come icona, la povertà di Madre Teresa di Calcutta. Con lei ebbi il dono di parlare ai giovani e la incontrai in altre occasioni solenni, Ogni suo tratto era il canto della povertà in spirito. Così come per tutti i santi. E torna alla mente l'educazione alla povertà di casa mia, improntata ad una semplicità di vita materiale, fino a vivere tante volte la povertà; come mancanza dei necessario; ma aveva sempre la precedenza la ricchezza dello spirito e del dono.

E si propone a noi, che vogliamo farci discepoli del Signore, la visuale di una giustizia, improntata alla rivoluzione dei Vangelo, ovvero non basata su criteri distributivi ('a ciascuno il suo'), cioè secondo la sua produttività o il suo merito, ma di reale esigenza 'secondo il bisogno di ciascuno', come avveniva nelle prime comunità cristiane, narrate dagli Atti degli Apostoli:
  • Erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nella preghiera, e tenevano ogni cosa in comune: chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno (At 2, 42-45).
Non è certamente possibile, oggi, pensare e attuare quell'esempio dei primi fratelli nella fede, ma che si possa essere più aperti alle tante povertà che ci circondano, sarebbe davvero la testimonianza che essere cristiano è ben diverso che seguire le mode del mondo: è testimoniare che il nostro cuore non è una cassaforte chiusa alle grida di chi chiede aiuto, ma è una porta aperta, per quello che possiamo, e anche oltre ciò che possiamo.

Dietro ogni povero c'è sempre Cristo e chi chiuderebbe la porta in faccia a Cristo che bussa? Era lo stile di Gesù, che sapeva accogliere i poveri, gli ammalati, lasciando sempre un segno del Suo amore, senza 'suonare le trombe', anzi raccomandando il silenzio, perché il bene non deve mai voler far rumore. Racconta l'evangelista Marco:
  • Gesù, di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decapoli. E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano. E Gesù, portandolo in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il Cielo emise un sospiro e disse: Effatà, cioè Apriti!: E subito gli si aprirono gli orecchi e si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli li raccomandava, più essi ne parlavano e, pieni di stupore, dicevano: Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti (Mc 7, 31-37).
C'è da notare la delicatezza di Gesù, che accoglie il sordomuto, lo porta in disparte, come a dire che il bene non è mai spettacolo, prega il Padre e lo guarisce, ammonendolo di non parlarne ad alcuno. Il bene, come l'amore, non vuole e non ha bisogno di pubblicità! In sintonia con quanto detto, piace offrire ai miei amici una pagina di don Tonino Bello sulla Madonna:
  • Maria ha fatto una scelta di campo. Si è messa dalla parte dei vinti.

    Si è arruolata per così dire nell'esercito dei poveri. Qualcuno forse troverà discriminatorio questo discorso con l'universalità del suo amore e con la sua riconosciuta tenerezza per i peccatori.

    Maria non è come certe madri che, per amore del quieto vivere, danno ragione a tutti, e pur di non creare problemi finiscono con l'assecondare i soprusi dei figli più discoli. No.

    Lei prende posizione. Senza ambiguità e senza misure.

    Santa Maria, Donna di parte, come siamo distanti dalla tua logica!

    Tu ti sei fidata di Dio, e come Lui hai scommesso sui poveri, facendo della povertà l'indicatore più chiaro del tuo abbandono totale in Lui, il quale 'ha scelto ciò che nel mondo è stolto, per confondere i sapienti; ha scelto ciò che nel mondo è debole, per confondere i forti; ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla, per ridurre al nulla tutte le cose che sono’.

    Noi, invece, Maria, andiamo più sul sicuro. Non ce la sentiamo di rischiare.

    Sicché, pur declamando con la bocca i paradossi di Dio, continuiamo a fare assegnamento sulla forza e sul prestigio, sui denaro e sull'astuzia, sul successo e sul potere.

    Santa Maria, Donna di parte, noi ti preghiamo per la Chiesa di Dio, che, a differenza di te, fa ancora tanta fatica ad allinearsi coraggiosamente ai poveri.

    Aiutala ad uscire dalla sua pavida neutralità. ispirale accenti di fiducia.

    E mettile sulle labbra le cadenze eversive del Magnificat di cui a volte sembra abbia smarrito gli accordi.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 11, 2009 1:27 pm

      • Omelia del giorno 13 Settembre 2009

        XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Pensare secondo Dio
Non era certamente facile per gli apostoli conoscere in profondità Chi li aveva chiamati e capire esattamente la stessa generosità con cui loro avevano accettato l'invito di seguirLo. Forse erano semplicemente stati attratti dalla personalità del Maestro e suscita stupore come abbiano accolto il Suo invito, senza porsi tante domande. Non immaginavano neppure che cosa lontanamente li attendeva, ossia che sarebbero diventati le colonne della Chiesa, diffusa su tutta la terra. Capita anche a noi, forse, di avere accettato di essere cristiani, ma tante volte senza pienamente pensare che 'essere chiamati da Cristo a seguirLo' nel Battesimo, comporta poi un seguirlo nella vita, seriamente e con convinzione. Il Vangelo di oggi pone a noi la stessa domanda che Gesù fece ai suoi discepoli.
  • Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo, e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: Che dice la gente che io sia? Ed essi risposero: Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti. Ma egli replicò: E voi chi dite che io sia? Pietro gli rispose: Tu sei il Cristo. E impose loro di non parlarne con nessuno.
Difficile pensare chi fosse per i Dodici. Forse in quella risposta di Pietro vi era un sogno di grandezza umana, di un 'personaggio che avrebbe cambiato il mondo'. Ma le parole di Gesù li risveglia subito alla comprensione di una realtà più profonda, che avrebbe motivato tutta la vicenda del Maestro tra noi e per noi, e che non era nei sogni umani dei Dodici.
  • E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, per venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare Gesù faceva questo discorso apertamente.
E subito vi è la reazione di Pietro, che svela i sogni umani dei Dodici – e forse di tanti di noi – che avevano accettato di seguirlo, perché speravano di aver trovato Uno che risolve i nostri problemi e realizza i nostri - spesso troppo piccoli - sogni. È vero che il Padre ha cura di noi, ma sempre in ordine alla nostra santificazione, che è il grande dono di Gesù e che si raggiunge giorno per giorno con fede e amore.
  • Allora Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma Gesù, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: 'Lontano da me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!. Convocata la folla, insieme ai suoi discepoli, disse loro: 'Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuol salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà (Mc 8, 27-35).
Possiamo immaginare lo sgomento degli Apostoli nel vedere forse andare a pezzi i loro sogni di raggiungere traguardi di benessere e successo terreno, che nulla hanno a che vedere con la presenza e l'amore di Dio. Ma noi oggi – come loro – vorremmo confermare a Gesù il nostro amore senza limiti, con le parole di Paolo Vi, grande innamorato di Cristo:
  • Vi è una categoria di credenti, la nostra categoria, di gente che non solo accetta il Cristo della tradizione cattolica con pacifica e docile adesione, ma lo scopre con gioia, lo confessa con entusiasmo, lo proclama con fede, lo segue con amore. Sì, per misericordia sua e per fortuna nostra, ci siamo ancora noi, che non dubitiamo di credere in Lui, con tutta la Chiesa cattolica ed apostolica, invasa da gaudio immenso, a gridare: è Lui! È il Signore. Siamo, sì, sbattuti dal vento delle tante difficoltà, a cui oggi lo spirito, per il suo stesso progresso, è esposto: anche noi siamo fratelli di Tommaso, l'apostolo del Vangelo, che vorremmo certezze palpabili, che vorremmo misurare la realtà religiosa, con il metro cortissimo delle nostre nozioni, più o meno razionali; vorremmo, come sempre siamo abituati oggi a fare, almeno vederLo, toccarLo, noi così restii ad ammettere poi il miracolo, come la grande e celebre preghiera di Papini che a Cristo domandava: ‘’E' giunto il tempo in cui devi apparire a tutti noi e dare un segno perentorio a questa generazione...Sia pure un breve ritorno, una venuta improvvisa...un segno solo, un avviso unico, un baleno nel cielo, un lume nella notte...'. Vorremmo vederLo anche noi e divenire capaci di ripetere le parole della prima generazione cristiana: 'Vieni, torna Signore Gesù' (maggio 1962).
Ma, come a voler unire Gesù e la sua presenza negli uomini, a cominciare dai più deboli e poveri, l'apostolo Giacomo così ci avverte oggi:
  • Cosa giova, fratelli miei, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti, sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: `Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi', ma non dà loro il necessario per il corpo, che giova? Così anche la fede, se non ha le opere, è morta in se stessa. Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere. Mostrami la tua fede senza le opere ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede (Lettera Gc. 2, 14-18).
Com'è facile parlare, carissimi, di amore per i poveri! E per povertà intendo ogni forma di bisogno: mancanza di casa, di pane, di affetto, di lavoro, di comprensione. La povertà è sempre un 'vuoto' creato da mille circostanze, alle volte colpevole, alle volte no. Un vuoto che chiede di essere colmato dalla ricchezza dell'amore.

Di fronte alla povertà davvero l'amore a Cristo si esprime nella sua totalità, al punto che i poveri diventano la nostra ricchezza... sempre che consideriamo felicità il dare più che l'avere, il voler vedere vivi gli altri, anche se questo richiede il dono di noi stessi, della nostra vita. Può essere duro parlare di amore in questi termini, ma è il solo modo, quando si dà all'amore il vero significato evangelico, che è quello della condivisione. Come ha fatto del resto Dio che, per esprimere l'Amore a noi uomini - poveri, ma veramente miseri senza il Suo amore - ha condiviso totalmente in Gesù la nostra povertà, fino a dare la vita perché noi avessimo la pienezza di vita. Il Vangelo di oggi ci mostra come reagì Pietro, quando Gesù parlò di questa Sua condivisione, annunciando la Sua passione e morte, ma anche la presa di posizione del Maestro:
  • Gesù, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: 'Lontano da me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!
Secondo il pensiero di Dio, la parola condivisione espelle, una volta per tutte, il diffuso concetto di amore come elemosina, che è come uno sguardo distratto sulla povertà e non un chinarsi seriamente su chi è nella necessità, il povero, fino a preferire l'eliminazione della sua sofferenza rispetto ad ogni nostro interesse.

Vivendo nel Belice, nelle baracche, dopo il terremoto, mi sentivo come schiacciato dalle tante necessità della mia gente. L'amore mi portava a fare tutto il possibile - sempre per quel poco che un sacerdote può fare. Quante volte chiedevo almeno la solidarietà. Tentavo con un'energia e un coraggio, che ancora oggi non mi so spiegare, di fare capire che non chiedevamo compassione o altro, ma volevamo solidarietà, condivisione. Ma era un discorso che, il più delle volte, cadeva nel vuoto, se non nel disprezzo.

Ricordo una domenica, venni invitato in una città, che voleva conoscere il dramma irrisolto del Belice. Con dignità e forza proponevo la storia di tanti baraccati, che attendevano giustizia. Coglievo nell'aria una curiosità, che però non si spingeva oltre. Qualcuno poi si attendeva forse qualche filippica contro questo o quello e, di fronte ad un discorso che interpellava la coscienza, non nascondeva la delusione e il dissenso. Alla fine ci fu chi pensò bene di raccogliere le offerte. Tante monetine, che suscitarono in me sdegno, nel vedere come l'appello alla solidarietà era stato inteso come una richiesta di elemosina.

Non nascosi la mia amarezza, uscendo dalla chiesa, come se avessero offeso la mia dignità e quella della mia gente baraccata. Non avevo chiesto soldi, ma solidarietà. Mi vennero in mente le parole che l'apostolo Giacomo offre nella liturgia di oggi: 'Che giova, fratelli, se uno dice di avere fede, ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?'.

C'è davvero una profonda conversione da compiere in questo senso nelle nostre comunità parrocchiali. A volte appaiono chiuse in se stesse, disinteressate della povertà del vicino, al punto di non accorgersi delle lacrime che, molte volte, gli scavano il volto durante la Messa; al punto di non accorgersi che c'è chi sfiora l'abisso della disperazione, per tanti motivi, che a volte potrebbero essere rimossi con un briciolo di quel benedetto amore, che è la condivisione.

Bisognerebbe avere la capacità di abbattere le robuste mura che ci siamo costruiti per difendere la nostra tranquillità, in modo da diventare 'case aperte', 'mense imbandite' per chi passa e ha fame, sete, è ignudo, o, semplicemente non sa a chi affidare le proprie lacrime. Non resta che chiedere a Dio il dono della carità a tutto tondo, che sappia capire, accogliere tutti, con un cuore simile ad una mensa a cui tutti possono sedersi. Così pregava don Tonino Bello:
  • Santa Maria, donna di parte, noi ti preghiamo per la Chiesa di Dio,

    che, a differenza di Te, fa ancora fatica ad allinearsi coraggiosamente con i poveri. In teoria essa dichiara l'opzione preferenziale in loro favore.

    Ma in pratica, spesso rimane sedotta dalle manovre accaparratrici dei potenti. Aiutala a uscire dalla sua pavida neutralità.

    Mettile sulle labbra le cadenze eversive del Magnificat,

    di cui talvolta sembra abbia smarrito gli accordi.

    Te lo chiediamo per Cristo, nostro Signore.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » lun set 21, 2009 9:00 am

      • Omelia del giorno 20 Settembre 2009

        XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Essere ultimo e servo di tutti
Ci sono piaghe dolorose, che ci portiamo addosso tutti e che ereditiamo dal peccato originale. Nel paradiso terrestre, che ci era stato donato, dove regnava l'amore pieno, mise piede un giorno il serpente. Dio permise che i nostri progenitori fossero messi alla prova, perché così è giusto che sia, nella natura dell'amore, che è libero: una prova che consisteva nella scelta tra Dio e se stessi. Obbedienza e umiltà o orgoglio e superbia.

