Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Omelie di Monsignor Antonio Riboldi e altri commenti alla Parola, a cura di miriam bolfissimo
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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » gio giu 14, 2012 9:34 am

      • Omelia del giorno 17 Giugno 2012

        XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Da un piccolo seme un grande albero
È sempre per me un grande dono di Dio farmi vicino a tanti fratelli nella fede e con loro entrare nella bellezza divina della Sua Parola che è la vera via da percorrere, per dare senso alla nostra esistenza. Si nota un vuoto di senso attorno a noi, per cui a volte molti non riescono a capire la ragione stessa della loro vita, affidandosi così a fatti, sogni e cose che hanno il passo breve. Ma ci sono anche coloro che nel tempo si accorgono di essere entrati in una famiglia o comunità o accanto ad una persona con cui, insieme, è possibile cercare di gustare e farsi educare dalla Parola. Si ha allora come l'impressione di aprire una finestra nell'animo di chi insieme a noi medita e riflette e da quella finestra entra tanta luce.

È sempre una grande gioia, e per questo spero che anche il nostro dialogo divenga luce in voi. Grazie, carissimi e carissime! Magari potessi offrire, grazie anche al vostro prezioso aiuto, un solo barlume di Luce, di Speranza a tanti altri! Infatti, se c'è un atteggiamento, presente in tanti, che crea sofferenza, ma è soprattutto stonata sulla bocca di troppi cristiani, è il manifestare insistentemente quasi un senso di impotenza di fronte alla brutalità del male, che il mondo ci prospetta giorno dopo giorno, in una scalata che sembra volersi avvicinare al dominio totale sull'uomo. Quanta gente, oggi, porta sul volto l'espressione dell'amarezza che ha dentro. A volte si ha come l'impressione che il male stia sommergendoci, negandoci ogni briciola di speranza. Basta sfogliare i giornali, per leggere nelle prime e... in tutte le notizie, il disagio dell'umanità. Un disagio che si incarna nei tanti fatti negativi che accadono, privati e pubblici, o nei fatti di reale sofferenza di tanti, che vorrebbero forse vedere un mondo diverso, vivere una vita più serena, essere protagonisti con tutti di cronache che suscitino speranza: speranze che sembrano spesso svanire, lasciando un vuoto ancora più devastante.

Qualche giorno fa, un uomo - molto colto fra l'altro - evidentemente non riuscendo a farsi una ragione del male che è tra noi, mi fece questa domanda: 'Mi dica, Padre, cosa consiglierebbe ad un giovane? Mettersi decisamente sulla strada della verità, della giustizia, dell'amore, ossia sulla strada di Cristo, distinguendosi nettamente dalle regole del mondo, ma rischiando di farsi emarginare proprio per le sue scelte, frutto di grandi ideali o, visto l'andazzo generale accettare qualche compromesso con la propria coscienza, che la società offre in ogni settore, sporcandosi senza troppi scrupoli mani e cuore, perdendo forse la dignità, ma assicurandosi favori e una strada percorribile?'. A me pare che la risposta sia già nella domanda stessa, ma penso sia opportuno esplicitarla con chiarezza e, per questo, ci viene incontro oggi l'apostolo Paolo, grande testimone della totale aderenza al Vangelo e, di conseguenza, proprio per le sue scelte radicali, vittima di incredibili persecuzioni, al punto da metterne a rischio la stessa vita, e più volte. Ma a Paolo poco importava il bene della sola vita temporale! Troppo profonda ormai la sua 'assimilazione' a Cristo.

Il Vangelo certamente fa giustizia di tanti che voltano le spalle a Cristo per non avere fastidi nella vita. Facile cedere al vuoto del mondo, sembra non si corrano rischi... ma spesso, già quaggiù, i frutti dell'agire secondo il mondo sono solitudine e non senso, mentre stupendo è il 'premio' garantito alla coerenza di chi fa del Vangelo il solo Libro della sua vita: è pace e gioia nello spirito. E, grazie a Dio, ci sono ancora tanti cristiani che non si lasciano intontire dall'ambizione alle cariche o dalla superficialità delle mode senza senso. Le critiche sono per loro la conferma davanti a Dio e agli uomini che la coerenza nella fede è un bene che va oltre tutti i vantaggi momentanei, spesso definiti 'bene', ma che tali non sono. Ma occorre davvero vivere una fede che riveli la pienezza della Presenza di Dio, l'Unico capace di sostenerci fino al martirio. Scrive, dunque, oggi, san Paolo ai Corinti:
  • Fratelli, sempre pieni di fiducia e sapendo che siamo in esilio lontano dal Signore finché abitiamo nel corpo - camminiamo infatti nella fede e non nella visione - siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore. Perciò, sia abitando nel corpo sia andando in esilio, CI SFORZIAMO DI ESSERE A LUI GRADITI. Tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, per ricevere ciascuno la ricompensa delle opere compiute quando era nel corpo, sia in bene che in male. (II Cor. 5,6-10)
Impressiona oggi, diciamocelo con quella sincerità che è la sola luce che ci aiuta a trovare la giustizia, quella dannata leggerezza che serpeggia nell’accettare le tante offerte del mondo, simili a fuochi artificiali nella notte, che offrono luce e calore per la durata di pochi secondi! Una volta spentisi, si torna al buio e alla realtà evanescente a cui ci siamo affidati. È 'coraggio' l'affidarsi al nulla delle cose o non è piuttosto essere degli sprovveduti, incapaci di guardare oltre l'immediato, il subito ed adesso? Occorre davvero tanto coraggio per essere cristiani veri, che si nutrono di fede e danno alla vita il significato che Dio stesso le ha donato? Racconta l'evangelista Marco ciò che Gesù disse alla folla:
  • Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura. (Mc. 4, 26-34)
Ed è davvero così. I cristiani, che con serietà vivono di fede, di fatto da essa si fanno condurre e ... neanche si accorgono della loro bontà, della loro stessa fedeltà: la fede è in loro un seme che cresce, ma essi sono solo tesi ad essere fedeli nella ricerca di Dio: una ricerca che matura come il seme che diventa spiga. Sono tanti i fratelli nella fede che la coltivano nella vita, forse conoscono anche la fatica di mettere alle spalle il mondo, ma soprattutto vivono dell'interiore gioia che Dio dona in pienezza a chi vive di fede in Lui: chi ama non pensa a ciò che rinuncia, ma all'amore di cui vive.

Ogni volta visito qualche monastero o incontro cristiani di fede profonda, mi stupisce la loro serenità, a volte nonostante difficoltà o sofferenze. Hanno lo sguardo di chi vede oltre il tempo, oltre le apparenze. Cercano di dare alla vita, in ogni atto o gesto quotidiano, anche il più semplice, la stessa cura che Dio ha per il seme che ha posto in loro. Sono un vero spettacolo che sparge speranza nel mondo, come una sfida da accettare. D'altra parte tutti sappiamo che la vita non è uno scherzo: la vita non concede a nessuno leggerezza e superficialità, perché comunque, per la sua stessa finitezza, mette a dura prova ciò che davvero siamo e crediamo.

Quello che ogni volta dico a me stesso: il sorriso di un cristiano di grande e sincera fede - e ne incontro tanti - testimonia la bellezza dell'uomo che, ogni giorno, si lascia plasmare da Dio. Ma sappiamo dare a Dio la nostra totale ed incondizionata fiducia, abbandonandoci alla Sua azione, mettendo la nostra vita nelle Sue mani e nel Suo Cuore, affidandoci a Lui, credendo che Lui e solo Lui conosce il cammino che dobbiamo percorrere per essere davvero felici? Dio non voglia, carissimi, che viviamo senza una ragione o senza uno sguardo al Cielo. Ricordiamocelo sempre: non siamo cose, siamo figli del Padre, tutti, e quindi chiamati alla sola Bellezza che è propria dei figli di Dio, quella che si riflette nelle persone buone. Affermava Paolo VI, nostro grande amico ora dal Cielo:
  • La vita cristiana è come un sole che splende sull'insieme dei nostri giorni. Figlioli miei, se questo sole finisce per spegnersi, che cosa si perderebbe? Alcuni dicono niente e invece si perderebbe proprio il senso della vita: perché lavorare, perché amare gli altri, perché essere buoni, perché soffrire, perché vivere, perché morire se non c'è una speranza al di sopra di questa nostra povera vita sulla terra? La gioia cristiana - giova ripeterlo - è dare il senso, il valore, la dignità al nostro passaggio sulla terra. Per questo il nostro grido è: Siate veri cristiani: cristiani nelle opere e non a parole0.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven giu 22, 2012 9:17 am

      • Omelia del giorno 24 Giugno 2012

        Natività di San Giovanni Battista (Anno B)



        Solennità della natività di San Giovanni Battista
La Chiesa oggi, giustamente, sottolinea la grandezza di Giovanni Battista: l'uomo, scelto da Dio, per annunciare la novità del tempo che si stava preparando. Dopo il peccato originale non c'era più posto per noi presso Dio. I nostri progenitori avevano ceduto alla tentazione del serpente, ossia di fare a meno di Dio e sentirsi i soli ed unici protagonisti della vita. La vita non era più una risposta di amore a Dio, occasione incredibile di conoscere la bellezza di essere amati. A rompere il dialogo di amore tra l'uomo e il Padre era bastato prospettare la possibilità di fare a meno di Dio, convinti di poterci sostituire a Lui, realizzandoci da soli, in una libertà che tale non è. Tutti sappiamo come è andata a finire.

Continua ad accadere questo dramma, quando la superbia dell'uomo prevale in lui, illudendolo di essere 'il centro del mondo', svincolato da ogni relazione con Dio. Ed ecco che allora, come oggi, si finisce per 'sentirsi nudi', tanto da essere spinti istintivamente a nascondersi, soli ed angosciati interiormente, privi ormai della stessa ragione per cui siamo stati creati, incapaci di amare e lasciarsi amare, che è l'unica sorgente della vera felicità e grande sogno del Padre, che non vuole sudditi, ma creature che rispondono al suo dono nella libertà dell'amore: questa è la prova, ieri ed oggi, che ogni essere umano deve affrontare.

