Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Omelie di Monsignor Antonio Riboldi e altri commenti alla Parola, a cura di miriam bolfissimo
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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven giu 21, 2013 9:06 am

      • Omelia del giorno 23 Giugno 2013

        XII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Dobbiamo scegliere da chi andare
Conosciamo tutti, per esperienza diretta, come attorno a noi vi sia un vero assalto per comprarci, in ogni campo. Si cerca di condizionarci con l’opprimente pubblicità commerciale, che invade le mura delle nostre belle città, imbrattandole con figure a volte ai limiti della decenza. Si riempiono larghi spazi dei mass-media, per cercare di orientare le scelte quotidiane della nostra esistenza, con la pseudo qualità che spesso la televisione o le riviste ci offrono, insinuandosi nei nostri gusti fino a renderci schiavi di una moda o, peggio, a volte di uno stesso stile di vita. Vi è poi, di conseguenza, un modo di pensare il più delle volte fatto di opinioni correnti, spesso basate su un’autentica ignoranza, se non addirittura su sfacciate menzogne, come fossero verità orientate all’umanizzazione della persona o al bene comune, come nel caso dell’interruzione della gravidanza, del comportamento sessuale libero, della pornografia. Ed è sotto gli occhi di tutti come una non oculata critica su ciò che viene proposto, finisca per ‘comprare’ il nostro bene più prezioso: la nostra stessa anima. Lo stesso avviene a volte nell’esercizio della politica. Basta dare uno sguardo all’allarmante fenomeno del clientelismo ed assistenzialismo, o peggio della corruzione.

Del resto si svende persino come merce usata e non più commerciabile il bene della fede. Impressiona come si dia poco spazio ad una vita che sia ricerca dell’unico e sommo bene che è Dio, nostro Padre, ma accantonando Dio si perde anche il senso della dignità della persona, il valore dell’amore solidale, del servizio ai fratelli in difficoltà. Ricordiamoci bene: ogni volta che scompare dalla vita l’amore al Padre, scompare l’amore ai fratelli. Il Vangelo ci offre proprio una domanda cruciale, che Gesù fa ai Suoi, che lo seguivano. Leggiamo insieme il brano di Luca:
  • Un giorno Gesù si trovava in un luogo solitario a pregare. I discepoli erano con lui ed egli pose loro questa domanda: ‘Le folle, Chi dicono che io sia?’ Ed essi risposero: ‘Giovanni il Battista; altri dicono Elia; altri uno degli antichi profeti che è risorto’. Allora domandò loro: ‘Ma voi, chi dite che io sia?’ Pietro rispose: ‘Il Cristo di Dio’. Egli ordinò loro severamente di non riferirlo ad alcuno. ‘Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno’. Poi a tutti diceva: ‘Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà’. (Lc. 9, 18-24)
A noi assetati di punti di riferimento che aiutino ad indirizzare le nostre scelte, Gesù presenta se stesso con una domanda molto semplice: ‘Chi sono io?’, come a dirci: Chi credete che sia io che vi chiamo, che vi indirizzo parole che sono verità, che mi pongo come bene assoluto, insomma, il vero amico da cui si è amati infinitamente e a cui ci si può affidare con piena e certa fiducia? Chi sono io per cui vale la pena di abbandonare ogni cosa, fino a farsi totalmente povero per avere solo me? Io vi offro solo il mio amore e la piena condivisione alla mia vita, ma Io chi sono per te?’.

Ma la prima domanda che Gesù fa in luogo appartato, dopo aver pregato, come narra il Vangelo, la rivolge ai suoi discepoli, ossia a quanti Lui aveva scelti e a quanti anche oggi non sanno resistere al desiderio di seguirlo: ‘Le folle, chi dicono che io sia?’ Come a dire: Chi sono io per chi non mi conosce per esperienza diretta, per amicizia, come voi? È una domanda che anche noi cristiani dovremmo porci: Chi è oggi Gesù per la gente? La risposta che riceve dagli Apostoli è bella. Lo credevano un profeta, quindi un uomo mandato da Dio. Chissà se oggi accadrebbe lo stesso? Forse molti non sanno neppure che Gesù esiste, altri lo considerano una pura chimera, altri semplicemente lo ignorano o contestano senza conoscerlo.

E noi, che ci diciamo cristiani? Chi è per me Gesù? Possiamo, guardandolo negli occhi, rispondergli con tutto il cuore: ‘Tu sei colui che ho incontrato, perché mi hai scelto ed amato, non per interesse, ma per liberarmi dalla mentalità di questo mondo. Mi sono affidato a te, perché tu non mi hai comprato, ma mi hai donato la tua stessa Vita, Te stesso. Ho sentito che potevo fidarmi totalmente, liberamente, di Te, mettendo tutta la mia esistenza nelle tue mani. Tu sei colui che ha dato senso alla mia vita e voglio far conoscere ai miei fratelli, perché anche loro possano sperimentare la gioia della tua Presenza nella loro vita’. Sì, perché: ‘Chi sono io per voi?’ è la domanda che Gesù pone a tutti noi, oggi. Davvero Gesù ha tanta parte nelle scelte della nostra vita? E’ il nostro Signore e Dio, per cui siamo disposti a camminare in questa esistenza così da poter raggiungere l’unione di amicizia piena con Lui nel Suo Regno?

Ci sono tanti fratelli che vivono davvero mettendo Gesù al primo posto. Penso a tanti cristiani che anche oggi, in nazioni dove la fede è minacciata, non nascondono il loro amore a Gesù, anche a rischio della stessa vita. Ma ce ne sono anche tanti, noi a volte, strattonati dal mondo che ci ripete fino alla nausea: Seguimi… sulla mia strada troverai successo, ambizioni soddisfatte, potere, mentre Gesù continua a sussurrarci: ‘Chi vorrà salvare la propria vita la perderà e chi perderà la propria vita per me, la salverà’,… solo io sono la tua Pace. Siamo di fronte alla più grande scelta della vita. Chi seguire? Dio o il mondo? Preghiamo perché davvero Gesù diventi il senso vero e profondo della nostra vita, l’Amore da seguire e vivere, da testimoniare proprio ai tanti, troppi, per cui Gesù, ancora oggi, conta poco o nulla.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven giu 28, 2013 10:10 am

      • Omelia del giorno 30 Giugno 2013

        XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Scelta meravigliosa, ma difficile
È proprio nella natura dell’amore essere ‘la scelta senza rimorsi o mezzi termini o impossibile’. “Benedico mio marito – mi confidava una signora, il giorno in cui celebrava le nozze d’oro – Ricordo il giorno in cui davanti a Dio nella mia chiesetta vestita a festa, con tanta emozione dissi ‘sì’ all’uomo che mi amava. Sapevo che anche il suo ‘sì’ era senza i tanti ‘ni’, che alla fine possono divenire la tragedia di una vita insieme, senza senso. Ci sono stati momenti difficili, in cui sembrava che stare insieme e con la famiglia fosse come scalare una montagna impossibile, ma ci siamo riusciti e ogni volta l’amore cresceva. Ora dopo 50 anni di vita insieme, da poveri, ho come l’impressione che questo giorno sia più bello del primo”. “Ho tentennato un po’ – mi confidava un sacerdote – prima di dire ‘sì’ a Gesù che mi chiamava e mi sceglieva. Ogni giorno, se da una parte ero stupito che Dio avesse messo gli occhi su di me, così tanto debole, dall’altra non riuscivo a pensare di voltare le spalle ad una scelta che ora comprendo essere ‘un farsi amare totalmente’. E c’è forse cosa più bella di questa?”.

Benedetto XVI, nel messaggio in preparazione alla Giornata mondiale della Gioventù, che si tenne a Sidney, affermava: “Ogni persona avverte il desiderio di amare e di essere amata. Eppure quant’è difficile amare, quanti errori e fallimenti devono registrarsi nell’amore! C’è persino chi giunge a dubitare che l’amore sia possibile. Ma se carenze affettive e delusioni sentimentali possono fare pensare che amare sia un’utopia, un sogno irraggiungibile, bisogna forse rassegnarsi? No. L’amore è possibile e lo scopo di questo mio messaggio è di contribuire a ravvivare in ciascuno di voi, che siete il futuro e la speranza dell’umanità, la fiducia nell’amore vero, forte, fedele: un amore che genera pace e gioia”. E quando Dio chiama, ossia ci invita a seguirLo, in qualsiasi forma, perché ogni vocazione è una chiamata, altro non chiede che di partecipare al Suo amore, sempre. E chiede a noi la generosità del ‘sì’. C’è in questa domenica un meraviglioso racconto dell’invito di Dio.
  • In quei giorni, disse il Signore a Elìa: ‘Ungerai Eliseo, di Abel-Mecola, come profeta al tuo posto’. Partito di lì, Elìa incontrò Eliseo, figlio di Safat. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il decimo secondo. Elìa, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello. Quegli lasciò i buoi e corse dietro a Elìa, dicendogli: ‘Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò’. Elìa disse: ‘Va’ e torna, perché sai bene che cosa ho fatto di te’. Allontanatosi da lui Eliseo prese un paio di buoi e li uccise, con gli attrezzi per arare ne fece cuocere la carne e la diede da mangiare alla gente, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elìa, entrando al suo servizio”. (I Re 19, 19-21)
Un forte esempio di come si accetta l’invito di Dio. Il Vangelo che Luca ci propone oggi ha dello sconvolgente per tutto quello che vi è narrato. Si incrociano Gesù, che si dirige senza tentennamenti verso Gerusalemme, come a mostrare il suo deciso amore che si farà morte e resurrezione, e, sulla sua strada, una serie di rifiuti e di proposte che mettono in crisi le nostre risposte all’invito di Gesù a seguirlo.
  • Mentre stavano compiendosi i giorni in cui Gesù sarebbe stato tolto dal mondo – racconta Luca – egli si diresse decisamente verso Gerusalemme e mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per Lui. Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto a Gerusalemme. (N.B. I Samaritani non credevano nella resurrezione e andare a Gerusalemme voleva dire schierarsi con chi credeva diversamente da loro). Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: ‘Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?’. Ma Gesù si voltò e li rimproverò. E si avviarono verso un altro villaggio. Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: ‘Ti seguirò dovunque tu vada’. Gesù gli rispose: ‘Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo’. (Certamente Gesù ha letto nelle parole di chi si offriva a seguirlo, il senso di un’avventura che nulla aveva a che vedere con la sequela, che non ammette se non la piena disponibilità) Ad un altro invece disse, (senza che lo avesse chiesto!): ‘Seguimi!’. E costui rispose: ‘Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre’. Gesù replicò: ‘Lascia che i morti seppelliscano i morti: tu va’ e annunzia il Vangelo’. Un altro disse: ‘Ti seguirò, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa’. Ma Gesù gli rispose: ‘Nessuno che ha messo la mano all’aratro e poi si volge indietro è adatto per il regno dei cieli?”. (Lc. 9, 51-62)
È davvero un Vangelo che fa tanto male alla nostra natura, che a volte sogna o vorrebbe fare grandi scalate nel bene, ma poi si fa fermare da tante ‘cose’, che sono i veri ostacoli al donarsi totalmente. Gesù, il Maestro che era ed è tra noi, sa molto bene che quando uno accetta di seguirLo, nel meraviglioso ma difficile cammino della santità, non può mai permettersi dei ‘ni’: vuole dei ‘sì’ o dei ‘no’ a tutto tondo. E se siamo sinceri, tutti noi sappiamo come, nella esperienza di vita sinceramente cristiana, sia forte a volte la tentazione di farsi prendere da considerazioni o condizioni, che sono in realtà come un mettere ‘grossi alberi di traverso’ sulla strada della sequela.

Ricordate l’esempio del giovane ricco, che era andato da Gesù, chiamandolo ‘Maestro buono’ e chiedendoGli ‘cosa debbo fare per la vita eterna’? ‘Osserva i comandamenti’ aveva risposto Gesù. Ma poi, narra il Vangelo: ‘fissatolo, lo amò’. E quando Gesù ‘fissa ed ama’ mostra fiducia: una fiducia che subito si muta in un invito ad andare oltre: ‘Se vuoi essere perfetto, va’, vendi tutto quello che hai, dàllo ai poveri, poi vieni e seguimi’. Ma il giovane si allontanò da Gesù ‘perché aveva molti beni’. Ecco i ‘grossi alberi di traverso’, che a volte anche noi mettiamo. ‘Gesù si rattristò – racconta il Vangelo – e disse: ‘Come è difficile che un ricco entri nel regno dei cieli. È più facile che un cammello entri per la cruna di un ago che un ricco in cielo’.

Così, oggi, tutti noi siamo chiamati a riflettere sul nostro ‘stare con Gesù’. Nessuno ci chiede di lasciare chissà che cosa. Chiede solo che non ci sia nulla che sia di ostacolo all’amore. Piace farvi dono di una riflessione di Paolo VI che, un giorno di Quaresima, così chiedeva a chi lo ascoltava:
  • Noi vorremmo rivolgerci singolarmente a ciascuno per parlare a voce sommessa al cuore e dire: tu segui e accetti il Signore? Credi in Lui? Gli vuoi bene? Pensi alle sue parole? Sono esse vere per te, o passano invece come farfalle senza mèta? Sono effettivamente il colloquio con Dio? Riguardano la tua esistenza? Incalzano sopra di te e riescono ad ottenere che tu abbia a modellare la tua vita ai disegni di Dio? Si tratta ora di vedere quale è la nostra risposta al Signore e quali sono gli ostacoli da eliminare, perché sia una risposta degna di Lui”. (Quaresima 1962)
Può apparire duro il Vangelo di oggi, ma quanto è dolce sentire Gesù che si rivolge a me, a te, con quel ‘seguimi’. Perché Gesù doni a me, a voi, la generosità nel seguirlo, è bello affidarsi al Salmo 15:
  • Proteggimi, o Dio, tu sei il mio rifugio.
    Ho detto a Dio: sei tu il mio Signore,
    senza di te non ho alcun bene.
    Il Signore è mia parte di eredità e mio calice,
    nelle tue mai è la mia vita.
    Benedico il Signore che mi ha dato consiglio,
    anche di notte il mio cuore mi istruisce.
    Io pongo sempre dinnanzi a me il Signore,
    sta alla mia destra, non posso vacillare.
    Di questo gioisce il mio cuore, esulta la mia anima,
    anche il mio corpo riposa al sicuro.
    Mi indicherai il sentiero della vita, gioia piena nella tua Presenza,
    dolcezza senza fine alla tua destra.
Che Gesù conceda a me, a voi, la determinazione di dirgli sempre ‘sì’, senza paura, anche se qualche volta zoppichiamo... sarà Lui a sostenerci!


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 05, 2013 8:57 am

      • Omelia del giorno 7 Luglio 2013

        XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Annunciare il Vangelo: missione dimenticata
C’è davvero una abissale differenza tra noi e i primi fratelli della fede, ammaestrati dagli Apostoli. Gesù, per ben tre anni, ebbe, si può dire, molto a cuore l’affidare ai suoi il grande ineffabile tesoro della verità, che è nella Parola, che noi ora chiamiamo Vangelo. È davvero un mistero come questi seppero conservare vita e parole del Maestro. Quando lo Spirito Santo a Pentecoste scese su di loro, immediatamente spazzò via paure e ignoranza e non solo li rese coraggiosi missionari, ma sentirono l’invito ad andare in tutto il mondo, perché il Vangelo è ‘il dono per la salvezza’, che Dio ha lasciato per ogni uomo, di ogni luogo, e chiedeva di farlo conoscere a tutti. Basta leggere gli Atti degli Apostoli e ci si riempie di stupore di quanti si convertissero. Sarebbe sufficiente ricordare i viaggi di san Paolo, che amava andare incontro a chi neppure conosceva Gesù, subendo percosse, prigionia, ma senza mai fermarsi... e così appare in tutta la sua drammaticità il nostro ‘stare ferm’ e, a volte, troppe volte, ‘zitti’!

Stupisce ancora di più leggere come i primi tempi non vi fossero vangeli scritti, ma l’annuncio era affidato alla sola Parola, che veniva, non solo ascoltata ed accolta, ma conservata... fino al momento in cui si sentì la necessità di scrivere i Vangeli per tutti i tempi e, quindi, anche per noi. Così la Parola di Dio, conservata nei cuori dei primi discepoli, venne affidata alla carta... incredibile miracolo dello Spirito! Il Vangelo, che ci propone Luca, è di un’attualità che, per fortuna, ora tanti cercano di fare propria.
  • In quel tempo, il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé, in ogni città e luogo dove stava per recarsi. Diceva loro: ‘La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai nella sua messe. Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo ai lupi. Non portate borsa né bisaccia, né sandali, e non salutate nessuno lungo la strada. In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. (Lc. 10, 12-20)
L’invio dei settantadue lascia intravedere chiaramente che il compito di annunciare il Vangelo non è solo degli apostoli, ma di tutti i discepoli, di tutti coloro che hanno accolto il messaggio evangelico, come afferma la Chiesa nel diritto canonico: “I fedeli sono coloro che essendo stati incorporati a Cristo mediante il Battesimo sono costituiti popolo di Dio e perciò, partecipi nel modo loro proprio dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione giuridica di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo”. È importante sottolineare che quello di conoscere e far conoscere il Vangelo, ‘Andate!’, non è un fatto riservato a qualche associazione o movimento cattolico, ossia solo per qualcuno, ma deriva dal Battesimo. È il dono e quindi il dovere bellissimo della profezia, che riguarda tutti.

È vero che c’è stata una lunga e inconsapevolmente dannosa tradizione, che ha affidato il compito di annunciare il Vangelo ai soli sacerdoti, relegando i fedeli al ruolo di semplici ascoltatori, tanto che il cammino di piena responsabilità di tutti nell’annuncio, anche dopo il Concilio, trova tante difficoltà, e la diffidenza verso i laici che annunciano il Vangelo è ancora molta. È anche vero che non si può ‘andare’, se non si ha la fede e la conoscenza della Parola di Gesù. Occorre passione, pazienza e competenza, come, del resto, in tutti i campi delle specialità o anche delle semplici professionalità umane, per fare del Vangelo e, ancor più, della Bibbia, ‘il Libro di Dio’: un Libro che, a differenza di tanti che si leggono, a volte per passatempo e, quando va bene, non lasciano che qualche traccia di vacuità, è PAROLA CHE SI INCARNA FINO A DIVENTARE PENSIERO E VITA, che sono i ‘binari’ del cristiano, su cui Dio viaggia con noi e noi con Lui.

Se è venuta meno la fede e, quindi, la santità della vita, è proprio perché siamo come stravolti da tante notizie, che nulla hanno a che fare con la BUONA NOVELLA. Ricordo, quando ero fanciullo, in famiglia e nel piccolo paese dove abitavo, ogni domenica, tutti si andava a Messa. Si insegnava allora che, perché la Messa fosse valida, bastava essere presenti alle parti essenziali, ossia l’Offertorio, la Consacrazione e la Comunione. Gli uomini per evitare la parte che ritenevano non necessaria, ossia la proclamazione della Parola e la predica, stavano sul sagrato a chiacchierare, fino a che un sacrestano suonava, uscendo di chiesa, la campanella, avvertendo così che, essendo finita la predica, ‘cominciava la Messa’! Ma non tutti la pensavano così. Mamma, a pranzo, prima di sederci a mensa, chiedeva a qualcuno di noi figli cosa aveva detto il Parroco. Noi cercavamo di ricordare qualche frase e questo... ci salvava il pranzo! Eppure, nonostante tutto, debbo dire che nelle famiglie si conosceva il Vangelo. Ricordo che Contardo Ferrini, un grande della fede di quei tempi, affermava: “Nelle mie gite in campagna o montagna, ragionando di Vangelo con le donne, trovavo più sapienza della Parola, di quanto forse non sapevano i teologi”. Ci volle il Concilio Ecumenico Vaticano II per fare prendere coscienza che bisognava assolutamente cambiare ‘passo’. Così Bibbia e Vangelo, e quindi evangelizzazione, divennero l’urgenza per ‘cambiare rotta’: un impegno per tutti. Il grande Paolo VI nella esortazione Evangeli nuntiandi scriveva:
  • La Chiesa lo sa. Essa ha una viva consapevolezza che la Parola del Salvatore – ‘Devo annunziare la Buona Novella del Regno di Dio’ – si applica in tutta verità a lei stessa. E volentieri aggiunge con S. Paolo ‘Per me evangelizzare non è un titolo di gloria, ma un dovere. Guai a me se non predicassi il Vangelo!’. …. Evangelizzare è la grazia e la vocazione propria della Chiesa, la sua identità più profonda. Essa esiste per evangelizzare, vale a dire per predicare ed insegnare, essere il canale del dono della grazia, riconciliare i peccatori con Dio, perpetuare il sacrificio del Cristo nella santa Messa, che è il memoriale della sua morte e resurrezione. Invitata ad evangelizzare, a sua volta invia gli evangelizzatori. Mette nella loro bocca la Parola che salva, spiega loro il messaggio di cui lei è depositaria: dà loro il mandato che lei stessa ha ricevuto. Ma non a predicare le proprie persone, le loro idee personali, bensì un Vangelo di cui né essa, né essi sono padroni.
‘Andate! Annunciate la Parola di Dio’ è un invito che non possiamo ignorare, se ci sentiamo veramente cristiani. E direi che questo invito è stato accolto da molti. Basta ricordare i tanti ‘centri di ascolto’ nelle varie parrocchie, o ‘la scuola della Parola’, che il Cardinale Martini fece perno del suo episcopato: una scuola che si propagò in tutta la Chiesa. Ci siamo accorti che, senza la conoscenza della Parola, i Sacramenti perdono la loro immensa potenza e divengono cerimonie esteriori, obblighi da soddisfare... come le feste della Prima Comunione, che però non hanno seguito nell’impegno o le Cresime che, anziché divenire un ‘andate’, sembrano essere un ‘fuggite’! Lo stesso Matrimonio, svuotato da una seria preparazione e non sostenuto dalla Parola, ha ormai una fragilità che tutti conosciamo e soffriamo.

Nel Vangelo di oggi Gesù indica anche ‘il modo’ di ‘andare’: con la semplicità e la povertà dell’uomo di fronte alla grandezza di ciò che annuncia, ‘come agnelli in mezzo ai lupi: non portate borsa, né bisaccia, né sandali’. È davvero il contrario di quanto, tante volte, fa il mondo, per fare passare i suoi inganni, con una mole sconsiderata di pubblicità, la prepotenza del linguaggio o la pomposità di comizi politici che, troppe volte, sono solo ‘rumore di parole’, senza contenuto... ma riescono ad ingannare la gente. Noi no. Noi dobbiamo andare verso i fratelli con la semplicità della Parola, ancor meglio se accompagnata dalla testimonianza, quasi in punta di piedi, perché sappiamo che la potenza della Parola non è nel nostro modo di offrirla o nella ricercatezza del linguaggio, ma nella forza dello Spirito. La luce della Verità, che viene dalla Parola annunciata, non siamo noi, ma è Gesù. Questo ‘andare senza bisaccia’, anche ‘in mezzo ai lupi’, disarma chi cerca, forse, il fascino dell’uomo e invece scopre che, nella ‘povertà e semplicità’, appare la ‘luce di Dio’. E ne siamo oggi più che mai consapevoli, guardando al nostro Papa Francesco. Non ci resta dunque, carissimi, che riprendere tra le mani la Bibbia e abituarci a farne ogni giorno ‘pane della vita’, insostituibile, perché è lì che si conosce Dio e si entra nella luce della Sua Verità.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun lug 15, 2013 7:44 am

      • Omelia del giorno 14 Luglio 2013

        XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Chi è il mio prossimo?
Credo che la parabola del Buon Samaritano, che la Chiesa ci offre da ascoltare o meglio meditare e vivere, come Parola di Dio all’uomo del nostro tempo, sia da tutti conosciuto, tanto da divenire l’immagine del cristiano che vive seriamente la propria fede. A Gesù viene posta una domanda precisa: ‘Che fare per ereditare la vita eterna?’. E Gesù risponde con una massima semplicissima, la stessa essenza della Santissima Trinità: ‘Ama’, ossia vivi in un atto di amore gratuito e libero. Un giorno l’Apostolo Giovanni scrisse: ‘Dio è Amore’.