Sappiamo tutti come finì. Davanti alla tentazione di poter 'essere come Dio', solo attraverso la disobbedienza, non seppero resistere al fascino maledetto che è 'sentirsi grandi e potenti, come dei'. Non si accetta la realtà del nostro essere creature: l'uomo in sé è davvero piccolo e misero, insufficiente, ed acquista bellezza e dignità solo se sa riconoscere la sua miseria e fa posto a Chi è grande e da Cui sgorga la vera grandezza.

È terribile il male della superbia. È tragica la corsa che si fa in ogni capo per affermare una grandezza che è solo esteriore, se non addirittura dannosa. Così abbiamo le 'grandi potenze', i `grandi' della terra, i 'famosi', ma tutti constatiamo come spesso questa 'corsa' produce solo tanta povertà e tanta, ma tanta, gente che è umiliata, al punto da sentirsi ed essere considerata nulla: l'esercito dei miseri e dei poveri della terra, sgabello dei cosiddetti 'grandi'.

Dobbiamo essere sinceri con noi stessi: chi di noi non sente il 'veleno' del serpente, che è l'orgoglio? Nessuno vuole vestire l'abito 'dell'ultimo', ma solo quello 'del primo'... anche se poi la vera grandezza si scopre proprio negli ultimi: 'Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente… perché ha guardato all'umiltà della Sua serva', proclama Maria Santissima. Fa sempre tanta pena incontrarsi con chi non fa proprio nulla per nascondere la sua superbia, così come è quasi un toccare con mano la bellezza del Cielo, vivere ed incontrare chi ha il divino candore dell'umiltà, sa riconoscere il proprio nulla - pur essendo magari ricco di qualità e pregi umani - e fa posto a Chi davvero è tutto, diventando 'gloria del Dio vivente'.

È il Vangelo di oggi, come la lettera di Giacomo, ad aiutarci ad entrare nel mondo degli 'ultimi', che agli occhi di Dio sono 'i primi'. Narra l'evangelista Marco:
  • Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva i suoi discepoli e diceva loro: 'Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno: ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà'. Ma essi non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazione. Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa chiese loro: 'Di che cosa stavate discutendo lungo la via?: Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i dodici e disse loro: 'Se uno di voi vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti. E preso un bambino lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: 'Chi accoglie uno di questi bambini, accoglie me, ma chi accoglie me, non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato (Mc 9, 29-36).
Queste ultime parole mi fanno passare davanti agli occhi tanti bambini del nostro tempo, non nati, rifiutati, affamati, percossi, rimandati, dopo giorni sui barconi degli immigrati, senza capire, a morire 'a casa loro'! Di fronte a questi bambini, per noi a nulla valgono le parole di Gesù: 'accogliendoli, non accogliete Me, ma Colui che mi ha mandato'.

Mi incontrai un giorno con alunni di una scuola media, per un 'botta e risposta' spontaneo, che svelasse ciò che gli adolescenti pensano della vita, della fede, di tutto insomma. Erano ragazzi e ragazze, che nulla facevano per nascondere il loro 'culto del benessere'. Forse papà e mamma erano persone 'importanti'. Il dialogo si avviò con difficoltà, anche perché i ragazzi non sapevano cosa chiedere ad un vescovo, tanto più che ero stato presentato come uno 'che sta dalla parte degli ultimi' e, amando i poveri, passavo per 'un povero cristo'.

Tentai allora di avviare un dialogo con la descrizione dei valori della vita e, soprattutto, del grandissimo valore della presenza di Gesù nella nostra esistenza. Gli occhi di quegli adolescenti erano puntati su quello che dicevo e per loro era davvero un discorso duro e sconosciuto. A bruciapelo feci questa domanda: 'Chi vorrete essere nella vita da grandi?'. In coro fecero nomi di persone ricche e famose, che per lo più non conoscevo. Credendo di non essere stato capito, formulai in altro modo la domanda: 'Ammettiamo che voi desideriate veramente la vostra felicità, che è nella grandezza di essere figli di Dio. Vorreste essere come san Francesco d'Assisi, che da ricco divenne povero per sua scelta, o come uno sceicco d'Arabia che da povero divenne ricchissimo e famoso?'. Questa volta la risposta fu fulminea e quasi corale: 'Lo sceicco!'.

Quello che ho raccontato potrebbe sembrare un fatto isolato, che riguarda solo alcuni, che vanno compassionati. Ma nella storia dell'umanità si è sempre giocato al tragico 'essere primo', ossia il più importante, riducendo il senso della vita al potere, al successo, al prestigio. Lo stesso Gesù, nel deserto, fu tentato da satana a fare la parte del 'grande'. E furono tentati gli stessi discepoli, che non capivano il discorso di Gesù, che parlava di crocifissione, ossia consumarsi tutto, essere umiliato fino alla morte, per farci dono poi della resurrezione. Cosi parlava dell'umiltà Paolo VI:
  • L'uomo, nella concezione e nella realtà del cattolicesimo, è grande, e tale deve sentirsi nella coscienza, nel valore della sua opera, nella speranza del suo finale destino. Ma i suoi pensieri, il suo stile di vita, il so rapporto con i suoi simili, gli impone nello stesso tempo di essere umile. Che l'umiltà sia una esigenza, potremmo dire costituzionale, della psicologia e della moralità del cristiano, nessuno potrà negarlo. Un cristiano superbo è una contraddizione nei suoi stessi termini. Se vogliamo rinnovare la vita cristiana, non possiamo tacere la lezione e la pratica dell'umiltà...

    L'apparente contraddizione fra umiltà e dignità del cristiano, ha nel Magnificat, l'inno di Maria Santissima, l'umile tra tutte le creature, la più alta soluzione. E la prima soluzione è data dalla considerazione dell'uomo davanti a Dio. L'uomo veramente religioso non può non essere umile. L'umiltà è verità.

    Sant’Agostino che dell'umiltà ha un concetto sempre presente nelle sue opere, ci insegna che l'umiltà è da collocarsi nel quadro della verità. ‘Siamo piccoli e per di più siamo peccatori. - scrive S. Pietro - sotto la mano potente di Dio, affinché vi esalti nel tempo della sua visita; ogni nostra ansietà deponetela in Lui, perché Lui ha cura di voi'.

    Sono due i malanni della psicologia umana, colpevoli delle rovine più estese e più grandi dell'umanità: l'egoismo e l'orgoglio. È allora che l'uomo fa centro su se stesso nella estimazione dei valori della vita: egli si fa primo, egli si fa unico. La sua arte di vivere consiste nel pensare a se stesso e nel sottomettere gli altri. Tutti i grandi disordini sociali e politici hanno nell'egoismo tante capacità d'azione, ma l'amore non c'è più (febbraio 1975).
Saremo capaci di accogliere l'invito di Gesù a svestire gli abiti effimeri e bugiardi dell'orgoglio, per indossare l'abito semplice dei bambini? È qui davvero il segreto della nostra gioia, della speranza che questa umanità torni a ritrovare quella pace, che solo un cuore da bambino sa creare. E davvero fa bene, tanto bene, incontrare nella vita fratelli e sorelle di una tale semplicità di animo, che ti ridonano la bellezza di vivere con amore e per amore, e ti fanno vedere il Cielo che è ancora sopra di noi, tra di noi. Accogliamo l'invito dell'apostolo Giacomo:
  • Carissimi, dove c'è gelosia e spirito di contesa, c'è disordine e ogni sorta di cattive azioni. La sapienza che viene dall'alto, è anzitutto pura, poi pacifica, mite, arrendevole, piena di misericordia e di buoni frutti, senza parzialità, senza ipocrisia. Un frutto di giustizia viene seminato nella pace per coloro che fanno opera di pace. Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete, chiedete e non otterrete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri! (Gc. 3, 16)
Una dura lezione, ma necessaria esortazione a diventare tutti quei 'piccoli', o 'ultimi' del Vangelo, per assaporare la gioia del cuore dei bimbi, che sanno vedere ancora la bellezza del Cielo. Così pregava il caro don Tonino Bello:
  • Santa Maria, donna di parte, come siamo distanti dalla tua logica!

    Tu ti sei fidata di Dio e come Lui hai tutto scommesso sui poveri,

    affiancandoti ai poveri e facendo della povertà

    l'indicatore più chiaro del tuo abbandono in Lui,

    `che ha scelto ciò che nel inondo è nulla, per ridurre a nulla tutte le cose che sono'. Noi invece andiamo sul sicuro.

    Non ce la sentiamo di rischiare.

    Ci vogliamo garantire dagli imprevisti.

    Sarà pure giusto lo stile del Signore, ma intanto preferiamo la praticità della terra, terra dei nostri programmi.

    Continuiamo a fare assegnamento sulla forza, sul prestigio, sul denaro e sul successo. Quando ci decideremo, sul tuo esempio, a fare scelte umanamente perdenti,

    nella convinzione che solo passando sulla tua sponda

    potremo redimerci e redimere?


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » gio set 24, 2009 5:01 pm

      • Omelia del giorno 27 Settembre 2009

        XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Guai a chi dà scandalo!
Le parole, che oggi Gesù ci offre, sono un serio motivo di riflessione. Pesa quel 'Guai a chi dà scandalo'. È un male che colpisce e può lasciare il suo marchio per la vita. Leggiamo subito il Vangelo di Marco:
  • In quel tempo, Giovanni rispose a Gesù dicendo: 'Maestro abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri. Ma Gesù disse: ‘Non glielo proibite, perché non vi è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi, è per noi. Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel nome mio, perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa'.
E dopo avere fatte queste meravigliose affermazioni, che aprono tanto spazio a chi fa il bene – e ce ne sono tanti anche oggi, per fortuna – Gesù irrompe con un discorso duro, ma di grande attualità: un richiamo che mette rende tutti noi vigili e ci impone di interrogarci se per caso abbiamo comportamenti che meritano 'Guai!'.
  • Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato in mare. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo, è meglio per te entrare nella vita zoppo, che essere gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, càvalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo che essere gettato con due occhi 'nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. (Mc. 9, 37-47)
La Parola di Dio davvero scombina le nostre posizioni, in un tempo, oggi, in cui – è incredibile ed assurdo - 'fare scandalo è di moda', è diventato come un modo di affermarsi. Ognuno di noi, venendo alla vita, in fondo – anche se si crede autonomo ed autosufficiente - è `quel' bambino, di cui parla l'evangelista Marco: un piccolo essere, fragile, povero, inesperto, condizionabile, esposto alla tempesta dello scandalo che può abbattere in lui, a volte precocemente, ogni desiderio di 'grandi prospettive', come ci offre il Maestro, così come può essere aiutato ad aprirsi al bene che, lentamente, può fare crescere in lui e rassodare grandi virtù, che è poi l'abito della santità con cui Dio adorna i suoi figli che tanto ama.

E suscita grande tenerezza il Vangelo, quando ci presenta 'Gesù, che prende un bambino tra le sue braccia, - come a difenderlo - , lo mette in mezzo alla gente ed afferma: 'Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome accoglie me'. È come se Gesù volesse trattenere tra le sue braccia la debolezza di chi desidera essere difeso dalle tentazioni dello scandalo.

La realtà è che oggi, tutti, senza distinzioni, viviamo in questo mondo che pare non abbia più alcun pudore nello sfasciare ciò che è veramente bello agli occhi di Dio, per imporre le mostruosità del vizio, dell'egoismo, che sono la triste immagine del dominio del male che vuole imporsi e si impone con gli scandali sempre più numerosi. Scriveva il caro Paolo VI, nel settembre 1964:
  • Innanzitutto voi non troverete più nel linguaggio della gente perbene di oggi, nei libri, nelle cose che parlano degli uomini, la tremenda parola che invece è tanto frequente nel mondo religioso, la parola 'peccato'. Gli uomini nei giudizi odierni, non sono più chiamati peccatori. Vengono catalogati come sani, malati, bravi, buoni, forti, deboli, ricchi, poveri, sapienti, ignoranti, ma la parola 'peccato' non si incontra mai. E non torna perché, distaccato l'intelletto umano dalla sapienza divina, si è perduto il concetto di peccato. Pio XII affermava: 'Il mondo moderno ha perduto il senso del peccato', che cosa sia, cioè, la rottura dei propri rapporti con Dio. Il mondo non intende più soffermarsi su tali rapporti. Cosa dice a volte la nostra pedagogia: `L'uomo è buono: sarà la società a renderlo cattivo'. Viene adottata, come nonna, una indulgenza molto liberale, molto facile, che spiana le vie ad ogni esperienza, come se il male non esistesse. Ma come a contraddire tutto questo, guardate se c'è un filo ottimista nella produzione moderna; guardate se nei premi letterari, c'è un solo libro presentabile, che dichiari essere l'uomo buono, che esistono ancora delle virtù. Dilaga, al contrario, l'analisi del tanfo, della perversione umana, con la tacita, ma inesorabile sentenza che l'uomo è inguaribile. Ma Gesù vede e guarda a noi, che siamo povera gente, con tanti malanni, pronto a guarirci e ridarci quella veste del 'bambino' che è la vera grandezza nostra.
Eppure lo scandalo è un vero trauma dell'anima di chi lo riceve: un trauma che a volte incide nel profondo del cuore, dando un corso diverso e sbagliato ad un'intera esistenza. Un vero attentato all'anima. Chiunque di noi abbia conservato un retto giudizio della vita, sa che è sopportabile e meno dannoso un incidente, che in qualche modo mutila il nostro corpo, di uno scandalo che intacchi l'integrità del cuore. Oggi, anche san Giacomo usa toni duri, come a darci la sveglia, se abbiamo permesso che 'le mode' ci addormentassero la coscienza.
  • Ora a voi ricchi: piangete e gridate per le sciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchezze sono imputridite, le vostre vesti sono state divorate dalle tarme, il vostro oro e argento sono consumati dalla ruggine; la loro ruggine si leverà a testimonianza contro di voi e divorerà le vostre carni come un fuoco. Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni! Ecco il salario da voi defraudato ai lavoratori che hanno mietuto le vostre terre grida e le proteste dei mietitori sono giunte alle orecchie del Signore degli eserciti. Avete gozzovigliato sulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi siete ingrassati per il giorno della strage. Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non può opporre resistenza. (Gc. 5, 1-6)
Davvero viene voglia di uscire da questo 'mondo', per assaporare la bellezza della virtù, della bontà. E c'è, per grazia di Dio, tanta, ma tanta gente semplice, che sa ancora conservare la bellezza e la dignità dell'anima e della vita, come un tesoro che dà felicità.