Messi alla prova, i nostri progenitori, di fronte alle proposte del demonio, preferirono una impossibile gloria e felicità senza Dio. Ma, nonostante l'uomo - ogni uomo, noi compresi - sia spesso così insipiente ed insensato, Dio, l'Amore fedele, non può rinunciare a volere il bene delle creature nate dal Suo stesso Amore. Ci sono voluti tanti, ma tanti secoli, per ritessere il dialogo con l'uomo, e quindi preparare il terreno al ritorno del Padre tra noi e, soprattutto, di noi con Lui. Giovanni Battista è il grande profeta, l'ultimo, che annuncia l'incredibile evento di Dio, che torna tra noi: 'Ecco l'Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo' dirà a tutti. Egli annuncia l'imminente venuta di Gesù, il Figlio di Dio, che ha donato la vita per la nostra rinascita a figli. Così nella sua I lettera l'apostolo Pietro annuncia questa attesa:
  • Carissimi, voi amate Gesù Cristo pur senza averlo visto, credete in Lui. Perciò esultate di gioia indicibile e gloriosa, mentre raggiungete la mèta della vostra fede, la salvezza delle anime. Su questa salvezza indagarono e scrutarono i profeti, che preannunciavano la grazia a voi destinata: essi cercavano di sapere quale momento o quale circostanza indicasse lo Spirito che era in loro, quando predicava le sofferenze destinate a Cristo e la gloria che le avrebbe seguite. A loro ha rivelato che, non per se stessi, ma per voi, erano servitori di quelle cose che ora vi sono annunciate per mezzo di coloro che vi hanno portato il Vangelo mediante lo Spirito Santo, mandato dal Cristo, cose alle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo. (1 Pt. 1, 8-12)
Anche oggi, nella storia della Chiesa, Dio continua a donare tanti profeti: non predicono il futuro, come fu per Giovanni Battista, ma annunciano la Presenza tra di noi di Dio, che gli uomini stentano a riconoscere. Giovanni, si legge nel Vangelo, preparò la sua missione, vivendo nel deserto, dove si fa silenzio sulle vicende terrene della vita, per creare lo spazio alla viva voce e ai disegni che Dio ha - anche oggi - per l'umanità. Forse pensiamo troppo poco che ogni cristiano nel Battesimo riceve il dono della fede e della profezia. Ma occorre radicare tale dono nella ricerca continua, nella serietà e umiltà, che è la vera esigenza per viverlo in pienezza.

Quando diciamo che il mondo è materialista, altro non facciamo che affermare come l'uomo sia chiuso al suo ruolo di profeta. Annunciare la fede è spesso ridare a tutti noi la vera ragione della vita, quella che Dio ha pensato e voluto, creandoci. Per grazia di Dio, anche oggi, in questo tempo di materialismo, accartocciato nel qui ed ora, chiuso ad ogni prospettiva di vero futuro, che, ripeto, è la sola ragione della vita, ci sono stati e continuano ad esserci tanti profeti, che non si lasciano catturare dalle mode passeggere o dal pensiero relativistico del mondo, ma sanno guardare ed indicare l'oltre.

Basterebbe ricordare la decisione profetica di Giovanni XXIII che, considerato dai più solo un Papa di transizione, quando nessuno se lo aspettava, ebbe l'ispirazione di annunciare la nascita di quel grande evento che fu il Concilio Vaticano II. Una svolta incredibile, in cui lo Spirito seppe dare il vero volto all'umanità, per il futuro ... e noi siamo figli di quella profezia. O ricordiamo il grande Paolo VI, vero 'traghettatore' del Concilio, che incontrò tanti contrasti quando prospettava dottrine come la difesa di chi nasce. Ma quella 'profezia', oggi di grande attualità, ha veramente impresso un nuovo volto alla procreazione. O, se vogliamo, la mente e il cuore tornano al grande Giovanni Paolo II, che fece della vita una continua profezia, dando voce a tutte le virtù che ogni uomo dovrebbe coltivare per raggiungere la pienezza in Cristo, fino alla fine. Chi non ricorda, in Sicilia, il suo grido contro lo strapotere della mafia, un comando: 'Non uccidete!', e la sua difesa, in ogni parte del mondo, dei più deboli.

Tanti sono stati i veri grandi del nostro tempo, dalla fondatrice dei Focolari, Chiara Lubich, a don Giussani, e tanti altri. Ci sono poi tanti cristiani semplici, ma di profonda fede, che quando parlano - forse senza neppure rendersene conto - danno alle parole il senso della profezia. Tra questi dovremmo esserci anche noi, semplicemente mettendo in disparte le chiacchiere senza contenuto, che hanno il sapore del chiasso, per fare spazio a parole o a volte anche solo con la condotta che rimandano ad altro. Basta avere un occhio spirituale, per accorgersi che la profezia non è morta, ma vive tra noi. Il Vangelo di oggi ci mostra l'origine davvero divina del Battista, come narra l'evangelista Luca:
  • Per Elisabetta si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva manifestato in lei la sua grande misericordia e si rallegravano con lei. Otto giorni dopo, vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo con il nome di suo padre Zaccaria. Ma sua madre intervenne: 'No, si chiamerà Giovanni'. Le dissero: 'Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome'. Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. Egli chiese una tavoletta e scrisse: 'Giovanni è il suo nome'. Tutti furono meravigliati. All'istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua e parlava benedicendo Dio. Tutti i loro vicini furono presi da timore e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di queste cose. Tutti coloro che le udivano le custodivano in cuor loro dicendo: 'Che sarà mai di questo bambino?'. E davvero la mano di Dio era con lui. Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione ad Israele. (Lc. 1,57-68)
È sempre sorprendente come Dio sappia scegliere i Suoi. È lo stile di Dio, quello di donare uomini disponibili a compiere i progetti di bene per l'umanità. E Giovanni Battista fu uno di questi. Ma se ci guardiamo attorno, nel passato e nel presente, certamente troveremo persone che hanno saputo manifestare l'amore che Dio ha per noi e indirizzarci nel compiere la Sua volontà.

È questa la grazia più grande: il dono vero della profezia. Questo dobbiamo diventare gli uni per gli altri, educando noi stessi a essere dono di verità e di amore. Lo possono essere tanti genitori per i figli, ma lo dobbiamo diventare tutti noi, ciascuno di noi, là dove il Signore ci ha posto, cogliendo le buone occasioni per accostare fratelli e sorelle, e, senza bombardarli con il chiasso delle parole vuote, ma con la discrezione delle parole rare e pesate, che nascono dal silenzio del cuore, ricche dunque di amore e verità, o semplicemente con gesti sinceri e solidali, sostenerli, confortarli, rafforzarli nel cammino in Dio, verso il Regno. Questa è la grazia della profezia, che a ciascuno è stata affidata come dono nel Battesimo. Diventiamone consapevoli e facciamo in modo che non resti infruttuosa.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven giu 29, 2012 10:03 am

      • Omelia del giorno 1 Luglio 2012

        XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Necessità e bellezza della carità
La Chiesa Madre di Gerusalemme, già dai suoi inizi, per le sue tante difficoltà, venne a trovarsi in grandi ristrettezze economiche. Aveva bisogno dell'aiuto delle Chiese sorelle, che in quegli anni erano sorte in tanti luoghi per la forza dello Spirito Santo che operava negli Apostoli. Ed allora l'apostolo Paolo prende l'iniziativa di farsi voce delle sofferenze dei fratelli e sollecita una condivisione. La sua sollecitudine è descritta in una lettera ai Corinzi:
  • Fratelli - scrive - come voi vi segnalate in ogni cosa, nella fede come nella carità che vi abbiamo insegnato, così distinguetevi anche in quest'opera generosa. Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero. Qui non si tratta di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza. Per il momento la vostra abbondanza supplisca la loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca la vostra indigenza e vi sia uguaglianza, come sta scritto: Colui che raccolse molto non abbondò e colui che raccolse poco non ebbe di meno (2Cor. 8, 7)
Offre, questa raccomandazione, lo spunto per una riflessione sulla qualità della nostra carità. Sappiamo dagli Atti degli Apostoli come all'inizio vi fosse una comunione di beni al punto che chi possedeva donava e nessuno era in difficoltà. Un comportamento difficile forse da imitare, ma un esempio in cui specchiare il nostro atteggiamento verso i fratelli, almeno quelli che sono più vicini a noi. Se diamo uno sguardo all'umanità è evidente che c'è chi vive in un'abbondanza che, agli occhi del Padre, diventa richiamo alla carità, diversamente ciò che si ha può essere grave mancanza verso chi non possiede nulla. Si resta pensierosi, almeno noi qui in occidente, davanti al solo pensiero che milioni di persone, mentre noi abbiamo il necessario e molto di più (nonostante la crisi!) altri sono costretti ogni giorno a combattere contro la fame, di cui muoiono.