Possiamo dire che tutto ciò che Dio fa è sempre solo Amore, incommensurabile, totale, eterno. L’uomo, che è il più alto progetto d’amore del Padre, non può che portare in sé questa natura, questa aspirazione: l’uomo creato per amore e per l’Amore, non può che realizzarsi amando. Del resto se ci interroghiamo in profondità, non possiamo che scoprire in noi un’esigenza ed un desiderio incolmabile di amare ed essere amati. Il resto, tutto il resto, altro non è che la ‘cornice’ di questa nostra realtà, anche se troppo spesso inganniamo persino noi stessi, facendola diventare ‘quadro’ di riferimento. Così Gesù detta la norma di vita per tutti, per ogni uomo, la cui vera natura è l’essere figlio del Padre: ‘Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso’. Una regola all’apparenza facile, che però impegna l’uomo nella sua totalità. Se è facile, forse, capire che a Dio non si può rispondere che con tutto il cuore – anche perché ci comprende poiché sa quanto sia difficile per noi uomini, intaccati dal peccato originale e quindi facili a chiuderci in noi stessi, aprirci totalmente a Lui – molto più complicato è l’amore nei confronti degli uomini, come noi fragili ed egoisti.

Ci sono tante categorie tra di noi – anche se non si dovrebbe mai generalizzare -. Ci sono i buoni e i cattivi, quelli che fanno il bene e quelli che scelgono il male, quelli che si interessano degli altri e sono solidali, e quelli intolleranti ed individualisti, che li schivano; quelli che sanno sostenere con l’affetto, la comprensione e il perdono, e quelli che danneggiano, fanno soffrire, per il loro profitto sfruttano fino a condannare alla fame ed all’emarginazione molti. È dunque necessario che noi ci chiediamo, davvero, in pratica: Chi è il mio prossimo? Chi devo amare e in che modo amarlo con tutte le forze? È una giusta e salvifica domanda, per ciascuno. Mio prossimo è solo chi appartiene alla mia famiglia? Quelli del mio paese o vicinato? Quelli del mio gruppo o movimento? Quelli che con noi frequentano la stessa Chiesa o sono della nostra stessa Nazione? È mio prossimo anche chi considero ‘diverso’, per cultura, razza, religione, provenienza, che a volte guardo con sospetto o indifferenza, o peggio, con disprezzo fino a volerne l’allontanamento? Domande che stracciano il velo, posto sulle tante nostre ipocrisie; domande che rivelano un’attualità evidente, alla quale dobbiamo rispondere, prima di tutto alla nostra coscienza.

Se già secondo la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ‘tutti gli uomini sono uguali e liberi’, tanto più per un cristiano che riconosce nel suo Dio il Padre di ogni uomo. Tutti siamo figli di Dio, sia che siamo buoni o cattivi, importanti o sconosciuti, ricchi o poveri, sani o malati, giovani o anziani. Tutti, ma proprio tutti, siamo amati personalmente, totalmente da Dio Padre. Un amore, quello di Dio, straripante. Come creature umane, sappiamo di essere limitati, fragili, ‘poca cosa’, ma non è così agli occhi di Dio, che ci ama tanto, ma tanto, come figli, tanto da averci donato il Suo diletto Figlio, Gesù, che si è incarnato nella nostra povera natura umana, per poterci donare la Sua vita di uomo perfetto, al fine di farci partecipi della Sua vita divina di Verbo di Dio. Incredibile.

Ho avuto la fortuna di essere stato chiamato da Dio ad essere quello che sono. L’obbedienza mi ha fatto operare in luoghi difficili. So che ho dato tutto per guidare il gregge affidatomi, ma ho ricevuto molto di più, anche se a volte lo zelo metteva a rischio la vita. Ogni uomo, ai miei occhi, è un fratello; non importa se è buono o cattivo, se mi odia o mi ama. Mio dovere è amare, come io stesso sono stato amato da Dio. Come Gesù. Se c’è un atteggiamento che la gente chiede a noi sacerdoti, ma anche ad ogni cristiano, è che amiamo tutti disinteressatamente, facendo della nostra vita un servizio continuo e gratuito, non un ‘mestiere’. La gente ha diritto di vedere in noi l’Amore, fino a dare la vita.

Le parole di Giovanni 17, 21: ’Signore, che tutti siano una cosa sola come Tu sei in me e Io in Te. Che siano anch’essi una cosa sola come noi e il mondo creda che Tu mi hai mandato’, così le spiegava Papa Giovanni XXIII, il Papa del sorriso: “Che siano una cosa sola è il disegno del Redentore divino che dobbiamo attuare e resta grave impegno affidato alla coscienza di ciascuno di noi. Nell’ultimo giorno del giudizio particolare e del giudizio universale sarà chiesto a questa coscienza non se ha fatto l’unità, ma se per essa ha pregato, sofferto… in altre parole se si è dato vigore alla carità”, perché, come ha affermato Papa Francesco: “La strada cattolica è quella dell’unità nelle differenze. Non c’è altra strada cattolica per unirci. Questo è lo spirito cattolico, lo spirito cristiano”.

Occorre davvero amare, ‘senza preferenze di persone’, come afferma san Paolo: amare in nome dell’Amore, che dovrebbe essere il nostro distintivo di cristiani. Ci riusciremo? Con l’aiuto dello Spirito d’Amore, che attende solo di poter operare attraverso di noi, sì. Basta cominciare a cedere il passo all’amore su tutto, in famiglia, nel luogo del lavoro come del divertimento, ovunque ci troviamo e verso chiunque. Occorre voler imparare a guardare all’altro non come un nemico, un ostacolo o un fastidio, ma un fratello, a cominciare dai più bisognosi, offrendo un poco di speranza, frutto dell’amore. Rimettiamo l’amore al primo posto nella vita e davvero costruiremo una civiltà non più dominata dal benessere, ma dalla solidarietà. Lo auguro e prego per tutti.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 26, 2013 9:21 am

      • Omelia del giorno 21 luglio 2013

        XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Scegliere ‘la parte migliore'
Il Vangelo, che la Chiesa ci presenta oggi, davvero è un andare contromano nell'impostazione che diamo alla vita. Vivere oggi, almeno per tanti, è una continua affannosa corsa verso impegni che non concedono un momento di riposo, almeno quello del cuore. Ci carichiamo di troppe ‘cose', che erroneamente definiamo ‘esigenze', e tali non sono, non lasciando spazio ai veri ‘bisogni' del cuore e della vita, sempre se per vita intendiamo quella interiore, che ha altre esigenze, ma contiene il segreto della serenità, felicità e bontà: insomma, una vita in cui l'anima respira ‘a pieni polmoni'...ed è davvero ‘vivere'! Fa davvero impressione il continuo ‘correre', che caratterizza le nostre giornate - ‘un agitarsi per troppe cose' lo definisce il Vangelo - e alla fine, spesso, rimane l'amarezza di ‘aver combinato nulla', di essere continuamente sconfitti e, nello stesso tempo, costretti a ‘correre di più'. È come fossimo morsicati dalla tarantola del benessere, pur sapendo che difficilmente raggiungeremo la vera felicità, anche perché la cultura del benessere ci fa' chiudere su noi stessi come ricci, ci rende "insensibili alle grida degli altri" e ci fa vivere "in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l'illusione del futile, del provvisorio, che porta all'indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell'indifferenza", come ha affermato Papa Francesco nella storica visita a Lampedusa. Questo ‘agitarsi' causa solo stanchezza, svuota l'anima, ci esaurisce, ci anestetizza. Lo affermano anche molti studiosi che curano tantissimi depressi, esauriti o persone in preda alla disperazione. Non si può gettare via il meraviglioso bene della vita, interpretandola male. Quando qualcuno mi telefona, premette di solito la sua richiesta con un: ‘Non vorrei recarle disturbo, perché lei è troppo impegnato'. Una frase che, se intesa nel senso di impegno-agitazione, non corrisponde al vero, ma è il modo di proiettare quello che si è negli altri. Spesso rispondo: ‘Dica, pure. Vediamo di trovare una soluzione'...di fatto considero il tempo, soprattutto se dedicato agli altri, un dono!

Si incontrano ancora persone semplici, seppur molto impegnate nel quotidiano, che conservano tanta serenità. Il segreto è nell'‘occuparsi', ma non ‘agitarsi': ossia trovare, in mille modi, un prezioso spazio per lo spirito, che mantenga vivo il respiro dell'anima, dalla riflessione alla meditazione, dalla preghiera alla contemplazione, dal silenzio alla calma interiore: atteggiamenti che consentono, mantenendo saldamente ‘i piedi per terra', uno sguardo fisso in Alto, da dove scende tanta serenità. Fa tanto male, anche solo sentire dire in proposito: ‘Non ho tempo per queste cose da preti o suore... loro hanno tempo da perdere. La vita è altro!'
E verrebbe la voglia di rispondere: ‘Ma qual è il bello della vita? Il tuo correre, affannarti, per poi essere sempre scontento e scorbutico?'. La risposta viene dal Vangelo di Luca, che oggi la Chiesa ci propone. È un racconto di una bellezza incredibile, suprema ‘regola di vita', che Gesù ha voluto donarci, entrando nel vivo di una giornata. Lui era in cammino verso Gerusalemme. Tutti sappiamo che ‘andare a Gerusalemme', per gli evangelisti, significa ‘il traguardo' dell'amore: donare la vita in croce, il dono più grande dell'amore, per aprirci le porte della vita con Dio! Durante quel viaggio, proprio ai piedi di Gerusalemme, Gesù e i discepoli passano per Betania, la ‘casa dell'amicizia'. Leggiamo questo meraviglioso racconto con lo stupore per le cose belle e con il desiderio di fare nostro ciò che insegna.
  • Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola.
    Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: ‘Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti'. Ma Gesù rispose: ‘Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà mai tolta'. (Lc. 10, 38-42)
È il confronto tra agitazione e contemplazione. Sarebbe stato forse più logico che Marta si fosse rivolta direttamente a Maria per invitarla a partecipare alla sua giustissima opera di ospitalità. In fondo sarebbe stata una carità. Ma Marta, con estrema confidenza, per l'amicizia che la legava al Maestro, si rivolge, ‘rimproverandolo', direttamente a Gesù, sapendo che Lui poteva certamente avere più autorità sulla sorella,: ‘Signore non ti curi...'. E Gesù coglie l'occasione per sottolineare ‘quale sia la parte migliore'. Deve essere stata un'esperienza ‘dura' per Marta, che ancor più esalta quella incredibile che Maria ha vissuto nell'ascolto della Parola del Maestro. È in fondo la bellezza che provano tanti, consacrati e semplici cristiani, quando sanno, nel corso della giornata, mettersi quasi fuori dal turbinìo quotidiano e, nel silenzio, ‘ascoltare' l'Amore che parla. Papa Giovanni Paolo II, in una delle sue encicliche, affermò che non solo le persone consacrate, ma tutti i cristiani sono e devono essere contemplativi. E direi proprio che la saggezza, anche di laici, incontrandoli, la cogli dalle poche ma incisive parole che dicono e che sembrano l'eco di un colloquio con la Verità, Dio. Ce ne sono tanti.

Quando, anche nella vita quotidiana, non si entra in questo mondo, quello di Maria, vero, bello, si giunge ad avere paura del silenzio, che fa emergere il vuoto interiore, il vero inferno sulla terra. Facile incontrare persone infelici, tanto infelici, perché vivono in questo ‘pericoloso silenzio', che cercano allora di riempire con palliativi: la continua sete di chiasso, le droghe, il consumismo e lo spreco in ogni ambito, per poi ritrovarsi nella disperazione, come se la vita non avesse senso. Bisogna allora farsi tutti frati, suore o preti per entrare nei panni di Maria? Credo proprio di no. Gesù si rivolgeva a tutti i suoi discepoli, tutti. Tutti possiamo e dobbiamo sbarazzarci delle ‘agitazioni per molte cose', come Marta, e fare posto a momenti di ‘a tu per tu' con Dio, che ci parla sottovoce, come Maria. E come si sta bene dopo! Rosmini, al cui Istituto appartengo, e che ora la Chiesa ha dichiarato ‘beato', scrisse un breve manuale, rivolto a tutti i cristiani, senza distinzioni, intitolato ‘Le Massime di perfezione'. Nella IV massima, n. 12-13 intitolata ‘Abbandonare totalmente se stessi nella Provvidenza di Dio', scrive:
  • Impara che al cristiano non è vietato compiere tutte le azioni con cui naturalmente si soddisfano i bisogni della vita. È l'ansietà, la sollecitudine che gli viene proibita: essa lo rende inquieto per il desiderio di ciò che gli manca e così gli toglie la pace del cuore e la tranquillità caratteristica di quelli che si riposano in Dio. Può vedere la volontà di Dio nelle sue condizioni presenti e con semplicità e rendimento di grazie godere dei beni che ha. È contrario invece all'abbandono nelle divina Provvidenza che egli si preoccupi e premediti l'avvenire, perché riguardo ad esso il volere di Dio non è ancora noto e il cristiano non deve amare che il volere di Dio. Può amarlo godendo moderatamente ed innocentemente i beni che attualmente ha, perché sono dati da Dio, ma non inquietandosi per quelli futuri, perché il Signore non ha disposto di essi. Esamini il cristiano se stesso e veda se prova in cuore qualche preoccupazione circa i beni e i mali del mondo, se è sempre pienamente tranquillo, pienamente riposato o se si sente crucciato e preoccupato di cose umane, per il successo o l'insuccesso delle quali soffre agitazioni." Saremo capaci di impostare la nostra giornata in modo che occupazioni o altro non ci rubino il bello del silenzio con Dio, che è fonte di saggezza e di pace? È davvero provvidenziale che queste riflessioni il Vangelo ce le offra proprio quando tanti si preparano o sono già in vacanza. Giusto riposo. Ma che sia il riposo del corpo e soprattutto, il momento di togliere nubi dall'anima, trovando spazi per stare come Maria con Dio. Sarebbe un vero peccato se, potendo disporre di momenti di tranquillità, questi momenti li gettassimo alle ortiche, immergendoci nel chiasso, richiamo delle mode del mondo, che non sa cosa voglia dire quiete e gioia. Mi è caro fare l'augurio, a quanti di voi potranno conoscere il riposo delle ferie, di trovare energia e serenità, chissà... magari incontrandosi nel silenzio delle montagne trentine, dove per me è bello ritrovare ‘il silenzio di Maria che ascolta.
In quel silenzio il mio ricordo particolare a Dio sarà per tutti coloro che non hanno la possibilità di godere di un tale riposo, per motivi diversi, ma in particolare per gli ammalati e gli anziani soli. Di cuore, sono vicino, sempre, a tutti, nelle preghiere.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 26, 2013 9:33 am

      • Omelia del giorno 28 luglio 2013

        XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Signore, insegnaci a pregare
Nella vita di noi credenti un Padre, che ci ama, attende che Lo si ami e vuole dialogare con noi, ma spesso non ci trova. Quando sappiamo vivere la dimensione di figli-credenti ritroviamo la gioia infinita del ‘dialogo', ‘dialogo affettuoso'! Purtroppo, come tutte le cose belle che Dio ci offre, il dialogo con Lui troppo pochi lo conoscono, solo pochi lo coltivano, molti forse lo considerano un perditempo. Se c'è un aspetto meraviglioso dell'esistenza, tra coloro che vivono l'amore in profondità e non in superficie, è proprio il profondo desiderio di dialogo, ossia di donarsi nella comunicazione quello che si è, si pensa, si ama. Quando scende il silenzio e cessa il dialogo, è il momento difficile dell'amore.

Mi sono trovato un giorno in una cittadina dove era stato programmato un incontro di giovani. Interprete di quell'incontro - ed erano migliaia i giovani che l'attendevano - era Madre Teresa di Calcutta, insieme al sottoscritto. Madre Teresa giunse molto prima dell'orario previsto e si recò nella cappella adiacente l'auditorium. Era sola in quella Chiesa, totalmente immersa in un dialogo che si poteva contemplare, ma non udire. Ero vicino a lei, non visto, e i miei occhi non si staccavano dal suo volto: i suoi occhi erano come persi negli occhi di Dio, le labbra si muovevano a stento. Ma il volto diceva che tra Dio e lei vi era un profondo e confidenziale rapporto. Stette così per un'ora, senza dare cenno di stanchezza. Anzi, quando le accennai che i giovani attendevano, fu come averla distolta da una visione che non avrebbe voluto abbandonare. Mi seguì e le due ore seguenti ciò che disse sembrò il prolungamento del suo ‘tète a tète' con Dio. Si parlò di povertà, della povertà nel mondo, e chi meglio di lei poteva descrivere i poveri, ma li descrisse quasi rivestendoli di abiti celesti, che certamente aveva ‘scoperto' nella preghiera. Io avrei dovuto parlare dei poveri in Italia e confesso che era altra cosa. Mi mancava quel divino che l'aveva come avvolta tutta nella preghiera. Potrei raccontare tanti esempi, che mettono in discussione, il nostro modo di pregare: esempi di ascolto-dialogo improntato da una tenera confidenza, che non si preoccupa di chiedere, ma è felice di contemplare. Nel Vangelo di oggi Luca mette in bocca agli apostoli la domanda che vorremmo fosse nostra, mia.
  • Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito, uno dei discepoli gli disse: ‘Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli'. Egli disse loro: ‘Quando pregate dite: Padre, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno; dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano e perdonaci i nostri peccati, perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore e non ci indurre in tentazione'. Poi raccontò la parabola dell'uomo che, ritornato all'improvviso da un lungo viaggio, di notte va a svegliare un amico, per chiedere dei pani. La risposta dell'amico è perentoria: ‘Non importunarmi, ora non posso alzarmi per accontentarti'. Ma Gesù afferma con altrettanta forza e decisione: "Vi dico che, se anche non si alzerà per darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti ne occorrono, almeno per la sua insistenza. Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto. (Lc. 11, 1-13)
E, come a mostrare l'ascolto che Dio ha verso chi prega e insiste, la Parola di Dio ci offre l'esempio di Abramo, che prega perché siano risparmiate Sodoma e Gomorra.
  • Il grido di Sodoma e Gomorra, dice il Signore, è troppo grande e il loro peccato è molto grave. Allora Abramo gli si avvicinò e gli disse: ‘Davvero sterminerai il giusto con l'empio? Forse ci sono 50 giusti nella città, davvero li vorrai sopprimere? Lungi da te il far morire il giusto con l'empio, così che il giusto sia trattato come l'empio? Forse il giudice di tutta la terra non praticherà la giustizia?'. Rispose il Signore: ‘Se a Sodoma troverò 50 giusti, nell'ambito della città, per riguardo a loro perdonerò a tutta la città'. Abramo riprese e disse: ‘Vedi come ardisco parlare al mio Signore, io che sono polvere e cenere. Forse ai 50 giusti ne mancheranno 5: per questi cinque distruggerai tutta la città?'. Rispose: ‘Non la distruggerò se ne trovo 45'. Abramo riprese ancora a parlargli: ‘Forse là se ne troveranno 40'. Riprese: ‘Non si adìri il mio Signore, se parlo ancora: forse là se ne troveranno 30'. Rispose il Signore: ‘Non lo farò se ne trovo 30'. Riprese Abramo: ‘Vedi come ardisco parlare al mio Signore: forse là se ne troveranno 20'. Rispose: ‘Non la distruggerò per riguardo a quei 20'. Riprese: ‘Non si adìri il mio Signore se parlo ancora una volta: forse là se ne troveranno 10'. Rispose: ‘Non la distruggerò per riguardo a quei 10'. (Gn. 18, 20-32)
Papa Francesco, proprio commentando le preghiere di Abramo, che si rivolge a Dio per salvare gli abitanti di Sodoma, ha detto: «Abramo è un coraggioso e prega con coraggio». L'esempio è servito al Santo Padre per spiegare che "la preghiera deve essere coraggiosa. L'insistenza di Abramo, anche se a prima vista potrebbe sembrare quella di quella di un commercio fenicio, perché lui tira sul prezzo - ha detto scherzando papa Francesco - è giusta perché è quella di un uomo che sa di poter osare con un Dio che ci ama. Anche santa Teresa - ha ricordato il Pontefice - parla della preghiera come ‘un negoziare col Signore' e questo è possibile solo quando c'è la familiarità col Signore. È interessante notare, - ha aggiunto poi il Pontefice - che nel dialogo con Dio, Abramo convince il Signore con le virtù proprie del Signore! Quello è bello! L'esposizione di Abramo va al cuore del Signore e Gesù ci insegna lo stesso: ‘Il Padre sa le cose. Il Padre - non preoccupatevi - manda la pioggia sui giusti e sui peccatori, il sole per i giusti e per i peccatori'. Con quell'argomentazione Abramo va avanti. Io mi fermerò qui: pregare è negoziare col Signore, anche diventare inopportuno col Signore. Pregare è lodare il Signore nelle sue cose belle che ha e dirgli che queste cose belle, ce le mandi a noi. E se Lui è tanto misericordioso, tanto buono, che ci aiuti!». (Omelia di Papa Francesco, Casa Santa Marta 1° luglio 2013)

Un esempio, quello di Abramo, di come la preghiera davvero è un dialogo rispettoso, ma confidente, fra il Padre e il figlio. Una preghiera che sembra la fotocopia del Vangelo di oggi: ‘...si alzerà a dargliene, quanti ne occorrono, almeno per la sua insistenza'. E qui penso sia opportuno che ciascuno di noi si interroghi sul come intende la preghiera, perché credo che non sempre sappiamo pregare e tanto meno fare nostra la domanda degli Apostoli: ‘Signore, insegnaci a pregare'. Mi affido ad una riflessione di Paolo VI, del 1971:
  • Si prega, oggi? Si avverte quale significato abbia l'orazione nella nostra vita? Se ne sente il dovere? Il bisogno? La consolazione? Dovremmo innanzitutto tentare ciascuno per conto nostro, di fare questa esplorazione e di coniare per uso personale una definizione della preghiera. E potremmo proporcene una molto elementare: la preghiera è un dialogo, una conversazione con Dio. E subito vediamo che essa dipende dal senso di Presenza di Dio che noi riusciamo rappresentare al nostro spirito, sia per intuito naturale sia per fede. Il nostro è un atteggiamento come quello di un cieco che non vede, ma sa di avere davanti a sé un Essere reale, personale, infinito, vivo, che osserva, ascolta, ama l'orante? Allora la conversazione nasce. Un Altro è qui e quest'altro è Dio. Se mancasse questa avvertenza che Lui, cioè Dio, è in qualche misura in comunicazione con l'uomo che prega, questa si effonderebbe in un monologo, non sarebbe un dialogo. Purtroppo dobbiamo ammettere che il mondo di oggi non prega volentieri, non prega facilmente, non cerca ordinatamente la preghiera e, quindi, non la gusta, anzi spesso non la vuole.
Ma possiamo davvero sentire la bellezza del soprannaturale, dove risiede la vera nostra felicità, senza il dialogo con Dio? È un poco come tra due persone che dicono di volersi bene, ma quando viene a cessare il desiderio del dialogo cessa la gioia ed è come fosse spenta la stessa amicizia. Facciamo nostro l'invito con cui Papa Francesco concluse la sua omelia sulla preghiera di Abramo: «Io vorrei che oggi, tutti noi, cinque minuti, non di più, durante la giornata prendessimo la Bibbia e lentamente dicessimo il Salmo 102: "Benedici il Signore anima mia, quanto è in me benedica il suo nome. Non dimenticare tutti i suoi benefici. Egli perdona tutte le colpe, guarisce tutte le infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e di misericordia...". E con questo impareremo le cose che dobbiamo dire al Signore quando chiediamo una grazia. "Tu che sei misericordioso, Tu che perdoni, fammi questa grazia": come aveva fatto Abramo e come aveva fatto Mosè. Andiamo avanti nella preghiera, coraggiosi, e con questi argomenti che vengono proprio dal cuore di Dio».