Ricordo, un giorno, parlando in cattedrale proprio su questo tema: Guai a voi, ricchi!, al termine dell'omelia verme una signora, che aveva sul volto, sfatto dalla fatica, una luce, come un riflesso del cielo. Conservava, per la sua vecchiaia, un gruzzolo, che teneva gelosamente custodito. Volle a tutti i costi privarsi di quel poco che aveva risparmiato. E a me, che cercavo di far capire che il suo non era uno scandalo, ma una necessità, rispose: ‘Voglio avere un cuore libero da tutto e così assaporare la gioia di avere in cambio due ali che mi facciano volare verso Dio'.

Ce n'è, più di quanto pensiamo, di questa brava gente. Proprio vero il proverbio che afferma: 'Fa molto rumore l'albero che cade: è silenziosa la foresta che cresce'. Se è vero che lo scandalo tiene banco nella comunicazione e nel mondo, è altrettanto vero che è `la foresta' a farci sentire cittadini del Cielo. Ci rattrista che nella mentalità di oggi non faccia meraviglia che ci sia chi offre scandalo, ma, proprio per questa tendenza, purtroppo generalizzata, suscita ancor più profondo stupore, chi vive con coerenza la propria vocazione alla santità: è il salutare 'scandalo evangelico', inteso come verità di vita.

Quanta gente buona incontro ed ogni volta è sentire che Dio è con noi meravigliosamente. Per la mentalità del mondo – stupidamente – fa scandalo la ragazza intelligente, che non si piega alla moda senza pudore, l'imprenditore onesto che rispetta l'operaio, come fosse un fratello e non una cosa, il giovane retto che non ci sta ai compromessi con il vizio.

Credo proprio che oggi, forse più di un tempo, si avverta in tanti il desiderio di svincolarsi da una mentalità disonesta, che brucia ogni dignità e bellezza del cuore, cercando 'l'aria pulita di una condotta intelligente ed onesta'. Quando si ha un cuore tanto aperto, Dio sa immediatamente trovare la strada per accostarsi e ci attende l'abbraccio di Gesù, che ci vede tornare 'bambini' ... da Regno dei Cieli! Scrive Mario Luzi in Nostalgia di Te:
  • Padre mio, mi sono affezionato alla terra quanto non avrei creduto.

    È bella e terribile la terra: ci sono nato quasi di nascosto, ci sono cresciuto,

    tra gente povera, amabile e tante volte esecrabile. Il cuore umano è pieno di contraddizioni, ma neppure un istante mi sono allontanato da Te. La vita sulla terra è dolorosa, ma è anche gioiosa...

    Sono stato troppo uomo tra gli uomini oppure troppo poco? Il terrestre l'ho fatto troppo mio o troppo poco?

    Sono venuto sulla terra per fare la Tua volontà eppure talvolta l'ho discussa.

    Sii indulgente, Ti prego, con la mia debolezza.

    Ma da questo stato umano d'abiezione, vengo a Te, nella mia debolezza. Comprendimi!

    Quando saremo in Cielo ricongiunti, sarà stata grande prova ed essa non si perde nella memoria dell'eternità.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » gio ott 01, 2009 3:50 pm

      • Omelia del giorno 4 Ottobre 2009

        XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        L’uomo non separi mai...
Anzitutto mi sembra doveroso gioire con voi, perché sappiamo che la nostra Patria è sotto la protezione di san Francesco d'Assisi: il santo che tutti veneriamo con particolare devozione e sotto la cui protezione mettiamo la nostra Italia, che ha davvero tanto bisogno della sua protezione e guida. Francesco, il santo della perfezione evangelica radicale, ha portato in primo piano la bellezza della beatitudine di 'sorella povertà', che era poi lo stile di vita di Gesù. In un tempo in cui pare che la ricchezza sia l'idolatria di molti, è giusto affidarci a lui, per renderci, con la sua intercessione, capaci di maggior sobrietà, più poveri in spirito e, quindi, diventare davvero uomini di vera pace.

Così come è bello ricordare che il mese di ottobre è il mese del Santo Rosario. Ci conduce per mano, nelle nostre riflessioni, il nostro Paolo VI, che così commenta:
  • Il Rosario è un'educazione alla pietà religiosa, più semplice e popolare e allo stesso tempo più seria e più autentica: insegna a unire l'orazione con le azioni comuni della giornata; santifica le vostre amicizie e le vostre occupazioni, vi abitua a unire le parole della preghiera al pensiero, alla riflessione sui misteri del Rosario; e questi, che si presentano come quadri, come scene, come racconti, l'uno dopo l'altro, vi portano alla storia della vita di Gesù e di Maria e alla comprensione delle più alte verità della nostra religione: l'Incarnazione del Signore, la Sua redenzione, la vita cristiana presente e futura. È una scala, il S. Rosario, e voi vi salite insieme, adagio adagio, andando in su, incontro alla Madonna, che vuol dire incontro a Gesù. Perché questo è uno dei caratteri del Rosario, il più bello di tutti: è una devozione che attraverso Maria ci porta a Gesù. Si parla di Maria per arrivare a Gesù... Quante grazie porta questa devozione `associata'! Sono grazie per voi, grazie per la vostra famiglia, grazie per la vostra città. Voi potete arrivare a confortare, con il Rosario, i malati, salvare i moribondi, convertire i peccatori, aiutare i missionari, liberare le anime del Purgatorio (maggio 1964).
Porto con me, sempre, fin da ragazzo, la corona del Santo Rosario, come a confermare alla Mamma Celeste il mio affetto e il mio bisogno di essere protetto. È la bella educazione ricevuta in famiglia, quando, da piccoli e più avanti, a sera, ci si ritrovava, come piccola chiesa, a recitare il S. Rosario. Mi ha commosso tanto, un giorno, accompagnando il Papa Giovanni Paolo II, per le scale della Sacra di san Michele, vederlo sgranare ad ogni scalino la corona del S. Rosario: era la sua ‘compagnia' quotidiana.

E veniamo al Vangelo di oggi, tanto necessario per avere idee chiare sul sacramento del matrimonio. Difficilmente il Vangelo si sofferma a valutare singolarmente i fatti, che compongono, anche in modo sostanziale, la nostra vita. Gesù pare abbia a cuore essenzialmente - e non può essere diversamente, Lui, il Figlio di Dio venuto tra noi, uomo tra gli uomini, con tutti i nostri problemi - di offrirci la conoscenza della ragione del dono della vita che, ricordiamocelo sempre, ha di mira la salvezza eterna. Lì c'è la risposta per ciascuno di noi, ossia l'invito alla felicità eterna. Ed è logico che in tale risposta trovi la sua collocazione il matrimonio, che è la vocazione più ‘comune' alla santità. Racconta il Vangelo oggi:
  • Avvicinatisi dei farisei per metterlo alla prova, domandarono a Gesù: E' lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?. Ma egli rispose loro: Che cosa vi ha ordinato Mosè. Dissero: Mose ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla. Gesù disse loro: Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma, Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina, per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una cosa sola. L'uomo non separi mai ciò che Dio ha congiunto (Mc 10, 2-16).
In fondo Gesù conferma solennemente quanto racconta la Genesi:
  • Il Signore disse: 'Non è bene che l'uomo sia solo, gli voglio fare un aiuto che gli sia simile'. Allora il Signore fece scendere un torpore sull'uomo che si addormentò: gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò, con la costola che aveva tolto all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: 'Questa volta essa è carne della mia carne, ossa delle mie ossa. La si chiamerà donna perché dall'uomo è stata tolta'. Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola (Gen 2, 18-24).
Così il matrimonio è essere 'scelti', chiamati a vivere il grande dono della carità, giocandosi tutto l'uno per l'altra. Avete mai osservato quale enorme differenza passi tra una sia pur profonda amicizia, tra persone che sono, se buone, graditissimo dono del Signore - Amico e Padre per eccellenza - e l'amore tra due coniugi?

Un'amicizia è partecipazione del bene che si è e si ha, ma non coinvolge tutta la persona, non fa mai, in una parola, dei due amici una carne sola. Nell'amicizia si conserva e si rispetta integralmente la libertà dell'altro: ci si può volere bene immensamente, ma non ci si appartiene.

Nel matrimonio l'amore fra due coniugi è totale, fino al dono della propria carne,realizzando la ragione che è nella creazione. Al coniuge si offre tutto di se stesso, come dono meraviglioso e gratuito. E tale dono realizza un'unione, che dovrebbe essere irreversibile, per l'eternità: a: un'unità che si costruisce lentamente, a volte facendo esperienza della croce. Un tale amore è sempre condivisione della vita, anche nelle piccole scelte quotidiane, fino a diventare 'carne della mia carne, ossa delle mie ossa'. L'amore nel matrimonio non può mai essere un evento occasionale della vita, da usare e gettare, ma richiede una virtù che oggi pare sconosciuta, la fedeltà 'fin che morte non ci separi', per poi essere uniti un giorno per sempre. Così si esprime il Concilio Ecumenico Vaticano II nel documento 'Chiesa e mondo':
  • Però non dappertutto la dignità del matrimonio - ripeto fondata sull'amore che ne è il grande cardine, la pietra angolare - brilla con identica chiarezza, perché è oscurata dalla poligamia, dalla piaga del divorzio, dal cosiddetto libero amore e da altre deformazioni. Per di più l'amore coniugale - che dovrebbe essere, ripeto, la pietra angolare - è molto spesso profanato dall'egoismo, dall'edonismo e usi illeciti contro la generazione. Tuttavia il valore e la solidità del matrimonio e famigliare prendono risalto dal fatto che le difficoltà, molto spesso, rendono manifesta in maniera diversa la vera natura dell'istituto stesso (n. 48).
E perché il matrimonio giungesse al suo compimento, Dio ha voluto che l'amore tra i coniugi diventare un sacramento, ossia uno strumento di santificazione; ha voluto, cioè, dargli il senso delle cose sante, quelle in cui opera Lui stesso accanto all'uomo. Per cui i coniugi sanno di poter contare su una 'grazia di stato', ossia sulla grazia del matrimonio, sacramento che fa superare tante difficoltà, ossia sentire Gesù farsi partecipe della vita matrimoniale.

Quando questa 'compagnia' è vissuta con fede, spiega molto bene la riuscita di tante famiglie, la gioia e la serenità che riscontriamo in sposi che hanno la fortuna di celebrare le 'nozze d'argento o d'oro'. Altro infatti è camminare 'insieme', ma con la compagnia di Gesù. C'è una spiritualità del matrimonio che è fondamentale e a cui si dovrebbero educare i giovani fidanzati nella preparazione al matrimonio.

Il grave difetto dei matrimoni, oggi, è proprio qui: tanta esteriorità, nella celebrazione, senza la dovuta serietà nella preparazione. In fondo è il cuore che va ricondotto alla bellezza della sua donazione totale nel matrimonio, infatti è proprio il cuore che viene travolto da mille errori, che non gli permettono di accostarsi al grande sacramento con quella apertura al dono, sempre, che sarà il fondamento della felicità.

Da qui le crisi profonde che caratterizzano tante famiglie, che si fanno e disfano con la facilità con cui si cambia un vestito. Ma tra persone umane, se davvero mature nel cuore, non ci si può trattare come fossimo 'oggetti' a cui, al mattino, si può dire adoro e, alla sera, 'non ti sopporto più'. Sicuramente troppo spesso si confonde la sessualità con l'amore, ma l'una deve essere ai servizio dell'altro, e mai senza l'altro.

La persona umana, uomo o donna, - se matura nel cuore, ripeto – è come 'la vite' evangelica: si fa innestare nell'altro fino a diventare una cosa sola. L'amore è la sublimità, difficile se si vuole, di rimanere nell'altro – senza negare se stesso – fino a diventare 'uno', ma se è reciso fa morire la vite stessa. Gesù questa immaturità nell'amore la chiamava e la chiama 'durezza di cuore': per questa Mosè aveva concesso il ripudio.