In tutta la storia delle nostre Chiese, credo, non siamo ancora riusciti a dire parole che esprimano con tanto coraggio lo spirito di comunione, come con delicatezza e forza ha fatto san Paolo, scrivendo ai fratelli di Corinto. Forse ogni tanto bisbigliamo calcolate raccomandazioni di essere generosi nella nostra partecipazione alle povertà dei fratelli, pur avendo sotto gli occhi un quadro spaventoso di tante Chiese sorelle in difficoltà nel mondo. Ed è una situazione che non si ferma ai casi drammatici e clamorosi delle Chiese che vivono ai margini della morte per fame, per le persecuzioni e distruzioni, ma si allarga anche alle nostre Comunità in Italia, in cui risalta una diversità, a volte scandalosa. Basta considerare i pochi secondi che i mezzi di comunicazione danno ogni giorno alle sacche di povertà che esistono tra di noi. La nostra è davvero una civiltà basata sulla giustizia, che ha come riferimento l'amore per tutti? Nessuno, utopisticamente, può pensare sia realizzabile una società in cui tutti siano uguali, per quanto riguarda la situazione economica - naturalmente è diverso il discorso riguardo la dignità e i diritti della persona, che uguali devono essere in una società civile - Purtroppo da un punto di vista economico ci saranno sempre famiglie che hanno più del necessario e possono permettersi tanto lusso, che mortifica la giustizia e, nello stesso tempo, aumenta lo stato di necessità di tanti. Non c'è bisogno di tante parole: basta guardarsi attorno per vedere e notare le grandi differenze sociali, soprattutto oggi, in tempo di crisi. Ecco dunque l'urgenza della verità: se la proprietà è un diritto, questa non deve cancellare la carità. Più si è nel benessere, più amore e solidarietà deve esserci verso chi non ha.
  • Il possesso e la ricerca della ricchezza come fine a se stessa - scrive Paolo VI – come unica garanzia di benessere presente e di pienezza umana è la paralisi dell'amore. I drammi della sociologia contemporanea lo dimostrano e con quali prove tragiche ed oscure! E dimostrano che l'educazione cristiana alla povertà sa distinguere innanzitutto l'uso del possesso delle cose materiali e sa distinguere poi la libera e meritoria rinuncia ai beni temporali, in quanto impedimento allo spirito umano nella ricerca e nel conseguimento del suo ottimo fine supremo che è Dio e del suo fine prossimo che è il fratello da amare, da servire dalla carenza di quei beni che sono indispensabili alla vita presente, cioè dalla miseria, dalla fame, a cui è dovere e carità provvedere. Noi ci fermeremo all'elogio della povertà in spirito che purifica la Chiesa dal superfluo, insegna a rifuggire dal mettere il cuore e la fiducia nei beni di questo mondo! Ritrae il cristiano da ogni ruberia e disonesta amministrazione e da ogni illegale affarismo ed abitua a fraternizzare con persone di livello sociale inferiore. ( 2 Ottobre 1968)
Credo sia davvero una necessità, oggi, tornare a vivere quella semplicità e sobrietà di vita che fa spazio nel cuore ai veri beni che contano davanti a Dio e agli uomini. Ma ci sarà consapevolezza, in questa società, dell'urgenza dello spirito di povertà? Nel Vangelo di oggi, l'evangelista Marco ci mostra Gesù nella pienezza della Sua missione tra di noi: una missione caratterizzata di povertà di spirito che diviene totale disponibilità e carità verso l'altro.
  • In quel tempo, Gesù, essendo passato di nuovo all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. Si recò da Lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giairo, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi e lo pregava con insistenza: 'La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva'. Gesù si recò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle e gli toccò il mantello. Diceva infatti: 'Se riuscirò a toccare il suo mantello, sarò guarita'. E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era stata guarita. Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da Lui, si voltò alla folla dicendo: 'Chi mi ha toccato il mantello?'. I discepoli gli dissero: 'Tu vedi la folla che si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?'. Egli intanto guardava attorno per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne e gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: 'Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male'. Mentre avviene il miracolo della donna e Gesù sta parlando con lei dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: 'Tua figlia è morta, perché disturbi il Maestro?'. Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: 'Non temere, continua ad avere fede! E non permise a nessuno di seguirLo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava. Entrato disse loro: 'Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, dorme'. Ed essi lo deridevano. Ma egli cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina. Presa la mano della bambina, le disse: 'Fanciulla, ti dico: alzati!'. Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare: aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare. (Mc. 5, 21-43)
Da un lato ci si stupisce della profonda fede di chi va da Gesù: una fede totale, del cuore, forse difficile per noi che a volte crediamo di essere ascoltati per le nostre tante parole, più che per la nostra reale fede. Dall'altra commuove la carità di Gesù, Dio, a cui basta la fiducia senza limiti, nel profondo del cuore, di chi sa affidarsi a Lui, come la donna guarita, per venirci incontro e guarirci. Attorno a noi - se abbiamo la capacità di leggere le tante difficoltà e problemi nascosti - c'è tanta gente che ha come sola voce la sofferenza e cerca chi doni anche un lume di speranza o qualcuno pronto a condividere. Dovremmo tutti avere la fiducia e umiltà della donna del Vangelo, il coraggio e la convinzione di Giairo, per poter diventare portatori di speranza, ma molte volte siamo talmente presi dal nostro io, che non sappiamo vedere chi sta vicino a noi, per affidarlo al Maestro.

Ricordo una notte di Natale, dopo la Santa Messa di mezzanotte, nella grande chiesa assiepata, mi accorsi, tornando in sacrestia, di una giovane nell'angolo di una cappella. Ci voleva poco a capire che era vittima di una grande sofferenza, che nessuno vedeva. Mi fermai, mi avvicinai e le dissi semplicemente: 'Coraggio! Gesù è nato anche per te. Io vedo il tuo dolore, ma so che Lui consola. Il giorno dopo, quella giovane venne a trovarmi e mi disse: 'Questa notte lei mi ha ridato l'amore alla vita. Mi ha fatto sentire che non si è mai del tutto soli. Ho capito l'Amore di Dio che facendosi uomo si è fatto vicino a me e ho ritrovato la serenità'. Quanto bene può fare la carità che entra nella vita di chi soffre! Che Dio ci faccia capaci di avere un cuore grande e libero, capace di 'vedere', accogliere ed essere solidale con tutti.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » gio lug 05, 2012 9:54 am

      • Omelia del giorno 8 Luglio 2012

        XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Oggi, necessità di profeti!
"Abbiamo bisogno, oggi, - mi diceva un uomo - di profeti che ci scuotano dalla nostra pigrizia nella fede. Abbiamo bisogno che ci sia chi, con la Parola di Dio, che a volte è scomoda, ci mostri la verità della vita, grande dono di Dio. Ma perché questa necessità sia soddisfatta, abbiamo bisogno di una Chiesa che si faccia più vicina a tutti, risvegliandoci dal nostro pericoloso sonno, grazie alla Parola, che non lascia mai il tempo che trova, ma penetra nelle profondità, magari fino a farci arrabbiare, perché contrasta il nostro modo di pensare e di vivere”. Ed ha mille ragioni questo mio interlocutore.

È davvero impensabile che si possa conoscere la Bellezza della Verità, e quindi di Dio, che si è rivelato in Gesù, senza farci illuminare dalla Parola, che Lui comunica, dalla Parola che Cristo è, Lui, 'Verbo eterno di Dio', che ci scuote nelle fondamenta del nostro stesso esistere. Afferma il profeta Ezechiele:
  • In quei giorni, uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. Mi disse: 'Figlio dell'uomo, io ti mando agli Israeliti, a un popolo di ribelli, che si sono rivoltati contro di me. Essi e i loro padri hanno peccato contro di me fino ad oggi. Quelli ai quali ti mando sono figli testardi e dal cuore indurito. Tu dirai loro: 'Dice il Signore Dio'. Ascoltino o non ascoltino - perché sono una genia di ribelli - sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro. (Ez. 2, 2-5)
Non è possibile avere una fede solida senza la conoscenza della Parola di Dio. È incredibile che Dio si sia fatto Via, Verità e Vita, stando tra di noi, come a tracciare la strada della vita verso di Lui. È chiaro che il linguaggio di Dio non ha nulla a che fare con il nostro, che tante volte è vuoto di verità, di senso e diventa il segno e la causa del nostro stesso malessere. Dio, invece, parlando fa luce dentro di noi, sempre se Lo si ascolta. Questo lo ha capito molto bene la Chiesa, Suo Corpo Mistico, che oggi, non solo ci offre la Parola di Dio all'interno della celebrazione eucaristica, ma ha pensato a tanti modi di ascolto della Parola. Credo che tanti di noi avranno provato grande meraviglia, quando il cardinal Martini, vescovo a Milano, accoglieva tanti in Duomo, per la Scuola della Parola.

Credo di avere attraversato tutta l'Italia, invitato ad annunciare la Parola. Spesso si manifestava una grande attesa e la voglia di uscire dalla nebbia della fede, per entrare nella Luce. Mi si chiedeva, quasi come un dono, di continuare a parlare di Gesù, e si creava un clima di serenità, di dialogo e condivisione. Ma non era sempre così. Ho anche incontrato difficoltà, a volte semplicemente perché alcuni, ¬magari pochissimi, ma agguerriti - non erano disposti ad accettare la verità di Dio.

A volte la Parola, soprattutto quando è annunciata in una comunità dominata dalla criminalità, diventa una sfida che può costare la vita. Ma in ogni caso, quella di fare conoscere la Parola di Dio è una necessità che non è solo di noi ministri, ma di ciascun cristiano verso gli altri e, soprattutto, nelle stesse proprie famiglie, in cui il materialismo vuole spegnere la Parola, che invece dovrebbe essere la guida per il consolidamento e la formazione di relazioni sempre più umanamente vere e profondamente, coraggiosamente cristiane. Genera tanta tristezza quando si vede come nella famiglia siano spalancate le porte a tutte le forme di evasione e ci sia ben poco che giovi alla formazione dello spirito. Affermava Paolo VI in una sua omelia:
  • La Chiesa è per sua natura apostolica, cioè missionaria: vogliamo dire sempre attiva ed impegnata nella fatica di diffondere il suo messaggio di salvezza. La sua concezione della vita e quella del mondo, il suo Vangelo. Che cosa fa dunque la Chiesa? È chiaro: parla, predica, insinua, diffonde e proclama la dottrina di Cristo. Predica tutto ciò che le è stato confidato all'orecchio. La Chiesa, dove è viva, dove è fedele al mandato di Cristo, ha una prima e indispensabile attività: quella dell'annuncio della Parola divina. La fede - dice S. Paolo - deriva dall'ascolto. La catechesi è il suo primo dovere. Del resto la liturgia della Parola precede quella eucaristica. La Chiesa è l'eco continua, autorevole degli insegnamenti del Signore. la Chiesa è un apostolato, è una 'propagazione della fede'. La Chiesa ha confermato l'imperativo degli Apostoli: 'Non possiamo tacere fino al sacrificio'. E che cosa sono i martiri, se non predicatori, testimoni del Vangelo con il sangue? (luglio 1966)
È quello che insegna il Vangelo di oggi:
  • Gesù andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. Venuto il sabato, cominciò ad insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltandolo, rimanevano stupiti e dicevano: 'Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani?'. E si scandalizzavano di lui ... Ma Gesù disse loro: 'Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua'. E non poté operare nessun prodigio, ma solo impose le sue mani a pochi ammalati e li guarì e si meravigliava della loro incredulità. Gesù andava intorno per i villaggi insegnando. (Mc. 6, 1-6)
E noi siamo tra coloro che 'si scandalizzano' di fronte a chi ha il coraggio di vivere il Vangelo o siamo capaci o abbiamo almeno il desiderio di essere anche noi missionari della Parola, dove viviamo e operiamo, con la semplicità e l'amore del Vangelo? Ricordiamocelo sempre: se attorno a noi e forse in noi c'è tanta ignoranza sul valore della vita, dipende proprio dalla mancanza di conoscenza della Parola di Dio. Dobbiamo ritornare a leggerla con la mente, meditarla con il cuore, accoglierla come 'seme' nella nostra vita, lasciando che vi operi e ci trasformi.

Ho conosciuto un grande uomo, molto noto. In aereo, vicino a me, leggeva il Vangelo e mi disse: 'É il pane della mia vita. Diversamente avrei l'impressione di vivere nel vuoto, che è simile alla morte interiore'. Da parte mia ringrazio davvero il Signore che mi ha donato la luce della Sua Parola, che è per me pace di vita, per poi poterla trasmettere a tanti. Gioisco ogni domenica, nella celebrazione eucaristica, nel vedere il profondo ascolto della Parola e poi la gioia di chi partecipa.

Non abbiate paura di accostarvi alla Parola di Dio, che ci fa conoscere il Cuore del Padre. Mi fu di grande esempio, da giovane chierico presso i Padri Rosminiani, il mio Padre Generale. Nei momenti di riposo, passeggiava nello stupendo parco, sempre con un libricino tra le mani. Essendo lui un grande filosofo, guardavo a quel libricino, immaginando chissà che cosa. Un giorno mi feci forza e gli chiesi la natura di quel misterioso libricino, da cui era evidente che lui attingesse tanto sapere e saggezza. Sorrise e porgendomelo disse: 'É il più bel libro per la vita dell'umanità: è il Vangelo'.