Proprio oggi, a Rio de Janeiro, Papa Francesco con più di due milioni di giovani, provenienti da tutto il mondo, settemila dall'Italia - come una sola famiglia - sta celebrando la Giornata Mondiale della Gioventù. Egli stesso ha chiesto di essere a lui uniti nella preghiera: «Come sapete - ha detto domenica scorsa all'Angelus - mi recherò a Rio de Janeiro in Brasile, in occasione della 28.ma Giornata mondiale della gioventù. Affidiamo all'intercessione della beata vergine Maria, tanto amata e venerata in quel Paese, questa nuova grande tappa del pellegrinaggio giovanile attraverso il mondo». Ho vissuto alcune Giornate Mondiali, incaricato dalla CEI come catechista, in preparazione dei giovani all'incontro con il Santo Padre, Giovanni Paolo II. È difficile descrivere ciò che si vive in quei giorni. Si ha l'impressione di essere avvolti nella giovinezza della Chiesa, piena di entusiasmo, che cancella tutti i pessimismi che circolano tra di noi. Rincresce non poter essere a Rio... ma l'età non permette più quella grande fatica. Ma il mio cuore è là, a vivere una primavera della Chiesa, che sono quei giovani e tutti coloro che li seguono. Il mio cuore e la nostra preghiera è con il nostro Papa Francesco, che, come sempre, con il suo grande cuore e la sua tenera sensibilità, ci ha confortati, scrivendo in un tweet, pubblicato dopo l'Angelus di domenica scorsa: «Quanti vorrebbero essere a Rio per la GMG ma non possono, si sentano benvenuti fra noi per mezzo della preghiera».



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » mer ago 28, 2013 5:41 pm

      • Omelia del giorno 4 agosto 2013

        XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Guardatevi da ogni cupidigia


Sento come atto di amicizia di iniziare questo commento alla Parola di Dio, parlando del beato Antonio Rosmini, che ha fondato la Congregazione, a cui appartengo, che si chiama ‘Istituto della carità’ e tanti, credo, la conoscano. Apparteneva ad una famiglia nobile di Rovereto: una di quelle famiglie che ‘contano’ per la loro ricchezza. Come insigne studioso e filosofo, si parava davanti a lui una vita da ‘primo della classe’. Ma un giorno Dio lo chiamò. Non ebbe esitazioni nel cercare a tutti i costi qual era la volontà di Dio, che per lui valeva più di ogni cosa. Lasciò il nobile palazzo di Rovereto, dove abitava con i suoi e che ancora oggi conserva meravigliosamente tutta la sua bellezza e ricchezza, e scelse di vivere in un luogo solitario, ‘il Calvario’, che è sopra Domodossola. Lì maturò la sua vocazione e, ispirato dallo Spirito, fondò la Congregazione.

Ancora oggi, se qualcuno dei miei lettori ha avuto l’occasione di visitare il Calvario, quello che colpisce subito è la sua abitazione, chiamata ‘la cella’. Una piccola stanza, che ha lo splendore, secondo san Francesco, di ‘sorella povertà’: uno scomodo letto, un inginocchiatoio, un catino per lavarsi ed un tavolo da studio. Ogni volta ho l’occasione di tornare al Calvario, dove mossi i miei primi passi da rosminiano, vengo attratto da quella ‘cella’ e la confronto con la ricchezza che aveva lasciato a Rovereto. Là, a Rovereto, c’è davvero il lusso di chi ‘aveva e poteva’, qui, al Calvario, c’era la nudità dell’uomo tutto di Dio.

Noi oggi difficilmente capiamo queste scelte di distacco dalle cose senza vita, che ci fanno a volte molto male. Ci sembra pura follia, ma così non conosciamo la gioia del ‘povero in spirito’. Di fronte a Dio, alla vita, all’eternità, al vero valore dell’anima, chi è davvero ‘il folle’? Il ricco epulone o questi santi, a cominciare da Francesco? Chi davvero conosce la serenità interiore, che non ha prezzo? I nostri fedeli vecchi che un tempo avevano a stento un pezzo di pane o ‘l’arrampicatore sociale’, insaziabile ricercatore di ricchezza e beni terreni, che poi per ritrovare un minimo di equilibrio ha bisogno di stordirsi continuamente? Ci avverte, oggi, la Sacra Scrittura:
  • Vanità delle vanità – dice Qoèlet – vanità delle vanità, tutto è vanità. Perché chi ha lavorato con sapienza, con scienza e con successo dovrà poi lasciare i suoi beni a un altro che non vi ha per nulla faticato. Anche questo è vanità e sventura. Allora quale profitto c’è per l’uomo in tutta la sua fatica e in tutto l’affanno del suo cuore con cui si affatica sotto il sole? Tutti i suoi giorni non sono che dolori e preoccupazioni penose: il suo cuore non riposa neppure di notte. Anche questa è vanità. (Qoèlet 2, 21-23)
Dio ci vuol forse dire di nascondere sotto terra i talenti che ci ha dato? Anzi, vuole che questi producano il massimo, ma per la sua gloria e per il bene degli altri. Non è quindi male ‘possedere’, se se ne ha la fortuna, ma solo se non si resta ‘schiavi’ delle cose. Servirsi dei beni, ma non esserne servi. E per capire tutto questo basterebbe, per un momento, rileggere la vita di Gesù, Figlio di Dio.
  • Egli era al principio con Dio. Per mezzo di lui Dio ha creato ogni cosa. Senza di lui non ha creato nulla. ‘per mezzo del quale tutto è stato creato e nulla sussiste senza di Lui’ (Gv. 1, 2-3); ma ‘non pensò di dover conservare gelosamente il fatto di essere uguale a Dio. Rinunziò a tutto; scelse di essere come servo e diventò uomo fra gli uomini. Tanto che essi lo riconobbero come uno di loro. (Fil. 2, 6-7)
Lui, Signore di tutto, sceglie di nascere in una grotta ed è deposto in una mangiatoia. Vive a Nazareth, nella povera casa di Maria e Giuseppe, e aiuta la sua famiglia con il lavoro, accanto al padre putativo. Quando inizia la vita pubblica, con Sé non porta nulla, ma si affida alla carità degli amici che incontra, fino a morire su una croce nella più assoluta nudità. Ed era padrone di tutto! È forse, il Suo, disprezzo per quello che aveva creato? No, ‘e vide che era cosa buona’, ma è distacco da vero Signore di tutto. Diceva Paolo VI in una riflessione dell’ottobre 1968:
  • Il possesso e la ricerca della ricchezza come fine a se stessa, come unica garanzia di benessere presente e pienezza umana è la paralisi dell’amore. I drammi della sociologia contemporanea lo dimostrano, e con quali prove tragiche ed oscure! E dimostrano che l’educazione alla povertà sa distinguere anzitutto l’uso del possesso delle cose materiali e sa distinguere poi la libera e meritoria rinuncia ai beni temporali, in quanto impedimento allo spirito umano nel conseguimento del suo ottimo fine supremo che è Dio, e del suo ottimo fine prossimo che è il fratello da amare e servire, liberandolo dalla carenza di quei beni che sono indispensabili alla virtù presente, come sono la miseria, la fame, a cui è dovere, è carità, provvedere.
La frenesia verso il benessere, che pare sia diventato la grave malattia del nostro tempo, diventa poi causa di una sempre maggiore creazione di poveri, anche tra di noi, e basterebbe leggere i dati dell’ISTAT, che impietosamente mostrano come la forbice tra chi sta bene e chi sempre più deve lottare per la sopravvivenza si fa larga. Davvero è la paralisi dell’amore, di cui parla la Chiesa e che fa davvero male. Dovremmo riflettere su quello che Gesù, oggi, dice a ciascuno di noi, per non diventare vittime di questa ‘paralisi’: “Guardatevi e tenetevi lontani da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni”. Afferma l’evangelista Luca:
  • Disse poi una parabola: ‘La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni. Riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà chiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? Così è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio. (Lc. 12, 13-21)
Fa davvero meditare tutti... ma è la sola medicina per guarire dalla paralisi dell’amore, che nasce dall’egoismo del benessere, per far posto alla carità, che è condivisione dei beni, nel nome dell’Amore! Quante mani generose, ancora oggi, devo ringraziare, per aver riempito le mie, perché a loro volta riempissero quelle dei poveri. Dio non lascia mai a mani vuote quanti si fanno ‘Sue mani’ per i fratelli! Non ci resta che farci convertire.



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Messaggio da miriam bolfissimo » mer ago 28, 2013 5:43 pm

      • Omelia del giorno 11 Agosto 2013

        XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Non temere, piccolo gregge
È diventato ormai ‘il tema’ dominante degli esperti di ecologia, e quindi dei mass-media, trattare l’argomento del collasso a cui va incontro il nostro pianeta. Facile sentire previsioni a breve termine di disastri, che potrebbero sconvolgere tanta parte della terra. Si parla di future siccità o inondazioni, tali da cancellare anche tante nostre città o regioni, che ora si chiedono: Che sarà delle nostre città? Delle regioni che ora vivono nell’abbondanza? Potrebbe tutto svanire nel nulla? Ci sentiamo smarriti, uomini senza più speranza. Quello che impressiona, nonostante i tanti richiami sui danni dell’effetto ‘serra’, è proprio il vedere tutto distrutto, proprio per la corsa verso un progresso, che tale non è, e per cui stiamo pagando un prezzo altissimo: più che corsa al progresso è diventata una corsa accelerata verso... la morte.

Camminiamo senza certezza di futuro ed è la situazione peggiore per l’uomo, che è stato creato per il futuro, se per futuro si intende, non solo quello della scienza e del progresso, ma ‘altro’...quello dell’eternità. Ma si può vivere senza speranza? A che servono i millantati progressi se ci rubano il bene più grande, che è quello della speranza? Eppure, se ci guardiamo attorno, facciamo poco per cambiare rotta alla nostra corsa verso... un disastro annunciato! Pochi sono disposti a cambiare abitudini, stili di vita, per far vivere l’ambiente, la natura, questo piccolo spazio che Dio ci ha dato prima di arrivare all’infinito. Fa davvero impressione, a volte, vedere, nelle città, la gente camminare con una mascherina sul volto per difendersi...e la fantasia corre a quei luoghi, come la campagna, dove domina il verde, l’aria pulita, che ridona la gioia di vivere difesi, anzi, circondati dal bello che Dio ha dato. Corriamo, tutti, ma verso dove? Così Gesù ci avverte:
  • Gesù disse ai suoi discepoli: ‘Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno. Vendete ciò che avete e datelo in elemosina, fatevi borse che non invecchiamo, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma. Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore. Siate pronti, con la cintura ai fianchi e la lucerna accesa; siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa. Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli. (Lc. 12, 32-48)
È un insegnamento di Gesù che mette in discussione i modi di interpretare la vita nel nostro tempo. Un’interpretazione, per tanti, puramente ‘materialistica’, ossia l’uomo non più quella stupenda creatura uscita dal cuore di Dio per, sia pure faticosamente, vestirsi ‘qui’ degli abiti della santità, con un cuore libero da tutto e con lo sguardo sempre rivolto in Alto, dove inizia la vera vita. Materialismo è davvero svendere la propria bellezza a cose che sono belle, in quanto creature di Dio, ma non possono essere il dio dell’uomo. E quando in noi si offusca il Bello di Dio, si spegne la stessa speranza, che è la virtù che fa superare le difficoltà in vista del Bene che ci attende. Ma non è facile far capire che tutto può essere niente, se viene privato di quell’attesa, di cui parla il Vangelo!

In qualcuno può nascere la domanda: Allora dobbiamo forse abbandonare ciò che il Signore stesso ci chiama a fare in questa esistenza: dalla famiglia, al lavoro... No. È nostro dovere far fruttare i carismi che ci ha dati per ‘creare bene e fare bene, ma che sia sempre a gloria di Dio e rivolto alla carità’. Sappiamo come Gesù stesso visse l’intera sua esistenza tra di noi, compiendo la Sua missione, avuta dal Padre, fino alla fine, quando sulla croce disse: ‘Tutto è compiuto’. Per fortuna assicurare un bene che serva alla vita è ancora lo stile di vita di tanti – credenti e non - che, a volte, occupano posti importanti e di tantissimi che fanno parte della più grande famiglia di coloro che sudano ogni giorno per i propri cari.

Ma proprio per questo fa tanta tristezza, proprio in questi giorni di ferragosto, vedere come vi siano ancora coloro che sprecano tante energie e soldi per un momento di ‘evasione’ da tutto, dalla realtà della vita e da ogni regola di vita, con tanti sprechi che sono un vero schiaffo alla povertà, che è ovunque, per poi alla fine trovarsi tra le mani ‘un pò di sabbia’, che crea quel vuoto dell’anima che è il vero male dell’uomo. “É un mondo il nostro – scriveva Paolo VI, nell’enciclica ‘Populorum progressio’ – che soffre per mancanza di pensiero, non solo rispetto ai dialoghi di civiltà, ma anche in rapporto a quello umanesimo plenario e poco aperto ai valori dello spirito e di Dio. Senza dubbio, l’uomo può organizzare la terra senza Dio, ma senza Dio egli non può alla fine organizzarla contro l’uomo” (n. 42). Afferma san Paolo, scrivendo agli Ebrei:
  • Fratelli la fede è fondamento delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono. Per mezzo di questa fede gli antichi ricevettero buona testimonianza. Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa, come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa. Egli aspettava infatti la città senza fondamenta, il cui costruttore e architetto è Dio. (Ebr. 11, 8-12)
Torni a far luce la speranza che è il vivere guardando verso il Cielo, ma con i piedi su questa terra, sapendo che ‘qui’ occorre essere pronti... come chi sa di attendere il ritorno del Padre. Ed ‘essere pronti’ significa diventare discepoli missionari, come ben ci ha ricordato Papa Francesco durante la GMG. Risentiamo alcune sue parole, con cuore aperto ed umile. Poco prima di celebrare la Santa Messa conclusiva ha scritto su Twitter: “Lasciamo che la nostra vita si identifichi con quella di Gesù, per avere i suoi sentimenti e i suoi pensieri”. Poi nell’omelia il messaggio che ha consegnato alla moltitudine dei giovani – e ad ogni cristiano – è stato che: “Non ci sono confini, non ci sono limiti. Il Vangelo è per tutti e non per alcuni. Il Vangelo - ha scandito il Pontefice – non è solo per quelli che ci sembrano più vicini, più ricettivi, più accoglienti. É per tutti. … Non abbiate paura di andare e portare Cristo in ogni ambiente, fino alle periferie esistenziali, anche a chi sembra più lontano, più indifferente”. Ed infine ci ha rassicurati nella fede: “Il Signore cerca tutti, vuole che tutti sentano il calore della sua misericordia e del suo amore. … Gesù non ha detto: ‘se volete, se avete tempo’, ma: ‘Andate e fate discepoli tutti i popoli’…Condividere l’esperienza della fede, testimoniare la fede, annunciare il Vangelo è il mandato che il Signore affida a tutta la Chiesa ed anche a ciascuno: anche a te. … La fede è una fiamma che si fa sempre più viva quanto più si condivide, si trasmette, perché tutti possano conoscere, amare e professare Gesù Cristo che è il Signore della vita e della storia”.

Siamo chiamati ad un vivere davvero divino: questa è la bellezza dell’essere cristiani, dell’essere ‘santi, come il Padre nostro, che è Santo’! Ed è a Maria che ci dobbiamo affidare. In questa settimana celebreremo la grande Festa della Assunzione al Cielo di Maria Santissima. La donna che Dio ha preservata dal peccato originale, e quindi Immacolata, per essere Mamma di Suo Figlio, alla fine del tempo stabilito dal Padre, va in Cielo, senza conoscere il castigo della morte, che è di tutti noi. È festa immensa non solo per Lei, ma anche per noi, che sappiamo come un giorno, quando anche noi lasceremo questa terra, risorgeremo con un corpo celeste, se ne saremo degni, dannato se..., ma Dio non voglia! Maria, ci ha preceduti, invitandoci a vivere per conoscere un giorno la gioia che ora Lei vive. Così commenta Paolo VI questo evento:
  • Il Signore ha veramente esaltato Maria, ponendola al vertice delle sue opere e profondendo in lei la ricchezza della sua bontà, della sua bellezza e del suo amore. Ma la Vergine rimane sempre una creatura e come essa stessa si chiama ‘l’ancella del Signore’. L’umiltà si distende su tutta la sua vita. Contemplare Maria diventa una rispondenza ad una nostra incolmabile nostalgia. Gli uomini del nostro tempo, infatti, cercano il tipo, cercano l’eroe, cercano colui che sintetizzi qualche lato perfetto della loro vita umana. La Madonna verifica in se stessa tutte le bellezze dell’umanità, oltre che della santità soprannaturale: è donna, è vergine, è madre, ha sofferto, ha lavorato, ha patito, ha vissuto la nostra esperienza terrena e porta in alto la nostra umanità. Essa riconforta, e ci invita ad imitarla. È l’esemplarità della Madonna che illumina il nostro cammino, non rimane distante. La Vergine santissima è infatti nostra intermediaria e la sua intercessione diventa materna, sempre vicina alle prove della nostra vita. Essa ci conforta e ci invita ad imitarla, rendendo ideale il pellegrinaggio della nostra vita. (15.8.1965)
E in questo giorno di festa, con Madre Teresa di Calcutta, sento di poter cantare la gioia:
  • Caro Dio, fa’ che la gioia,
    che è il frutto dello Spirito Santo
    e un segno caratteristico del Regno di Dio, discenda su di me,
    poiché gli Angeli a Betlemme dissero: ‘Gioia’
    e Cristo condivise la Sua Gioia con gli Apostoli dicendo: ‘La mia gioia sia con voi’.
    Il termine ‘gioia’ era la parola d’ordine dei primi cristiani
    e S. Paolo ripete spesso: ‘Rallegratevi nel Signore, sempre!’,
    perché nel Battesimo il sacerdote dice al novello battezzato:
    ‘Che tu possa servire la Chiesa con gioia’.
    E fa’ che siamo inondati dalla gioia dell’Eucarestia
    e che essa si diffonda fra tutti coloro che siamo chiamati a servire con amore.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » mer ago 28, 2013 5:44 pm

      • Omelia del giorno 18 Agosto 2013

        XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        L’Amore non vuole compromessi
Non so se voi, che considero amici e compagni in questo cammino alla sequela di Gesù, avete incontrato fratelli o sorelle, uomini, donne, giovani, anziani, la cui vita è di totale fedeltà gioiosa a Dio, non importa quale sia la loro vocazione, se chiamati alla vita religiosa, tutti e solo di Dio, o al matrimonio. È un vero spettacolo di paradiso. Basta guardarli negli occhi ed è come ammirare la bellezza di un cielo senza veli, come quello che a volte ammiriamo in alta montagna, là dove non arrivano i miasmi della terra. Ricordo un giorno, in pellegrinaggio, nel deserto, percorso da Mosè e dagli Ebrei, fuggiti dall’Egitto per recarsi nella terra promessa, mi fu dato di sostare una sera ai piedi del monte Oreb, dove Dio dettò le Leggi delle XII Tavole. La notte era di una limpidezza a noi sconosciuta e, guardando il cielo, pareva davvero un incredibile ‘tessuto di stelle’, difficile da contemplare nelle nostre pianure coperte da smog.

Mi venne spontaneo pensare: Come sarebbe bello avere un cuore tanto buono da essere un ‘tappeto di stelle’ come questo cielo! Ed è possibile vederlo proprio quando si ha la fortuna di stare vicino a fratelli che si portano addosso come vestito la santità, in tutte le sue forme ed espressioni. Nella loro vita si può vedere la meravigliosa bellezza che Dio ha dato all’uomo. E quella notte, in cammino verso l’Oreb, avevo come l’impressione di ‘toccare il cielo’...proprio come quando si ha la gioia di incontrare gente di fede e di amore. E sono tanti, tanti. Ma come arrivare a essere così ‘celesti’? Gesù, oggi, nel Vangelo, parlando del suo grande desiderio di realizzare la missione del Padre, con la sua crocifissione e morte – amore senza fine, dato per farci entrare nell’Amore – ha parole ‘di fuoco’. Leggiamole.
  • Gesù disse ai suoi discepoli (a quelli cioè che dopo di Lui avrebbero dovuto essere i continuatori della ‘Sua opera’): ‘Sono venuto a portare il fuoco sulla terra, e come vorrei che fosse già acceso! C’è un battesimo che devo ricevere, e come sono angosciato, finché non sia compiuto! Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D’ora innanzi in una casa di cinque persone, si divideranno due contro tre: padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera’. Poi rivolgendosi alle folle disse: ‘Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: ‘Viene la pioggia’ e così accade; quando soffia lo scirocco dite: ‘Ci sarà caldo’ e così accade. Ipocriti! Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo? E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto? (Lc. 12, 49-57)
Questo di Gesù, oggi, può apparire un discorso duro. Naturalmente, quando parla di ‘odio’, non lo intende nel significato che gli diamo noi, ossia un perverso sentimento contro qualcuno, ma il totale distacco da sé per fare posto all’Amore: un Amore che in Gesù davvero era un ‘battesimo’, un ‘fuoco’ che gli bruciava dentro. L’’odio’ o distacco totale è mettersi in totale disaccordo con quello che in noi sono ‘spine e rovi’, cioè negligenze e vizi, per fare posto alla santità. Ed è lì la vera pace cui aspirano i santi, per poi donarcela, anche se è evidente che i profeti, quelli che nel nome di Dio e per il bene della gente non hanno paura di indicare la verità, non hanno mai vita facile...ma alla fine ‘Dio vede e provvede’!
  • In quei giorni – dice la Parola di Dio oggi, propri riferendosi ad un grande profeta, Geremia – i capi dissero al re: ‘Si metta a morte quest’uomo, perché scoraggia i guerrieri che sono rimasti in città e scoraggia tutto il popolo, dicendo loro simili parole, poiché questo uomo non cerca il benessere del popolo, ma il male’. Il re Sedecia disse: ‘Ecco è nelle vostre mani: il re infatti non ha potere su di voi’. Essi allora presero Geremia e lo calarono nella cisterna di Malachìa, principe regale, la quale si trovava nell’atrio della prigione. Nella cisterna non c’era acqua, ma fango e così Geremia affondò nel fango. Ebded-Melech uscì dalla reggia e disse al re: ‘Re, mio signore, quegli uomini agirono male facendo quanto hanno fatto al profeta Geremia, gettandolo nella cisterna. Egli morirà di fame sul posto, perché non c’è più pane nella città’. Allora il re diede questo ordine a Ebded-Melech: ‘Prendi da qui con te tre uomini e fa risalire il profeta Geremia, prima che muoia’. (I Libro di Ger. 38, 4-10)
Tornando alle parole di Gesù è chiaro il suo ammonimento di ‘capire i segni del nostro tempo’, per saper discernere e trovare le vie della verità. Amo sempre cogliere pensieri del grande Paolo VI, davvero profetici:
  • La vita cristiana è come un sole che risplende sull’insieme dei nostri giorni. Figlioli miei, se questo sole finisce per spegnersi, che cosa si perderebbe? Alcuni dicono, niente. E invece si perderebbe proprio il senso della vita. Perché lavorare, perché amare gli altri, perché essere buoni, essere onesti, perché soffrire, perché vivere, perché morire, se non c’è una speranza al disopra di questa terra? È la vita cristiana a dare il senso, il valore, la dignità, la libertà, la gioia, l’amore al nostro passaggio sulla terra. Per questo l’invito paterno vuol essere possente come un grido, che dovrebbe rimanere a ricordo del nostro incontro: siate cristiani, siate cristiani! (giugno 1964)
Impariamo a ‘sognare’ un mondo nuovo, amato da Dio e che si fa amare! Ci sono tanti segni buoni, ancora oggi, da cogliere e seguire. Anche Papa Francesco, continua ad esortarci: "Non perdiamo mai la speranza, anche di fronte al male che c'é nella nostra storia, perché non è lui il più forte". In Brasile ha dichiarato: "È vero che oggi sono in molti, che sentono il fascino di tanti idoli che si mettono al posto di Dio: il denaro, il successo, il potere, il piacere. Questi sono solo idoli passeggeri… espedienti che danno solo compensazioni passeggere" e ha sottolineato come si debba ricordare che i nostri giovani "non hanno bisogno solo di cose, hanno bisogno soprattutto che siano loro proposti quei valori immateriali che sono il cuore spirituale di un popolo, la memoria di un popolo: spiritualità, generosità, perseveranza, fraternità, gioia; sono i valori che trovano la loro radice più profonda nella fede cristiana". Ha poi suggerito di "lasciarsi sorprendere dalla speranza … vivere nella gioia, perché il cristiano non può essere pessimista, non ha la faccia di chi sembra trovarsi in un lutto perpetuo, perché sa che il lutto e la morte sono stati sconfitti".