Come fare per affrontare questa insidia contro l'amore e quindi contro il matrimonio? Anzitutto dovrebbe essere conosciuto e rivalutato il ruolo dell'amore e non soffermarsi solo sugli aspetti sessuali. Così l'apostolo Paolo descrive la aratura dell'amore - una regola per tutti -:
  • L'amore è paziente, benigno è l'amore; non è invidioso l'amore; non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode delle ingiustizie, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. L'amore non avrà mai fine (1 Cor 13, 4-9).
E come riuscire, senza paura, a fare della propria famiglia, ai cui centro sono gli sposi, qualcosa di bello, come 'una piccola chiesa domestica'? Preghiamo, oggi e sempre, per tutti gli sposi e per le nostre famiglie:
  • Signore, Padre santo, Dio onnipotente ed eterno,
    noi ti rendiamo grazie e benediciamo il Tuo santo nome;
    Tu hai creato l'uomo e la donna e hai benedetto la loro unione,
    perché l'uno fosse per l'altro aiuto e appoggio.
    Accorda agli sposi (a noi sposi) di vivere
    insieme lungamente nella gioia e nella pace,
    perché i loro (nostri) cuori aiutino a salire verso di Te,
    che sei l'Amore, per mezzo del Tuo Figlio Gesù, nello Spirito Santo. Sempre. Amen


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 09, 2009 9:25 am

      • Omelia del giorno 11 Ottobre 2009

        XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Un invito rifiutato: Vieni e seguimi
Il Vangelo di oggi contiene da una parte l'offerta di Gesù a stare con Lui sempre e dall'altra l'incredibile rifiuto. Si preferiscono le cose della terra all'incommensurabile valore di accettare l'invito di Gesù, ossia la vocazione, la piena realizzazione di se stessi. È una pagina che fa meditare tutti, a cominciare da chi Dio sceglie e chiama a 'stare con Lui'. Leggiamola questa pagina: cogliamone la bellezza e la tragedia del rifiuto.
  • Mentre Gesù stava per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e gettandosi in ginocchio davanti a lui gli domanda: 'Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?'.Una domanda che la dice lunga sul desiderio di quel giovane di andare oltre le prospettive che offre il presente, incapaci di proiettarsi e proiettare verso l'eternità.Gesù gli rispose: 'Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre. Egli allora gli disse: 'Maestro tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza'. Allora FISSATOLO, LO AMÒ e gli disse: 'UNA COSA SOIA TI MANCA: VA', VENDI QUELLO CHE HAI E DALLO AI POVERI E AVRAI UN TESORO IN CIELO, POI VIENI E SEGUIMI: Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni.
Credo sia necessario che ci fermiamo un momento per riflettere sull'invito e sul rifiuto: un invito a stare con Gesù, che certamente è la più grande ricchezza per l'uomo, ogni uomo, e la conseguente immaginabile tristezza del Maestro nel vedersi rifiutato, ma anche il dramma del giovane che gli volta le spalle 'perché aveva molti beni'. Ma non c'è confronto tra ciò che viene offerto e ciò che trattiene nell'accettare l'invito! Eppure è quello che avviene in tutti i tempi. La reazione di Gesù non si fa attendere e la verità che proclama è terribile, e riguarda anche noi.
  • Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: 'Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno dei cieli!: I discepoli rimasero stupefatti a queste parole, ma Gesù riprese: 'Come è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco nel regno di Dio!'. Ma i discepoli ancora più sbalorditi dicevano tra loro: 'E chi si può salvare? Ma Gesù, guardandoli, disse: 'Impossibile presso gli uomini ma non presso Dio! Perché tutto è possibile a Dio!: Pietro allora disse: 'Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito. Gesù gli rispose: In verità vi dico: non v'è nessuno che abbia lasciato casa, fratelli, sorelle o padre o madre o figlio campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case, fratelli, sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni e nel futuro la vita eterna (Mc 10, 17-30).
Un Vangelo stupendo, ma duro per chi lo rifiuta, per tanti, anche oggi. Difficile comprendere il cuore dell'uomo, anche ai nostri giorni. Quando dico 'cuore' intendo sempre riferirmi alla sede delle nostre scelte, delle nostre preferenze, con cui poi indirizziamo non solo gli affetti, ma l'intera vita. Troppo spesso il nostro cuore diventa un groviglio di interessi che, a volte, si affacciano e pretendono di avere il primo posto.

Al mattino forse preghiamo: ‘Ti adoro, mio Dio, ti amo con tutto il cuore e sopra ogni cosa', poi ci accorgiamo di rincorrere tutto il giorno altri dèi, che sono gli interessi materiali cercati disordinatamente o, più semplicemente, il nostro egoismo e alla fine con amarezza, se siamo onesti con noi stessi, dobbiamo chiederci: 'Cosa o chi conta davvero nella mia vita e merita di essere amato veramente?' o meglio: 'Chi o cosa è l'amore a cui tengo di più, la mia vita, la mia forza, la mia felicità?'. Ci deve essere – credo – nel cuore di ciascuno CHI si propone come sicuro amore, che sia come il respiro dell'anima. Era quello che cercava quel bravo giovane.

Era andato da Gesù attendendo non so quale risposta alla sua domanda: 'Maestro che devo fare per avere la vita eterna?'. Una domanda senza equivoci. Non chiedeva cosa fare per avere una buona salute o fortuna o altro, che è frutto di questa terra. Chiedeva quello che l'avrebbe reso eterno. Un'esigenza che è in tutti. Assediati da tante offerte terrene, illusorie e fallaci, forse in qualche momento di serenità e di fede, tanti si pongono la stessa domanda. In fondo è la domanda essenziale, che dovrebbe interessare e indirizzare lo stile della nostra vita: una domanda che non trova risposta in questa misera terra, che può dare soddisfazioni, come la salute, la fortuna o la ricchezza, ma non un 'senso', né tanto meno la verità della vita, che nasce per tornare nell'eternità. Solo Dio, da cui proveniamo, conosce la risposta e suggerisce il cammino, ossia la nostra vocazione. Ma scrive, giustamente, Paolo VI:
  • Tra la chiamata di Dio e noi c'è sempre il dono della libertà. Non può esserci amore vero, che non sia fondato sulla libertà nel donare o accettare le scelte. Per libertà intendiamo l'oblazione personale e volontaria alla causa di Cristo e della sua Chiesa. Non vi possono essere vocazioni se non libere; la vocazione è offerta spontanea di sé. Oblazioni, diciamo, e qui sta praticamente il vero problema. Come, per esempio, avrà ancora oggi la Chiesa l'offerta di giovani vite, che si consacrano al suo servizio? Il mondo della religione non ha più le suggestive attrattive di un tempo: in certi ambienti è un mondo screditato dall'ateismo ufficiale e di massa, o dall'edonismo diventato ideale di vita; è un mondo senza ideale di vita, reso quasi incomprensibile alla psicologia delle giovani generazioni. Eppure la Chiesa attende, chiama, chiede. Chiama la gioventù specialmente, perché sa che i giovani hanno ancora udito buono ad intendere la voce. È una voce che invita alle cose difficili, alle cose eroiche, alle cose vere. È una voce umile e penetrante di Cristo, che dice oggi, come ieri, vieni! La libertà è posta al suo supremo cimento, quello appunto dell'oblazione, della generosità, del sacrificio (aprile 1968).
Ed ha ragione: oggi le voci di aiuto per una vita dignitosa, che conosca la verità del suo esistere, la ricerca della vera felicità sono tante. Direi che sono la domanda di tutti: non si può far finta di non sentirla. Pericoloso voltare le spalle a Dio che chiama – attraverso questa urgenza dei nostri fratelli -per preferire ciò che non è voce di verità, ma solo affezione a cose che passano e sono davvero poco o nulla davanti alla vita eterna.

Mi piace ricordare che la vocazione si estende anche ad ogni genere di vita e sono tante e diverse le vocazioni a cui Dio chiama: ne è pieno, per fortuna, il mondo e sono così belle e variegate da costituire il meraviglioso 'arcobaleno' che brilla già nel cielo di quaggiù.

Ogni vocazione chiede con libertà di essere accettata e vissuta, come è ad esempio nel matrimonio. È vero che oggi i matrimoni molte volte non conoscono la loro natura di vocazione di Dio... e vanno in frantumi al più piccolo urto! Per cui mi commuove ogni volta celebro le nozze d'oro o d'argento, che sono la festa del sì coraggioso e libero alla vocazione del matrimonio.

E piace ricordare quello che mi disse un giorno papà, in un momento di dialogo – ero già sacerdote – "Sono 35 anni che vivo il matrimonio con tua mamma. Ma ogni giorno è come il primo. E sento che senza di lei la mia vita sarebbe un vuoto incolmabile, quasi da chiedermi: perché vivo?'. A dieci anni ero chierichetto nella mia parrocchia ed un giorno venne a impartire le cresime il cardinal Schuster. Lo accompagnavo in tutti i passi ed era per me 'Dio sulla terra'. A bruciapelo, entrando nella casa canonica mi chiese se non mi sarebbe piaciuto essere prete. Restai confuso. Nei giorni successivi continuò ad essere una voce che mi accompagnava in attesa di una risposta. Alla fine dissi sì. Ora guardo ad una vita spesa totalmente al servizio di Dio e della Chiesa, possibile solo perché quel sì non è stata solo una 'mia' risposta, ma la certezza donatami di essere sostenuto dalla incredibile grazia di Dio che mi aveva chiamato.

Tutti conoscete la mia vita forgiata dalla grazia nella vita religiosa, il cammino tra la gente del Belice e di Acerra. In quel giorno in cui dissi sì, mai avrei potuto lontanamente immaginare quello che Dio aveva progettato per me. Mi ha chiesto tanto, ho sofferto, ho sentito a volte il peso della croce, ma sempre con la fiducia che mi bastava prendere la Sua mano e seguirLo. Ora sono felice, sereno. Quando mi chiamerà avrò di buono quel sì, mai tradito né rinnegato, per Sua Grazia. È l'unica ricchezza che posso offrirGli.

Non mi resta che pregare perché le famiglie educhino i figli ai grandi sì a Dio, quando manifesta la Sua volontà. Prego per i giovani, perché sappiano essere generosi e aperti nel fare della vita un sì, senza ma, al bene che il Padre propone ed è nei Suoi progetti. E prego per i sacerdoti, i consacrati, che testimonino con la gioia e la santità la bellezza dell'essere stati chiamati e di aver avuto la grazia di seguirLo. Ricordiamocelo sempre: noi, 'scelti e chiamati' siamo le 'sentinelle di Dio'. Una preghiera alla Madonna:
  • Maria, donna del sì,

    noi intuiamo che il mistero del primo incontro con l'Altissimo

    è legato a quello della croce:

    uno spiega l'altro, uno è radice dell'altro,

    ma non abbiamo sempre il coraggio di vivere le conseguenze del tuo sì.

    Donaci di comprendere le radici misteriose dell'amore,

    che ti ha unita al Padre e al Figlio e insieme a tutti noi,

    perché anche noi impariamo a dire il nostro umile sì

    alla vita, alla giustizia, alla solidarietà, a Dio.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 16, 2009 10:38 am

      • Omelia del giorno 18 Ottobre 2009

        XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Sono venuto per servire
Mi sono chiesto tante volte cosa spinga tanti a 'farsi avanti', ad essere - secondo un gergo che va di moda - 'uomini o donne da copertina', 'di successo', e questo, non solo nel mondo dello spettacolo, ma nella politica, nell'economia e, incredibile anche solo a pensarlo, nella violenza, nel bullismo, nella criminalità organizzata o meno. È venuto fuori che, considerate fondamentali per il 'successo', sono tre le sirene che attraggono irresistibilmente: il denaro, il potere, il piacere... È difficile, quindi, sottrarsi al fascino di queste sirene e, se si ha l'occasione, ci lasciamo sedurre.

Una persona cosiddetta 'di successo' finisce sulla bocca di tutti, entra nella vita di tanti, può diventare un 'sogno' per molti. Poco importa se, per arrivare al successo, attraverso la ricchezza e il potere, si debbano percorre vie in cui si fa scempio di ogni rispetto alla giustizia, alla propria dignità morale e, soprattutto, a ogni sentimento di solidarietà. Purtroppo molte volte il potere, il prestigio, in ogni campo sociale, esigono di porre il proprio interesse e profitto come principio insindacabile, da non mettere mai in discussione. Anche se è un principio che ha come conseguenza un prezzo altissimo da pagare: masse di affamati, moltitudini di emarginati, schiere di disoccupati.

Prestigio, potere, ricchezza sono padroni senza cuore che esigono dagli altri un 'servizio' che rende abbietti, distruggendo la meravigliosa uguaglianza che solo l'amore, che è servizio, sa costruire. Ricordo una visita in un carcere. Ero stato invitato da alcuni detenuti per un colloquio. Da uno di loro in particolare. Mi fece attendere un'ora. Quando comparve, con molta delicatezza gli feci rilevare l'inopportunità di questo suo atteggiamento. La risposta fu brutale - di quelle che danno la misura di cosa sia un 'trono' che ci si è costruiti 'dentro', con fondamenta inaccettabili. ‘Ma nessuno le ha mai detto - mi aggredì - chi sono io? Nessuno le ha mai parlato del mio potere? Sappia che nella mia vita sono arrivato ad uccidere 27 persone'. Gli risposi con calma: 'Di fronte a quanto lei afferma, mi sento davvero di essere un nulla. Non ho mai torto un capello ad alcuno. Sono qui per servirla e quindi sono un niente, ma scelgo il mio niente senza morti, con tanti servizi, anzi con la mia vita'. Mi fissò ....senza convinzione!