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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 13, 2012 9:10 am

      • Omelia del giorno 15 Luglio 2012

        XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Va’, profetizza il mio popolo
C'è, nell'Antico Testamento, una figura destinata a turbare i sonni tranquilli degli uomini: quei sonni che non sono mai basati sulla verità, che non concede mai respiro nella sua ricerca, ma sono frutto di menzogne o ipocrisie, in cui ci si adagia come in un nido, senza pensare che questa condizione è la nostra vera rovina, non solo spirituale. Noi, che lo vogliamo o no, abbiamo bisogno di verità, che è il dono che Dio ci fa ed è il vero senso, la bellezza e la natura della nostra esistenza. Dio, che ama l'uomo, vuole a tutti i costi dirci che è la ragione stessa della nostra creazione, la nostra salvezza, nella verità del nostro essere creature volute a Sua immagine e somiglianza. È per questo che il Padre ha mandato il Figlio Gesù, il Verbo o Parola vivente.

Gesù, ieri come oggi, con la sua parola, con la sua stessa vita, che è Parola, contesta in continuità queste mortali cosiddette nostre sicurezze, che tali non sono senza di Lui, e crea parole, fatti, che sono la conferma della volontà del Padre. Non solo, ma sempre continua a scegliere e mandare uomini destinati a scuotere le coscienze, la stessa coscienza dell'umanità intera, senza mai preoccuparsi della inevitabile reazione: il continuo scontro tra ignoranza e ipocrisia, che generano malessere o peggio, e la limpida Verità e Conoscenza, i cui frutti sono pace e fiducia. Del resto, per essere efficace e svegliare l'umanità dal suo torpore nella verità, che è la sola guida dell'uomo, molto meglio una terribile reazione, che perlomeno fa rendere conto del pericolo che si corre, che una quiete simile ad un torpore, da cui c'è il grave rischio di non sapersi risvegliare più. Basta guardare a tanti che vivono accanto a noi ed incontriamo ogni giorno, per capire cosa voglia dire incanalare la vita sulle onde del mondo, senza alcuna guida interiore verso la verità.

Ma mi chiedo: si può essere sereni, se siamo onesti, vivendo senza la guida della Verità della vita, che viene dalla Parola di Dio? Credo proprio di no. Se si è onesti verso se stessi e ci si sa guardare dentro, in profondità, dobbiamo ammettere che tante volte sentiamo il vuoto, il non senso del vivere, quando non siamo guidati dalla Parola del Verbo. Ma non è facile anche avere il coraggio di conoscere ed offrire ai nostri fratelli la bellezza e la luce della Parola e così rischiamo di assumere l'atteggiamento del profeta Amos:
  • In quei giorni, Amasia, sacerdote di Betel, disse ad Amos: 'Vattene, veggente, ritirati nella terra di Giuda: là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare, ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempo del regno'. Amos rispose ad Amasia e disse: Non ero profeta né figlio di profeta; ero un mandriano e coltivavo piante di sicomoro. Il Signore mi prese, mi chiamò mentre seguivo il gregge. Il Signore mi disse: Va "profetizza al mio popolo, Israele. (Amos 7, 12-15)
Uno stupendo esempio di come Dio liberamente sceglie e manda e della grande responsabilità del chiamato nel manifestare chi il Signore è per noi e noi per Lui. Sappiamo tutti o dovremmo saperlo che per Dio la nostra vita, Suo dono, deve avere a cuore la sorte dei fratelli. In ogni tempo, ma soprattutto oggi, la nostra gente ha urgente bisogno di una nuova nostra missionarietà, perché è vero che siamo battezzati e quindi divenuti a pieno titolo figli dell'Altissimo, ma non sempre Lo conosciamo davvero, desiderando fare la Sua volontà, vivendo una relazione personale con Lui, che si scopre solo nell'ascolto della Sua Parola.

Gesù, il Maestro, o meglio ancora la Voce del Padre, che ci ha donato la Sua Parola, il Vangelo, vivendo tra di noi, dietro a volte le scarne note di cronaca, ha smontato le false nostre sicurezze, comprese quelle di una fede che si credeva sicura, ed altre volte come una sferzata faceva e fa a brandelli la maschera che scribi e farisei - e lo siamo un po' tutti - avevano indossato. È arrivato a suscitare persino un tale odio che lo porterà alla crocifissione. Ma Gesù si preoccupa solo che la Voce del Padre, Luce che guida gli uomini alla verità della vita, - quanto importante per ognuno di noi! - arrivi al loro, nostro, cuore e divenga liberazione.

Ma ci viene da chiedere: conosciamo davvero la Parola di Dio o almeno, quando andiamo alla S. Messa, sappiamo ascoltarla, ricordarla e fame indicazione sicura per la nostra vita? Se siamo attenti, ogni volta che leggiamo o sentiamo con fede la Parola di Dio, essa penetra nel nostro essere: diviene luce e forza che cambia il nostro stile di vita, troppe volte avvolto da una fitta nebbia, che ha bisogno di essere spazzata via. Da qui la missione che Gesù affida ai Dodici:
  • In quel tempo Gesù chiamò i Dodici ed incominciò a mandarli a due a due e diede loro potere sugli spiriti immondi. E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio, né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa, ma calzati solo i sandali, non indossassero due tuniche. E diceva loro: 'Entrati in una casa, rimanetevi finché ve ne andate da quel luogo. Se in qualche luogo non vi riceveranno, andandovene scuotete la polvere di sotto ai vostri piedi a testimonianza per loro'. E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano. (Mc. 6, 7-13)
Fino a poco tempo fa, si aveva quasi la certezza che tutto fosse chiaro, almeno per i grandi valori della vita, valori che avevano la loro origine nell'ascolto del Vangelo. Chi avrebbe osato discutere per esempio il valore della famiglia? O del dono della vita? o i valori dell'onestà e della legalità o addirittura la bellezza della fede che dà dignità e volo all'uomo? Oggi invece si ha l'impressione che tutto sia relativizzato, messo in discussione, a volte per chiarire, a volte per cancellare, magari sostituendo per comodità i valori con i capricci del momento, che esaltano solo l'egoismo. Ma non si oscura il valore dell'uomo, in cui si nasconde il grande e gratuito amore di Dio, senza poi pagare un duro prezzo: lo vediamo nella disgregazione delle famiglie, nelle relazioni, della società, dove si fa sempre più spazio a ciò che rende l'uomo una cosa di poco conto, al punto che tante volte si ha persino timore che ogni speranza si stia spegnendo, proprio quando ne abbiamo bisogno come l'aria che respiriamo.

Nonostante tutto, non venga mai meno la nostra fiducia: Dio sa trarre il bene anche dai nostri mali, sa approfittare anche dei nostri momenti di smarrimento per farsi vicino e dare le risposte che cerchiamo. C'è tanto spazio ancora nella vita per tornare a sperare e a dare speranza. Crediamolo e sentiamoci invitati, noi stessi, a portare la Parola di vera speranza, la Parola di Dio. Ancora una volta facciamoci guidare da Paolo VI che dice:
  • La Chiesa comincia con l' evangelizzare se stessa. Comunità di credenti, comunità di speranza, vissuta e partecipata, comunità d'amore ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell'amore. Popolo di Dio, immerso nel mondo, spesso tentato dagli idoli, essa ha sempre bisogno di sentire proclamare le grandi opere di Dio che l'hanno convertita al Signore, e di essere nuovamente convocata e riunita da Lui. Ciò vuol dire il bisogno di essere sempre evangelizzata, se vuole conservare freschezza, slancio e forza per annunziare a sua volta il Vangelo. (dicembre 1977)
É difficile, se non impossibile, crescere nella vita cristiana senza la luce del Vangelo. Come sarebbe bello ed efficace, vero dono dello Spirito, che le nostre famiglie assumessero l'aspetto di 'piccola chiesa domestica', che cresce con l'aiuto della Parola! È il dono che prego per voi, per chi mi legge: lo Spirito Santo illumini e fortifichi le vostre famiglie attraverso la Parola di Dio letta, pregata e meditata.



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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 20, 2012 1:57 pm

      • Omelia del giorno 22 Luglio 2012

        XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Venite in disparte e riposatevi un poco
Sia la lettura del profeta Geremia che il Vangelo, oggi pongono al centro della riflessione noi pastori. È, la nostra presenza nella Chiesa e nel mondo, una presenza a volte accettata, a volte discussa, a volte rifiutata. Sappiamo che essere pastori non è una scelta della persona, ma è una scelta di Dio. E' incredibile quanto sia grande responsabilità 'essere Cristo' nella Sua potenza misericordiosa, nella proclamazione della Sua Parola, ancor più nell'amministrazione dei Sacramenti, che sono azione diretta del Suo Spirito. Grande impegno di vita guidare i fedeli che la volontà di Dio ci affida!