Come sempre preghiamo con Madre Teresa di Calcutta:
  • O Dio del cuore, tu che hai creato e dato la vita a noi,
    facci crescere in amore per te e l’uno per l’altro.
    Hai mandato tuo Figlio Gesù Cristo per rivelarci che tu
    ti prendi cura di noi tutti, e che tutti ci ami.
    Donaci il tuo Santo Spirito affinché susciti in noi
    una fede forte e senza compromessi,
    per capire, con profonda comprensione della vita degli altri popoli,
    la disposizione originaria dell’umanità,
    in modo da sapere scorgere in tutto tuo Figlio.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » mer ago 28, 2013 5:45 pm

      • Omelia del giorno 25 Agosto 2013

        XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Entrare in Cielo per la porta stretta
Posso dire che abbiamo lasciato alle spalle un periodo di riposo, per essere pronti ad affrontare il cammino della quotidianità. Anche se non fanno cronaca, ormai è evidente che sono tanti quelli che dedicano il tempo delle ferie per un ‘ristoro dello spirito’, cercando luoghi di silenzio, di meditazione e preghiera, affollando le foresterie dei monasteri o incontrandosi in raduni di spiritualità. Questo è un grande segno positivo: il segno che l’uomo ha capito che l’irrazionale e pericoloso consumismo, che devasta la vita interiore per un poco di chiasso esterno, non giova... anzi! Ringraziamo il Signore per la ‘sete’ di tanti, di cercare le vie della Verità e il respiro del cuore e dello spirito: è Dio che cerca l’uomo e l’uomo che accetta di farsi trovare da Dio.

Il mondo sembra ami accarezzare le devianze della vita, lasciando però una profonda ferita di infelicità quando tutto finisce. Abbiamo davvero bisogno, tutti, che il Signore a volte alzi la voce e si faccia sentire per impedirci di farci danni irreparabili. Come non ricordare lo stile di mamma e papà che, quando ero piccolo ed inesperto, ogni giorno, ci riempivano di rimproveri e raccomandazioni, ‘sperando’, dicevano, che delle ‘mille prediche’ fatte ogni giorno, ‘rimanga almeno il ricordo di una’. E Paolo, oggi, sembra proprio rivolgersi a noi con la trepidazione di chi ci avverte che c’è il rischio che usciamo dalla retta via.
  • Fratelli – scrive agli Ebrei – avete dimenticato l’esortazione a voi rivolta come a figli: ‘Figlio mio, non disprezzare la correzione del Signore e non ti perdere di animo quando sei ripreso da Lui, perché il Signore corregge colui che Egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio’. È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio ci tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre? Certo ogni correzione, sul momento non sembra causa di gioia, ma di tristezza; dopo però arreca un frutto di pace e di giustizia a quelli che per suo mezzo sono stati addestrati. Perciò rinfrancate le mani cadenti e le ginocchia infiacchite e raddrizzate le vie storte per i vostri passi, perché il piede zoppicante non abbia a storpiarsi, ma piuttosto a guarire. (Ebr. 12, 11-13)
Quante volte il Padre, che ci vuole immensamente bene, permette alcune prove! In altre parole ‘ci corregge’, perché è facile farsi prendere la mano dalle tante tentazioni che ci assediano, volte tutte a farci prendere altre strade, che non sono la giusta via verso il traguardo della santità. Chi di noi, con serietà, vuole seguire Gesù, sa che, per essere veramente Suoi discepoli, è necessario a volte ‘sentirsi tirare le orecchie’ dal Padre. Mia mamma morì che aveva 99 anni e sei mesi. Ogni volta mi incontrava, aveva sempre ‘qualche predica da farmi’, anche se ero vescovo. Prima di morire, nell’ultimo incontro che ho avuto con lei, in ospedale, accomiatandomi mi tese la mano e mi disse con forza: ‘Mi raccomando, Antonio, fa’ giudizio, sempre giudizio! In modo da arrivare al ‘giudizio di Dio’ promosso!”.

Com’è difficile, oggi, anche nelle famiglie, sentire i genitori ‘correggere’ i figli, indicando la retta via della vita! Si ha come l’impressione, a volte, che, privi di ogni autorevolezza, si permetta tutto, senza alcun discernimento del bene e del male. Da chi questi nostri fanciulli riceveranno la giusta educazione, sostenuta da una profonda testimonianza di vita cristiana, se i genitori non se ne curano? Inutile poi disperarsi, per il ‘duro prezzo da pagare’, quando li vediamo ‘perdersi’ nelle tante maniere che tutti conosciamo! Luca, nel Vangelo di oggi, ci presenta Gesù che si incammina verso Gerusalemme, ossia verso il sacrificio della croce, e lo fa ‘passando di villaggio in villaggio, insegnando’.

A Gesù viene posta una domanda di piena attualità. “Un tale gli chiese: ‘Signore, sono pochi quelli che si salvano?’ Evidentemente quel tale era rimasto colpito dalla parola di Gesù che, difficilmente allora, ma anche oggi, trovava posto nell’uomo. È una domanda che mette in imbarazzo tutti noi. Saremo tra i pochi? Gesù sviluppa il discorso:
  • Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta dicendo: ‘Signore, aprici!’. Ma egli vi risponderà: ‘Non vi conosco, non so di dove siete’. Allora cominceranno a dire: ‘Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze’. Ma egli dichiarerà: ‘Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me, operatori di iniquità! Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno a mensa nel Regno di Dio. Ed ecco ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi, e alcuni tra i primi che saranno ultimi. (Lc. 13, 22-30)
Gesù, in quel momento, aveva davanti agli occhi la folla dei farisei pronti a occupare i primi posti e dei peccatori ‘tagliati fuori’ dalla loro considerazione. Guardando, con lo sguardo di Dio, alla concreta vita cristiana, non vi è il rischio di scoprire che molti si ‘credono’ cristiani per qualche ‘pratica’, che difficilmente è un atto di amore, ma è solo esteriorità, che non parte dal cuore, e nulla vi è nella vita dello ‘stile’ secondo Gesù? Oggi, Gesù ci invita a guardare con sincerità alla nostra esistenza e fare la nostra scelta. La nostra vita è degna ‘di entrare per la porta stretta’ o è solo esteriorità che alla fine troverà la porta del Cielo chiusa e il terribile ‘giudizio’ del Padre: ‘Non vi conosco’?

In un incontro che ebbi, anni fa, insieme con Madre Teresa di Calcutta, alla fine un gruppo di giovani ci chiese ‘com’era’ seguire Gesù. La risposta fu: ‘Durissimo, ma meraviglioso!’. Allora insistettero se, conoscendo quanto è ‘duro’ essere fedeli a Gesù, l’avremmo ugualmente seguito. ‘Direste ancora sì?’. Lasciai che fosse la Madre a rispondere a questa provocazione. ‘Se mi chiedesse di rifare la stessa strada, con le asprezze, i contrasti, la fatica... forse Gli direi di no’. Ci fu un momento di silenzio sospeso, di sconcerto totale. Madre Teresa stessa parve raccogliersi nel suo silenzio, poi all’improvviso riprese: ‘Ma gli voglio così bene, che Gli direi di sì’. Vi fu un boato, quasi di liberazione, ma soprattutto di gioia! Cerchiamo questa liberazione e gioia, facendoci aiutare dalle ‘Massime di perfezione’ del servo di Dio: Antonio Rosmini, fondatore dell’Istituto di Carità, a cui appartengo. La IV massima, ‘Abbandonare totalmente se stesso nella Provvidenza di Dio’, afferma:
  • La perfezione della vita cristiana (la porta stretta di cui parla Gesù) è il proposito sempre rinnovato di volere, in tutte le azioni della vita, solo ciò che sta a cuore a Dio: e la vita perfetta è la professione di rendere a Dio, in tutti gli atti, il maggior servizio possibile. Ne consegue che anche le azioni oneste che l’uomo compie, per la conservazione della propria vita, anche il suo godere i doni di Dio, con animo riconoscente, deve essere fatto da lui non per il suo bene o piacere presente, ma solo perché è persuaso che, nella circostanza in cui si trova, quella è la cosa più cara a Dio e perciò la più perfetta. Insomma, il cristiano non fa alcun cambiamento per una sua soddisfazione presente, sia pure onesta in se stessa, ma solo per compiere ciò che è suo dovere e per essere più caro a Dio. Da qui deriva la stabilità del perfetto cristiano. È proprio della gente del mondo non essere mai contenta dello stato in cui si trova: gli uomini del mondo si fanno una continua guerra per occupare i posti migliori. La perfezione del cristiano, invece, richiede che sia contento di qualunque posto e che non si dia altro pensiero che di eseguire i doveri inerenti al proprio stato. (IV, nn. 14-16)
Come vorrei che, con tutti voi, che con me cercate ‘di entrare per la porta stretta’, un giorno venissimo accolti: ‘Venite benedetti!’ e nessuno debba sentire: ‘Non ti conosco, non so di dove sei’.È possibile? È doveroso e sono certo che è quello che volete e per cui vi impegnate.
Per questo con voi prego e vi amo di cuore.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » lun set 02, 2013 8:37 am

      • Omelia del giorno 1 Settembre 2013

        XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Chi si umilia sarà esaltato
Potremmo definire la Parola di Dio, oggi, il Vangelo dell’umiltà: virtù necessaria e rara, propria di chi ha la coscienza di ciò che realmente è agli occhi di Dio e, quindi, cerca sempre quasi di scomparire agli occhi degli uomini, anche se la santità, che si coltiva con l’umiltà, è così meravigliosa, che si impone allo stupore di tutti, come sta accadendo per il nostro Papa Francesco. Ho avuto il dono di stare vicino a quel grande Papa che fu Giovanni Paolo II. Quello che sempre mi colpiva era la sua semplicità: la porta aperta alla stima e all’amore di tutti. Poteva, come Pontefice, fare valere la sua grandezza davanti agli occhi degli uomini, ma faceva di tutto per essere ‘piccolo’, come un bambino che tutti potevano accostare con familiarità. È lo stesso stile evangelico che in ogni evento possiamo vedere in Papa Francesco.

Davvero, l’umiltà è la coscienza del proprio nulla, davanti agli occhi di Dio, che Gli dà la possibilità di manifestare la Sua Gloria e Grandezza. Dà fastidio a tutti la corsa, che oggi si fa, a volte smarrendo dignità e onestà, per mettersi in mostra e, se possibile, occupare ‘i primi posti’. Non conosce limiti il grande male della superbia che, spesso, calpesta anche i diritti degli altri. Non so se qualcuno dei miei ‘amici di viaggio nel Vangelo’ ha avuto modo di leggere o di sentir parlare di quel grande poeta del ‘900 che fu don Clemente Rebora. Era ‘grande’ per la sua arte, la sua poesia, la sua sapienza. Ma, convertitosi e divenuto religioso tra noi Padri Rosminiani, decise di gettare dietro le spalle il suo passato, come non fosse mai esistito, arrivando a strappare tante sue poesie e la composizione di un dizionario, che non era ancora terminato. Lo racconta in una sua poesia famosa quando, sentendo passare lo straccivendolo, che raccoglieva le sue carte fatte a pezzi, ne ripete il grido: ‘strascè!’. Le persone veramente umili sanno nascondere quello che sono e valgono. Per questo alla fine splendono. Ascoltiamo quello che dice il Siracide (3, 19) oggi:
  • Figlio, nella tua attività sii modesto, sarai amato dall’uomo e gradito a Dio. Quanto più sei grande, tanto più umiliati, così troverai grazia davanti al Signore, perché dagli umili Lui è glorificato. Una mente saggia medita le parabole, un occhio attento è quanto desidera il saggio.
Il Vangelo di oggi è davvero la grande lezione dell’umiltà, che Gesù dona, osservando come si comportavano gli uomini del suo tempo. L’evangelista Luca ce lo descrive come uno che osserva ed è osservato.
  • Avvenne un sabato che Gesù era entrato in casa di uno dei capi dei farisei per pranzare e la gente stava ad osservarlo. Osservando poi come gli invitati sceglievano i primi posti disse loro una parabola: ‘Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più ragguardevole di te e colui che ha invitato te e lui, venga a dirti: Cèdigli il posto! Allora dovrai occupare con vergogna l’ultimo posto. Invece quando sei invitato, va’ a metterti all’ultimo posto, perché venendo colui che ti ha invitato ti dica: Amico, passa più avanti. Allora ne avrai onore davanti a tutti i commensali. Perché chiunque si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato. (Lc. 14, 7-14)
Viene da chiedersi se nel nostro mondo c’è ancora posto per questa preziosa virtù, che è il non mettersi in mostra, ossia l’umiltà? Sembrerebbe di no eppure tutti facciamo l’esperienza di una sorta di ‘fastidio’ davanti a chi cerca sempre di apparire, mentre ci troviamo a nostro agio quando incontriamo uno che è umile e non si dà arie, anzi ti invita quasi a occupare il primo posto! Andando in montagna, là dove finiscono gli alberi e spunta solo la roccia, perché si è in alto, ciò che mi attira di più sono i piccoli fiori, che sembra vogliano nascondere la loro bellezza. Eppure è una bellezza che affascina... più sono piccoli e più sono belli. Come nella nostra vita. C’è un meraviglioso brano di Rosmini, che è nella IV Massima della perfezione cristiana, e dice:
  • Nel cristiano devono trovarsi due disposizioni apparentemente opposte, ma che stanno armoniosamente insieme: un grandissimo zelo per la gloria di Dio e per il bene del suo prossimo, assieme ad un sentimento che gli dice di essere incapace di ogni bene, di porre alcun rimedio ai mali del mondo. Il cristiano deve dunque imitare l’umiltà di Mosè. Quanto stentò a credere di essere lui l’eletto a liberare il popolo di Dio! Con affettuosa semplicità e confidenza rispose a Dio stesso di dispensarlo da quell’incarico, perché era balbuziente. Lo pregò invece di mandare Colui che doveva essere mandato: il Messia promesso. E tutto questo, sebbene Mosè traboccasse di zelo per la salvezza del suo popolo. Il cristiano deve imitare continuamente la profondissima umiltà della Vergine Maria. Nelle Divine Scritture la vediamo descritta sempre in quiete, in pace, in continuo riposo interiore. Di sua scelta la troviamo sempre in una vita umile, ritirata, silenziosa, dalla quale non viene tolta se non dalla voce stessa di Dio o dai sentimenti di carità verso la sua parente Elisabetta. A giudizio umano, chi potrebbe credere che della più perfetta di tutte le creature ci fosse raccontato così poco nelle divine Scritture? Nessuna opera da lei intrapresa; una vita che il mondo direbbe di continua inazione, e che Dio dimostrò essere la più sublime, la più virtuosa, la più generosa di tutte le vite. Per essa questa umile e sconosciuta giovinetta fu innalzata dall’Onnipotente alla più alta dignità, a un seggio di gloria più elevato di quello dato a qualunque altro, non solo tra gli uomini, ma anche tra gli angeli. (n. 7)
Lo stesso Rosmini, fondando il suo Istituto di carità, proprio perché si proponeva questo grande fine, sapeva molto bene che la carità esige umiltà, tanta umiltà, quella che fa sempre posto agli altri, a cominciare dai più poveri, mettendosi al loro servizio, ‘lavandone i piedi’, come Gesù, ‘perché non sono venuto a essere servito, ma a servire’. E, per questo, aveva voluto che tra i ‘suoi figli di carità’, ci fossero alcuni, detti ‘presbiteri, o saggi di vita consacrata’, che avessero il grande compito di vigilare che fosse rispettata la povertà nelle case e negli individui, considerando la povertà ‘muro di sostegno della Chiesa e di ogni congregazione’ e vigilassero sull’umiltà, ossia a che nessuno ambisse a posti elevati, che è poi la ricerca di ‘carriera’. Se i presbiteri individuavano qualcuno tra i membri della Congregazione che brigasse per fare carriera, questi doveva essere immediatamente allontanato dall’Istituto. Aveva forse torto?

Fino a che chiamiamo ‘carriera’ una affermazione della persona nei vari campi, come la scienza o altro, vissuta come un dono di Dio per i fratelli, certamente è un bene. Ma quando il ‘fare carriera’ è sgomitare, calpestando magari i diritti degli altri – e avviene tanto spesso nella vita – questo, oltre che essere grande superbia, quella di ‘volere i primi posti’ senza essere invitato e, magari, senza aver neppure le capacità, è anche una emarginazione di chi quel posto non fa nulla di disonesto per occuparlo, affidandosi ai vari concorsi, alle tante vie per essere riconosciuti e scelti per le proprie reali doti professionali, con giustizia e non per ‘amicizia’ o clientelismo. Quanti rischi corre il bene comune, in tutti i campi, quando ai posti chiave della sanità, della politica, dell’amministrazione della giustizia, ecc. vanno i raccomandati e non i capaci! Gesù, con una semplice parabola, ci ha indicato la via della giustizia e ce l’ha consegnata!
Ma viene ascoltato? Preghiamolo, per ciascuno di noi, con le parole del Salmo 131:
  • Signore, il mio cuore non ha pretese
    non è superbo il mio sguardo,
    non desidero cose grandi
    superiori alle mie forze.
    Io sono tranquillo e sereno,
    come un bimbo in braccio a sua madre.
    È quieto il mio cuore dentro di me.
    Israele confida nel Signore, ora e sempre.
Non aspiriamo dunque ‘ai primi posti’, ma, con tutta umiltà e coraggio, certi della Sua Presenza nella nostra vita: ‘come sono, là dove sono, fare tutto ciò che posso’... per la Sua Gloria e per il bene dei fratelli!



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 06, 2013 8:52 am

      • Omelia del giorno 8 Settembre 2013

        XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Testimoni del grande Sì di Dio
Il 18 agosto, in una piazza S. Pietro gremita, con forza, prima dell’Angelus, Papa Francesco ha detto: "La fede non è una cosa decorativa, ornamentale, non è decorare la vita con un po' di religione, come si fa con la panna che decora la torta”. No! La vera forza del cristiano è la forza della verità e dell'amore, che comporta rinunciare ad ogni violenza. Fede e violenza sono incompatibili. Gesù è la nostra pace, è riconciliazione, ma questa pace non è la pace dei sepolcri, non è neutralità, non è compromesso a tutti i costi. Seguire Gesù comporta rinunciare al male, all’egoismo e scegliere il bene, la verità, la giustizia, anche quando ciò richiede sacrificio e rinuncia ai propri interessi". In un twitter ha poi ribadito: “Non possiamo essere cristiani part-time. Se Cristo è al centro della nostra vita, Lui è presente in tutto ciò che facciamo”. Parole chiare che possono guidarci nella nostra vita di fede.

È facile oggi essere ‘cristiani integrali’, ovunque si viva, qualunque professione si eserciti, in qualunque condizione ci si trovi? Si ha l’impressione che vivere fino in fondo il Vangelo e quindi ‘essere giusti’ sia un pio desiderio o un sogno non alla portata di mano. Tutti noi dovremmo sapere che essere giusti, ossia fedeli al Vangelo, seguendo Cristo totalmente, non è una questione di ‘bigotti’ o di ‘persone speciali’, ma è la conseguenza di chi seriamente crede nella Presenza reale e vivente di Gesù nella propria vita, sforzandosi di ‘stare con Lui’, amarlo, pur vivendo in questo nostro difficile mondo. E ce ne sono di questi nostri fratelli e sorelle, che sono cristiani convinti e gioiosi, senza ‘ni’ o senza ‘ma’. Sono i fedeli del ‘sì’ totale. Quando li incontriamo, non solo rimaniamo stupiti, ma ci sembrano fratelli o sorelle ‘usciti direttamente dal Cuore di Dio’, e sono la sola luce, speranza e gioia in questo mondo. È quello che ci dice Gesù oggi, con chiarezza:
  • In quel tempo una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: ‘Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo …. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. (Lc. 14, 25-33)
Appare chiaro il significato delle parole di Gesù, alla folla che Lo seguiva, apparentemente dure, ossia “amare di più" – nella traduzione precedente il termine era ancora più forte: ‘odiare’ - cioè ‘prendere un distacco netto’ da quello che può impedire la realizzazione di seguirLo per amore. Oggi si parla tanto d’amore, senza forse sapere quale sia la sua vera natura. L’amore è un donarsi totalmente a qualcuno. L’amore vuole totalità e gratuità... come quello che Dio ha per noi. L’amore libero e gratuito chiede una risposta libera e gratuita. L’amore vero non vuole essere come un condominio dove tutti possono trovare spazio, nel senso che è per tutti e quindi per nessuno in particolare.