Anche gli Apostoli, prima della Pentecoste, non ancora trasformati dallo Spirito Santo, ragionavano come noi uomini. Immaginavano, insomma, che, stando vicino a Gesù, sarebbero usciti dalla loro povertà e sarebbero divenuti uomini di potere e di prestigio. Così Gesù ci ammaestra, oggi:
  • In quel tempo si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, dicendogli: 'Maestro noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo. Egli disse loro: 'Cosa volete che io faccia per voi?'. Gli risposero: 'Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra'. Gesù disse loro: 'Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?: Gli risposero: 'Lo possiamo'. E Gesù disse: 'Il calice che io bevo anche voi lo berrete e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato'. All'udire questo gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù chiamatili a sé disse loro: 'Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di loro il potere. Fra voi però non sia così, ma chi vuol essere grande tra voi sia il vostro servitore, e chi vuol essere il primo sia il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mc 10, 35-45).
Certamente, in quel momento, gli apostoli difficilmente avranno capito la risposta di Gesù. Solo dopo la Pentecoste sarà per loro tutto chiaro... sino a dare la vita! E lo stile di vita di Gesù - 'essere servo di tutti' - dovrebbe essere lo stile di ogni cristiano... altro che assalto al prestigio e al potere! Affidiamoci alle parole di Paolo VI:
  • Quando parliamo di servizio, ci sembra di notare una duplice reazione nell'uditorio: la prima abbastanza negativa. L'uomo moderno non vuole sentirsi servitore di nessuna autorità e di nessuna legge. L'istinto sviluppato in lui, di libertà, lo inclina al capriccio, alla licenza e persino all'anarchia. E in seno alla Chiesa stessa, l'idea di servizio, perciò di obbedienza, incontra molte contestazioni, anche in seminario. Sarà bene ricordare che questa idea di servizio è costituzionale per lo spirito di ogni cristiano, e, tanto più, per il cristiano chiamato all'esercizio di una qualsiasi funzione: di esempio, di carità, di apostolato, di collaborazione, di responsabilità, e ciò specialmente nell'ambito ecclesiale, in cui la solidarietà, l'unità, l'amore, hanno esigenze di stimolante continuità. Non dimentichiamo l'esortazione dell'Apostolo: 'Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo'. È certo che anche l'ufficio gerarchico (sacerdoti, parroci, vescovi, operatori) esiste per la comunità e non viceversa; e che la potestà nella Chiesa non è tanto per sovrastare quanto per giovare; non per il proprio prestigio, ma per l'altrui utilità. (marzo 1969)
Chi, come me, medita queste meravigliose parole di Gesù, che designa lo stile del cristiano, 'servire e non essere servito', sa come il servire è davvero la nostra identità. A volte la gente vede in noi, parroci o vescovi, - anche per i nostri atteggiamenti - un'autorità cui inchinarsi come davanti a 'padroni' da servire. La realtà è o dovrebbe essere molto diversa. I fedeli devono poter vedere in noi solo la guida, in quanto siamo persone chiamate e scelte da Dio stesso per essere servi della Sua Grazia. La nostra 'autorità', infatti, è tale solo quando si tratta di guida al servizio del Vangelo, della Grazia, dell'unità nella comunità, ...tutto, sempre, solo, in spirito di servizio. Ogni altro atteggiamento, che deturpa questo aspetto, offende la carità e l'umiltà. A volte questo spinto di servizio ci chiama a gesti che mettono a nudo la verità.

Un ricordo: immediatamente dopo il terremoto del Belice, che ci colse in piena notte, il 16 gennaio 1969, il primo dovere che si affacciò a me e ai miei coadiutori, che avevamo la cura di quella comunità, Donai dispersa e senza casa, fu quella di mettersi al servizio, cercando tra le macerie eventuali superstiti o vittime rimaste intrappolate. Un compito che, a pensarlo ora, sapeva di incoscienza, perché la terra continuava a tremare e avevamo le mani 'nude'. Per tutta la notte si percorsero le vie della cittadina distrutta e così salvammo parecchie vite. Da quella notte capii che essere parroco voleva dire rischiare tutto per servire la mia gente ed accompagnarla poi nella difficile via della ricostruzione.

In questa seconda fase molti nomapirono, pensando forse a 'motivi' sotterranei - che non esistevano - come quello di cercare prestigio o 'visibilità'. Ricordo come una domenica, volendo spiegare alla mia gente, durante la S. Messa, la ragione del nostro servizio, che non conosceva limiti né rischi, dissi: `Vi domandate perché facciamo tutto questo. La risposta è una sola: l'amore che abbiamo per voi e l'amore è sempre e solo servizio. Niente altro'. Non dimenticherò mai il pianto che seguì e non cessava, tanto da dover lasciare l'altare e ritirarmi per un tempo in baracca, per poi poter continuare la Messa.

Così come, da vescovo, convinto che un pastore non può accettare che la sua gente viva sotto l'incubo e l'egemonia della malavita organizzata - la camorra - mi ribellai, raccolsi la gente e l'accompagnai nel cammino verso la conquista della sua serenità e libertà. Un servizio che mi costò un lungo periodo di 'scorta' o difesa. Finì, in un certo senso, la mia libertà di movimento, ma iniziò il cammino di libertà della mia gente. Del resto sappiamo tutti che Gesù demolì la potenza e il prestigio umano fino all'umiliazione della croce, dove veramente si manifestò il nulla che siamo noi e il tutto che è Dio per noi nella Resurrezione. Ed è quello che afferma Isaia oggi:
  • Il Servo del Signore è cresciuto come un virgulto davanti a Lui e come una radice in terra arida. Disprezzato e reietto dagli uomini, Uomo dei dolori, che ben conosce il patire. Al Signore è piaciuto prostrarlo con i dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo, la volontà del Signore (Is 53, 2-3).
Con Mons. Tonino Bello, preghiamo così Maria:
  • Santa Maria, Donna del terzo giorno, donaci un poco di pace.

    Impediscici di intingere il boccone traditore nel piatto delle erbe amare.

    Liberaci dal bacio della vigliaccheria. Preservaci dall'egoismo.

    E regalaci la speranza che, quando verrà il momento della sfida decisiva,

    anche per noi, come per Gesù, Tu possa essere l'arbitro che omologherà la nostra vittoria.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 23, 2009 10:12 am

      • Omelia del giorno 25 Ottobre 2009

        XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        La missione è contagiare il mondo di speranza
Desidero chiudere questo mese di ottobre, dedicato non solo alla 'catena d'oro che porta al Cielo', il Santo Rosario, ma come richiamo per tutti, anche se in diversi modi, all'impegno della missione. Quando parliamo di 'missione', normalmente il nostro pensiero corre ai 'missionari', ossia a sacerdoti, consacrate e laici, che portano la buona novella fino ai confini del mondo. E lo stanno facendo con un coraggio, in condizioni povere e difficili, che solo lo Spirito Santo può donare.

Leggo varie riviste missionarie, che raccontano la vita di missionari nelle varie parti del mondo. Amo partecipare, almeno con quella preziosa comunione, che dovrebbe essere il legame tra noi che siamo di Cristo, alle speranze, alle fatiche, fino all'eroismo di tanti di loro. E operano con una gioia a noi sconosciuta.

Con alcuni di loro sono in continuo contatto e così, non solo mi trasmettono il bene che fanno, ma mi rendono partecipe a volte delle loro necessità. Anche se è poco quello che posso realizzare con loro, è sempre 'sentirsi là' dove i nostri fratelli evangelizzano; in altre parole portano Cristo a chi non lo conosce, facendo entrare quelle genti nel grande numero dei figli di Dio e nostri fratelli nella fede - una fede spesso da loro vissuta con purezza e radicalità, con lo spirito semplice dei 'bambini secondo il Regno', che noi dobbiamo riconquistare.

Ma la missione, di cui parla Gesù e che oggi ci ricorda la Chiesa, riguarda solo i missionari, i tanti sacerdoti che con un bel titolo si definiscono ‘donum ad gentes' o riguarda tutta la Chiesa e, quindi, tutti i fedeli, anche se in modi diversi? Grandi missionari sono i vescovi, i sacerdoti, i consacrati e le consacrate, ma in particolar modo sono chiamati alla missione i papà e le mamme, in famiglia, ed ogni fedele, ovunque operi. C'è forse un modo migliore di donare Gesù ad un fratello di quello di fargli conoscere la Buona Novella del Vangelo? Il Santo Padre, nel suo messaggio missionario, ribadisce ancora una volta che
  • ...la Chiesa non agisce per estendere il suo potere o affermare il suo dominio, ma per portare a tutti Cristo, salvezza del mondo. Noi non chiediamo altro che di metterci al servizio dell'umanità, specialmente di quella più sofferente ed emarginata, perché crediamo che l'impegno di annunziare il Vangelo agli uomini del nostro tempo è un servizio reso non solo alla comunità cristiana, ma anche a tutta l'umanità...Già oggi, nelle contraddizioni e nelle sofferenze del mondo contemporaneo, si accendono le speranze di una vita nuova, perciò la missione della Chiesa è quella di contagiare di speranza tutti i popoli. Per questo Cristo chiama, santifica ed invia i suoi discepoli ad annunciare il Regno di Dio perché tutti i popoli diventino popolo di Dio
Il Sommo Pontefice e i Vescovi hanno spesso parlato - riferendosi alla nostra cara Italia che, con forse troppa facilità si dichiara cristiana, cattolica - di quella che noi definiamo `reimplantatio Evangelii', in altre parole è come dire: così come annunziamo il Vangelo, non va, non basta.

La missionarietà della Chiesa - e dicendo Chiesa intendo riferirmi a tutti i battezzati che, nell'atto del Battesimo, da Gesù hanno ricevuto lo stesso mandato di annunciare la Buona Novella - o non va o non basta. O forse la missionarietà delle nostre comunità non è bene impostata o non sufficientemente esercitata o non ben vissuta. Forse dobbiamo davvero ridiventare tutti, dai sacerdoti alle famiglie, dai religiosi ai giovani, più missionari: risentire urgente il mandato di Gesù rivolto a tutti indistintamente:
  • Andate e dite a tutte le genti la buona Novella del Vangelo
Grave problema di tutta la Chiesa, un problema che, se evaso, rischia di svuotare le nostre chiese, ma, soprattutto, tenendo presente che la fede è 'la pietra su cui si fonda ogni uomo e la Chiesa', la gravità diventa estrema per le nostre comunità, le nostre famiglie e per ciascuno di noi. Se poi pensiamo che c'è chi, per far entrare più gente possibile nella luce del Vangelo, rischia la vita ogni giorno nelle missioni, il nostro silenzio ci deve fare riflettere e tanto.

Fa male dover ammettere che Cristo, per molti anche fra noi, non è una Buona Novella, ma una `notizia sconosciuta', a volte censurata, a volte irrisa, come notizia superata, di nessun interesse. Eppure l'uomo ha bisogno urgentemente della 'paternità' di Dio.

Dio stesso, che ci ha creati, ha sentito talmente questa nostra necessità, che ha mandato tra noi, come fosse uno di noi, Suo Figlio, con la missione di farci conoscere l'intimo del Cuore del Padre, perché ridiventassimo partecipi di questo Suo ineffabile Amore. Amore che è stata la 'spinta' per il Figlio, che si è manifestato con la Parola, necessaria via per la conoscenza del Padre, affidandola poi, come primo compito missionario, a tutta la Chiesa, di tutti i tempi.

E non c'è dono e dovere più grande per ciascuno di noi di conoscere e vivere la vita di Dio, che si manifesta proprio con la Parola: l'uomo, conoscendo Dio, finalmente può conoscere se stesso. Così come non c'è dono più grande di far conoscere il Vangelo, Cristo: questa è la missionarietà a cui siamo chiamati tutti noi cristiani, ricordando le parole del S. Padre: 'L'impegno di annunziare il Vangelo...perché nelle contraddizioni e nelle sofferenze del mondo contemporaneo si accendano le speranze di una vita nuova'.
  • VA', LA TUA FEDE TI HA SALVATA
Come a confermare quanto scritto riguardo la necessità della missionarietà, il Vangelo di oggi ci viene incontro mostrandoci un esempio di fede semplice, ma totale, che commuove ed è una vera lezione di vita, del come ci si deve affidare con completa fiducia al Cuore Misericordioso di Dio. Ce lo racconta l'evangelista Marco:
  • Mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: 'Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me'. Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: 'Figlio di Davide, abbi pietà di mer. Allora, Gesù si fermò e disse: 'Chiamatelo'. E chiamarono il cieco dicendogli: 'Coraggio! Alzati, ti chiama'. Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: 'Che vuoi che io ti faccia?'. E il cieco a lui: Rabbunì, che io riabbia la vista. E Gesù gli disse: 'Va', la tua fede ti ha salvato'. E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per strada (Mc 10, 46-52).
Un racconto che commuove e di grande insegnamento: un cieco di fronte alla Luce, che è Gesù. Un cieco che non mette limiti alla sua fede, certo di trovare in Gesù ascolto e miracolo. Non è uno che pretenda, come facciamo noi tante volte, semplicemente chiede che Dio abbia compassione e lo riporti alla pienezza della salute e della vita. Sappiamo tutti come sia difficile avere una fede così semplice e profonda, come Bartimeo; una fede che equivale al completo abbandono 'come quella di un bimbo in braccio a sua madre', afferma il salmista.

Dio sa molto bene quale sia il nostro vere bene. È un papà dal cuore immenso. Sa quello di cui abbiamo bisogno. Attende solo che ci rendiamo conto noi stessi delle nostre intime necessità e poi, come Batimeo, apriamo a Lui il nostro cuore. Avere fede, vivere di fede è davvero capire la semplicità dell'abbandono di Bartimeo. Fermiamo il nostro pensiero e chiediamoci: Che cos'è la fede? Ed io ho fede? Ci aiuta in questa pausa di riflessione Paolo VI:
  • Bisogna ricordare che la parola 'fede' è intesa a volte nel primo significato di conoscenza `naturale' di Dio, ossia di quella conoscenza che possiamo avere sulla divinità con le forze ordinarie del nostro pensiero. Ma se parliamo di 'fede', come vera conoscenza soprannaturale di Dio, derivata dalla Sua rivelazione, allora le forze ordinarie del nostro pensiero, occorrono e servono sì, ma non bastano; devono essere corrette da uno speciale sussidio di Dio stesso, che chiamo grazia: allora fede è un dono che Dio stesso concede; è quella virtù teologale che, pure nel mistero che sempre circonda Dio, ci dà la certezza e la gioia di tante verità a Lui relative (giugno 1968).
Tutti noi, nella vita, che tante volte si presenta come un difficile cammino su una strada che non conosciamo, siamo messi alla prova se abbiamo o no la fede-fiducia di Bartimeo. Ci sono per tutti momenti o fatti in cui pare che Dio si nasconda fino a farci dubitare della sua esistenza. Sono quei momenti che i santi, tutti, a cominciare da S. Teresina del Bambino Gesù, chiamano 'la notte dell'anima'. Non è che il Padre non sia presente, ma semplicemente ci mette alla prova. Ecco perché Bartimeo, cieco, si presenta oggi a noi come esempio di fede assoluta, cieca, e commuove Gesù.