Non è facile essere interpreti di questa grande vocazione, non è facile mettersi nei panni di Gesù, indicando le vie della salvezza e donando la Sua Grazia nei Sacramenti, a cominciare dall'Eucarestia. Ogni pastore, parroco o vescovo, non fa lui la scelta del gregge che deve pascere: è nell'obbedienza al proprio vescovo o superiore che si accolgono nella fede coloro che ci vengono affidati. E non sempre si trova subito accoglienza o fedeli che con fede ti attendono. Ma, superate a volte le prime incertezze, i fedeli comprendono se possono affidarsi ad un pastore che vuole avere cura di loro, nel Nome di Cristo, Buon Pastore, pronto a dare la vita, come Lui, o se hanno di fronte un semplice amministratore di sacramenti, senza quella passione che sente spiritualmente il vero pastore. Il profeta Geremia, oggi, ha parole durissime per questi pastori, che male interpretano la loro vocazione. Così afferma:
  • Guai ai pastori che fanno perire o disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore. Perciò dice il Signore, Dio d'Israele, contro i pastori che devono pascere il mio popolo: Voi avete disperso le mie pecore, le avete scacciate e non ve ne siete preoccupati; ecco io vi punirò per la malvagità delle vostre opere. Oracolo del Signore. Radunerò io stesso il resto delle mie pecore da tutte le regioni dove le ho scacciate e le farò tornare ai loro pascoli; saranno feconde e si moltiplicheranno. Costituirò sopra di esse pastori che le faranno pascolare, così che non dovranno più temere né sgomentarsi; non ne mancherà neppure una. Oracolo del Signore. (Ger. 23, 1-5)
Dio non solo affida a ciascun pastore i fedeli da guidare, ma esige quella passione di amore che sola è capace di entrare nel cuore delle persone e creare fiducia. Sono ormai più di 50 anni che sono pastore della Chiesa con voi, che mi seguite, ma mi piace ricordare fatiche e gioie che ho incontrato, per poter lodare e ringraziare Colui che mi ha chiamato e guidato e per rinfrancare, con la mia testimonianza, coloro che ancora operano in prima linea: il Signore, chiamandoci, ci chiede solo quello che già ci ha donato e non ci lascia mai soli! Ero convinto che nel mio Istituto sarei stato scelto per l'apostolato nell'insegnamento, ma la Provvidenza aveva altro in mente. Essendosi creata una situazione difficile in una parrocchia in Sicilia, Santa Ninfa, a seguito dell'abbandono del parroco, il vescovo di Mazara chiese al mio Padre Generale di coprire quel vuoto nella Chiesa e nella Comunità, ormai quasi deserte, salvo qualche persona anziana, poche, che alla domenica seguivano la Messa. E lì fui inviato come parroco con altri due confratelli. Sapevamo e sentivamo che attorno a noi c'era diffidenza, tanta diffidenza. Accettammo in silenzio e rimanemmo in attesa, offrendo la nostra presenza e il nostro affetto. Lentamente la gente recuperò fiducia e sia pure con tanta difficoltà la Comunità ritrovò la sua bellezza, tanto che dopo nove anni venne il vescovo di Mazara e, vedendo la folla che assiepava la Chiesa, disse: 'Non avrei mai creduto che questa parrocchia, che per me era una dolorosa spina, sarebbe diventata bella come un giardino'. Non passò un mese da questo incontro e, nel gennaio 1968, venne il tristemente famoso terremoto del Belice, rase letteralmente al suolo, sbriciolandoli, decine di paesi con centinaia di vittime. E così la Chiesa, ossia i fedeli, divennero una comunità in strada a cui dover infondere nuova fiducia e tanto coraggio. Poi i mesi in tenda e gli anni in baracca ... Non fu facile essere voce della Comunità, nel cammino del dopo terremoto, verso la ricostruzione. Si doveva dare speranza e gridare per richiamare alla responsabilità tutte le Istituzioni. Credo che alcuni dei miei lettori ricorderanno 'La Marcia dei fanciulli delle elementari' che fecero visita a Roma alle massime cariche dello Stato, dal Presidente della Repubblica ai vari Presidenti del Parlamento, fino a Paolo VI, che accogliendoci con amore paterno ci disse: 'Sarò il vostro avvocato'.

Quando dopo 20 anni di Belice, la Comunità aveva ritrovato la sua bellezza, l'obbedienza mi chiese di tornare in alta Italia, ma la Provvidenza manifestò un diverso progetto attraverso la volontà dello stesso Paolo VI che mi chiese di essere vescovo, affidandomi la diocesi di Acerra. Mancava di vescovo residenziale da ben 12 anni e quindi era una diocesi in cui ogni parroco si sentiva vescovo! Mancava l'anima e la guida della comunità nel suo insieme. Fui accolto con una passione che aveva dell'incredibile, ma ci volle tanta pazienza e amore, anzitutto nel creare con i sacerdoti una vera comunità ecclesiale. Poi ci rivolgemmo ai laici e con i Convegni annuali, che duravano tre giorni, veramente prese volto e gioia la Diocesi, come Comunità. Fin dall'inizio il vero problema era una presenza, sul territorio, che intimoriva, rendendo incapaci di credere nel futuro: la criminalità organizzata, che impediva ogni voglia di libertà nel crescere. E iniziò quella lotta che molti credo conoscono. Il libretto-guida, che fu nelle mani di tutti, era 'Per amore del mio popolo non tacerò'. Mi costò un aperto scontro, la tutela dello Stato, che mi seguiva ovunque, privandomi ¬seppur per necessità e salvaguardia mia - della bellezza della libertà di movimento: un grande peso, che cercavo di non fare pesare sulla Comunità. Ma era tanta la stima che si era acquistata la Diocesi che in soli due anni la Santa Chiesa scelse due miei carissimi e bravi collaboratori, che vennero eletti all'episcopato. Quale grande dono! Alla fine del mio mandato e in questo tempo di riposo pare sentire quanto Gesù dice ai SUOI Apostoli:
  • In quel tempo - racconta l'evangelista Marco - gli Apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato. Egli disse loro: 'Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un poco'. Infatti era molta la folla che andava e veniva e non avevano più neanche il tempo di mangiare. Allora partirono sulla barca verso un luogo solitario, in disparte. Molti li videro partire e capirono e da tutte le città cominciarono ad accorrere là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise ad insegnare loro molte cose. (Mc 6, 30-34)
Viene in mente la grande figura del Curato d'Ars che dava tutto il tempo alle folle che lo cercavano. Passò la vita nel donare la Parola di Gesù, il Suo Perdono misericordioso, con una semplicità disarmante, confessando. Non c'era spazio per se stesso. Si lasciò letteralmente mangiare dalle folle che accorrevano a lui da ogni parte d'Europa. Un poco come succedeva - seppur in forme diverse - al grande Giovanni Paolo II, che aveva scelto il mondo, come luogo di annuncio della Parola.

Siamo davvero fortunati anche solo constatando come Dio si fa presente nei suoi pastori, con figure che, dove passano, lasciano il segno della presenza di Gesù. L'umanità ha bisogno di pastori che trasmettano la Presenza e Potenza misericordiosa dell'Amore di Dio verso ciascuno di noi. Ma proprio perché uomini, anche i pastori possono sbagliare - e quanto sono gravi, in questi casi le conseguenze! Non resta dunque che pregare perché Dio, che continua a chiamare e scegliere, trovi pastori dalla fede e dal cuore grande, veri Suoi testimoni, perché abbiamo bisogno di 'vedere' nei sacerdoti la presenza di Gesù che, per mezzo loro, continua a camminare con noi e tra noi. Così prega il salmista:
  • Su pascoli erbosi, il Signore mi fa riposare,
    ad acque tranquille mi conduce.
    Rinfranca 1'anima mia.
    Mi guida per il giusto cammino a motivo del suo Nome.
    Anche se vado per una valle oscura,
    non temo alcun male, perché tu sei con me.
    Il tuo bastone e il tuo vincastro
    Mi danno sicurezza. (Salmo 22)


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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 27, 2012 7:28 am

      • Omelia del giorno 29 Luglio 2012

        XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Una realtà di cui si parla poco: la fame
Sappiamo tutti come anche nei Paesi dove fino a poco tempo fa regnava il benessere, oggi per le varie crisi economiche, che hanno colpito anche le Nazioni occidentali, si è fatta strada la fame. Può sembrare assurdo che anche fra di noi ci sia chi patisce la fame, ma è così. In tante Diocesi e parrocchie la Caritas sta allestendo iniziative per andare incontro a chi in tanti modi sta vivendo situazione di vero disagio sociale. Possono apparire piccole misure, ma è sempre meglio che nulla. Che dire poi dei Paesi dove la fame da sempre è di casa e ha causato e causa la morte di tanti, ogni giorno? Basterebbe leggere quello che qualche volta si affaccia nei servizi TV o nelle cronache, ma soprattutto nelle varie riviste missionarie. È incredibile che intere popolazioni possano morire di fame, quando sappiamo tutti che se ci fosse una giustizia distributiva delle ricchezze o anche solo se ciascuno di noi si facesse carico della carità che sa vedere ed aiutare chi ha fame, questo non succederebbe, poiché le risorse della terra, se ben gestite, possono sfamare tutti... Do la parola a Paolo VI che, nell'enciclica Populorum progressio del 1967 già così scriveva:
  • Se un fratello e una sorella sono nudi, dice S. Giacomo, se mancano del sostentamento quotidiano, e uno di voi dice loro: 'Andatevene in pace e scaldatevi, senza dar loro quel che è necessario al loro corpo, a che servirebbe?'. Oggi nessuno lo può ignorare, sopra interi continenti, innumerevoli sono gli uomini e le donne tormentate dalla fame, innumerevoli i bambini sottonutriti, al punto che molti di loro muoiono in tenera età e la crescita fisica e lo sviluppo mentale di parecchi altri restano compromessi, e che regioni intere sono per questo condannate al più cupo avvilimento. Appelli angosciati sono già risuonati. Quello di Giovanni XXIII è stato calorosamente accolto. Noi stessi lo abbiamo reiterato nel giorno del Santo Natale 1963 e poi in favore dell'India nel 1966. La campagna contro la fame, lanciata dall'Organizzazione Internazionale della FAO e incoraggiata dalla Santa Sede è stata generosamente accolta. La nostra Caritas internazionale è dappertutto all'opera e numerosi cattolici, sotto l'impulso dei nostri fratelli dell'Episcopato, si danno e si prodigano anche personalmente senza riserva, per aiutare quelli che sono nel bisogno, allargando progressivamente la cerchia di quanti riconoscono come loro fratelli. Ma tutto ciò non può bastare, come non possono bastare gli investimenti privati e pubblici, i doni e i prestiti concessi. Non si tratta soltanto di vincere la fame e neppure di ricacciare indietro la povertà. La lotta contro la miseria più urgente è necessaria, ma è insufficiente. Si tratta di costruire un mondo in cui ogni uomo, senza esclusione di razza, religione, nazionalità possa vivere una vita pienamente umana, affrancata dalle servitù che gli vengono dagli uomini e da una natura non sufficientemente padroneggiata. Un mondo dove la libertà non sia una parola vana e dove il povero Lazzaro possa mettersi alla mensa del ricco. Ciò esige molta generosità, sacrifici e sforzo incessante. È necessario che ciascuno esamini la sua coscienza che ha una voce nuova nella nostra epoca.
È vero che l'attuale economia in difficili condizioni impone a tutti una maggiore coscienza nel dare alla vita un aspetto di semplicità e sobrietà, che era la ricchezza d'animo di un tempo, ma è proprio questa nuova consapevolezza e urgenza di semplicità che deve fare spazio alla generosità e quindi alla carità. Sappiamo tutti come il mondo, il consumismo, ogni giorno e con ogni mezzo, cerchi di catturarci, come un controvangelo. Questa battaglia del consumismo altro non ha fatto che rendere sempre più poveri i poveri e più ricchi i ricchi. Ma sappiamo anche, se siamo onesti con noi stessi e ne abbiamo fatto qualche volta l'esperienza, che la semplicità può fare piazza pulita dell'ingombro del superfluo, donando la serenità di sentirsi liberi dalla schiavitù del 'tutto e subito' e del 'sempre di più'. Il consumismo accumula cose, ma svuota della gioia il cuore. Quella gioia che nasce quando alla sobrietà si aggiunge una generosa carità verso chi proprio non ce la fa.