Dio per amore davvero a noi, a ciascuno di noi, personalmente, ha dato tutto, fino a donare la vita di Suo Figlio Gesù, che, a sua volta, ha risposto al ‘sì’ del Padre con la totalità di donazione sulla croce. Noi, a volte, poniamo la nostra felicità in affetti che, se va bene, possono donarci ‘un respiro’ alla vita, ma tutti sappiamo, per esperienza, che non riempiono la sete che solo Dio può soddisfare. Quando il nostro cuore e la nostra vita è ingombra di ‘altro’, e resta poco per Dio, è difficile conoscere la bellezza del ‘sì di Dio’. Poter dire il nostro ‘sì’, con cuore aperto e sgombro, cioè senza altri che Lui e gli altri in Lui, è davvero avere raggiunto la santità. Riflettiamo sulla Parola che il libro della Sapienza offre oggi:
  • Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? I ragionamenti dei mortali sono timidi e incerte le nostre riflessioni, perché un corpo corruttibile appesantisce l’anima e la tenda d’argilla grava la mente di molti pensieri. A stento ci raffiguriamo le cose terrestri, scopriamo con fatica quelle a portata di mano, ma chi può rintracciare le cose del cielo? Chi ha conosciuto il Tuo pensiero, se Tu non gli hai concesso la sapienza e non gli hai inviato il Tuo Santo Spirito dall’alto? Così furono raddrizzati i sentieri di chi è sulla terra: gli uomini furono ammaestrati in ciò che Ti è gradito; essi furono salvati per mezzo della sapienza. (Sap. 9, 13-19)
Tornando alla richiesta di Dio – di amarlo totalmente – mi viene in mente la preghiera che mamma, nella sua semplicità di donna di fede integrale, ci faceva recitare, quasi per ricordarci tutto questo. Alla mattina:
  • Ti adoro, mio Dio, e Ti amo con tutto il cuore.
    Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questa notte.
    Ti offro le azioni della giornata: fa’ che siano tutte secondo la Tua santa volontà e per la maggior tua Gloria.
    Preservami dal peccato e da ogni male.
    La Tua Grazia sia sempre con me e con tutti i miei cari. Amen
Ogni sera:
  • Ti adoro, mio Dio, e ti amo con tutto il cuore.
    Ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questo giorno.
    Perdonami il male che oggi ho commesso, e se qualche bene ho compiuto, accettalo.
    Custodiscimi nel riposo e liberami dai pericoli.
    La Tua Grazia sia sempre con me e con tutti i miei cari. Amen
Preghiere semplici, ma, se meditate con il cure, contengono il Vangelo di oggi, che è testimoniato dalla serenità di tanti fratelli, semplici laici o anime consacrate, la cui vita è un continuo sorriso, pur ‘portando la croce quotidiana’. Un sorriso che diventa poi dono a quanti incontrano, con il ‘farsi prossimi’, soprattutto verso chi è nel dolore.
Un sorriso ben diverso da quello finto, che notiamo su troppi volti, che nasconde una profonda amarezza, proprio di chi non conosce l’amore.
Affermava il venerabile Rosmini, nella prima Massima di Perfezione:
  • Chi ama Dio, come comanda il Vangelo, cioè con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente, sa che a Dio non può dare alcun bene, perché Dio li ha tutti, perciò desidera almeno usargli giustizia, riconoscendo le Sue infinite perfezioni e desidera servirLo in tutte le proprie azioni, offrendoGli l’ossequio, la sottomissione, l’adorazione più grande che sia possibile. Il che equivale a dire: desidera unicamente ed infinitamente la Gloria di Dio. E siccome nell’ossequio e nella gloria resa a Dio sta la santità dell’uomo, la perfezione del cristianesimo comporta una tendenza a conseguire la maggiore santità possibile. (Massima n. 1)
Così oggi prego con voi:
  • Vieni Spirito Santo e irrompi come un vento impetuoso nelle nostre comunità.
    Vieni a sconvolgere le nostre liturgie troppo rigide, troppo convenzionali, le nostre catechesi a volte salottiere.
    Vieni a portare vita in queste nostre comunità, troppo polverose, ammuffite, ordinate, forse troppo.
    Vieni Spirito Santo come un fuoco ardente, brucia tutto ciò che ci impedisce di seguire il Vangelo di Gesù, brucia ogni nostro atteggiamento meschino, brucia ogni paura e gelosia.
    Infiamma il nostro cuore di un coraggio a tutta prova, di una generosità senza limite,
    di una misericordia inesauribile.
    Vieni Spirito Santo e insegnaci a parlare l’unico linguaggio, che tutti possono comprendere: il linguaggio dell’amore, della salvezza, del perdono.
    Liberaci da tutto ciò che complica, indebolisce e annienta le nostre parole.
    E donaci di portare a tutti il Lieto Annuncio con parole cariche di bontà.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 13, 2013 8:00 am

      • Omelia del giorno 15 Settembre 2013

        XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Un immenso amore da esplorare: la Misericordia di Dio
Conosciamo tutti la nostra miseria spirituale, ereditata dal peccato originale, che ci aveva dati in preda al male. Siamo davvero deboli e inclini al peccato, che è un rifiuto dell’amore del Padre e, quindi, un rifiuto della santità e della felicità di amarLo e godere del Suo amore. Un abisso di infelicità, che non era quello che Dio, creandoci, aveva in mente... anzi! Basta guardarci dentro o attorno per accorgerci come il mondo non offra aiuti per uscire da questa infelicità... anzi, sembra divertirsi nel costruire occasioni sempre maggiori di dolore e sofferenza. Così si ripete l’antica storia del ‘serpente, il più astuto degli animali’, come è narrata nella Bibbia, all’inizio della vita dei nostri progenitori: prospetta ‘paradisi’, senza o contro il vero Paradiso, che è Dio. Se siamo sinceri con noi stessi, sappiamo che il rifiuto di Dio, prima o poi, lo paghiamo caro, con ‘un deserto d’anima’! Chi non ricorda la grande opera di San Pio da Pietrelcina, che fece della sua vita una missione ‘dolorosa’, per aiutare tanti ad uscire dall’insopportabile malattia dell’anima, che è il peccato, e così tornare a vivere, sperimentando la misericordia e sentendo il calore del Padre che, nella riconciliazione, si fa incontro al figlio che, tornato in se stesso, ha ritrovato la strada di casa, mentre Lui sulla porta, ne attendeva commosso il ritorno? Dovremmo sapere tutti, a cominciare da quanti sentono il bisogno di ritrovare il ‘paradiso perduto’, che a fare il grande passo per aprire le porte del Cielo, addossandosi tutti i nostri peccati e pagandoli sulla croce, fu il Suo Figlio prediletto, Gesù Cristo. Così san Paolo, scrivendo a Timoteo, descrive la sua conversione:
  • Rendo grazie a Dio che mi ha dato la forza, in Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al ministero: io che per l’innanzi ero stato un bestemmiatore, un peccatore ed un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo, senza saperlo, lontano dalla fede; così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità in Gesù Cristo. Questa parola è sicura e degna di essere accolta da tutti: Gesù Cristo è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io. Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in Lui per avere la vita eterna. (I Timoteo, 1, 12-17)
E la storia della conversione di san Paolo, che passa attraverso la Misericordia di Dio, è davvero la storia di tanti. Tanti che sentivano e sentono il bisogno di uscire dal male e respirare la gioia della bontà, dono di Dio, attraverso la Riconciliazione. Quanta gente, nella mia veste di ministro della Penitenza o Riconciliazione, ho visto come rinascere dopo una vita dissennata o spericolata. Uomini e donne che non ce la facevano più a vivere una vita senza senso, senza la vera gioia, dono di Dio; stanchi di sentirsi come il figlio prodigo, lontani dal Padre, abbandonati a se stessi e costretti a nutrirsi di ‘ghiande destinate ai porci’! In quante persone ho visto il miracolo della ‘resurrezione’, che si manifesta in un volto rasserenato, con gli occhi umidi per la gioia di essere liberati dal ‘peso del male’, sentendosi avvolti dalla Misericordia di Dio! È proprio la parola ‘resurrezione’ che un dissociato della camorra usa in una lettera, per descrivere la sua conversione, che gli fa vedere il carcere come luogo di riparazione, in attesa della piena riabilitazione: “Per grazia di Dio e per la sua opera, padre, ora sono come uno che è nato una seconda volta e che nulla ha a che fare con quello di prima. Ora so cosa voglia dire amare ed essere amato...anche stando in carcere”.

Chi può misurare la Misericordia del Padre? Gesù stesso ce ne ha dato un’immagine con la parabola del Buon Pastore, ma, soprattutto, del figlio prodigo: un Papà meraviglioso che non sa odiare, ma che, anche se rifiutato, continua ostinatamente ad amare il figlio, stando sempre in ansiosa attesa sulla porta di casa, nella speranza che un giorno, finalmente, il figlio si renda conto che senza di Lui non può vivere e, così, faccia ritorno. Se tutti, come è vero, siamo figli di un Padre Misericordioso, tutti siamo da Lui attesi, sempre che, come il figlio prodigo, con l’aiuto dello Spirito, ‘rientriamo in noi stessi’ e diciamo ‘tornerò da mio Padre’. Ma ascoltiamo la voce di Gesù, voce del Padre Misericordioso:
  • In quel tempo, si avvicinarono a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: ‘Costui riceve i peccatori e mangia con loro’. Allora Gesù disse questa parabola: ‘Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la trova? Ritrovatola, se la mette sulle spalle tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione’. (Lc. 15, 1-10)
E la gioia del ritrovamento del ‘figlio perduto’ così è descritta nella parabola del figliol prodigo, che segue:
  • Quando il figlio era ancora lontano, il padre lo vide e commosso gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: ‘Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio’. Ma il Padre disse ai servi: ‘Presto portate qui il vestito più bello, e rivestitelo, mettetegli l’anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’. E cominciarono a fare festa. (Lc. 15, 10-32)
Con poche parole Gesù descrive ‘la vera ragione’ della gioia del Padre, che è davvero ‘Misericordia: ‘Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato’. Incredibile davvero l’amore di Dio, che non conosce i nostri rancori e le nostre infedeltà. A Lui interessa solo che ‘torniamo in vita’! Credo che tanti di voi abbiano visto o posseggano una immagine di Gesù, dal cui costato escono due grandi raggi luminosi: uno bianco e uno rosso, e se ne siano chiesti il significato. È la visione che ebbe Suor Faustina, di cui anche in altre occasioni ho parlato, e che il grande Giovanni Paolo II dichiarò santa il 30 aprile 2000, dicendo:
  • Celebrate il Signore perché è buono, eterna è la sua misericordia… Da quel Cuore Santa Faustina vide partire due fasci di luce che illuminano il mondo. I due raggi - le spiegò un giorno Gesù stesso- rappresentano l’acqua e il sangue, usciti dal suo costato...così, attraverso il Cuore di Cristo crocifisso, la misericordia divina raggiunge gli uomini. ‘Figlia mia, dì che sono l’Amore e la Misericordia’. E questa Misericordia Cristo la effonde sull’umanità mediante l’invio dello Spirito che nella Trinità è la Persona-Amore. E non è forse la Misericordia un secondo nome dell’amore, colto nel suo aspetto più profondo e tenero, nella sua attitudine a farsi carico di ogni bisogno, soprattutto nella sua immensa capacità di perdono? ... Ma – si chiedeva il Santo Padre – che cosa ci porteranno gli anni che sono davanti a noi? Come sarà l’avvenire dell’uomo sulla terra? A noi non è dato saperlo, è certo tuttavia che accanto a nuovi progressi non mancheranno, purtroppo, esperienze dolorose. Ma la luce della Misericordia, che il Signore ha voluto quasi riconsegnare al mondo, attraverso il carisma di Suor Faustina, illuminerà il cammino degli uomini del terzo millennio. (Discorso della canonizzazione)
Come ha detto Papa Francesco: «Il Signore ci guarda sempre con misericordia, ci attende con misericordia. Pensiamo questo è bello: non abbiamo timore di avvicinarci a Lui! Ha un cuore misericordioso! Se gli mostriamo le nostre ferite interiori, i nostri peccati, Egli sempre ci perdona. È pura misericordia! La misericordia di Gesù non è solo sentimento, anzi, è una forza che dà vita, che risuscita l'uomo!». Nel mondo e in noi si fronteggiano, e lo vediamo con i nostri occhi, la Misericordia di Dio e l’odio degli uomini. Ma la fede ci dice che, se ci affidiamo all’Amore, l’ultima parola l’avrà la Misericordia... anche in noi!



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 20, 2013 9:47 am

      • Omelia del giorno 22 settembre 2013

        XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Nessuno può servire a due padroni
Mi sono fermato un giorno accanto ad un pittore. Stava cercando di affidare ad una tela qualcosa che, più che nella realtà, cercava in se stesso. Ogni tocco di pennello sembrava come una nota, finalmente scoperta in se stesso, con cui comporre una grande sinfonia di linee e colori. La ricerca ‘interiore’ del giusto colore, della forma adatta al suo disegno, era per lui motivo di sofferenza. Non era uno che si accontentasse di copiare qualcosa, ma senza anima! No. L’anima la cercava in sé, ossia nella capacità, che sapeva di possedere, e che noi a volte chiamiamo ispirazione. Ma l’uomo spesso non si cura di scoprire le capacità a lui donate da Dio ed allora fa della vita, non un quadro da esporre, ma scarabocchi da buttare... quando non fa uno scempio da fare soffrire! Ogni uomo nella mente di Dio è un grande artista, se lo vuole. Ogni gesto, ogni sguardo, tutto, può far parte di un capolavoro che sembra uscito dalle mani del Creatore. Pensiamo al volto, ai comportamenti dei santi. Sono splendide pennellate di colore di un grande quadro. Ma la fatica non è nel dipingere, ma nello scoprire in se stessi i colori e l’anima, che Dio sicuramente ha posto.

Il Vangelo di oggi, narrando la parabola dell’uomo ricco, così descrive il suo amministratore. “C’era un uomo ricco, che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinnanzi a lui di sperperare i suoi averi. Lo chiamò e gli disse: ‘Che cosa sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non potrai più amministrare” (Lc. 16, 1-13). E non è forse vero che tanti talenti, doni del Padre per la Sua gloria e per servizio ai fratelli, vengono usati per egoismo, superbia o per i propri interessi, ‘sperperando così i talenti ricevuti’? Quando l’uomo, io, voi, usiamo dei talenti avuti, per i nostri interessi, la nostra affermazione, non solo li ‘sperperiamo’, ma, quello che è peggio, facciamo un grave danno alla comunità e, in certo senso, tutto diventa ‘insulto’ a Chi ce ne ha fatto dono ‘per disegnare l’amore’. Il profeta Amos così parla oggi:
  • Ascoltate questo, voi che calpestate il povero e sterminate gli umili del paese. Voi che dite: ‘Quando sarà passato il novilunio e si potrà vendere il grano? E il sabato, per smerciare il frumento, diminuendo le misure e aumentando il siclo, usando bilance false, per comprare con denaro gli indigenti e il povero con un paio di sandali? Venderemo anche lo scarto del grano’. Il Signore lo giura per il vanto di Giacobbe: certo non dimenticherò mai le loro opere. (Amos 8, 4-7)
C’è una bella preghiera di R. Follereau, l’apostolo dei lebbrosi, che sembra commentare le parole del profeta:
  • Noi abbiamo costruito chiese, ma la nostra storia è una guerra senza fine;
    noi abbiamo costruito ospedali, ma noi, per i nostri fratelli, abbiamo accettato la fame.
    Perdono, Signore, per la natura calpestata, per le foreste assassinate, per i fiumi inquinati...
    Perdono, Signore, per la bomba atomica, il lavoro a catena, la macchina che divora l’uomo e le bestemmie contro l’Amore.
    Noi sappiamo che tu ci ami e che a questo amore noi dobbiamo la vita.
    Che i nostri giorni non siamo più deturpati dall’invidia e dall’ingratitudine, dalle terribili schiavitù del potere. Donaci la felicità di amare i fratelli.
    Insegnaci Tu ad amarci, perché, Signore, non c’è amore senza il Tuo amore.
C’è bisogno che tutti noi torniamo ad essere artisti che sanno scoprire le tante ricchezze che Dio ci ha donato, per ridare bellezza alla vita, gloria di Dio e dono ai fratelli! Purtroppo il mondo, ogni giorno, predica che la vera gloria dell’uomo è solo nella ricchezza, nel potere, peggio ancora nella violenza, senza però dirci quanti danni questa fa, in noi e agli altri! Una cosa è certa: o si ha come Dio il Signore, nostro Padre, o si ha come dio il denaro. Alla fine del brano del Vangelo di oggi, Gesù chiaramente avverte: “Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro, o si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza” (Lc. 16, 10-13). Un avvertimento, oggi, particolarmente necessario, che richiama l’altro ancor più duro, quando Gesù, incontrando un giovane buono, gli disse: "Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che hai, dallo ai poveri, poi vieni e seguimi”. Il giovane se ne andò perché aveva molti beni. E Gesù: Guai a voi ricchi, è più facile che un cammello entri per la cruna di un ago, che un ricco nel Regno dei Cieli.

Come persona consacrata, considero un vero dono di Dio il voto di povertà. È sentirsi ‘liberi’ interiormente da ogni schiavitù delle cose e, quindi, felice di farsi in tutto dono ai fratelli. La povertà di spirito è una delle beatitudini indicate da Gesù sul monte. Ed è vera felicità quando, per povertà, si intende vedere tutto, anche i beni, come doni da distribuire e, quindi, modi di amare, mai dèi senza anima da adorare. Si incontrano ancora oggi, per fortuna, persone libere, perché ‘povere in spirito’. Ogni volta si ha come l’impressione di ammirare un quadro meraviglioso che le dita di Dio dipingono con i Suoi colori, che sono ‘altri valori’ dai nostri. Non c’è in loro la falsa voglia di ‘apparire’, chinandosi a tutti i capricci del consumo e della ricchezza, delle comodità che rendono non più uomini, ma merce. Papa Francesco in un’omelia alla Domus Santa Marta lo ha ribadito:
  • Il Regno di Dio è il ‘tutto’, il resto è secondario, non è principale. E tutti gli sbagli cristiani,tutti gli sbagli della Chiesa, tutti i nostri sbagli nascono da questo, cioè dal perseguire obiettivi secondari, come le ricchezze, le vanità, avere posti in alto: cose che sono nulla per il cristiano e invece, per lo spirito del mondo sono il ‘tutto’ mentre il ‘nulla’ è Gesù … Quando uno fa un’opzione per il ’nulla’, da quella opzione– ha osservato il Pontefice – nascono gli scontri in una famiglia, nelle amicizie, con gli amici, nella società. Anche gli scontri che finiscono con la guerra: si combatte per il ‘nulla’! Il ‘nulla’ è seme di guerre, sempre. Perché è seme d’egoismo. Il ’tutto’ è grande, è Gesù. Chiediamo al Signore che allarghi il nostro cuore, che ci faccia umili, miti e magnanimi, perché noi abbiamo il ‘tutto’ in Lui; e che ci difenda dal fare problemi quotidiani attorno al ‘nulla’… Questa è la preghiera che noi dobbiamo fare: dobbiamo pregare il Signore, affinché allarghi il nostro cuore, affinché noi siamo magnanimi, siamo miti, e non lottiamo per le piccolezze, per i ‘nulla’ di ogni giorno.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun set 30, 2013 8:03 am

      • Omelia del giorno 29 Settembre 2013

        XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Lazzaro, il povero che ci inquieta
Se ricordate, già il Vangelo di domenica scorsa aveva duramente attaccato l’idolatria del benessere, che si incarna nella ricchezza, con le parole: ‘Non potete servire Dio e la ricchezza’ (Lc. 16, 10-13). Ed è vero. Non si può dividere il cuore, illudendoci di darne un pezzo a Dio e un pezzo alla ricchezza. È proprio della natura dell’amore, e quindi del cuore, essere di uno solo. Il ‘cuore’ ci è stato donato dal Padre per una sola ragione, quella di ricevere il Suo amore ed amare. E l’amore chiede piena libertà da tutto ciò che non è amore, come il denaro. C’è in giro una voglia estrema di rincorrere la ricchezza, pur sapendo che non fa felici e difficilmente ‘giusti’. Questa anzi può generare tante povertà che sono sotto gli occhi di tutti. Così affermava il grande Paolo VI, commentando la scelta della totale povertà di Gesù, il Verbo fatto carne, da Cui tutto è stato fatto e senza del quale nulla può esistere:
  • La povertà di Cristo è il più stretto rapporto di vicinanza esteriore che Egli poteva offrire agli uomini. Gesù ha voluto metterne all’ultimo livello sociale, affinché nessuno lo potesse credere inaccessibile. Ogni ricchezza temporale è in qualche modo divisione, dislivello, è distanza degli uomini tra di loro, ogni proprietà stabilisce un ‘mio’ e un ‘tuo’ che separa gli uomini o li unisce in un rapporto che, come non è comunione di beni, così tanto spesso non è comunione di spiriti. Gesù, se non ha voluto stabilire per la società terrena la proprietà, ha voluto totalmente prescindere da essa, per venire in immediata ed universale comunione con gli uomini, che invece voleva a Sé affratellare. La povertà di Cristo ci appare allora sotto un aspetto meravigliosamente umano; essa è il segno della sua amicizia, della sua parentela con l’umanità. E quella umanità che non opporrà alla parentela fraterna con Lui il diaframma della propria posizione sociale, della propria isolante fortuna, della propria egoistica sufficienza, Lo incontrerà, Lo capirà, Lo avrà suo...Risuona a questo punto la più squillante voce del Vangelo, l’appello a coloro che sono nella migliore condizione per entrare nel disegno della salvezza: ‘Beati i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli’. (Natale 1959)
Nessuno nega ciò che Dio ci ha donato, ossia il diritto alla proprietà. Questo serve, se vogliamo, per affermare la propria dignità, per dare spazio alle proprie capacità, sempre doni di Dio, ma...tutto e sempre, senza fare, dei ‘beni’, impossibili idoli, che non potranno mai donare la felicità! La vera felicità è frutto dell’amore e questo, a sua volta, ha bisogno per espandersi di non essere svenduto a ‘cose’, che si rivelano ‘ali spezzate’ che non permettono ‘i voli della carità’, propri dei ‘poveri in spirito’. Del resto anche chi rincorre la felicità nella ricchezza, se è sincero, alla fine si sente ‘solo’, ‘nudo’, infelice... perché solo l’amore trasmette gioia e serenità. Fanno davvero pensare le parole del profeta Amos:
  • Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria! Essi su letti di avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa, si pareggiano a Davide negli strumenti musicali. Bevono il vino a larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giuseppe non si preoccupano. Perciò andranno in esilio in testa ai deportati e cesserà l’orgia dei buontemponi. (Amos 6, 1-7)
Parole durissime che fanno meditare in un tempo, come il nostro, in cui la povertà è considerata ‘maledizione’ e la ricchezza ‘fortuna’. Ma è vera fortuna? In quanto discepoli di Gesù, ci si sente come umiliati ed offesi, nel vedere come tra di noi ci siano troppi emarginati: immigrati costretti a vivere in fradice baracche, che annientano la bellezza dell’uomo, inducendolo poi a diventare nemico del fratello, come è spesso cronaca oggi. La ricchezza, come affermava Paolo VI, crea divisione e, spesso, aggressione. Gesù, ‘il ricco che si fece povero’, così oggi con grande efficacia descrive l’insensibilità di chi si chiude nel proprio benessere e non si avvede del povero che sta alla sua porta e la sorte che, alla fine, toccherà ai due. Vale la pena meditarla bene questa parabola e in essa specchiarci.
  • Gesù disse ai farisei: ‘C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco: ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi tra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: ‘Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma’. Ma Abramo rispose: ‘Figlio, ricordati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di lì possono giungere fino a noi’. E quello replicò: ‘Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento’. Ma Abramo rispose: ‘Hanno Mosè e i profeti, ascoltino loro’. E lui replicò: ‘No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno’. Abramo rispose: ‘Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi anche se uno risorgesse dai morti. (Lc. 16, 19-31)
Infatti, Colui che è risuscitato dai morti ed è oggi tra di noi, proprio con la Sua parola, che stiamo meditando, Gesù, è poco creduto! Ho avuto il dono da Dio di svolgere la massima parte del mio servizio pastorale dove i poveri erano tanti e, tante volte, senza speranza. È un dono conoscere la bellezza di fare felici ‘tanti Lazzaro’ e in essi vedere il volto di Gesù che ama essere amato così. Non mi pesava dopo il terremoto nel Belice passare notti sul pavimento dei vagoni ferroviari, perché privo di tutto, e poi in quelle misere abitazioni, che chiamavamo ‘baracche’, e tali erano. Così come ho visto in faccia la povertà di tante famiglie costrette a vivere in miseri ‘bassi’, dove si mancava di tutto. Ma posso anche testimoniare che Dio ha sempre saputo ‘parlare’ al cuore di persone generose, dalle tante possibilità, che venendo a conoscenza delle necessità in cui mi trovavo non hanno mai esitato a riempire le mie mani, perché tanti, ma proprio tanti, tornassero a sperare e vivere.