Non dobbiamo avere paura della cecità di certi momenti, ma conservare la serenità interiore, sicuri che Dio ci è vicino come non mai, attendendo la nostra domanda. Leggiamolo spesso questo racconto di Bartimeo: ci aiuterà ad andare oltre le difficoltà. Con sant’Agostino preghiamo:
  • Signore Gesù, conoscermi conoscerTi, non desidero null'altro da Te.

    Odiarmi ed amarTi: agire solo per amor tuo,

    abbassarmi per farTi grande, non avere altri che Te nella mente.

    Morire a me stesso per vivere di Te. Tutto ricevere da Te.

    Rinunciare a me stesso per seguirTi, desiderare di accompagnarTi sempre. Fuggire da me stesso, rifugiarmi in Te per essere da Te difeso.

    Temere me e temerTi per essere fra i tuoi eletti.

    Diffidare di me stesso, confidare solo in Te, voler obbedire a causa tua:

    non attaccarmi a null'altro che a Te, essere povero per Te.

    Guardami e Ti amerò, chiamami perché Ti veda e goda di Te per sempre.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 30, 2009 10:34 am

      • Omelia del giorno 1 Novembre 2009

        Solennità di tutti i santi (Anno B)



        Solennità di tutti i Santi: il giorno decisivo della vita
Credo che la saggezza di ognuno di noi è nel pensare alla vita come ad un cammino con una vocazione: una grande prova, che tutti, senza eccezioni, siamo chiamati a superare. La vita è un dono del Padre e, come tutti i suoi doni, appartiene all'eternità. Qui sulla terra abbiamo un compito: adempiere la Sua volontà - che è il nostro vero bene - per godere della Sua gioia, da oggi fino all'eternità. Ognuno di noi ha la sua strada da percorrere, ma è già stata tracciata da Dio. Anzi Dio è la nostra strada. Possiamo quindi considerarci pellegrini, ma con una meta fissa: il Paradiso.

Non sappiamo però quando, con la morte, giungerà la fine del nostro pellegrinaggio. Le persone veramente sapienti - come le vergini sagge del Vangelo - attendono l'arrivo dello Sposo con le lampade accese. Si fanno cioè trovare pronte a seguirlo alle nozze. Le persone stolte non si preoccupano dell'olio della lampada, troppo prese da altro. E così quando arriva lo Sposo si trovano impreparate. Inutile correre ed affannarsi dopo, quando ormai è troppo tardi. Trovano la porta del Regno chiusa e bussando sentono una condanna terribile: 'Non vi conosco'. Gesù ci avverte che la vita è una continua veglia o vigilia, che non ammette distrazioni, È davvero una cosa seria.

La morte non spaventa chi ha vissuto come pellegrino verso il Cielo, anche se occupato in tante cose, che sono la realtà della vita e fanno parte del pellegrinaggio, come l'olio delle vergini. Sono tanti coloro che vivono 'in attesa della chiamata' e non ne hanno paura. Ma sono troppi quelli che credono di vivere eternamente qui, in questo inferno di mondo, spendendo tutto per raccattare le briciole che il mondo dona e non sono l'olio della lampada. Quando la morte li coglie si ritrovano a 'mani vuote', con il rischio di sentirsi dire: 'Non vi conosco'. È vero che c'è chi non vuole neppure pensare alla morte.

Ma serve questo bendarsi gli occhi e la coscienza? O non è forse 'un suicidio dell'anima'? La Chiesa oggi ci fa fermare sulla vera bellezza che è, dopo la morte, in Cielo. Così la descrive Giovanni nell'Apocalisse:
  • Io, Giovanni, vidi un angelo che saliva dall'oriente e aveva il sigillo del Dio vivente. E gridò a gran voce ai quattro angeli ai quali era stato concesso il potere di devastare la terra e il mare: 'Non devastate né la terra né il mare, né le piante, finché non abbiamo impresso il sigillo di Dio sulla fronte dei suoi servi'. Poi udii il numero di coloro che furono segnati con il sigillo: 144.000. Dopo ciò apparve una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all'Agnello, avvolti in vesti candide e portavano palme nelle mani e gridavano a gran voce: 'La salvezza appartiene al nostro Dio, seduto sul trono e all'Agnello'. Allora tutti gli Angeli che stavano attorno al trono e i vegliardi e i quattro esseri viventi si inchinarono profondamente con la faccia davanti al trono e adorarono Dio dicendo: 'Amen! Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, onore, potenza e forza al nostro Dio nei secoli dei secoli. Amen'. Uno dei vegliardi allora si rivolse a me e disse: 'Quelli vestiti di bianco chi sono e donde vengono?: Gli risposi: 'Signore, tu lo sai!: E lui: 'Essi sono coloro che sono passati attraverso la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello' (Ap. 7, 2-14).
Un brano che sembra svelarci ciò che sarà il giorno in cui tutti saremo davanti al cospetto del Padre... se ne saremo degni. Ma ci pensiamo che la nostra sorte ce la giochiamo ogni giorno con il nostro modo di vivere? Ha senso dunque un'esistenza vissuta tutta al presente, senza la visione del futuro? Scriveva Paolo VI:
  • Siamo gente tutta occupata dai desideri e dagli affari di questo mondo, come se altro noi non dovessimo cercare e amare. Così noi non siamo più spiriti veramente religiosi, che conoscono la contingenza radicale delle cose presenti: e non siamo più allenati ad estrarre i valori superiori, che sono quelli morali, connessi al nostro destino eterno. Ecco allora il ricordo della morte fa risuonare, come nell'assunzione di Maria, alle nostre anime, quasi uno squillo di trombe celesti, una chiamata che parte di là, dall'altra riva della vita, quella dell'eternità e della vita soprannaturale. Tutto ciò ci obbliga a verificare se la vita, che ciascuno di noi percorre, è rivolta verso il sommo traguardo e a rettificarla decisamente verso di esso. Nessuna età è stata tentata come la nostra di ‘temporalismo’, cioè di amore verso le cose presenti, come se questi fossero gli unici e sommi beni da conseguire; perché nessuna, come la nostra età, è stata capace di scoprirli fecondi e stupendi... dobbiamo 'guardare in alto', verso l'orizzonte dell'altra vita. Maria ci chiami, Maria ci dia la fede nel Paradiso e la speranza di raggiungerlo". (15 agosto 1961)
Quante volte ripenso ai miei morti, a tantissime persone con cui ho avuto la fortuna di 'camminare', anche se con sacrificio, con gli occhi rivolti al Cielo, come se l'OGGI fosse solo l'attesa di quel grande giorno. Ripenso a mamma, che portava sempre lo stesso grembiule e il cui desiderio era quello di indicarci la via del Paradiso. 'A me, qui in terra, basta questo grembiule' - mi diceva - 'in attesa della veste bianca del Paradiso, se Dio mi vorrà'.

Quante persone ritroveremo Lassù, che qui abbiamo ammirato ed ammiriamo come santi! E, speriamo, quanti amici, che qui hanno attraversato la nostra vita! E il Vangelo di oggi, e anche di domani, Commemorazione dei defunti, ci dà la 'carta d'identità', che è la carta di riconoscimento dei 'beati'. Dovrebbe essere la 'carta' da possedere e vivere qui, già da ora, perché è il segreto della gioia OGGI e, domani, in Cielo.
  • In quel tempo Gesù, vedendo le folle sulla montagna, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli. Prendendo allora la parola li ammaestrava dicendo:

    Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli.

    Beati gli afflitti, perché saranno consolati.

    Beati i miti, perché erediteranno la terra.

    Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati.

    Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.

    Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.

    Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio.

    Beati i perseguitati per causa della giustizia, perché di essi è il regno dei cieli.

    Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.

    Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli” (Mt. 5, 1-12).
Le beatitudini sono il segreto della vera felicità, che tutti vorremmo possedere e vivere, perché ci accorgiamo che quello che ci circonda è 'tutto vanità', e neppure a volte vale la pena ricordarlo e, peggio ancora, affidargli il nostro cuore. A volte, pensando al Paradiso, pare di sognare una meta irraggiungibile, soprattutto verificando la grande fatica che facciamo per trapiantare il 'divino in noi'. Vorremmo essere umili e vediamo tanti nostri gesti imbrattati di superbia. Vorremmo essere poveri in spirito e ci sentiamo le mani continuamente sporche delle cose, cui siamo attaccati fino a diventare chiusi e gretti anche nella più elementare generosità, che ci consentirebbe di liberarci da noi stessi per aprirci alla bellezza dell'amore.

Eppure il Paradiso è la nostra Casa. Il Padre ci attende e tutto ha predisposto perché lo raggiungiamo. Non con le nostre miserevoli buone intenzioni o povere forze, ma 'lavando le nostre vesti e rendendole candide col sangue dell'Agnello', che ci ha salvati, 'quando ancora eravamo peccatori'. Domani la Chiesa ci invita a ricordarci dei nostri defunti.

È un pellegrinaggio in cui siamo chiamati a ricordare, non solo esteriormente, chi ci è caro e ci ha preceduto nell'eternità. Orniamo pure le loro tombe di fiori, ma non dimentichiamo che forse quello di cui necessitano davvero sono i nostri suffragi, il nostro sostegno, con la preghiera, per la loro totale beatificazione. E se per un momento dovessimo fermarci e davvero 'ascoltare nel cuore' quello che ci dicono dal Cielo e dall'eternità, usciremmo dai cimiteri diversi.

Loro hanno raggiunto il traguardo e, quindi, sanno qual è il senso vero della vita e come dovremmo ‘essere' ed operare per acquisirlo. Quante volte visitando le poche ossa rimaste di papà, mamma, dei miei fratelli, che ormai riposano in Dio, ne ascolto la voce come a farmi ammaestrare. Il 'giorno dei morti' dovrebbe essere, non solo il giorno del ricordo, ma il giorno dell'ascolto, della più vera e profonda comunione. Davvero ora, più ancora di prima, ci sono 'cari'.
  • Le anime dei giusti - ci ricorda il libro della Sapienza – sono nelle mani di Dio e nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura; la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. Anche se agli occhi degli uomini subiscono castighi, la loro speranza è piena di immortalità. Per una breve pena riceveranno grandi benefici, perché Dio li ha provati e li ha trovati degni di Sé. Li ha saggiati come oro nel crogiolo e li ha graditi come un olocausto (Sap 3, 1-9).
E noi, è giusto chiederci oggi, saremo in Cielo tra i 'giusti'? Non resta che tentare con tutte le forze, con totale abbandono e fiducia nel Cuore Misericordioso del Figlio Gesù, morto per salvarci e risorto per portarci con Lui, e nella Mamma Celeste, che ci aiuti ora e ci accolga domani: 'Ave Maria... prega per noi peccatori adesso e nell'ora della nostra morte'. E ancora riflettiamo e preghiamo con don Tonino Bello:
  • Santa Maria, donna dell'ultima ora, disponici al grande viaggio.

    Aiutaci ad allentare gli ormeggi senza paura.

    Sbriga tu stessa le pratiche del nostro passaporto.

    Se ci sarà il tuo visto, non avremo più nulla da temere.

    Aiutaci a saldare, con i segni del pentimento e la richiesta del perdono,

    le ultime pendenze nei confronti della giustizia di Dio.

    Mettici insomma in regola le carte, perché giunti alla porta del Paradiso,

    essa si spalanchi al nostro bussare.

    Ed entreremo finalmente nel Regno, accompagnati dall'eco dello Stabat Mater,

    che tante volte cantavamo nelle nostre chiese al termine della Via Crucis:

    ‘Quando corpus morietur, fac ut animae donetur paradisi gloria'

    (Quando il corpo morirà fa' che all'anima sia donata la gloria del paradiso).
E così sia per tutti noi, carissimi, che insieme abbiamo cercato di misurare i nostri passi con la Parola di Dio, sempre con fede e tanto amore.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » ven nov 06, 2009 7:37 pm

      • Omelia del giorno 8 Novembre 2009

        XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Meravigliosa vedova! Esempio di carità
Il Vangelo di oggi offre parecchie considerazioni, che sono uno sguardo di Dio su ciò che veramente siamo in ogni momento della vita. Una Parola che deve invitare a 'guardare dentro di noi', per capire 'chi siamo ai Suoi occhi'. E il Vangelo è davvero la Buona Novella, che sconvolge tutte le regole e i comportamenti, che sembrano la 'linea', da tanti ritenuta necessaria per stare a galla con la mentalità del nostro tempo o di tutti i tempi. Un primo aspetto negativo, che Gesù osserva e da cui ci mette in guardia:
  • Diceva alla folla mentre insegnava: 'Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere i saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe, e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e ostentano di fare lunghe preghiere; essi riceveranno una condanna più grande. (Mc. 12, 38-44)
È un immediato avvertimento: 'guardatevi da essi', ossia state lontani, ‘diffidate’ non prendete per bene quello che fanno, soprattutto quel fastidioso mettere in mostra la loro apparente giustizia e bontà, a iniziare dalle lunghe preghiere - tranne poi - e qui Gesù usa un verbo davvero pesante - `divorare' , cioè depredare le persone più deboli, ossia le vedove.

Gesù impietosamente, ma necessariamente, come fa il medico quando prende in cura un ammalato, e lo vuole guarire, mette a nudo ciò che può attentare alla salvezza dell'anima, proponendo ciò che invece è sicura salute. Lui stesso, del resto, vero Medico delle nostre anime, ha vissuto fino in fondo il suo essere 'Signore', facendo della sua vita 'un dono, un servizio'.