'C'è più gioia nel dare che nel ricevere', questa è la verità bella della vita e lo sa bene chi sa aprirsi alle necessità dei fratelli. Tante volte mi rifugio nella mia infanzia, per attingere alla sorgente di valori duraturi che l'abitavano, nonostante la ricchezza della famiglia fosse una povertà davvero oggi sconosciuta. I vestiti di papà, una volta usati, venivano da mamma adattati in modo magistrale per noi, tanto da sembrare nuovi. Non solo, ma in famiglia, sgombra dal consumismo, vi era tanto, ma tanto posto per l'amore, la preghiera, soprattutto per una crescita umana e spirituale, forgiata sui veri valori della vita. Si diventava adulti con la povertà e grazie alla povertà di cose ... a differenza di tanti ragazzi e giovani di oggi che crescono nell' abbondanza di cose, da cui a volte rischiano di essere sommersi, conoscendo poi una sterilità interiore che li fa soffrire. Non sono le cose a renderci felici, ma i valori interiori. Il Vangelo ci offre un meraviglioso esempio della compassione che Gesù aveva per chi lo seguiva, indifferente al cibo e disposto ad andare incontro alla fame per seguirLo e nutrirsi della Sua Parola. Racconta Giovanni, l'evangelista:
  • Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberiade, e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. Alzati gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: 'Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?'. Diceva questo per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: 'Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo'. Gli disse allora Andrea, fratello di Simon Pietro: 'C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci, ma che cosa è questo per tanta gente?'. Rispose Gesù: 'Fateli sedere'. C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. Allora Gesù prese i pani e dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che erano seduti e lo stesso dei pesci, finché ne vollero. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: 'Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto. Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato. Allora la gente, visto il segno che aveva compiuto, cominciò a dire: 'Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!'. Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo. (Gv, 6, 1-15)
Un vero esempio di come la carità non è un modo di farsi strada: sarebbe tradirne la natura. La carità deve sempre mettere in primo piano chi amiamo e mai un voler farsi strada per apparire. Affermava il grande ed indimenticabile Papa Giovanni XXIII, il Papa del sorriso:
  • Quando si è animati dalla carità di Cristo, ci si sente tutti uniti e si avvertono come propri bisogni, le sofferenze, le gioie altrui. Conseguentemente l'operare di ciascuno non può risultarne che disinteressato, più vigoroso, più umano, perché la carità è paziente, è benefica, non cerca il proprio interesse, non gode dell'ingiustizia, ma si rallegra del godimento della verità: tutto opera, tutto sopporta.
Meditando questo vangelo della carità ho sempre davanti agli occhi la grandezza di Madre Teresa di Calcutta. Ho avuto il dono di conoscerla, tenendo con lei delle conferenze. Tutto in lei appariva umiltà e profondo amore, rivelazione delle grandi opere di Dio. Standole vicini ci si sentiva davvero spiritualmente piccoli, ma era impossibile sfuggirne il fascino. Dovremmo tutti avere almeno un poco dello stile della carità: umile e silenziosa, amorevole e generosa, capace di fare gustare a chi soffre la gioia dell' amore.



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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » mer ago 29, 2012 5:07 pm

      • Omelia del giorno 5 Agosto 2012

        XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Signore, dacci sempre il tuo pane
Possiamo facilmente immaginare la scena che il Vangelo descrive oggi. La folla era stata saziata dal grande ed inaspettato miracolo della moltiplicazione dei pani. Aveva quindi intravisto la possibilità di trovare in Gesù una certezza materiale, per il proprio futuro: Gesù, in un modo o in un altro avrebbe risolto i problemi quotidiani, quelli che ancora oggi affliggono tragicamente singole persone, famiglie intere o Nazioni. Basta pensare alla fame che in tante Nazioni, in Africa, genera morti ogni giorno. Oggi, sono ancora tanti, nell'intera comunità umana, coloro che sono condannati a vedere il proprio diritto alla vita, alla salute, alla stessa libertà, come un sogno irraggiungibile, riservato solo ad alcuni fortunati, come noi dei Paesi sviluppati. Quello che fa più male è che spesso, proprio noi, non sentiamo più la loro voce, perché è coperta dal frastuono di un benessere che non dà spazio ai lamenti altrui, o meglio, al grido di giustizia, che chiede ciò che loro spetta, a cominciare da un pezzo di pane ... Leggendo circa i rifiuti che buttiamo via, rilevati dagli esperti, - e sono migliaia di tonnellate al giorno - ci torna alla mente il grido di Gesù: 'Avevo fame e non mi avete dato da mangiare. Ero nudo e non mi avete vestito. Ero ammalato e non mi avete visitato ... Andate, maledetti nel fuoco eterno...'

Ho l'occasione, come vescovo, di incontrare spesso missionari che scelgono di vivere in zone dove la fame è regina. Chiedono giustizia più che aiuto: quella giustizia che non trova abbastanza posto nel mondo consumistico... eppure a volerlo, un pezzo di pane la terra lo potrebbe dare a tutti! Questo è davvero quello che fa male a chi ha a cuore la carità. Molte volte a noi costa poco mettere in disparte qualcosa per chi ha nulla... ma poi, magari anche in nome della crisi economica, ci chiudiamo nel nostro egoismo. È vero che tante comunità parrocchiali oggi si prendono cura dei poveri ed hanno punti di accoglienza, dove è possibile avere almeno un pasto al giorno. E noi benediciamo questi fratelli che si adoperano per coloro che sono in difficoltà, ma possiamo fare di più. Basterebbe riservare una piccola parte del nostro vitto per chi non ha nulla. Ho sempre ammirato la testimonianza di un mio confratello che, ogni giorno, a tavola toglieva qualcosa del suo, che poi donava ai suoi poveri. Era una meravigliosa condivisione. Scriveva il grande Paolo VI:
  • Il possesso e la ricerca della ricchezza come fine a se stessa, come unica garanzia di benessere presente e di pienezza è la paralisi dell'amore. I drammi della sociologia contemporanea lo mostrano: e quali prove tragiche, che oscurano generazioni! L'educazione cristiana alla povertà - intesa come distacco assoluto dall'idolatria del benessere - sa distinguere innanzitutto l'uso dal possesso delle cose materiali e sa distinguere poi la libera e meritoria rinuncia ai beni temporali, in quanto impedimento allo spirito umano nella ricerca e nel conseguimento del suo ottimo fine che è Dio e il prossimo che è il fratello da amare e da servire e liberare dalla carenza di quei beni che sono indispensabili alla vita presente, come dalla miseria, dalla fame, a cui è dovere e carità provvedere".
In altre parole dovremmo saper vedere nell'uomo, ovunque abiti, il fratello che oggi è Cristo tra di noi e attende una risposta o una testimonianza della carità. Non è questione di fare un'elemosina, ma di andare oltre, abbracciando l'intera umanità e farsi prossimo a chi sta male. A volte, invece, si ha come l'impressione che i poveri diano fastidio, ieri come oggi. Ricordo, dopo qualche giorno dal terremoto nel Belice, in aereo stavo recandomi a visitare mamma, molto preoccupata. Avevo perso tutto, quindi ero vestito in qualche modo... la cosa, probabilmente, diede fastidio al mio vicino, che fece presente, non certo con garbo, il suo pensiero, dichiarando che 'in aereo non avrebbero dovuto salire gli straccioni'. Un altro passeggero, che mi aveva conosciuto, intervenne con veemenza: 'Lei non sa chi è questa persona: è don Riboldi, un sacerdote che sta dando tutto per i suoi terremotati'. Per quanto mi riguarda, per un attimo ero stato felice di sentirmi quello che allora davvero ero: povero! Ma bisogna avere occhi e cuore di Cristo, per saper leggere e non solo vedere i poveri, come è nel Vangelo di oggi:
  • Quando la folla vide che Gesù non era più là e neppure i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao, alla ricerca di Gesù. Trovatolo al di là del mare, gli dissero: 'Rabbì, quando sei venuto qui?'. Gesù rispose: 'In verità, in verità vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo'. Gli dissero allora: 'Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?'. Gesù rispose: 'Questa è l'opera di Dio, credere in Colui che Egli ha mandato'. Allora gli dissero: 'Quale segno dunque tu fai perché vediamo e possiamo crederti? Quale opera compi? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come è scritto: Diede loro da mangiare un pane dal cielo'. Rispose Gesù: 'In verità, in verità vi dico: non Mosé vi ha dato il pane del cielo, quello vero. Il pane di Dio è Colui che discende dal Cielo e dà la vita al mondo'. Allora gli dissero: 'Signore, dacci sempre di questo pane'. Gesù rispose: Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete (Gv. 6,24-35)
Per la folla e per noi, Gesù alza il tiro, parlando del pane, fonte della vita. Non dimentica l'urgenza del pane, per coloro che hanno fame, ma neppure vuole che ci si fermi alla dimensione materiale, pur necessaria... Il suo discorso va oltre la vita terrena e mira direttamente al pane che dona la vita eterna: una necessità nutrirsi del pane materiale, altro è nutrirsi del Pane del cielo. Lo conosciamo tutti quel pane, che è l'Eucarestia: Gesù stesso che si fa Pane della Vita. Una vita che va oltre quella provvisoria dell'esistenza terrena, oltre la morte: la vita eterna con Lui. Eppure, se ci guardiamo attorno, tanti di noi, che pure si dicono credenti, fanno fatica anche solo a pensare che la Comunione possa essere il grande nutrimento dell'anima.

È difficile anche solo entrare nella profondità di questo Dono del Cielo. Genera come uno stordimento, anche solo pensare che quella piccola Ostia, che a volte, o ogni giorno riceviamo, sia davvero Gesù in persona. Per grazia di Dio ci sono però tanti per i quali il Pane del Cielo è davvero il nutrimento della vita interiore e non riescono a vivere senza nutrirsene. Mamma, nonostante la famiglia numerosa, i tanti sacrifici, iniziava la sua giornata con il ricevere la Santa Comunione, dicendoci spesso: 'Senza di Lui non saprei come educarvi ed amarvi. È la mia forza'. E ricorderò sempre quello che mi insegnò dopo la mia prima Comunione. Prima di andare a scuola voleva che andassi a ricevere l'Eucarestia. Allora la si poteva ricevere solo se si era digiuni. Quando tornavo era già ora della scuola e trovavo mamma che mi attendeva con un pezzo di pane e se mi lamentavo diceva: 'Meglio una buona comunione che una colazione'. È vero: difficile esprimere la gioia e la forza interiore che si prova, iniziando la giornata con il Pane che dà la vita, Gesù stesso!