E quando aprii questo nostro ‘sito’, che accoglie richieste da tante parti del mondo, soprattutto dove le condizioni di vita sono spesso impossibili, altrettante persone generose hanno teso la mano per dare vita a realtà che tolgono dall’emarginazione tanti, soprattutto bambini e ammalati. Oggi, dalle Filippine al Perù, alla Bolivia e, soprattutto, in Africa, ci sono ‘segni’ di ricchezza fatta solidarietà. Davvero la ricchezza può, se Dio trova ascolto, tramite il grido dei poveri, diventare meravigliosa sinfonia della carità e rinascita di speranza. Il peccato più grave davanti a Dio è quello spesso denunciato dal Suo Vicario in terra, Papa Francesco:
  • Abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna. La globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere… La cultura del benessere rende insensibili alle grida degli altri, fa vivere in bolle di sapone. Una situazione che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza.
La stessa ‘indifferenza del ‘ricco epulone’, mostrata davanti al povero Lazzaro, e denunciata da Gesù. Vi è una testimonianza che voglio proporvi. È quella della nipote del medico, Giuseppe Bono, che fu chiamato a testimoniare la miracolosa guarigione di Suor Ludovica Noè, miracolata dal Rosmini. La nipote, Dott.ssa M. Cristina De Giovanni, l’ha resa il 1° luglio 2007, a Stresa.
  • Quando mio nonno testimoniò il miracolo era una persona, non so se dire atea, comunque agnostica ed era decisamente anticlericale...Abitava a Borgomanero (No)...Essendo stimato da tutti e molto bravo, era medico delle Suore Rosminiane. Come mi raccontò andava tutti i giorni a visitare una suora che era afflitta, mi pare, da tubercolosi intestinale, e comunque aveva delle piaghe visibili. Una mattina si recò di nuovo a visitarla e rimase allibito, perché non c’era più traccia delle piaghe che la suora aveva sul ventre. Mio nonno chiese cosa fosse successo e la suora disse: ‘Ho messo un’immagine di Antonio Rosmini sulle ferite’. Allora, come mi ha raccontato molte volte, mio nonno disse: ‘A questo punto io devo credere, perché nessuna spiegazione scientifica è possibile a quello che è successo’. Da quel momento la sua vita è cambiata completamente: divenne un cristiano praticante e la sua fede religiosa lo aiutò molto, perché dovette attraversare numerose traversie.....Un giorno arrivò una cartolina di mio zio, che diceva di essere prigioniero dei tedeschi, trattandosi del ’43 io me lo ricordo come fosse oggi... Il 25 aprile del ’45 mio nonno sentiva che stava per spegnersi e sperava di rivedere suo figlio, ma è morto una settimana prima che mio zio ritornasse. Quando l’abbiamo vestito per la sepoltura, gli abbiamo trovato sul cuore una lettera in cui diceva: ‘Dio mio, ti offro la mia vita, ma salva quella di mio figlio’. Mio nonno è morto povero, nonostante fosse primario dell’ospedale di Borgomanero, facendo la maggior parte delle visite gratuitamente. Bastava che qualcuno gli dicesse: ‘Dottore, non posso pagare’ e lui gli faceva pagare solo cinque lire. Non ha mai posseduto una macchina, a settantun’anni andava ancora in bicicletta: è stata una vita veramente esemplare...
Il miracolo, sopra raccontato, fu accolto dalla Commissione per la Beatificazione di Rosmini all’unanimità. Ma, non possiamo dimenticare che, al miracolo della carità corporale, riguardante la guarigione di Suor Ludovica, malata, si è aggiunto, nei confronti del medico, il miracolo della carità intellettuale (‘devo credere’) e della carità spirituale: ‘divenne cristiano praticante’. C’è solo da pregare, per riportare giustizia nel mondo e dare speranza ai poveri Lazzaro, affinché di questi miracoli, che trasformano la ricchezza in carità e povertà, ne succedano tanti. È possibile: è la grande speranza.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » lun ott 07, 2013 10:09 am

      • Omelia del giorno 6 Ottobre 2013

        XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Signore, aumenta la nostra fede
Ci sono momenti, nella vita, difficili da conciliare con l’idea dell’Amore del Padre, in cui abbiamo riposto la nostra totale fiducia o fede: momenti in cui vacilla o viene meno la nostra fede in Lui. Sono i momenti della prova, quando pare che tra noi e Dio sia calata una densa nube, al punto da mettere in dubbio non solo che ci voglia bene, ma addirittura che esista. Mi è sempre rimasta nel ricordo una scena, subito dopo il terremoto a Santa Ninfa. Ero smarrito, in quella notte, in piazza, e guardavo il paese che sembrava essersi accartocciato, come si fa con gli oggetti che si rompono e si buttano. Vicino a me, un uomo, che aveva speso la vita per costruirsi la casa, vedendola in rovina, ebbe un moto di incontenibile rabbia: prese una scarpa e la lanciò contro il cielo, come volesse colpire in faccia Dio stesso. Io stesso, davanti alla Chiesa Madrice, che in dieci anni avevamo come rifatta, facendola diventare bella, come un vestito da sposa per il Dio e la comunità che ospitava, ed ora era un ammasso di pietre su pietre, come un prezioso vaso cinese andato in frantumi, guardai verso l’altare, che non c’era più, però custodiva da qualche parte Gesù nel Santissimo Sacramento, e mi uscì dal cuore il lamento: ‘Signore fammi capire come ci vuoi bene’.

In quel momento giunse un giovane, tanto vicino alla comunità parrocchiale e, con incontenibile dolore, mi disse: ‘Padre, mamma, papà e le mie due sorelle sono sotto le macerie e credo siano morti’. Era come se Dio mi svegliasse dal ‘sonno della fede’ e mi indicasse dove era... Era là, sotto quelle macerie, in cui ci infilammo, cercando di salvare la famiglia rimasta sepolta, senza riuscirci, anzi, rischiando di finire anche noi, per una successiva scossa di terremoto, allo stesso modo. E cominciò la sfilata di tanti che ci chiedevano aiuto. È lì che ho ritrovato la risposta di Dio. Lui era là dove c’era disperazione e morte e occorreva correre a salvare quelli che, diversamente, sarebbero morti. Ma non è facile. Facile invece è smarrirsi e voltare le spalle alla fede. Ed è comprensibile, nel dolore, questo smarrimento! Oggi, di fronte alle tante tragedie del nostro mondo, che avvengono in tanti modi: dalla tragedia della fame e della miseria, a quella delle insensate guerre o dei rigurgiti di violenza nelle stesse famiglie, che sembrano il ghigno di satana, a tutti i tipi di sfruttamento, è facile essere tentati di porsi la stessa domanda: ‘Signore, facci capire dove e come è il tuo amore’. Sembra siano di oggi le parole del profeta Abacuc:
  • Fino a quando, Signore, implorerò e non ascolti, a te alzerò il grido ‘violenza’ e non salvi? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? Ho davanti rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese. Il Signore rispose e mi disse: ‘Scrivi la visione e incidila sulle tavolette perché la si legga speditamente. È una visione che attesta un termine, parla di una scadenza e non mentisce: se indugia, attendila, perché certo verrà e non tarderà. Ecco soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede’. (Ab. 1,2-3; 2. 2-4)
Nel Vangelo di oggi, gli Apostoli, dopo aver udito le parole di Gesù, che condanna duramente lo scandalo, avvisando i Suoi: ‘State attenti!’, e ammonendoli ad amare il fratello fino al non facile perdono quando ci fa del male, pregano così il Maestro: “Aumenta la nostra fede!”. E la risposta di Gesù davvero mostra la potenza della fede vera: “Se aveste fede quanto un granellino di senapa – che è il più piccolo di tutti i semi – potreste dire a questo gelso: ‘Sradicati e vai a piantarti nel mare’ ed esso vi obbedirebbe” (Lc. 17, 5-10).

Inutile nascondersi la grave crisi di fede che c’è in troppi. Viene da chiederci quali siano le cause di questa ‘eclissi della fede’, che qualcuno ha chiamato ‘apostasia dell’Europa’. Tanti descrivono la crisi come frutto del consumismo o della frenesia del piacere ad ogni costo. Troppi credono di ‘sentirsi liberi totalmente’, lasciando via libera a tutti i vizi, credendo così di realizzare il proprio sogno di vita. Ma vivere senza Dio è davvero ‘realizzarsi’ o la realtà non dimostra piuttosto che si diventa ‘una merce’, fino a giungere sui marciapiedi del vizio e, magari, finendo poi nell’inferno della disperazione o della droga? Siamo davvero felici di vivere, oscurando la bellezza e la dignità che viene dal Cielo? Ci parlano forse di vera felicità i tanti ‘idoli’ con cui abbiamo riempito case, paesi, cuori? Si ha l’impressione che oggi il mondo viva di una profonda inesprimibile tristezza, che a volte genera perfino il rifiuto del grande bene che è la vita. È l’inganno del serpente che si ripete: se seguito, dopo una breve euforia, porta a ‘sentirsi nudi’...e a nascondersi! e resta, ieri come oggi, la grande tristezza del grido di Dio: ‘Uomo, dove sei?’ (Gn. 3. 8-10). È di ieri il racconto del rifiuto dell’uomo... e pare sia di oggi, per troppi.

Non so come definire l’uomo del nostro tempo che, dopo aver fatto un’autentica ‘guerra’ alla natura, per affermare l’economia e il profitto ad ogni costo, fino a compromettere l’esistenza del pianeta, ora vuole quasi affermare la ‘sua divinità’, con la differenza che, quando Dio crea, contempla e si stupisce della bellezza della sua creatura: ‘E vide che era cosa bella’, invece l’uomo, questo ‘irrazionale dio’, non solo sta spegnendo la bellezza, ma sta compromettendo la sua stessa esistenza! .....Eppure si ‘sente dio’, ossia padrone di ciò che non è suo, quando ha ricevuto solo il compito di ‘custodire e coltivare’...non distruggere! Se questo uomo, che annienta tutto, fosse ‘dio’... ci sarebbe davvero da aver paura, perché non merita certamente fiducia! Fiducia invece che merita il Padre, che non cessa di manifestare la Sua Presenza, il Suo Amore, la Sua Bellezza in chi di noi sa riporre in Lui piena fede. E, accanto alle follie degli uomini che negano Dio, per fortuna la terra è piena della gloria di Dio, che si manifesta nei semplici fedeli, nella Chiesa, nei martiri, in tante anime consacrate. Davvero un grande coro celeste che è la sola ‘musica’ per l’uomo.

A volte, è vero, Dio mette alla prova la nostra fede, quasi nascondendosi. I Santi la chiamano ‘buio della fede’, ‘notte dell’anima’, come quella provata da Madre Teresa di Calcutta, da santa Teresina del Bambin Gesù, da tanti santi e, a volte, anche da noi. È un poco il nostro venerdì santo, che prepara la gioia della Pasqua. Nella sua prima enciclica, intitolata Lumen fidei (La luce della fede), papa Bergoglio ha lanciato una tesi che a qualcuno sarà certamente sembrata provocatoria: la fede dà una luce che ci permette di vedere meglio. Ha scritto Papa Francesco: «Chi crede, vede; vede con una luce che illumina tutto il percorso della strada, perché viene a noi da Cristo risorto, stella mattutina che non tramonta».

È davvero così? La fede ci fa vedere meglio? La fede – sostiene ancora papa Francesco – è «capace di illuminare tutta l’esistenza dell’uomo […] è una luce per le nostre tenebre». È proprio così? Davvero noi che diciamo di credere vediamo ed agiamo meglio di chi non crede? Viviamo davvero la certezza che ‘niente è impossibile per chi si fida di Dio e si affida a Dio”? Forse, davvero, carissimi, sorge in noi la stessa accorata invocazione degli Apostoli:
  • Signore, aumenta la nostra fede!


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 11, 2013 9:20 am

      • Omelia del giorno 13 Ottobre 2013

        XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Gesù e i lebbrosi
Quanti insegnamenti possiamo trovare nell’episodio dell’incontro casuale – meglio provvidenziale! - Di Gesù con i dieci lebbrosi, narrato nel Vangelo di oggi! Sappiamo che fino a poco tempo fa i lebbrosi, per la loro malattia ripugnante, che si credeva, e ancora si crede, potesse essere trasmessa, venivano segregati in modo da non poter avere nessun contatto con i sani. Dei veri ‘condannati’ all’emarginazione e solitudine, insopportabile per qualsiasi creatura umana che sente una vera sete di solidarietà e compagnia....tanto più quando ci troviamo in gravi difficoltà, di qualunque specie, ma soprattutto nella malattia!

Conosciamo tutti la grande passione dell’apostolo del nostro tempo, Raoul Follereau, che non si stancava di visitare i lebbrosari di tutto il mondo, facendo appello alla solidarietà di tutti, a cominciare dalle ‘grandi potenze’, che non pongono freni alla produzione delle armi, portatrici solo di morte, ma voltano le spalle a quanto invece è bene e può donare la vita, come guarire i lebbrosi. Il suo scopo era duplice: ottenere che i malati di lebbra fossero curati come tutti gli altri malati, nel rispetto della loro libertà e dignità di uomini, e ‘guarire i sani’ dalla paura assurda di questa malattia e di coloro che ne sono colpiti. Nacque così la Giornata dei lebbrosi, celebrata in 50 Paesi, diventata come un ‘immenso appuntamento d’amore’, che reca agli ammalati, più ancora dei considerevoli aiuti materiali, la gioia e la fierezza di essere trattati da uomini. Lui, Follereau, vedeva in ogni lebbroso, non solo un fratello, ma Gesù sofferente, e non aveva certamente paura di farsi vicino, come ancora oggi avviene, grazie agli ‘Amici dei lebbrosi’, in tanti luoghi dove esiste e si cura la lebbra. La vera carità non alza mai ‘muri o recinti’, che dividono, ma si fa vicina, con la gioia di colmare l’angoscia che è nel fratello malato.

Nonostante la grande carità di molti verso i lebbrosi, oggi, nel mondo, ci sono ancora milioni di fratelli colpiti dalla lebbra, il più delle volte vittime anche del degrado, della fame e della sete! Fa male alla coscienza sapere che ‘loro ci sono’, ma si fa ancora troppo poco per ‘farsi vicini’, come Gesù. Racconta l’evangelista Luca, oggi:
  • Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: ‘Gesù Maestro, abbi pietà di noi!’. Appena li vide, Gesù disse loro: ‘Andate a presentarvi ai sacerdoti’. E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: ‘Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?’. E gli disse: ‘Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato!. (Lc. 17, 11-19)
Se vogliamo allargare il significato di ‘lebbroso’, estendendolo a quanti per mille ragioni sono emarginati tra di noi, scopriamo che sono davvero tanti... allontanati, evitati, quasi condannati alla stessa solitudine, nel momento in cui avrebbero più bisogno di trovare chi si fa loro vicino con amore! Penso ai tanti malati di AIDS, ai tossicodipendenti, a chi ha sbagliato, ai detenuti... e l’elenco si fa davvero lungo, tanto lungo. Può essere capitato anche a qualcuno dei miei lettori, incappato in qualche errore, frutto di debolezza, l’essersi sentito ‘isolato’, perdendo amici, conoscenti, restando solo...’come un lebbroso da evitare’! É come morire. Chi del resto non ha provato questo ‘essere visto come un lebbroso’ da evitare? Basta un errore nella vita – e chi non ne fa? – E subito ci si ritrova soli! Quante volte, come sacerdote, come vescovo, ho sentito la necessità di gettare le braccia al collo a persone disperate, perché emarginate, cercando di riportare un po’ di serenità, facendo sentire loro che non erano sole!
  • Se vogliamo conoscere l’uomo – diceva il grande Paolo VI – dobbiamo conoscere Cristo crocifisso (lasciato solo dal momento della cattura nell’orto, fino alla crocifissione. Solo con pochissime persone che davvero Lo amavano: Maria, la Mamma, Giovanni, il discepolo che amava, e Maria di Magdala). Se siamo avidi di scoprire che cosa è l’uomo, dobbiamo sentire che questa tragica figura del Cristo proietta sopra di noi dei raggi, che ci dimostreranno davvero che cosa è l’umanità, cioè una vita decaduta e sofferente. È una vita ingiuriata, una vita flagellata, una vita crocifissa. Ci sono ancora cento mali nel mondo, e chi va cercando di smussare tutte le sue asprezze, chi va cercando una civiltà soffice e attraente, dalla quale manchino il dolore, la sofferenza, la fatica, è quello stesso uomo che cerca in se stesso i tormenti più gravi; è quello stesso uomo che si arma delle armi più micidiali e più terribili e le rivolge contro se stesso... Ecco l’uomo... C’è un autore moderno che, analizzando il dolore lo definisce ‘grande solitudine’, perché separa, scava abissi, è incomunicabile. L’esperienza della sofferenza, anche se è circondata da cure, è così singola, così personale, da essere incomunicabile, perciò inconsolabile, sotto un certo aspetto. È in quei momenti che si fa vicino, se crediamo e Lo preghiamo, il grande Fratello, Gesù: Colui che ha detto: ‘Venite a me, voi tutti che siete affaticati e aggravati, ed io vi darò sollievo’.
Gesù è il solo che non emargina, sa addossarsi le sofferenze qualunque siano, anche quelle che noi colpevolmente mettiamo fuori della nostra attenzione. Sapeste quanta gioia si prova nel dare sollievo a chi vive nella disperazione di sentirsi ‘solo’! Si racconta che un giorno il grande Follereau, l’amico dei lebbrosi, facendo il giro dei lebbrosari del mondo, alla fine visitò l’ultima comunità. ‘Non ho più nulla da darvi – disse – Mi è rimasta solo la grande passione per ciascuno di voi, la gioia di stare con voi’. I 200 lebbrosi si consultarono e uno si fece avanti e chiese ‘un dono’: stringergli la mano. Rimase sorpreso, Follereau, per quella richiesta, per lui davvero ‘piccola e spontanea’. E così strinse le mani di tutti. Dopo una settimana ricevette una lettera dei lebbrosi che lo ringraziavano così: ‘Grazie, amico, il profumo della tua affettuosa condivisione è rimasto nelle nostre mani. Per questo, dal nostro incontro, non le abbiamo più lavate, per risentirlo ogni giorno.’ Odorare ‘quel profumo’ era come sentire il profumo della vita. Così è verso quanti di noi sanno farsi solidali con chi la società ‘bene’ emargina... Follereau, che aveva fatto 66 volte il giro del mondo, tentando di coinvolgere tutti in una battaglia, che poteva e può essere vinta, così scriveva in un messaggio nel 1966:
  • Amare non è solo dare al povero qualcosa del nostro superfluo,
    ma ammetterlo nella nostra vita.
    Bisogna riconoscere con coraggio che con degli alberi di Natale
    non si risolverà la questione sociale,
    né il problema della fame e della lebbra.
    Il povero, il perseguitato, il malato, ha una sete confusa di ritrovarsi,
    di avere coscienza che è un uomo come gli altri
    e che ha il diritto di vivere e il dovere di sperare.
    Non accontentarsi quindi di lasciargli cadere in mano l’offerta,
    ma condividere la sua sofferenza, la sua ira, i suoi desideri,
    ed ammetterlo alla conoscenza dei nostri sentimenti:
    questo vuol dire amarlo....
    Che il buon Dio ci dia delle noie,
    se queste noie ci conducono sul cammino dei nostri fratelli.
    Che ci faccia la grazia di essere angosciati dalla miseria universale,
    in modo che noi, gente terribilmente felice,
    possiamo chiedere scusa della nostra felicità (se l’abbiamo),
    imparando così ad amare.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 18, 2013 8:12 am

      • Omelia del giorno 20 Ottobre 2013

        XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Tutti missionari
Oggi, tutta la Chiesa, in ogni parte del mondo, celebra la GIORNATA MISSIONARIA MONDIALE. E così il Santo Padre, nel Messaggio, scrive:
  • Quest’anno celebriamo la Giornata Missionaria Mondiale mentre si sta concludendo l'Anno della fede , occasione importante per rafforzare la nostra amicizia con il Signore e il nostro cammino come Chiesa che annuncia con coraggio il Vangelo… L'Anno della fede , a cinquant’anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, è di stimolo perché l'intera Chiesa abbia una rinnovata consapevolezza della sua presenza nel mondo contemporaneo, della sua missione tra i popoli e le nazioni. La missionarietà non è solo una questione di territori geografici, ma di popoli, di culture e di singole persone, proprio perché i “confini" della fede non attraversano solo luoghi e tradizioni umane, ma il cuore di ciascun uomo e di ciascuna donna. Il Concilio Vaticano II ha sottolineato in modo speciale come il compito missionario, il compito di allargare i confini della fede, sia proprio di ogni battezzato e di tutte le comunità cristiane: «Poiché il popolo di Dio vive nelle comunità, specialmente in quelle diocesane e parrocchiali, ed in esse in qualche modo appare in forma visibile, tocca anche a queste comunità rendere testimonianza a Cristo di fronte alle nazioni» (Decr. Ad gentes , 37). Ciascuna comunità è quindi interpellata e invitata a fare proprio il mandato affidato da Gesù agli Apostoli di essere suoi «testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8), non come un aspetto secondario della vita cristiana, ma come un aspetto essenziale: tutti siamo inviati sulle strade del mondo per camminare con i fratelli, professando e testimoniando la nostra fede in Cristo e facendoci annunciatori del suo Vangelo.
Le parole di Papa Francesco sono risposte a domande che da sempre ci coinvolgono: chi Dio ‘manda ad evangelizzare’? In altre parole, chi sono ‘i missionari’ in ogni tempo e soprattutto oggi? A chi si rivolge Gesù? Dove è oggi il campo della missione: solo nei Paesi che non sono ancora venuti a conoscenza del Vangelo e, quindi, della loro chiamata alla santità ed alla felicità del Cielo, o anche tra di noi? Sorge spontanea la domanda: noi, che ci chiamiamo cristiani, siamo ‘terra di missione’ o ‘popolo missionario’?

Troppo spesso, proprio nel nostro Occidente sviluppato, si respira un’aria di completa ‘ignoranza della Parola del Vangelo’, tanto che nasce il dubbio: non saremo forse noi da evangelizzare? Sarà colpa di tanti fattori, della Chiesa, che non ha saputo trovare i modi per evangelizzare, o della famiglia, o... di tutti? Un caro amico missionario mi confessò un giorno: ‘Quanta poca fede c’è tra voi, al contrario della mia gente, in missione, che, non solo crede e sa a Chi crede e quale impegno contiene la fede, ma per la quale credere è grande festa: festa di una vita con Cristo!’. Paolo VI, vero appassionato di Cristo, così ci ‘provoca’ ed annuncia:
  • Se io domandassi agli uomini del nostro tempo: chi ritenete che sia Gesù Cristo? Come Lo pensate? Ditemi: chi è il Signore? Chi è questo Gesù che noi andiamo predicando da tanti secoli e che riteniamo, ancora più necessario della nostra vita, annunciarLo alle anime? Alla domanda, alcuni, molti, non rispondono, non sanno che dire. Esiste come una nube – e questa è opaca, pesante – di ignoranza che preme su tanti intelletti. Si ha una cognizione vaga di Cristo, non Lo si conosce bene: si cerca, anzi, di respingerLo. Al punto che all’offerta del Signore di voler essere, per tutti, Maestro e Guida, si risponde di non averne bisogno e si preferisce tenerLo lontano. Quante volte gli uomini respingono Gesù e non lo vogliono sui loro passi, lo temono più che identificarlo e amarlo. C’è persino chi urla contro Cristo: “Via!” – è il grido blasfemo alla croce! - Non c’è posto per Iddio, né per la religione: si affannano a cancellare il Suo Nome e la Sua Presenza. Tale è il contenuto di questo laicismo sfrenato che incalza fino alle porte delle nostre chiese e che in tanti Paesi, ancor oggi, infierisce. Noi, che ci diciamo di Cristo, abbiamo questo grandissimo e dolcissimo Nome da ripetere a noi stessi; noi che siamo fedeli; noi che crediamo in Cristo, ma... noi sappiamo bene chi è? Sapremo dirGli una parola diretta ed esatta; chiamarlo veramente per nome: chiamarLo Maestro, Pastore; invocarLo quale Luce dell’anima e ripeterGli: Tu sei il nostro Salvatore? (Palo VI, 14 marzo 1964)
In queste parole di Paolo VI c’è davvero la passione che lui, come tutti i veri discepoli, sentono e vivono. È la passione che spinge tanti a rispondere alla chiamata di Dio di andare là dove Dio non è conosciuto e quindi amato: i nostri missionari. Commuove la loro ‘passione’ di ‘andare’ e portare la conoscenza di Gesù ai confini della terra, a volte con il rischio della propria vita… insieme ai loro fedeli, in tante parti del mondo, anche oggi! Non ci siamo mai chiesto perché, quando i missionari tornano tra di noi, per un momento di riposo, si sentono a disagio nel respirare la nostra ‘aria’? Forse perché è un’aria di benessere, che tante volte ha lambito, se non invaso totalmente, le nostre case e, ...anche i nostri cuori, diventando ‘aria di sufficienza’, ma senza Dio? Ritornano tra di noi e... già desiderano tornare tra ‘i loro cristiani’. Raccontano l’adattamento al clima e ai costumi, le difficoltà della loro gente, anche solo a sopravvivere, ma, soprattutto, la fede dei loro villaggi, la gioia delle comunità, che stravolgono tutte le nostre false sicurezze.