Ai suoi discepoli, che discutevano su chi avrebbe avuto i primi posti nel Suo Regno, risponderà: 'Chi di voi è primo si faccia servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti è venuto in terra non per farsi servire, ma per servire'. Egli stesso, Signore di tutto il creato, è stato il Servo, fino all'umiliante morte in croce, disprezzato ed abbandonato. Del resto noi, che non siamo certamente degli dèi, proprio nulla abbiamo che ci faccia superiori agli altri. La nostra dignità e grandezza è nell'essere tutti 'figli del Padre'.

Il grande vescovo sant’Agostino, di fronte alla sua elezione a vescovo, così interpreta le parole di Gesù: `Da quando mi sono posto sulle spalle questo peso, di cui dovrò rendere non facile conto a Dio, sempre sono tormentato dalla preoccupazione per la mia dignità. La cosa più terribile nell'esercizio di questo incarico, è il pericolo di preferire l'onore proprio alla salvezza altrui. Però, se da una parte mi spaventa ciò che sono per voi, per voi infatti sono vescovo, non dimentico che con voi sono cristiano". Ed aggiunge una preghiera che, come vescovo, faccio mia: ‘Aiutatemi con la vostra preghiera e la vostra obbedienza, perché troviamo la nostra gioia non nell'essere vostri capi, quanto nell'essere vostri servitori’. E l'evangelista Marco, quasi a dare risalto al pensiero di Gesù, fa seguire al suo discorso un fatto che descrive meglio delle parole:
  • Sedutosi, di fronte al tesoro del tempio, osservava come la folla gettava monete nel tesoro. E tanti ricchi ne gettavano molte. Ma venuta una povera vedova, vi gettò due spiccioli, ossia un quattrino.
È una di quelle tante scene a cui possiamo assistere nella nostra vita quotidiana o nelle nostre comunità ecclesiali. I fatti altisonanti fanno sempre cronaca. Come se a dare valore ai gesti che si fanno, nell'esercizio della carità, fosse il 'quanto si dà', più che il ‘cuore con cui si dà'. Ma Gesù non ragiona secondo le, nostre prospettive. Dei ricchi che gettavano esibendo il loro 'dare' afferma: 'Tutti hanno dato del loro superfluo', ossia non è costato loro alcun sacrificio: era qualcosa che avanzava e quindi non merita lode. Ma non esita ad esprimere il Suo stupore, 'guardando al cuore' della vedova e dichiara: 'In verità vi dico: questa vedova ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Nella sua povertà vi ha messo tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere". Questo fatto mi ricorda due testimonianze sperimentate.

Durante un quaresimale, il tema era la povertà intesa come farsi dono e chi era nell'esigenza, fino a provare il morso di non avere niente. E portavo proprio l'esempio della vedova evangelica di oggi. Alla fine mi raggiunse in sacrestia una donna. Bastava guardarla, per scorgere tutti i segni, non solo della povertà, ma della sofferenza, che si portava appresso. Mi chiese di confessarsi, perché secondo lei 'aveva un grande peccato da farsi perdonare'. Fissandola mi chiedevo che cosa potesse volermi dire: tutto in lei splendeva di santità evangelica, dal volto alla povertà. Cercai di capire la sua insistente preghiera, perché le togliessi con la confessione il 'grande peccato'. L'ascoltai. Mise la mano sul petto, dove portava 'tutto quanto aveva, come risparmio per vivere'. Una modestissima somma, avvolta in un pezzo di carta. Prese l'involucro e me lo mise tra le mani dicendo: 'Sono i miei risparmi. Finalmente mi sono tolta un grande peccato'. Chiedendole la ragione del 'peccato', la risposta fu: 'Anche solo custodire questa somma, è come negare un pezzo di pane a chi non ne ha e muore di fame. E questo è un grande peccato'. Sinceramente le risposi: 'Allora il mondo è pieno di peccatori'. ‘Non lo so - rispose - a me basta essermi tolta questo peccato e cosi contribuire in qualche modo a fare meno povero qualche fratello'.

Un altro esempio che ha contribuito non poco alla mia formazione religiosa, mi è venuto da mamma. Eravamo in tanti in famiglia e si sentiva il morso della povertà. Ma si era felici lo stesso. La Parrocchia stava edificando la nuova chiesa parrocchiale e il parroco si appellava alla generosità di tutti. Mamma – essendo lei l'amministratrice di ciò che c'era in casa – era capace, ogni mese, di mettere assieme cinque lire (che allora erano davvero tante) per donarle al Parroco, come contributo per la nuova chiesa. E diceva a me: 'Credi, certamente tolgo qualcosa a tutti voi, ma in compenso sto creando un posto per Dio tra noi. E ti pare poco? Senza contare che poi Lui ce ne preparerà uno più grande e bello in Paradiso'.

Testimonianze di carità, che attirano l'elogio di Gesù. Possono sembrare favole, tratte dal libro dei sogni, e sono invece la storia dei cuori generosi. Oggi un poco più difficile... anche se non mancano esempi meravigliosi, di cui sono testimone tutti i giorni del mio servizio e che, silenziosamente, come quella vedova, mi hanno permesso di fare tante cose, nel Belice e qui.

Dovessi raccontare le storie di queste 'vedove', che sanno dare tanto, tutto, credo che potrei scrivere un libro, ma è un libro che è già scritto nelle opere fatte e in tanti cuori che hanno conosciuto la mano che si porgeva. Purtroppo il nostro tempo - ed è una povertà di amore che allontana la gioia del cuore e del paradiso - fa fatica ad entrare in questo meraviglioso mondo della carità. Scriveva il nostro Paolo VI, arcivescovo a Milano, nel 1960 - parole attualissime oggi -:
  • Il progresso e la ricerca della ricchezza, come fine a se stessa, come unica garanzia di benessere presente e di pienezza umana, è la paralisi dell'amore. I drammi della sociologia moderna lo dimostrano e con quali prove tragiche! E dimostrano che l'educazione cristiana alla povertà sa distinguere innanzitutto l'uso dal possesso delle cose materiali, e sa distinguere poi la libera e meritoria rinuncia ai beni temporali, in quanto impedimento allo spirito umano nella ricerca e nel conseguimento del suo ottimo fine supreme che è Dio e del suo prossimo che è il fratello da amare e servire dalla carenza di quei beni indispensabili alla vita presente, cioè dalla fame e dalla miseria, a cui è dovere e carità provvedere, Il tema come vedere si fa ampio e complesso. Noi ci fermeremo qui: all'ELOGIO DELLA POVERTÀ DI SPIRITO, CHE PURIFICA la Chiesa da superflui e poco esemplari interessi temporali; che le insegna a rifuggire dal mettere il cuore e la fiducia nei beni di questo mondo; che sensibilizza gli animi ai bisogni e alle ingiustizie che opprimono tanta umile gente; che sgombra il cuore da tanti affanni di interesse secondario e gli restituisce la pace e la gioia della preghiera.
Rimane come icona quella vedova, senza nome, del Vangelo, che non ha neppure saputo di occupare 'la prima pagina' nel cuore e sulla bocca di Gesù: una 'pagina' che Lui ha voluto giungesse a noi, come quando si parla di un grande personaggio e, agli occhi di Gesù, lo era! È la grandezza che si acquista in silenzio: il silenzio del dono totale di sé, fatto con tutto il cuore, con semplicità, come fosse la cosa più naturale, quasi ovvia, quando il bene degli altri vale di più, molto di più della propria vita. Questa donna non è 'la povera vedova', ma una 'grande signora del Regno', come vorremmo essere tutti. Un pensiero ed una preghiera del caro Tonino Bello:
  • Fratelli, mettiamoci davvero alla sequela di Cristo.

    Tutto il resto è inutile. Tutto il resto è retorica.

    Tutto il resto è commedia, è sceneggiata se noi veramente non rendiamo questa decisione radicale di seguire Gesù Cristo, Pastore che dà conforto alle nostre anime e dà senso, orientamento alla nostra storia.

    La vita è un continuo fluttuare... Cambia la faccia delle cose.

    Fermo nell'Amore rimane soltanto il Signore.

    E noi questo cammino lo vogliamo fare insieme.

    Dissipa, Signore, le nostre paure. Scuotici dall'omertà.

    Liberaci dalla tristezza di non saperci più indignare per i soprusi consumati sui poveri.

    Facci capire che i poveri sono i 'punti di entrata' attraverso i quali Tu, Spirito di Dio, irrompi in tutte le realtà umane e le ricrei.

    Preserva perciò la Tua sposa dal sacrilegio di pensare che la scelta degli ultimi. sia l'indulgenza alle mode di turno, e non invece la feritoia attraverso la quale la forza di Dio penetra nel mondo e comincia la sua opera di salvezza.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » gio nov 12, 2009 10:18 am

      • Omelia del giorno 15 Novembre 2009

        XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Non corriamo con gli occhi bendati!
Almeno le persone responsabili, - ossia quelle che hanno sempre presenti le ragioni stesse della vita: da dove veniamo, al perché, al come e a dove siamo diretti, quando finirà questa vita, questo mondo – si rendono conto che, per fare strada alle innovazioni, alle scoperte che giovano all'economia, ormai si debba temere davvero per la fine del nostro pianeta e sia diventato urgente cambiare stile di vita, per non diventare tutti colpevoli di un vero crollo della nostra magnifica terra.

Ma l'uomo stenta a cambiare stile e mettere fine alla corsa dello sfascio. Basti pensare agli arsenali delle bombe atomiche che, qualcuno a detto, potrebbero sbriciolare il pianete, non una ma tante volte, se scoppiassero. Pare di vivere sull'orlo di un precipizio, ma non si ha la saggezza di rimettersi in mezzo alla strada, per conservare il bene della natura e della terra. Ed è una giusta domanda quella che le persone responsabili si pongono: 'Che sarà di tutti noi e del mondo, alla fine dei tempi?'. Il profeta Daniele così profetizza:
  • In quel tempo sorgerà Michele, il grande principe, che vigila sui figli del tuo popolo. Vi sarà un tempo di angoscia, come non c'era mai stato dal sorgere delle nazioni fino a quel tempo; in quel tempo sarà salvato il tuo popolo, chiunque si troverà scritto nel libro. Molti di quelli che dormono nella polvere della terra si sveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento: coloro che avranno indotti molti alla giustizia, risplenderanno come le stelle per sempre (Dan. 12, 1-3).
È bene chiederselo con insistenza, per non essere trovati impreparati: 'Cosa sarà di noi, di tutto il mondo?'. Gesù affronta il discorso dell'ultimo giorno, non come lo spezzarsi di un filo o l'oscurarsi di una speranza, ma come un cambiamento radicale che, finalmente, metterà a fuoco ciò che sulla terra si era dimenticato, la Sua e la nostra gloria in Lui, spazzando via o dando forma diversa a ciò che in questa vita deve essere solo cornice e non bene impossibile o improponibile. Così Gesù descrive 'quel giorno', il nostro giorno:
  • In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, e la luna non darà più il suo splendore, e gli astri si metteranno a cadere dal cielo, e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra, fino all'estremità dei cieli. Dal fico imparate questa parabola: quando già sul suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che l'estate è vicina, alle porte...In verità vi dico: Il cielo e la terra passeranno, ma le mie prole non passeranno. Quanto a quel giorno e a quell'ora, nessuno li conosce, neanche gli angeli nel cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre (Mc. 13, 24-32).
Nella mia giovinezza - e credo sia per tanti così - età dei sogni, che rischia facilmente anche di conoscere l'amarezza dei fallimenti, il Signore mi mise accanto un santo sacerdote, padre spirituale, don Clemente Rebora, divenuto noto dopo la sua conversione. Era davvero un sacerdote che viveva con i piedi a terra, ma con la mente e il cuore sempre in Cielo, tanto che non riusciva mai a convincerti che lui fosse in questo mondo: ed invece lo era per la sua squisita carità, che lo faceva vicino a quanti avevano bisogno e soffrivano.

Lui ci spiegava la vita di ogni uomo, con semplicità. In ciascuno di noi - amava spesso ripeterci - creature plasmate dalle mani di Dio, ci sono tre grandi momenti che sono come delle porte che si aprono l'una sull'altra. Il primo momento è il giorno del Battesimo, quando ciò Dio chiama per nome a vivere la Sua vita, morendo al mondo, quasi per 'respirare Lui'. Il secondo momento è quello della scelta di cosa fare della vita, la nostra vocazione, che è conoscere quale strada Dio ha tracciato per arrivare a Lui, facendo la Sua volontà. Il terzo momento, il più solenne, è l'incontro definitivo con Gesù, che viene sulle nubi, circondato dagli Angeli e dai Santi.