Poteva Gesù farci un dono più grande? Sicuramente no. Ma allora perché un tale dono è così poco apprezzato? Credo davvero che dobbiamo chiedercelo e cercare di darci una risposta, se così fosse .... chiedendo la grazia di comprendere che fare dell'Eucarestia il nostro cibo è dare pienezza di senso, di forza e di serenità alla nostra esperienza umana quaggiù, per prepararci, fin da ora, a 'vivere di Dio' ... cosa potremmo desiderare di più?



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » mer ago 29, 2012 5:09 pm

      • Omelia del giorno 12 Agosto 2012

        XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Io sono il Pane della vita
Risulta difficile per chi ascoltava Gesù, che annunciava l'Eucarestia, il dono più grande che si può fare a chi si vuol bene. Un bene che non si ferma alla superficialità delle parole o all'esteriorità materiale, ma entra a far parte della nostra vita, proprio come un pezzo di pane per il corpo. Davanti a questo dono che Dio fa di se stesso, si dovrebbe davvero provare grande gioia e gratitudine. Gesù non è solo vicino a noi, come un amico carissimo, ma va oltre ogni nostra comprensione, divenendo carne della nostra carne. Un dono che ha dell'incredibile, per questo troppo pochi lo comprendono. Eppure se riflettiamo un momento, anche nel linguaggio di chi vuole bene totalmente, come la mamma nei confronti del figlio, l'amore esprime ciò che l'Eucarestia realizza: 'Ti mangerei!', ossia ti farei parte della mia vita. Un amore completo, questo, non superficiale, ma che si fa 'una cosa sola con l'amato'.

Confesso che ogni volta che celebro la Santa Messa mi sorprendo sempre, gioiosamente, nel pronunciare le stesse parole di Gesù, quando offrì ai suoi l'Eucarestia: 'Questo è il mio corpo ... questo è il mio sangue ... Fate questo in memoria di me': memoria che non è solo ricordo, ma realizzazione nel presente. Gesù non solo offre un dono divino, di essere una cosa sola con Lui, ricevendolo nella Santa Comunione, ma addirittura si fa cibo per la vita eterna. Sono tanti gli anni che celebro: dall'ordinazione nel giugno del 1951! Anche dopo il terremoto nella valle del Belice, che aveva distrutto tutto, case e chiese, non ho mai mancato di celebrare la Santa Messa, in un campo o sotto una fragile tenda, che lasciava scorrere l'acqua, al punto che ci voleva qualcuno che riparasse l'altare e me con l'ombrello. Ma l'Eucarestia era la mia, la nostra forza. Aveva ragione mamma, che da ragazzo voleva che facessi la Comunione ogni giorno prima di andare a scuola. 'Caro Antonio, la Comunione è Dio che entra nella tua vita, un nutrimento che supera tutto. La Comunione è Gesù che si fa tua vita e di Lui abbiamo bisogno', ripeteva spesso.

Ma sono davvero tanti coloro che attribuiscono all'Eucarestia, e quindi alla Comunione con Gesù, il dono incomparabile che è? Tante volte mi chiedo la ragione per cui alcuni, pur partecipando alla Santa Messa, non mangiano di quel Pane celeste. Credo che tanti non abbiano ancora compreso fino in fondo il Dono di Gesù, come accadde quando lo annunciò. In parte ce lo conferma il Vangelo di oggi.
  • In quel tempo i Giudei mormoravano di Lui perché aveva detto: 'Io sono il pane disceso dal Cielo'. E dicevano: 'Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Io sono disceso dal Cielo?'. Gesù rispose: 'Non mormorate tra di voi. Nessuno può venire a Me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Sta scritto nei Profeti. 'E tutti saranno ammaestrati da Dio'. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da Lui, viene a me. Io sono il pane della vita. I vostri Padri hanno mangiato la manna del deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita eterna. (Gv. 6, 41-52)
Sembra chiaro il discorso di Gesù, ma occorre capire fino in fondo che cosa significa per Lui 'farsi pane' per diventare partecipe del nostro cammino spirituale. Tutti sappiamo come non sia facile camminare verso Dio, anche se è l'unico senso che ha la nostra vita. Siamo stati creati 'a Sua immagine', la nostra natura umana è intrisa di divinità, eppure ci accontentiamo spesso di credere 'cibo' della vita le piccole, evanescenti, fragili illusioni dell'esistenza terrena. Occorre una profonda fede, una grande capacità di amore, per entrare nell'offerta di Gesù, nostro unico vero Pane di Vita. Scriveva il nostro caro Paolo VI:
  • Comunione con Cristo, è l'Eucarestia come sacramento e come sacrificio, ma anche comunione tra di noi fratelli, con la Comunità, con la Chiesa. È ancora la Rivelazione a dircelo, con le parole di Paolo: 'Dal momento che vi è un solo pane, noi che siamo molti formiamo un solo corpo, perché noi tutti partecipiamo di questo unico pane'.... Il Concilio Ecumenico Vaticano II ha messo profondamente in luce questa realtà, quando ha detto che i cristiani 'cibandosi del Corpo di Cristo nella Santa Comunione, mostrano concretamente l'unità del Corpo di Cristo'... E davvero l'Eucarestia intende fondere in unità i credenti, che siamo noi, a tutti i fratelli del mondo e la celebrazione dell'Eucarestia è sempre principio di unione, di carità, non solo nel sentimento, ma anche nella pratica. 'Amatevi gli uni gli altri come Io vi ho amati' è il comandamento nuovo, quello che deve distinguere i figli della Chiesa. (giugno 1969)
      • 15 Agosto 2012

        Solennità di Maria Santissima Assunta in cielo
È una festa, quella dell'Assunta, molto sentita, che cade nel mezzo di ferragosto. Sono tanti i modi di festeggiarla, dando così un senso religioso al ferragosto, che rischia di cancellarne la bellezza. Per noi cristiani, Maria Santissima, che non viene lambita dalla morte, è segno di speranza sicura per il nostro futuro. La morte, che, per chi non crede è la triste conclusione di questa nostra esperienza di vita provvisoria, per noi credenti è solo un passaggio, il preludio della vita eterna, dopo una vita vissuta nella fiducia e nell'abbandono a Dio, come prova della nostra fede.

Non resta che guardare e pregare Maria, nostra Mamma, che ci doni la Grazia vigilanti nell'attesa e, quando sarà giunto il momento del nostro passaggio, ci doni di tornare 'a casa', con Lei al fianco, che ci guida sicuri verso il Cielo. Per approfondire e gustare il mistero glorioso dell'Assunzione di Maria, meditiamo insieme le parole della nostra guida, Paolo VI:
  • Il Signore ha veramente esaltato Maria, ponendola al vertice delle sue opere e profondendo in lei la ricchezza della sua bontà, della sua bellezza e del suo amore. Ma la Vergine rimane sempre una creatura, e, come essa stessa si chiama, «l'ancella del Signore». L'umiltà si distende su tutta la sua vita. Contemplare Maria diventa una rispondenza ad una nostra incolmabile nostalgia, anche di noi moderni. Gli uomini del nostro tempo cercano infatti il tipo, cercano l'eroe, cercano colui che sintetizzi qualche lato perfetto della vita umana. La Madonna verifica in se stessa tutte le bellezze dell'umanità, oltre della santità soprannaturale: è donna, è vergine, è madre, ha sofferto, ha lavorato, ha patito, ha vissuto la nostra esperienza terrena e porta in alto la nostra umanità. Essa ci conforta e ci invita ad imitarla. E l'esemplarità della Madonna, che illumina il nostro cammino, non rimane distante. La Vergine santissima è infatti nostra intermediaria e la sua intercessione diventa materna e sempre vicina alle prove della nostra vita. Essa ci conforta e ci aiuta ad imitarla. È stata così semplice, così umile: possiamo esserlo anche noi, rendendo ideale il pellegrinaggio della nostra vita. Il momento è propizio per ascoltare. E sembra a Noi che la festa dell'Assunta faccia calare dal cielo un messaggio assai importante. È il messaggio della vita futura alla vita presente; un messaggio pieno di luce e di speranza, ma ammonitore circa il fine ultraterreno della umana esistenza. Noi raccoglieremo questo messaggio e ringrazieremo la Madonna che ce lo manda, e che ci ricorda come il destino della vita non è chiuso nel tempo, ma è «al di là», e che il senso, il dovere principale del nostro cammino nel tempo è quello di meritarci quel Paradiso dove Ella, Maria, già si trova nell'integrità gloriosa del suo essere, anima e corpo. Grande lezione per noi, se fossimo dimentichi della nostra sorte che ci attende oltre la tomba; grande consolazione per chi desidera il bene, per chi lavora con animo forte ed alto, per chi soffre, per chi spera e per chi prega.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » mer ago 29, 2012 5:11 pm

      • Omelia del giorno 19 Agosto 2012

        XX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        L’Eucarestia, segno di amore
Non ci stancheremo mai di proclamare che se c'è un Dono, che Gesù ha fatto a noi, sorpassando ogni nostra immaginazione, è il Dono di Se stesso, come cibo della Vita, ossia il Suo Corpo e il Suo Sangue nel sacramento dell'Eucarestia. Un Dono che i Giudei non riuscirono a capire, accogliere e ... 'mormoravano' - e noi? - Narra il Vangelo di oggi:
  • Gesù disse alla folla: 'Io sono il pane vivo disceso dal Cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo'.
Possiamo immaginare la sorpresa ed incredulità di chi stava ad ascoltarlo. Come può uno dare come cibo dello spirito la propria carne? È una realtà che sfugge alla nostra povertà nell'accostarci al divino. Possiamo forse 'capire' la straordinarietà di un miracolo, che guarisce il corpo, o, se vogliamo, anche quella particolare grazia che, dopo averci mostrato la nostra debolezza umana, attraverso il sacramento della Penitenza, ci aiuta a cogliere la grandezza del Cuore di Dio, che dona senza misura la sua misericordia, creando in noi il desiderio della conversione, cancellando le nostre colpe e dandoci anche la 'sensazione' di una reale rinascita. Ma già, per molti, non sempre è facile 'comprendere' questo sacramento: sembra qualcosa di utopico.

Tra noi uomini non è di casa il dono del perdono, che va oltre l'offesa. Quando noi sbagliamo l'opinione pubblica esige la riparazione (giusta per altro) ma poi... non dimentica, anche se si è pagato con una vita come sospesa per mesi o anni: è la storia quotidiana del dramma delle carceri e del dopo carcere. Questo è il nostro agire. Dio va oltre, sempre, meravigliosamente oltre... e noi non capiamo e troviamo difficile accettare anche solo la frase: 'Chi mangia la mia carne avrà la vita eterna'.