La gioia di ‘entrare nella conoscenza di Dio’ manca invece in molte nostre famiglie, dove, troppe volte, è calato il silenzio su Dio e così si rischia di essere cristiani solo nel nome. Forse la missione dovrebbe proprio cominciare dalle nostre famiglie. Forse, tante volte, anche noi sacerdoti non sappiamo trovare le vie o il modo appassionato di annunziare il Vangelo. Ma dobbiamo tornare tutti al Vangelo, a cominciare da noi, dalle famiglie, a quanti dicono di amare l’uomo. È quello a cui ci esorta il grande evangelizzatore, san Paolo, scrivendo a Timoteo:
  • Carissimo, rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto, sapendo da chi l’hai appreso e che fin dall’infanzia conosci le Sacre Scritture: queste possono istruirti per la salvezza, che si ottiene per mezzo della fede in Cristo Gesù. Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona. Ti scongiuro davanti a Dio e a Gesù Cristo che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, esorta con ogni magnanimità e dottrina. (2 Tim. 3, 14)
Accogliamo il grido di Gesù, nel Vangelo di oggi, Giornata Missionaria Mondiale, che fa davvero riflettere: “Ma il Figlio dell’Uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”, suggerendo anche, nello stesso brano, ‘la medicina da prendere’: “Pregate sempre senza stancarvi”. (Lc. 18, 1-8) E non manchiamo di ‘farci vicini’, tutti, con la nostra generosità, ai missionari, perché possano mostrare l’amore del Padre verso i poveri tra cui vivono, usando delle nostre mani, e... preghiamo con le parole di Madre Teresa di Calcutta:
  • O Signore, fa’ sì che ogni uomo sulla terra conosca la Bibbia.
    Suscita in loro la fame della Tua Parola e lascia che questa sia il nostro pane quotidiano.
    Fa’ che quanti sanno leggere, guardino al Vangelo con i propri occhi,
    mentre quanti non sanno leggere, incontrino altri che leggano per loro.
Riascoltando le parole consolanti di Gesù, con cui lo stesso Papa Francesco conclude il Messaggio: “Coraggio, io ho vinto il mondo”.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 25, 2013 7:48 am

      • Omelia del giorno 27 Ottobre 2013

        XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        I giusti agli occhi di Dio
Dal Vangelo di oggi emerge una caratteristica degli uomini di tutti i tempi e di ogni categoria: il grave difetto di credersi ‘migliori’ e, quindi, ‘giudicare negativamente gli altri’.
  • In quel tempo Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo, l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: ‘O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo’. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: ‘O Dio, abbi pietà di me peccatore’. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta, sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato. (Lc. 18, 9-14)
Ci vuole una bella ‘faccia tosta’ a mettersi ben in vista, ai primi posti nel tempio e tra gli uomini, proclamando la propria giustizia, proprio a Dio, IL GIUSTO, che conosce fino in fondo chi siamo e di quante ombre, oltre che luci, siamo ripieni. Solo davanti agli uomini, che si nutrono tante volte di inganni, pur di affermarsi ed apparire quello che di fatto non sono, possiamo recitare la ‘commedia delle bugie’! Quanta gente abbiamo conosciuto che amava i primi posti nella stima nostra e poi, con tristezza, si è scoperto che erano ben altra cosa. Il Vangelo ci invita ad essere umili. Papa Francesco, in un’omelia alla Casa Santa Marta, proprio riferendosi a questo Vangelo, e stigmatizzando l’ipocrisia ha detto: “L’esempio da guardare è quello indicato dal Vangelo: il pubblicano che con umile semplicità prega dicendo: «Abbi pietà di me, Signore, che sono un peccatore». Questa è la preghiera che dobbiamo fare tutti i giorni, nella consapevolezza che siamo peccatori. Dei peccatori che, però, sanno a chi guardare per trovare una redenzione. Tutti noi abbiamo pure la grazia, la grazia che viene da Gesù Cristo: la grazia della gioia; la grazia della magnanimità, della larghezza”. Così affermava Paolo VI:
  • Un cristiano superbo è una contraddizione nei suoi stessi termini.
    Se vogliamo rinnovare la vita cristiana non possiamo tacere la lezione e la pratica dell’umiltà. Come risolvere innanzitutto il contrasto fra la vocazione alla grandezza e il precetto dell’umiltà? Noi abbiamo ogni giorno sulle labbra il ‘Magnificat’, l’inno sublime della Madonna, la quale proclama davanti a Dio, e a quanti ne ascoltano la dolcissima voce, la sua umiltà di serva, e nello stesso tempo celebra le grandezze operate da Dio in lei e profetizza l’esaltazione che di lei faranno tutte le generazioni... Il confronto con gli altri ci fa spesso pietosi verso noi stessi e orgogliosi verso il prossimo: ricordiamo la parabola del fariseo e del pubblicano, quando il primo dice di se stesso: ‘io non sono come gli altri’, mentre il pubblicano ‘non osava neppure alzare gli occhi al cielo e si batteva il petto. (Omelia, 9 febbraio 1967)
A essere sinceri, infatti, cosa abbiamo di ‘nostro’? La vita? È un dono. La felicità o i carismi? Sempre doni di Dio. La salute e la bellezza del corpo? Doni di Dio! Se da una parte Dio chiede che i Suoi doni vengano bene amministrati, dall’altra la giustizia vuole che si dia gloria a Chi ci ha fatto tali doni: non appropriarsene, che è superbia! Dovremmo, in altre parole, essere capaci di imitare la Madonna che, mentre celebra le grandi opere che Dio ha compiuto in Lei, dall’altra si riconosce ‘serva del Signore’. Ma quanto è facile ‘appropriarsi’ dei doni di Dio, come fossero ‘cosa nostra’! Da qui la superbia, in cui satana è maestro, suggeritore. “Cosa abbiamo noi – mi diceva il mio padre spirituale, un vero uomo di Dio – se non le nostre debolezze, la nostra miseria, il nostro nulla? Tutto è di Dio: di nostro il peccato”. Oggi, dice il Siracide:
  • Il Signore è giudice e non vi è presso lui preferenza di persone. Non è parziale con nessuno contro il povero, anzi ascolta proprio la preghiera dell’oppresso. Non trascura la supplica dell’orfano, né della vedova, quando si sfoga nel lamento. Chi venera Dio sarà accolto con benevolenza e la sua preghiera giungerà fino alle nubi. Finché non sia arrivata non si contenta, non desiste finché l’Altissimo non sia intervenuto, rendendo soddisfazione ai giusti e ristabilendo l’equità. (Sir. 35, 15-22)
Mi torna sempre alla mente la testimonianza del mio Padre spirituale, il grande don Clemente Rebora, famoso poeta del ‘900, che poteva certamente ‘raccontare’ quello che aveva vissuto. Stando insieme nei periodi di vacanza alla Sacra di S. Michele, facendo lunghe camminate con lui, io tentavo di fare sfoggio di ciò che avevo letto, soprattutto sui romanzi russi. Lui ascoltava e taceva. Avevo addirittura l’impressione che non li avesse mai letti. Non sapevo che, tra i tanti suoi ‘titoli’, da tutti riconosciuto, vi era quello di raffinato e grande conoscitore della letteratura russa! Ma aveva deciso, dopo la sua conversione, di ‘oscurare tutto il passato’, come non fosse esistito. L’unica cosa che bramava era ‘guadagnare con una vita ascetica e santa il tempo che aveva perso nel mondo’ – così amava dire. Quando seppi chi veramente era stato, mi vergognai della mia stupida voglia di recitare la parte del fariseo.

Forse tanti dei miei amici, che mi seguono, in questa grazia di farsi come ‘plasmare dalla Parola di Dio’, conoscono o hanno sentito parlare del mio Fondatore, Antonio Rosmini: un vero gigante della filosofia e della teologia, ma più ancora della santità.Nel suo libretto ‘Massime di perfezione’, - da molti conosciuto e che sono le regole della santità - nella quinta massima, intitolata: ‘Riconoscere intimamente il proprio nulla’, così afferma:
  • Il Cristiano deve meditare ed imitare continuamente la profondissima umiltà della Vergine Maria. Nelle divine Scritture la vediamo sempre in quiete, in pace, in continuo riposo interiore. Di sua scelta la troviamo sempre in una vita umile, ritirata e silenziosa, dalla quale non venne tolta se non dalla voce stessa di Dio o dai sentimenti di carità verso la sua parente Elisabetta. A giudizio umano, chi potrebbe credere che della più perfetta delle creature umane ci fosse raccontato così poco nelle divine Scritture? Nessuna opera da Lei intrapresa; una vita che il mondo cieco direbbe di continua inazione, e che Dio dimostrò di essere la più sublime, la più virtuosa, la più generosa di tutte le vite. Per essa, quest’umile e sconosciuta giovinetta fu innalzata dall’Onnipotente alla più alta dignità, a un seggio di gloria più elevato di quello dato a qualunque altro, non solo tra gli uomini, ma anche tra gli angeli. (V Massima n. 7)
Parole che vengono dal cuore di un uomo, Rosmini, che nella vita conobbe, per un tempo, l’amicizia e la stima incondizionata dei Papi e, improvvisamente, per ‘presunti errori teologici’, - ormai sconfessati dalla Congregazione della Dottrina della fede, di cui era Prefetto proprio il nostro emerito e amato Pontefice, Benedetto XVI - fu come esiliato, emarginato, considerato quasi pericoloso per la teologia. Nel silenzio assoluto impostogli, da lui accolto come volontà di Dio e a sua volta imposto alla Congregazione, a chi gli chiedeva come si sentisse, rispondeva: ‘Adorare, tacere, godere’. Aveva la certezza che ‘se il grano caduto in terra non muore, non porta frutto’. Ora la Chiesa ha riconosciuto le sue virtù eroiche, proclamandolo beato. L’umiltà porta sempre frutto.

Madre Teresa di Calcutta, altra grande santa del nostro tempo, amava dire: “Anche se commetti qualche errore, approfittiamo di questo per avvicinarci a Dio”. DiciamoGli con umiltà: ‘Non sono stata capace di essere migliore. Ti offro i miei fallimenti’. È lo stesso invito di Papa Francesco:
  • Gesù è venuto per noi, quando noi riconosciamo che siamo peccatori. Ma se noi siamo come quel fariseo, davanti all’altare: Ti ringrazio Signore, perché non sono come tutti gli altri uomini, … non conosciamo il cuore del Signore, e non avremo mai la gioia di sentire questa misericordia. Non è facile affidarsi alla misericordia di Dio, perché è un abisso incomprensibile. Ma dobbiamo farlo! … Il Signore mai si stanca di perdonare: mai! Siamo noi che ci stanchiamo di chiedergli perdono. E chiediamo la grazia di non stancarci di chiedere perdono, perché Lui mai si stanca di perdonare. Chiediamo questa grazia!


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » lun nov 04, 2013 9:22 am

      • Omelia del giorno 3 Novembre 2013

        XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        C’è sempre un momento in cui Dio incontra l’uomo
Sembra quasi paradossale che Dio si interessi di noi, di ciascuno di noi, personalmente, chiamandoci per nome, come se fossimo unici ad occupare il Suo immenso Cuore. Eppure è la verità. Il Padre ama ciascuno di noi come ‘il prediletto’. Non ci sono proprio limiti alla Grazia, o meglio all’Amore, che Dio ha per ciascuno di noi. Per me. Per te. Noi, a volte, ci soffermiamo quasi a classificare chi può essere raggiunto dalla Grazia e chi no. “Cosa vuole che interessi la mia vita, il mio destino, a Dio? Ma chi sono io?”, Mi sento dire tante volte. Eppure Dio aspetta e cerca solo l’occasione, in cui uno di noi si ricordi di Lui, mostri il desiderio di ‘vederLo’, per subito fare irruzione nella sua vita. Le nostre sono sottili distinzione, frutto di una vera ignoranza di Dio-Amore, e dimenticano una realtà grande, la più bella della nostra esistenza: ‘Dio ha tanto amato il mondo da mandare il Suo Figlio Unigenito, Gesù,’, perché assumesse i nostri poveri panni, diventasse uno di noi...per noi! E Gesù, a sua volta dirà, come è nel Vangelo di oggi:
  • Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”. (Lc. 19, 10) In un altro momento, a chi cercherà di istigarLo a punire i cattivi, Gesù risponderà: “Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva.
E, con amore ‘preferenziale’, Gesù, nella sua vita, e oggi e sempre, va in cerca di chi è perduto, o si sente tale, senza mai distogliere il Suo sguardo da chi ha la gioia e il dono di esserGli già vicino. Forse l’uomo non sa o non vuole sapere quanto è caro agli occhi di Dio. In verità se siamo vivi è solo perché è Lui che ci ha voluti, direi generati, prima di affidarci ai nostri genitori. Mi commuovo sempre pensare a mia mamma, che educava noi figli a questa stupenda verità: siete figli di Dio! Ogni mattina, appena sveglia, nel recitare le preghiere, ci domandava: ‘Chi vi ha creati?’. ‘Dio’. ‘Ma perché Dio ci ha creati?’. ‘Per conoscerLo, amarLo, servirLo e poi essere felici con Lui per sempre in Paradiso’. Quanta sapienza, che oggi sembra essere stata persa.

La nostra creazione, oserei dire, è una paternità-maternità impossibile da cancellare dal Cuore di Dio. L’uomo, la donna, che a volte si fanno beffe di Dio, o l’uomo che nella sua superbia si crede dio, l’uomo o la donna che si diverte a volte a deturpare il volto del Padre sul suo stesso volto, non sa o non vuole credere che, lo voglia o no, è nel Cuore del Padre, che non distoglie mai il Suo sguardo da lui, da lei. Anzi, Dio cerca il momento giusto per incontrarlo finalmente a tu per tu, fino alla conversione. Dovremmo leggere, tante volte, l’incontro di Gesù con Zaccheo: la corsa di questo pubblicano, ricco, esattore delle tasse, considerato da tutti uno sfruttatore, un carrierista, un usuraio, un peccatore, che vuole ‘vedere Gesù’. Il resto è tutto da meditare, contemplare, perché ciascuno di noi potrebbe avere molto in comune con Zaccheo, ci manca forse solo il desiderio di ‘vedere Gesù’.
  • In quel tempo, Gesù, entrato in Gèrico, attraversava la città. Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco, cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura. Allora corse davanti e per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là. Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: ‘Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua’. In fretta scese e lo accolse pieno di gioia. Vedendo ciò tutti mormoravano: ‘E’ andato ad alloggiare da un peccatore!’. Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: ‘Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto’. Gesù gli rispose: ‘Oggi la salvezza è entrata in questa casa, poiché anch’egli è figlio di Abramo: il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto’. (Lc. 19, 1-10)
Ogni volta ho avuto la grazia di recarmi nella terra di Gesù, arrivando a Gerico, cercavo l’unico sicomoro ancora esistente. E sostavo tanto, per far rivivere questo stupendo brano di Vangelo, cercando di mettermi nei panni di Zaccheo, per sentirmi chiamare per nome da Gesù. Zaccheo aveva un solo desiderio: ‘vedere chi fosse Gesù’ e, per vederlo, ‘sale su un albero’. La pura curiosità può aver spinto Zaccheo in questa corsa; non prevedeva certamente la totale conversione che lo attendeva e, tantomeno, che sarebbe stato riconosciuto da ‘quel Gesù’. Ma Gesù sapeva che era giunto il momento. Egli coglie l’attimo ‘giusto’ dell’incontro, per farlo entrare nel mondo dei suoi discepoli. E Zaccheo non si fa pregare nel seguirLo, anzi, immediatamente si spoglia di tutto, sapendo che Gesù, a chi Lo segue, chiede di ‘lasciare tutto’, per possedere solo Lui come ricchezza.
Quella di Zaccheo è davvero un’esperienza che ci aiuta a imitarlo, correndo per vedere ‘chi sia veramente Gesù’. Fa impressione a volte vedere masse che cercano chissà cosa, e si dirigono ad un appuntamento con cantanti o personaggi dello sport o dello spettacolo e, alla fine, dopo aver sentito e visto, cosa resta ‘dentro’ di vero e duraturo? Vale la pena di correre tanto, per ‘vedere...uno’? Cosa può rimanere? Fatica? Un ricordo? Un’emozione? Forse tanto vuoto d’anima? Si cerca la felicità, ma era lì? Ma abbiamo anche assistito tante volte nel mondo alla ‘corsa di popoli, desiderosi di vedere il Papa – pensiamo alle folle oceaniche incontrate da Papa Giovanni Paolo II o da Papa Francesco – perché in loro ritrovavano e ritrovano il volto stesso di Gesù. Bisognerebbe avere il cuore aperto dell’ineffabile Zaccheo, che, sapendo che dalle sue parti passava Gesù’, lasciò tutto e corse, convinto di volerLo vedere, senza sapere che, prima di lui, era Gesù che lo voleva incontrare! Ed è certo che per tutti noi è così: basterebbe avere voglia di incontrare Gesù, che da sempre ci cerca....Cerchiamo Colui che ci cerca! Come ha scritto Papa Francesco, da cardinale, nella prefazione di un libro:
  • Alcuni credono che la fede e la salvezza vengano col nostro sforzo di guardare, di cercare il Signore. Invece è il contrario: tu sei salvo quando il Signore ti cerca, quando Lui ti guarda e tu ti lasci guardare e cercare. Il Signore ti cerca per primo. E quando tu Lo trovi, capisci che Lui stava là guardandoti, ti aspettava Lui, per primo. Ecco la salvezza: Lui ti ama prima. E tu ti lasci amare. La salvezza è proprio questo incontro dove Lui opera per primo. Se non si dà questo incontro, non siamo salvi. Possiamo fare discorsi sulla salvezza. Inventare sistemi teologici rassicuranti, che trasformano Dio in un notaio e il suo amore gratuito in un atto dovuto a cui Lui sarebbe costretto dalla sua natura. Ma non entriamo mai nel popolo di Dio. Invece, quando guardi il Signore e ti accorgi con gratitudine che Lo guardi perché Lui ti sta guardando, vanno via tutti i pregiudizi intellettuali, quell’elitismo dello spirito che è proprio di intellettuali senza talento ed è eticismo senza bontà.
Dice il libro della Sapienza oggi:
  • Signore, tutto il mondo, davanti a te, è come polvere sulla bilancia. Come una stilla di rugiada mattutina caduta sulla terra. Hai compassione di tutti, perché tutto tu puoi, non guardi ai peccati degli uomini, in vista del pentimento. Perché tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato. Se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata. (Sap. 11, 22)
Il desiderio di cercare e farsi trovare da Dio, viene espresso in modo struggente da questa preghiera, composta dallo scrittore russo Aleksanderr Zino’ev, ateo:
  • Ti supplico, mio Dio, cerca di esistere,
    almeno per un poco per me, apri i tuoi occhi, ti supplico.
    Non avrai da fare nient’altro che questo,
    seguire ciò che succede: ed è ben poca cosa, Signore.
    Sforzati di vedere, te ne prego.
    Vivere senza testimoni, quale inferno!
    Per questo, forzando la mia voce,
    io grido, io urlo: ‘Padre mio, ti supplico e piango: esisti!’.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven nov 08, 2013 3:15 pm

      • Omelia del giorno 10 Novembre 2013

        XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        La grande speranza: risorgeremo
Il vero significato della vita, dono di Dio, è che noi cristiani siamo – o dovremmo essere - testimoni di Gesù Risorto, Speranza del mondo, ossia dovremmo vivere con lo sguardo rivolto oltre questa vita terrena, ‘ancorati oltre’ come ha affermato Papa Francesco, indicando, con le nostre scelte, i nostri comportamenti, le nostre parole ed azioni, ciò che davvero siamo e saremo: dei risorti. E su questa stupenda verità ha senso l’ottimismo che ci accompagna, quando siamo credenti sul serio. Come ha scritto Papa Francesco in un twitter: «Un cristiano sa affrontare le difficoltà, le prove – anche le sconfitte – con serenità e speranza nel Signore». Ci edifica e ci fa riflettere il racconto dei Maccabei, che la Chiesa ci offre oggi:
  • In quei giorni, ci fu il caso dei sette fratelli, che, presi insieme alla loro madre, furono costretti dal re a forza di flagelli e nerbate a cibarsi di carni suine proibite. Il primo di essi, facendosi interprete di tutti, disse al re: ‘Che cosa cerchi di indagare o sapere da noi? Siamo pronti a morire piuttosto che trasgredire le patrie leggi’. E il secondo, giunto all’ultimo respiro, disse: ‘Tu, o scellerato, ci elimini dalla vita presente, ma il re del mondo, dopo che saremo morti per le sue leggi, ci risusciterà a vita nuova ed eterna’. Dopo torturarono il terzo, che alla loro richiesta mise fuori prontamente la lingua e stese con coraggio le mani e disse dignitosamente: ‘Da Dio ho queste membra e, per le sue leggi le disprezzo, ma da Lui spero di riaverle di nuovo’. Così il re e i suoi dignitari rimasero colpiti dalla fierezza del giovinetto, che non teneva in nessun conto le torture. Fatto morire anche questo, si misero a straziare il quarto con gli stessi tormenti. Ridotto in fin di vita, egli diceva: ‘ É bello morire a causa degli uomini, per attendere da Dio l’adempimento delle speranze di essere da Lui di nuovo risuscitati, ma per te, o re, la resurrezione non sarà per la vita’. (II Maccabei 7, 1-14)
Non si può rimanere indifferenti davanti a questo racconto di vite vissute come dono di Dio e a Lui ridonate per la vita eterna con Lui. Di fronte a tanta fede e coraggio, riesce persino incredibile prendere atto di come troppi, oggi, vivano senza riflettere e quindi senza riuscire a dare alla vita il suo vero valore di eternità con Dio. Ricorro sempre al ricordo del grande Paolo VI, quando arcivescovo a Milano, nella Pasqua del 1964, così dipingeva il preoccupante disinteresse di troppi, incapaci di ‘guardare oltre i piccoli confini della vita sulla terra’.
  • Pensare senza impegno, vivere senza dovere, godere di ogni sensazione, questa è la nostra tentazione moderna, che ci incanta e ci deprime, ci attrae e ci delude. Manchiamo di fondamentali ideali, anzi si fa professione di non averne e di non volerne alcuno. Abbiamo confuso la libertà con l’indeterminatezza. I cristiani stessi sono spesso lusingati da questa libertà di pensare e di agire, che non ha fondamenti veramente razionali, né tanto meno fondamenti di vita cristiana. Si preferisce talvolta fondare le proprie speranze sulle sabbie mobili dello scetticismo, piuttosto che fondare la costruzione della vita individuale e sociale sulla roccia della Parola di Cristo. Interessi temporali, paure di ogni genere, segrete ambizioni di pensiero e suscettibilità personali e sociali, ci distraggono spesso dalla coerenza e dalla fedeltà all’impegno cristiano che dovrebbe essere il cardine della nostra vita. Il vento del rispetto umano, le ondate dell’opinione pubblica e le suggestioni della moda culturale e pratica fanno di noi canne sbattute, di cui parla il Vangelo.
È grande, credetemi, il pericolo di impostare la propria vita su tanti interessi, che ci assorbono totalmente fino a fare scomparire il vero bene, che è la bellezza donataci da Dio: una bellezza che, se vogliamo, si costruisce ‘qui’, giorno per giorno, tra fatica e fede, speranze e sofferenze, gioie e carità... in attesa della ‘Sua venuta’. Essere ‘pellegrini’ su questa terra, non facendoci ingannare dal falso, che è il mondo, chiede tanta, ma tanta, lucidità di fede, sostenuti da una speranza che sa andare oltre i confini della esperienza e, il tutto, animato da un grande amore verso Dio e i fratelli, con lo sguardo del cuore sempre rivolto all’Incontro definitivo con Lui.

Gesù oggi, rispondendo ad una domanda postagli dai sadducei, ‘i quali dicono che non c’è resurrezione’, apre uno squarcio su ciò che ci attende dopo la morte. Racconta l’evangelista Luca:
  • Gesù rispose loro: ‘I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito; ma quelli che sono giudicati degni della vita futura e della resurrezione dai morti, non prendono né moglie, né marito: infatti non possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, poiché sono figli della resurrezione, sono figli di Dio. Che poi i morti risorgano, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando dice: ‘Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe’. Dio non è dei morti, ma dei viventi; perché tutti vivono per Lui’. (Lc. 20. 27-38)
E sono tanti, oggi, quelli che vivono totalmente impostando la propria esistenza sul ‘dopo’, che resta il solo bene possibile da conquistare. Basta pensare ai tantissimi consacrati, religiosi e religiose, ‘scelti e chiamati da Dio’, a fare della vita un continuo dialogo con Lui, considerato il solo Bene per cui vivere e da conquistare. E non solo, ma tanti laici, che non fanno notizia e vivono la vita come un cammino verso il Cielo, difendendosi dalla tentazione, sempre presente, di credere di poter costruire un inesistente paradiso ‘qui’, dove invece tutto, un giorno, sarà inesorabilmente finito, restando a mani nude ‘dopo’.