"Non devi fallire nessuno di queste tre porte - continuava a ripetermi - perché fallirne anche una sola è davvero 'la fine del mondo', per cui cerca di vivere ogni giorno l'impegno preso nel Battesimo; vivi con gioia la vocazione, qualunque questa sia, perché Dio ha per ciascuno un piano di salvezza; resta sempre pronto e vigilante per l'incontro con Gesù, alla tua morte, e alla fine dei tempi". Allora, giovane, mi sembravano parole belle, ma... avanzando negli anni, mi sono sempre più reso conto della grande verità che contengono. Il Concilio ha queste altre magnifiche parole:
  • La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati, in Cristo, e nella quale per mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità, non avrà compimento se non nella gloria del Cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose. Fino a che non ci saranno cieli nuovi e tenne nuove, nei quali la giustizia ha la sua dimora, la Chiesa pellegrinante nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all'età presente, porta la figura fugace di questo mondo e vive tra le creature, le quali sono in gemito e nel travaglio del parto sino ad ora e sospirano la manifestazione dei figli di Dio.
Ma quanti pensano a questa realtà che ci attende? In troppi si vive come se quel 'domani' non esistesse. Ma che senso ha la vita senza questo futuro vicino a Dio? Non averlo presente è come viaggiare in un deserto, che fa tanto male. Invece vivere con il pensiero sempre presente a quel 'domani' sicuro, che ci attende, è conoscere la bellezza e la saggezza della vita. Piace rammentare pensiero sulla morte' di Paolo VI:
  • Una considerazione sulla precarietà della vita e sull'avvicinarsi inevitabile della sua fine si impone. Non è saggia la cecità davanti a tale immancabile sorte, davanti alla disastrosa rovina che porta con sé. Vedo che la considerazione prevalente si fa estremamente personale: io chi sono? Che cosa resta di me? Dove vado? Cosa devo fare, quali sono le mie responsabilità? 'Camminate - afferma l'apostolo Giovanni - finché avete la luce'. E mi piacerebbe essere nella luce. Vi è una luce che svela la delusione di una vita fondata su beni effimeri e speranze fallaci. Vi è la luce di oscuri e ormai inefficaci rimorsi. Vi è la luce della saggezza che finalmente intravede la vanità delle cose e il valore della virtù che dovevano caratterizzare il corso della vita. Quanto a me vorrei avere finalmente una nozione sapiente del mondo e della vita: e penso che tale nozione dovrebbe esprimersi in riconoscenza: tutto era dono; tutto era grazia; e come era bello il panorama attraverso questa luce: il panorama attraverso il quale si è passati deve apparire segno e invito (Paolo VI).
Chi di noi, quel giorno finale, non vorrebbe essere nell'elenco dei chiamati, come Gesù afferma nel Vangelo: 'Egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra, fino all'estremità del cielo?’. Per chi ha fede avere il pensiero quotidiano verso un domani sicuro, oltre la morte, è la vera saggezza della vita, aiuta a fare scelte giuste, ma soprattutto riempie di quella speranza che va oltre tutto. Sapere che questa vita altro non è che la prova per il nostro ingresso nel Cielo, dà quella serenità che è il respiro dell'anima. Vengono in mente le parole di Paolo ai Filippesi:
  • Fratelli, per me, vivere è Gesù e morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero cosa debbo scegliere. Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio, dall'altra parte è più necessario per voi che io rimanga nella carne (Fil. 1, 21-25).
Facciamo nostre le riflessioni di don Tonino Bello:
  • Tutta la visione cristiana è centrata sul mistero della morte di Gesù, quindi anche per noi la morte deve essere un tema abituale. Non per questi io sono un fautore del ‘memento mori' (ricordati che devi morire). Lo considero terrorismo spirituale, che distrae la gente dalla gioia di vivere. Inoltre se si vive senza peccato e... senza gioia, solo per paura del Giudizio, allora non vale la pena di amare in Dio, Vale la pena invece, perché sulle arcate che gli uomini si sforzano di costruire, Dio metterà l'ultima pietra, il compimento finale. Nulla della bellezza, di cui siamo artefici sulla terra, sarà distrutto. Non rifuggiamo la vita, dunque, ma non restiamole aggrappati. Alla morte bisogna abbandonarsi con speranza. Con la speranza cristiana della resurrezione di Cristo. È questo che induceva Montale a dire: ‘Non posso pensarti dolente, dal momento che per un cristiano la morte odora già di resurrezione'. Ed è per questo che io amo, sopra tutti, un crocifisso visto nel duomo di Molfetta. Era in sacrestia, vicino ad un cartello ingiallito che diceva: 'collocazione provvisoria'. Credo che questo sia il senso della nostra vita e della nostra morte, in attesa della resurrezione (don Tonino Bello).

Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2008/2009

Messaggio da miriam bolfissimo » ven nov 20, 2009 10:37 am

      • Omelia del giorno 22 Novembre 2009

        XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Solennità di CRISTO, RE dell’Universo
La Chiesa chiude il suo anno liturgico, con la solennità di Cristo Re. L'anno liturgico, agli occhi di Dio, è tempo senza fine, in cui si intreccia il dialogo tra Dio Creatore e noi uomini. Un dialogo in cui Dio non si arrende ai ‘no’ dell'uomo, ma va oltre, cercando di vincere la nostra resistenza con un amore che è davvero infinitamente grande: il Padre non vuole che alcuno si perda! Gesù, venendo tra noi, fattosi uomo, cerca di riportare non solo la verità, ma l'amore, chiamandoci ad entrare nel Suo Regno. Così, durante l'anno liturgico, che inizia con l'Avvento, si 'fa memoria' - rivivendola - della passione di Dio per noi. Ci si ripresenta la vita del Figlio, perché noi possiamo farci coinvolgere, partecipare e così, raggiungere la mèta: entrare nella salvezza.

Dobbiamo sempre ricordarci che ciascuno di noi non è, come qualcuno ha definito l'uomo, 'uno scherzo della natura'. Dio sa quanto siamo grandi ai Suoi occhi: e non può essere diversamente, se pensiamo anche solo un attimo all'amore immenso di un padre che genera un figlio. Ed è giusto che oggi facciamo festa a Gesù, nostre RE, per quello che, non solo ha operato, ma opera continuamente tra noi e in noi. Basterebbe pensare alla Sua presenza nell'Eucarestia, al farsi 'pane della nostra vita', prendendo addirittura fissa dimora in ciascuno di noi, partecipando della nostra vita, qui, che lo vogliamo o no. Questa è la santità e il vero significato di una vita vissuta con Dio: 'vivere di Gesù', o, come dice Paolo :'Vivere Gesù'. Troppi neppure sanno o pensano che Dio prende tanta parte nella nostra vita. Che perdita! Facciamoci illuminare dalle parole che oggi ci dice l'Apocalisse:
  • Gesù Cristo è il testimone fedele, il primogenito dei morti, e il principe dei re della terra.. A Colui che ci ama e ci ha liberato dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a Lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli, Amen, ecco viene sulle nubi e ognuno Lo vedrà: anche quelli che Lo trafissero e tutte le nazioni della terra si batteranno per Lui il petto. Sì. Amen. Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente (Ap 1, 5-8).
Leggendo il Vangelo, pare che Gesù abbia scelto i momenti più drammatici per affermare le grandi verità, che non ammettono ombre. Davanti a Pilato, che aveva il potere di giudicare e condannare, Gesù si poteva difendere da una precisa accusa, imperdonabile: 'Tu sei il re dei Giudei?'. Quell'accusa poteva essere, agli occhi di Pilato, una grottesca invenzione degli avversari di Gesù. Come poteva infatti essere re senza incoronazione, senza territorio da governare, soprattutto senza potenza? Altra era Pilato, che aveva alle spalle l'impero romano, pronto a intervenire con la forza militare, altro era Gesù, solo, abbandonato da tutti, forte solamente per il suo essere Figlio di Dio, ma volutamente alieno da ogni esercizio di potere terreno.

La Sua potenza era l'Amore del Padre. Pilato aveva davanti a sé un uomo che non faceva assolutamente paura: una povera cosa che si poteva schiacciare quando e come si voleva. E Gesù, con semplicità, sapendosi totalmente in mano ad un simile mostruoso potere e avendolo accettato con la logica ferrea dell'amore, risponde con chiarezza disarmante:
  • Gesù rispose: Dici questo da te oppure altri te l'hanno detto sul mio conto? Pilato rispose: Sono io forse Giudeo? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno consegnato a me; che cosa hai fatto? Rispose Gesù: Il mio regno non è di questo mondo: se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei: ma il mio regno non è di quaggiù. Pilato allora disse: Dunque tu sei re? Rispose Gesù: Tu lo dici: io sono re. Per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce (Gv 16, 33).
Sappiamo che di fronte a questa proclamazione della verità, Pilato chiese: “Ma cos'è la verità? e non ebbe risposta. Due modi diversi, contrapposti, di esercitare la regalità e il potere.

Il primo, quello di Pilato, è lo stesso del mondo in tutti i tempi, quando addirittura il potere diventa assoluto, annullando la libertà delle persone, come è nelle dittature. È diventare 'padroni degli uomini e delle cose', è la potenza o prepotenza, a cui poco importa che gli uomini trovino pace, ricevano rispetto della propria dignità e libertà. É un potere che a volte si esercita con tanta virulenza da suscitare terrore.

Ma l'autorità che si esercita nel potere, qualunque questo sia o da qualunque parte venga, dalla famiglia - se volete - dalla società, dalla stessa Chiesa, dovrebbe aiutare a crescere nella libertà, nella giustizia, nel bene: e tutto questo disinteressatamente, senza, con il potere, 'farsi strada', vincendo la tentazione di badare solo ai propri interessi, che, se diventano l'obiettivo del potere, si trasformano in squallide 'rapine' agli uomini e grave bestemmia alla nobile natura dell'autorità, che discende dal Cielo.

‘Fare strada agli uomini - affermava don Milani - senza farsi strada’.

Siamo, a dir poco, scandalizzati, dalla lotta dei partiti per i vari poteri nei governi, da quello nazionale a quello locale: una lotta che, a volte, è stata definita 'di coltelli', poiché non risparmia colpi. Non avremo mai parole adatte per condannare le squallide scalate al potere, da qualunque parte vengano, vergognosi sfregi al 'servizio della comunità'. Gesù, invece, - e con Lui tutti i fedeli che Lo seguono, con esemplarità in tanti Santi - continua a dirsi Re, davanti a Pilato e davanti a noi, nella sua nudità e apparente debolezza, che ignora ogni forma errata di potere.

Gesù continua ad affermare che il suo potere è l'amore: un amore che non si vergogna di essere servizio, fino a lavare, come avvenne nell'Ultima Cena, i piedi dei Suoi discepoli, scandalizzando gli Apostoli. Un potere che si fa dono, fino a dare la vita sulla croce, perché quelli che Lui governa, noi, abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza. Un potere che celebra la sua gioia nel farsi cibo nell'Eucarestia. Eppure Lui, a differenza di noi uomini, davvero ha potere su di noi, è il nostro Re, Lui e Lui solo può chiamarsi Via, Verità e Vita.

Per Lui tutte le cose sono state fatte e, con Lui, se accettano la sua regalità, condivideranno la gloria. Di Lui solo possiamo dire in pienezza: 'Tu sei la mia vita, altro io non ho'. Eppure tanta regalità quasi non si fa sentire, fino a poterla ignorare, anche se così agendo è come oscurare il sole della vita, mettendosi le mani davanti agli occhi per paura della luce, come facciamo a volte, tanti.

E allora se regnare per Gesù è amare, noi possiamo donare a Lui un 'sì' con tutto il cuore, come è nella natura dell'amore. DirGli 'Grazie, perché mi ami'; farsi portare sulle braccia, anche se qualche volta, seguendo Lui, le nostre braccia, con le Sue, si troveranno distese sulla croce, ma sarà sempre riposare in Dio. Non resta che affidarci al grande amore a Gesù che aveva Paolo VI, che scrisse quella stupenda pagina, che amo spesso riproporre: ‘Tu ci sei necessario’. Leggiamola con il cuore e con commozione:
  • Oggi, l'ansia di Cristo pervade anche il mondo dei lontani, quando in essi vibra qualche autentico movimento spirituale. Il mondo, dopo aver dimenticato e negato Cristo, Lo cerca. Ma non lo vuole cercare qual è e dove è. Lo cerca tra gli uomini mortali; ricusa di adorare Dio che si è fatto uomo e non teme di prostrarsi servilmente all'uomo che si fa dio. Ma oggi dall'inquietudine degli spiriti ribelli e dall'aberrazione delle dolorose esperienze umane, prorompe una confessione al Cristo assente: di Te avremmo bisogno. Di Te abbiamo bisogno, dicono anche altre voci isolate, ma sono molte oggi e fanno coro.

    È una strana sinfonia di nostalgici che sospirano a Cristo perduto; di generosi che da Lui imparano il vero eroismo; di sofferenti che sentono la simpatia dell'uomo dei dolori; di onesti che riconoscono la saggezza del vero maestro; di delusi che cercano una parola ferma, una pace sicura; di volenterosi che sperano di incontrarLo sulle vie diritte del bene,

    L'ansia di trovare Cristo si insinua anche in un mondo avvinto dalla tecnica del materialismo e della politica, e non vuole soffocare.

    O Cristo, nostro unico mediatore, Tu ci sei necessario per venire in comunione con Dio Padre, per diventare con Te, che sei Figlio unico e Signore nostro, suoi figli adottivi, rigenerati dallo Spirito Santo.

    Tu ci sei necessario, o solo e vero Maestro delle verità recondite della vita, per conoscere il nostro essere e il nostro destino, la via per conseguirlo.

    Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire la nostra miseria e per guarirla; per avere il concetto del bene e del male e la speranza della santità; per deplorare i nostri peccati e per averne perdono.

    Tu ci sei necessario, o Fratello primogenito del genere umano, per ritrovare la ragione vera della fraternità fra gli uomini, i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il bene sommo della pace. Tu ci sei necessario, o grande Paziente dei nostri dolori, per conoscere il senso della sofferenza e per dare ad essa un valore di espiazione e redenzione.

    Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio con noi, per imparare l'amore vero e per camminare nella gioia e nella forza della tua carità lungo il cammino della nostra via faticosa, fino all'incontro finale con Te amato, con Te atteso, con Te benedetto nei secoli (Quaresima 1955).
Vorremmo avere tutti, anche solo una briciola di questa 'passione per Gesù', gli stessi sentimenti di Paolo VI, che sono i sentimenti dei cristiani che amano e si lasciano amare da Gesù.

Che lo Spirito ci aiuti ad abbandonarci a tanto amore.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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