Ho sempre presente la grande ‘eredità’ di mamma, che andò in Cielo a 99 anni. Alcuni anni prima di morire, volle spogliarsi di tutto, donando tutto quello che aveva: a me diede l’anello sponsale, perché fosse il mio anello episcopale, segno di fedeltà a Dio per sempre. ‘Quando Dio mi chiamerà, non avrò nulla da rimpiangere nel lasciare la terra. Sono nuda di tutto, mi resta solo il Paradiso e così mi presenterò al Padre’. Come lei, quanti, che il mondo forse ignora o disprezza, vivono con gli occhi fissi alla resurrezione! È la saggezza di vita, dono dello Spirito: è la santità che ‘non è un privilegio di pochi, ma è una vocazione per tutti’, come ci ha ricordato Papa Francesco. «Tutti siamo chiamati a camminare sulla via della santità, e questa via ha un nome, un volto: Gesù Cristo. Lui nel Vangelo ci mostra la strada: quella delle Beatitudini (cfr Mt. 5,1-12)». Il Regno dei cieli, «infatti, è per quanti non pongono la loro sicurezza nelle cose, ma nell’amore di Dio; per quanti hanno un cuore semplice, umile, non presumono di essere giusti e non giudicano gli altri, quanti sanno soffrire con chi soffre e gioire con chi gioisce, non sono violenti ma misericordiosi e cercano di essere artefici di riconciliazione e di pace. E così è bella la santità; è una bella strada!». E in un’omelia a Santa Marta Papa Francesco si è soffermato su cosa significhi, quindi, essere cristiani.
  • Siamo stati ri-fatti in Cristo! Quello che ha fatto Cristo in noi è una ri-creazione: il sangue di Cristo ci ha ri-creato. Dopo questa ri-creazione dobbiamo fare lo sforzo di camminare sulla strada della giustizia, della santificazione. Utilizzate questa parola: la santità. Tutti noi siamo stati battezzati: in quel momento, i nostri genitori - noi eravamo bambini - a nome nostro, hanno fatto l’Atto di fede: ‘Credo in Gesù Cristo, che ci ha perdonato i peccati’. Credo in Gesù Cristo! … Vivere da cristiano è portare avanti questa fede in Cristo, questa ri-creazione. E con la fede, portare avanti le opere che nascono da questa fede, opere per la santificazione … ma dobbiamo prenderla sul serio!... Per prenderla sul serio, bisogna fare le opere di giustizia, opere semplici: adorare Dio: Dio è il primo sempre! E poi fare ciò che Gesù ci consiglia: aiutare gli altri. Queste sono le opere che Gesù ha fatto nella sua vita: opere di giustizia, opere di ri-creazione. Quando noi diamo da mangiare a un affamato ri-creiamo in lui la speranza. E così con gli altri. Se invece accettiamo la fede e poi non la viviamo – ha avvertito - siamo cristiani soltanto a memoria … Cristiani tiepidi. Un po’ come dicevano le nostre mamme: ‘cristiano all’acqua di rosa!’. Un po’ così … Un po’ di vernice di cristiano, un po’ di vernice di catechesi … Ma dentro non c’è una vera conversione, non c’è la convinzione di Paolo: ‘Tutto ho lasciato perdere e considero spazzatura, per guadagnare Cristo e essere trovato in Lui’. Questa era la passione di Paolo e questa è la passione di un cristiano!... Si può fare. Lo ha fatto San Paolo, ma anche tanti cristiani: non solo i santi, quelli che conosciamo; anche i santi anonimi, quelli che vivono il cristianesimo sul serio.
Facciamo nostra la preghiera del card. J. H. Newman:
  • Conducimi per mano, Luce di tenerezza, fra il buio che mi accerchia, conducimi per mano.
    Cupa è la notte e io sono ancora lontano da Casa, conducimi per mano.
    Guida il mio cammino: non pretendo di vedere orizzonti lontani, un passo mi basta.
    Un tempo era diverso: non ti invocavo, perché tu mi conducessi per mano.
    Amavo scegliere e vedere la mia strada, ma adesso conducimi per mano.
    Amavo il giorno abbagliante, disprezzavo la paura, l’orgoglio dominava il mio cuore: dimentica quegli anni.
    Ma sempre fu sopra di me la Tua potente benedizione, sono certo che essa mi condurrà per mano
    per lande e paludi, per balze e torrenti, finché svanisca la notte e mi sorridano all’alba volti di angeli amati e per un poco smarriti.
    Ma Tu conducimi per mano.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven nov 15, 2013 3:34 pm

      • Omelia del giorno 17 Novembre 2013

        XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)



        Non lasciamoci ingannare
Quante volte, assistendo ai disordini che l’uomo sembra moltiplicare, giorno per giorno, e di fronte a catastrofi, sentiamo dire: ‘Ma è la fine del mondo!’. Come ad affermare che stiamo arrivando al capolinea della storia ed in modo disastroso. Questa è l’ultima domenica dell’anno liturgico, che scandisce la nostra storia, facendoci prendere per mano dalla vita di Gesù che, con amore, si fa battistrada per essere degni della Gloria celeste. Insieme abbiamo vissuto il tempo dell’Attesa di Dio, che viene tra di noi, nell’Avvento; abbiamo gioito della Venuta di Gesù tra noi, ieri, oggi e sempre, nel Natale; abbiamo contemplato la Sua opera di redenzione nella Quaresima, che invitava alla conversione, per entrare nella Gioia della Sua Resurrezione, dopo la Sua Passione e Morte; e, sostenuti dalle ‘lingue di fuoco’ della Pentecoste, che ci donava lo Spirito Santo, abbiamo cercato di stare alla scuola del Maestro, fino al compimento della Misericordia. E così la Chiesa, oggi, proprio come a farci entrare nel compimento della Storia della Salvezza, ci fa meditare sulla fine di tutto, per dare inizio al Tutto, che è la Vita celeste. Gesù, nel Vangelo, coglie l’occasione per il suo insegnamento, interrompendo l’estasi di chi si era soffermato nell’ammirazione delle bellezze esteriori, compiute dall’uomo, con parole che devono farci meditare. Ascoltiamo l’evangelista Luca:
  • In quel tempo, mentre alcuni parlavano del tempio, che era ornato di belle pietre e di doni votivi, Gesù disse: ‘Verranno giorni nei quali, di quello che vedete, non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta’. Gli domandarono: ‘Maestro quando dunque accadranno queste cose e quale sarà il segno, quando esse staranno per accadere?’. Rispose: ‘Badate di non lasciarvi ingannare’. Molti infatti verranno nel mio nome dicendo: ‘Sono io’, e ‘Il tempo è vicino’. Non andate dietro a loro. Quando sentirete di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate, perché prima devono avvenire queste cose, ma non è subito la fine. Poi diceva loro: “... prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e governanti, a causa del mio nome. Avrete allora occasione di dare testimonianza…. Io vi darò parola e sapienza, cosicché tutti i vostri avversari non potranno resistere né controbattere. Sarete perfino traditi dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e uccideranno alcuni di voi: sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto. Con la vostra perseveranza salverete la vostra vita. (Lc. 21,5-19)
Con giustissima insistenza si fanno previsioni e progetti per un futuro che eviti catastrofi. E ci si accorge – e questa può essere saggezza – che il futuro non può essere mai la ripetizione di quanto si è cercato in tutti i modi, anche errati, di ottenere. In tutto. Anche nella nostra vita interiore. E non riusciamo, a volte, a mettere in discussione che, quello che chiamiamo ‘progresso’, può risultare un camminare ‘fuori strada’. Quando tentiamo di aggredire una montagna difficile, è saggezza accorgersi se siamo fuori sentiero e, quindi, con tempo e fatica, tornare alla ricerca di quello giusto. Il Vangelo di oggi ci invita, quindi, a tornare indietro, se necessario, a fermarci un momento, per capire, alla luce del Vangelo, se il nostro vivere è nella giusta Via, Verità e Vita. Come sanno fare i santi.

Mi è caro, insieme a voi, rifarmi alla vita del beato Rosmini, fondatore della Congregazione, definita ‘Istituto della carità’ (Rosminiani, a cui ho la gioia di appartenere), la cui vita pare un riflesso del Vangelo di oggi. Rosmini nasce a Rovereto (Trento) da una famiglia nobile e molto facoltosa. A 18 anni, contro il parere dei genitori, che in lui avevano riposto disegni di carriera nobile e prestigiosa, segue la vocazione del sacerdozio. E’ ordinato nel 1821, ma sente interiormente che la volontà di Dio vuole per lui ‘altro’, e così per alcuni anni vive nella casa paterna di Rovereto, come in attesa che Dio manifesti la sua volontà. Attende che sia Dio a chiamarlo. Non vuole essere lui a scegliere. È quel principio di totale abbandono a Dio, che poi chiamerà – e darà come ‘segno’ caratteristico ai suoi discepoli nell’Istituto – ‘principio di passività’, ossia ‘essere sempre e tutto a disposizione di Dio’. Nel 1828, lascia Rovereto: un taglio netto con la ricchezza e il benessere che avrebbe potuto continuare a godere nella bellezza del suo palazzo, ancora oggi luogo di arte e ammirazione, e si nasconde su un piccolo colle, che sovrasta la città di Domodossola, il Sacro Monte Calvario. In un complesso abbandonato e isolato, sceglie come abitazione una ‘cella’, tanto simile a quella di san Francesco. È ancora oggi mèta di pellegrinaggi, ma, soprattutto per noi Rosminiani, è il ‘segno’ della povertà, che è la via di Cristo e dei Santi. Una piccola stanza con il solo letto, una catinella per lavarsi ed una scrivania. Il resto solo povertà. Lui che era ricco! E lì fonda l’Istituto della Carità.

Scrive libri, continua il suo personale cammino di perfezione, i cui princìpi lascia in un libricino per tutti: Le Massime di perfezione cristiana. Cosciente dell’importanza di lavorare per la Chiesa e con la Chiesa, decide di incontrarsi con il Santo Padre, per sottoporgli le sue idee. Pio VII, già nel 1823, lo aveva incoraggiato a studiare filosofia, ora Pio VIII ribadisce: “E’ volontà di Dio che essa si occupi nello scrivere libri: tale è la sua vocazione. La Chiesa al presente ha gran bisogno di scrittori, dico di scrittori solidi, di cui abbiamo somma scarsezza. Per influire utilmente sugli uomini, non rimane oggidì altro mezzo che quello di prenderli per la ragione e per mezzo di questa condurli alla religione. (Sembra il pensiero del nostro Papa, Benedetto XVI) Si tenga certo che ella potrà recare un vantaggio assai maggiore al prossimo occupandosi nello scrivere che non esercitando qualunque opera del sacro ministero”. E come rispondendo a questo invito, Rosmini scrive il famoso ‘Delle cinque piaghe della Chiesa’ e ‘Le Massime di perfezione’, forse i due testi più conosciuti. Ma la sua immensa capacità di fede e pensiero gli consente di affrontare problematiche tuttora attuali: ‘Principi di scienza morale’, ‘Antologia in servizio della scienza morale’, ‘Il rinnovamento della filosofia in Italia’... Ma c’erano gli avversari, desiderosi di trovare una qualche occasione per umiliarlo. Intanto Pio IX, salito al soglio pontificio, lo vorrebbe ordinare cardinale, anzi Segretario di Stato.

Ma gli eventi politici precipitano: è il 1848. Pio IX è costretto a fuggire da Roma e rifugiarsi a Gaeta, dove richiede l’intervento di Rosmini. È l’inizio dell’esilio, della umiliazione e, io dico, della sua santità. Incomprensioni e pressioni fanno sì che Pio IX decida di mettere all’Indice ‘Delle Cinque piaghe della Chiesa’ e ‘La Costituzione civile secondo la giustizia sociale’. Si è passati dall’offerta del cardinalato alla condanna! E pensare che Manzoni, amico di Rosmini, ebbe a dire di lui: ‘Delle cinque o sei più grandi intelligenze che l’umanità abbia prodotto a distanza è Rosmini’. Possiamo immaginare la veemenza con cui gli avversari attaccarono Rosmini, il sacerdote amato e lodato dai Papi. Fu tanta la bagarre contro di lui, che il S. Padre impose ‘il silenzio’, che era come una pietra sulla tomba. Come risponde Rosmini? Prega per le ‘incredibili vicende per le quali mi conduce la Provvidenza, a cui non fallisce giammai l’immutabile consiglio. Io, meditandola, la annunzio; ammirandola, l’amo; amandola, la celebro; celebrandola, la ringrazio; ringraziandola, m’empio di letizia’ (lettera all’amico don Parma).

Vive gli ultimi anni a Stresa, nel silenzio, circondato da dubbi, come emarginato dalla sana dottrina. Continua a scrivere, dandosi una regola precisa: ‘Adorare, tacere, godere’. Il ‘cuore’, che dette alla Congregazione, è la carità. Una carità che coinvolge tutto l’uomo, in tre aspetti che vanno in lui armonicamente amati, curati e rispettati. La carità temporale è la cura della vita corporea, riconoscendo e promuovendo tutto ciò che è dono di Dio: la salute, il cibo, il lavoro, la casa e ogni realtà necessaria ad una vita dignitosa. Un gradino più su, ma sempre ‘l’uomo da amare’, la carità intellettuale, secondo le parole di Gesù: ‘Non di solo pane vive l’uomo’. Occorre non fermarsi ai soli bisogni del corpo, ma ridare all’uomo la coscienza della propria dignità, la capacità di esprimersi e scegliere, non per affermare se stesso, ma come libertà nel dire ‘sì’ a Dio e al prossimo. È la carità della cultura, dell’intelligenza che fa scoprire le immense ‘ricchezze che Dio ha dato ad ogni uomo’. È un ‘cogito ergo sum’, che si apre al Trascendente. Ed è la carità che oggi più manca.

In un incontro, anni fa, con Giovanni Paolo II, alla sua domanda di cosa necessitassero gli italiani, risposi: ‘Ci vorrebbero tante Madre Teresa della cultura. L’uomo non pensa più e questo lo rende una merce senza senso’. Ricordo che dette un pugno sulla scrivania e disse: ‘Questa è l’intuizione, che cercavo’. Ed oggi, più che mai, è l’urgenza della Chiesa, di fronte all’attacco indiscriminato del materialismo. Ed infine la carità spirituale: aiutare l’uomo nel cammino della santità, che è poi la carità più grande, quella di Cristo stesso verso di noi. Rosmini amava affermare che mentre la carità temporale può essere un’attività limitata al corpo, come gli ospedali; la stessa carità intellettuale può essere esplicata negli istituti di educazione o scuole; quella spirituale è propria dei pastori, in particolare, e dei cristiani coscienti della loro missione. E aggiungeva che di queste tre forme di carità, chi le svolge tutte e tre, sono ‘i pastori di anime’.

Amare un uomo integralmente, fare un uomo, è mettere in atto la parabola del buon Samaritano: non dategli appena un pezzo di pane, dategli il pane della cultura, dategli il Pane della Vita. Aiutatelo a rizzarsi in piedi: è la carità integrale... che non ama mai un uomo a metà! Oggi la nostra Italia ne ha più che mai bisogno, per questo Rosmini si impone alla nostra attenzione e devozione. È stato ed è davvero un gigante della carità intellettuale e spirituale del nostro tempo. Dio, i Suoi Santi, li dà a tempo opportuno, e Rosmini è davvero un dono necessario per questa nostra umanità a dir poco confusa. Così amava dialogare con Dio:
  • O quanto è dolce il conversar con Dio, parlar di Dio, soddisfare Dio.
    Ricordarsi, volere e intendere Dio. Conoscere Dio, innamorarsi in Dio!
    Lo stare e il ritornare con Dio; il cercare e il trovare in Dio, Dio.
    Donando tutto se medesimo a Dio lasciare per Dio il gusto anche di Dio.
    Il pensare, il parlare, l’operare per Dio.
    Solo sperare col dilettarsi in Dio.
    Il dilettarsi e il consacrarsi a Dio e a Dio solo piacer, patir per Dio,
    solo godere in Dio.
    Solo voler Dio e stare sempre con Dio: gioire nei gusti e nelle pene in Dio.
    Veder Dio, toccar Dio, gustare Dio: vivere, morire e stare con Dio.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2012/2013

Messaggio da miriam bolfissimo » ven nov 22, 2013 3:56 pm

      • Omelia del giorno 24 Novembre 2013

        Solennità di Cristo Re (Anno C)



        Cristo Re
Dio guarda alla nostra vita come ‘un cammino verso di Lui’. Tutti conosciamo le difficoltà che si incontrano in questo cammino e, per di più, in un mondo che sempre ripete la storia di Adamo ed Eva, tentato dal più astuto degli esseri. Facile non capire il perché viviamo, e allora si dà alla vita un non-senso, come un pittore che, non avendo bene appreso l’arte del dipingere, si diverte a scarabocchiare o imbrattare una tela, alla fine rendendola roba da buttare. Facile affermare quanto una giovane un giorno mi disse, con la disperazione negli occhi, specchio del buio della sua anima: ‘Io non ho chiesto di nascere e voi preti lo chiamate dono. Un dono che non capisco e rifiuto, perché mi fa solo impazzire, al punto che lo vorrei buttare, ma non ne ho il coraggio. È un peso troppo grande e non ho la forza di portarlo. Ma perché la vita deve essere un peso e non una gioia?’. Ma è proprio così?

Sappiamo tutti, o dovremmo saperlo, che la vita non è un peso. È una difficile lotta, sì, ma meravigliosa per arrivare alla pienezza della felicità, come è nella volontà di Chi ci ha fatto questo dono: il Padre. Dio sa molto bene come, da soli, vivere sia camminare in un pericoloso buio, quando invece si ha bisogno di una intensa luce. Doveva essere questo il nostro destino, un meraviglioso stare nella Luce e nella Pace, se non ci fosse stato, da parte dell’uomo, con il peccato originale, il rifiuto di Dio. Un rifiuto che oggi spesso continua... creando i danni che tutti conosciamo. Ma la bontà del Padre non poteva, né può, lasciarci nella insostenibile solitudine. E ci ha donato Suo Figlio, Gesù, che venne tra noi, come uno di noi, e da allora si è fatto così vicino a noi, da essere ‘l’immensa Luce’ di cui abbiamo bisogno.

Per entrare nella Sua Luce, la Chiesa ci propone l’anno liturgico, ossia interpreta il tempo, ritmandolo sulla vita di Gesù, tra di noi. Inizia con l’attesa di Dio, chiamato tempo di Avvento; quindi la nascita del Figlio, cioè il Natale; il tempo della crescita, nel silenzio di Nazareth, sotto la guida di Maria e Giuseppe; la Sua missione tra di noi per tre anni; il compimento del Suo amore nella crocifissione, resurrezione e ascensione, per far posto allo Spirito Santo nella Pentecoste. Infine la Chiesa chiude l’anno con una solennità, il trionfo di Dio, che è la regalità di Gesù Cristo, Re dell’universo. E che Gesù sia realmente e sempre ‘il Sovrano di tutto e di tutti’, lo descrive bene san Paolo nella Lettera ai Colossesi:
  • Fratelli, ringraziate con gioia il Padre che vi ha resi capaci di partecipare alla sorte dei santi nella luce. È lui che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasferiti nel regno del Figlio del suo amore, per mezzo del quale abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati. Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il Capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli. (Col. 1, 12-19)
È davvero incredibile come Dio, il Padre, ci abbia amato e ci ami tanto, al punto da considerarci tutti, senza eccezioni, ‘suoi tesori’, come tante volte ci chiamavano le nostre mamme. Difficile anche solo immaginare quanto ci voglia bene e quanto davvero ci sia vicino, ci sostenga e ci desideri un giorno partecipi del Suo ineffabile Regno. I Santi, da quelli più grandi a quelli feriali, non solo capirono questo ‘stare nel Cuore di Dio’, ma ne facevano il senso meraviglioso dell’esistenza, fino a dire come san Paolo: ‘per me vivere è Cristo’. Purtroppo noi, spesso, siamo come ‘malati di miopia spirituale’, quella generata dalla superbia o dal vuoto di fede: una miopia che fa della vita un vivere senza paternità, come orfani che non sanno chi li ha generati e a chi interessi la loro vita.

Ci riempiamo gli occhi di illusorio stupore, verso realtà che ‘brillano’ di luce falsa: la ricchezza, la bellezza esteriore, il piacere, la posizione sociale, il potere, che nulla hanno a che fare con l’amore e la gioia. L’amore nasce nell’umiltà, che è la via per manifestarsi, per fare posto a chi si ama, e si dona con fedeltà. Possiamo dunque capire perché l’evangelista Luca esalta ‘la regalità di Cristo’, in un momento drammatico, in cui Gesù appare nella peggiore condizione, in cui un uomo possa essere ridotto... ma che diventa trionfo ineguagliabile, quando questo ‘nulla’ è stato accettato come supremo atto di amore.
  • In quel tempo, (dopo che ebbero crocifisso Gesù) il popolo stava a vedere; i capi invece deridevano Gesù, dicendo: ‘Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto’. Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto e dicevano: ‘Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso’. Sopra di lui c’era anche una scritta: ‘Costui è il re dei Giudei’. (Lc. 23, 35-43)
Trovavano assurdo che uno, che affermava di essere re, ‘ma non di questo mondo’, finisse nel modo più disonorante sulla croce senza alcuna resistenza. Dov’era la sua forza? La sua potenza?, forse, si chiedevano. Davvero la regalità di Gesù ha nulla da condividere con il concetto di regalità che abbiamo noi uomini. Noi siamo abituati a chiamare ‘grandi’ quanti nella politica, nell’economia, nella vita sociale, sanno imporsi con ‘visibilità’, che spesso sa di voglia di affermarsi, di stupire. Basta assistere alle folle che ‘corrono per vedere, sentire’ qualche divo o personaggio... Ma spesso questa ‘potenza’ umana è tutto fuorché amore. Un potente è difficile anche solo da accostare! Mentre a portata di mano, pronta ad ascoltarci, a mettersi nei nostri panni, a rivestirsi delle nostre tristezze, a ridarci speranza, è la persona ‘umile’, che per la sua bontà invita ad aprire il cuore.

Un grande cristiano disse: ‘La superbia e il potere, tante volte, usano i poveri per farsi strada. Solo l’amore, facendosi povero, fa strada ai poveri’. Ed è quello che ha fatto Gesù, ‘il Re dei re’: l’umiltà che si annulla in croce, per darci ‘Tutto’. Viene allora da chiedersi: ‘Come mai Gesù non è il Re della nostra vita? Sulla croce Lui stesso ha dato la risposta: ‘Non sanno quello che fanno’. Eppure la sete dell’uomo, oggi, lo pone in ricerca di qualcuno che davvero lo comprenda e lo ami, pronto ad accoglierlo, sempre, senza limiti. Quell’inconfessato scontento di tanti, che cercano chi possa capirli o chi seguire, come unico amore, la dice lunga sul bisogno di incontrare Cristo, nostro Re. Anche Papa Francesco, proprio riguardo la regalità di Cristo, ha affermato:
  • Davanti a Pilato Gesù dice: Io sono Re; ma la sua è la potenza di Dio, che affronta il male del mondo, il peccato che sfigura il volto dell’uomo. Gesù prende su di sé il male, la sporcizia, il peccato del mondo, anche il nostro peccato, e lo lava, lo lava con il suo sangue, con la misericordia, con l’amore di Dio. E’ con la croce che ha vinto il male. Questo è Gesù. Questo è il suo cuore che guarda tutti noi, che guarda le nostre malattie, i nostri peccati. E’ grande l’amore di Gesù. Gesù è Dio, ma si è abbassato a camminare con noi. E’ il nostro amico, il nostro fratello. Qui ci illumina nel cammino … Guardiamoci intorno: quante ferite il male infligge all’umanità! Guerre, violenze, conflitti economici che colpiscono chi è più debole, sete di denaro, di potere, corruzione, divisioni, crimini contro la vita umana e contro il creato! E i nostri peccati personali: le mancanze di amore e di rispetto verso Dio, verso il prossimo e verso l’intera creazione. Gesù sulla croce sente tutto il peso del male e con la forza dell’amore di Dio lo vince, lo sconfigge nella sua risurrezione … Cari amici, noi tutti possiamo vincere il male che c’è in noi e nel mondo: con Cristo, con il Bene! … Con Cristo possiamo trasformare noi stessi e il mondo. Dobbiamo portare la vittoria della Croce di Cristo a tutti e dappertutto; portare questo amore grande di Dio. E questo chiede a tutti noi di non avere paura di uscire da noi stessi, di andare verso gli altri.
Viene allora da dire un grande Grazie a Gesù, nostro solo Re, Colui che ha tanta cura della nostra vita, quella vera, e vuole amore, per donare pace e gioia a noi e, attraverso di noi, a tutti.



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