Proprio l'Eucarestia è il Dono meno capito da troppi cristiani. Quanti sono quelli che, non tanto frequentano, ma partecipano con gioia alla Santa Messa domenicale, desiderosi di nutrirsi del Cibo che dà la Vita? Come 'scelta' è forse davvero di troppo pochi. Eppure quale forza vi attingono coloro che con fede vi si nutrono. Celebrare e partecipare alla Santa Messa, per un cristiano, non può essere un'abitudine, ma deve diventare il momento più bello ed intenso della giornata: è da quel Cibo che si riceve la forza per compiere la propria missione, per realizzare il progetto di Dio nella nostra vita. L'Eucarestia è Dio che vive intimamente con me ... e la vita diventa tutta un'altra cosa! Se dunque il mondo e tanti cristiani non conoscono la verità e la bellezza della vita, è proprio perché non conoscono e non accolgono il Pane della Vita! Troppo spesso, anche oggi, sembra che tanti di noi rivivano quello che avvenne con Gesù:
  • i[]Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: 'Come può costui darci la sua carne da mangiare?'. Gesù disse: 'In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è il vero cibo e il mio sangue la vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. (Gv. 6, 52-59)[/i]
Credo che, in un tempo per troppi di fede languida, sia giunto il momento di esaminarci fino in fondo sul posto che l'Eucarestia ha nella nostra vita. Dobbiamo chiederci quale 'peso' e quali conseguenze abbia per noi il cibarci del Corpo di Cristo e quanto davvero siamo convinti, come ci dice Gesù, che il Suo Corpo è vero cibo. La superficialità o l'abitudine, spesso solo esteriore, quasi fosse un atto come un altro l'andare a cibarsi dell'Ostia, credo dipendano molto da una mancata o carente o errata catechesi, ossia della non conoscenza di ciò che significhi una vera vita cristiana. Nelle famiglie c'è poco spazio per il Pane del Cielo! Non nascondo la mia sofferenza nel constatare, nel giorno della prime Comunioni, tanto sfoggio di festa esteriore, di corsa ai regali, che fanno dimenticare l'essenziale: Gesù, che chiede di entrare nella nostra vita, di essere accolto e di poter davvero camminare con noi. Meditiamo le parole di Paolo VI:
  • L'Eucaristia è anzitutto Comunione con Cristo, Dio da Dio, Luce da Luce, Amore da Amore, vivo, vero, sostanzialmente e sacramentalmente presente, Agnello immolato per la nostra salvezza, manna ristoratrice per la vita eterna, amico, fratello, sposo, misteriosamente nascosto e abbassato sotto la semplicità delle apparenze, eppur glorioso nella sua vita di risorto, che vivifica comunicandoci i frutti del Mistero pasquale. Oh, non avremo mai meditato abbastanza sulla ricchezza, che ci apre questa intima comunione di fede, di amore, di volontà, di pensieri, di sentimenti, con Cristo Eucaristico. La mente si perde, perché ha difficoltà a capire; i sensi dubitano perché si trovano dinanzi a realtà comuni e note, pane e vino, i due elementi più semplici del nostro cibo quotidiano. Eppure, proprio il «segno» con cui questa divina presenza ci si offre, ci indica come dobbiamo pensarla; il pane e il vino, queste specie tanto comuni, hanno valore di simbolo, di segno. Segno di che? Or quanto è grande la potenza di Cristo, che anche qui, secondo il suo stile, - che è lo stile di Betlem, di Nazareth, del Calvario - nasconde le più grandi realtà sotto le apparenze più umili, e, appunto per questo, a tutti accessibili; questo Sacramento è segno che Cristo vuol essere nostro cibo, nostro alimento, principio interiore di vita per ciascuno di noi, e a noi applica i frutti della sua incarnazione, con la quale - come bene ha detto il Concilio - «Il Figlio di Dio si è unito in certo modo ad ogni uomo» (Gaudium et spes, 22). L'Incarnazione si estende nel tempo, affinché ogni cristiano divenga davvero, come il tralcio alimentato dal ceppo dall'unica vite (Gv. 15, 1), il prolungamento di Cristo, e possa dire con l'Apostolo Paolo: «Non più io vivo, ma Cristo vive in me. La vita, che vivo nella carne, la vivo nella fede al Figlio di Dio, che ha amato me, e ha dato se stesso per me» (Gal. 2, 20). Egli si moltiplica per essere a disposizione di tutti, per essere di tutti; ignorato, forse; trascurato, forse; offeso, forse; ma vicino; ma presente; ma operante per chi crede, per chi spera, per chi ama! Se l'Eucaristia è un grande mistero che la mente non comprende, possiamo almeno capire l'amore che vi risplende. Possiamo riflettere all'intimità che Gesù vuol avere con ognuno di noi; è la sua promessa, sono le sue parole: 'Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue, rimane in me ed io in lui ... Chi mangia me, anch'egli vivrà per me '. (Gv. 6, 56-57) Egli è il pane di vita eterna, per noi pellegrini in questo mondo, che per suo mezzo siamo già trasportati e immessi dal flusso rapido del tempo alla sponda dell'eternità. (5 giugno 1969)
L'Eucarestia non è una devozione, ma Dio stesso che si fa nostro cibo e nostra bevanda. A volte sulla nostra tavola c'è di tutto per il corpo, ma poi dobbiamo renderci conto che sulla 'tavola' della vita interiore, manca il pane necessario: Gesù, Figlio di Dio, che vuole donare pace e gioia, attraverso Se stesso, alla fatica della nostra vita. Egli è l'unico Pane che può saziare la nostra fame di felicità, di infinito, di eternità, accompagnandoci nel nostro sofferto esistere verso la sola mèta duratura: la Casa del Padre.



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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » mer ago 29, 2012 5:12 pm

      • Omelia del giorno 26 Agosto 2012

        XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Signore, da chi andremo?
Il brano del Vangelo di oggi suscita, in chi crede, la stessa tristezza che era in Gesù. Aveva parlato a lungo dell'Eucarestia. Quante volte aveva ripetuto: 'Io sono il Pane della vita' e 'Chi mangia di questo pane vivrà'! Ma in chi lo ascoltava non vi era stata la sorpresa colma di gratitudine di chi, amando, può comprendere un tale dono, anzi vi era stato imbarazzo, costernazione. Eppure le affermazioni di Gesù erano la realtà stessa del grande amore di Dio per noi. Non un amore, che è solo parola, ma un Amore che va oltre ogni possibile attesa, oltre ogni nostra povera immaginazione: un Amore che dà se stesso, diventa parte della nostra stessa vita.

'Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna' ripeteva Gesù, ma non fu capito allora e, forse, da troppi, non è capito oggi. Basta vedere l'assenza di tanti alla Santa Messa festiva, concepita come 'un di più' a cui si può partecipare qualche volta ... nelle 'feste comandate', secondo la regola stessa offerta dalla catechesi, per cui occorre 'almeno confessarsi una volta l'anno e comunicarsi a Pasqua'. Mi ha sempre fatto impressione questa 'norma', come dire per il corpo: 'basta mangiare una volta l'anno'. Ma è più importante la vita del corpo o la vita interiore, spirituale? Come può l'uomo spirituale affrontare il cammino dell'esistenza verso la mèta eterna, senza il cibo, che è Gesù stesso, Dio eterno e vivente? Forse non ci rendiamo conto di vivere la stessa incomprensione e chiusura di cuore e di mente degli interlocutori di Gesù.

Nei nostri rapporti, in famiglia, tra amici, nella società e nella politica, un atteggiamento che urta è la mancanza di chiarezza nel dialogo, soprattutto quando questo chiama a prese di posizione, a scelte di vita. Spesso, nel proporci qualcosa, si ricorre a giri di parole, che alla fine sanno solo di confusione, o peggio ancora di compromessi pericolosi, fino a togliere credibilità a chi ci parla. Non è così in Gesù. Nel suo rapporto di amicizia con chi lo seguiva, parlava - e continua a parlarci - con la necessaria lucidità della verità, senza alcun velo, in modo da porre chi lo ascoltava, e continua ad ascoltarlo, alla piena assunzione della responsabilità personale del proprio 'sì' o 'no' di fronte alle scelte reali e concrete da Lui proposte.

Ecco perché il suo discorso appare 'duro'. È impressionante, a duemila anni di distanza, leggendo il Vangelo, vedere le folle che lo cercavano, lo assillavano, non gli concedevano pace, fino a togliergli il tempo per mangiare e riposare e guardare alla Sua risposta a tale assedio: non esitava a moltiplicare i segni della carità del Padre nei miracoli, guarendo ogni tipo di malattia, moltiplicando i pani, risuscitando persino i morti, creando attorno alla Buona Novella del Vangelo un'atmosfera di concreto amore, un amore che le folle respiravano a pieni polmoni, fino a farsi coinvolgere totalmente.

Ma allora come oggi è facile accogliere un amore che nutre i nostri bisogni primari, non lo è altrettanto - ieri come oggi - 'entrare' in un amore che coinvolge cuore, mente e scelte di vita. E così, quando Gesù passa bruscamente all'offerta del Pane della vita, ossia del dono del Suo Corpo e Sangue, come avviene nell'Eucarestia oggi, la gente si confonde e si smarrisce, come racconta il Vangelo di oggi, che mostra l'amarezza di Gesù nel non vedere accolto il suo Dono estremo ... come se noi, povere creature, fossimo capaci di superare le esperienze, anche solo puramente umane e terrene, da soli, senza il suo sostegno, la sua forza e il suo aiuto.
  • In quel tempo, molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: 'Questo linguaggio è duro: chi potrà intenderlo?'. Gesù, conoscendo dentro di sé che i suoi discepoli proprio di questo mormoravano, disse loro: 'Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell'uomo salire là dove era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho detto sono spirito e vita. Ma vi sono alcuni tra di voi che non credono'. Da allora molti dei suoi discepoli si tirarono indietro e non andavano più con Lui. Disse allora Gesù ai Dodici: 'Forse anche voi volete andarvene?'. Gli rispose Simon Pietro: 'Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna, noi abbiamo creduto e conosciuto che Tu sei il Santo di Dio'. (Gv. 6, 61-70)
Anche troppi di noi, oggi si smarriscono e reagiscono come 'molti dei discepoli' di allora, forse proprio a causa di tutte le energie spese in una ricerca, che, a volte, si fa spasmodica, del benessere e della salute, non riuscendo a comprendere che questi sono beni relativi e non possono soddisfare le aspirazioni più vere e profonde del nostro essere: la vita eterna, che solo Gesù sa coltivare e donare Ma, per grazia di Dio, ci sono anche tanti cristiani - li ho conosciuti e conosco - che si accostano alla Comunione, come loro nutrimento necessario per poter gustare, oltre i dolori e le difficoltà inevitabili, la bellezza della vita, perché Gesù accolto genera serenità, gioia e forza nella difficile esistenza di quaggiù. Ricorderò sempre quel deputato illustre, che preferisco non nominare, che, chiamato a parlare alla mia gente nel Belice, mi chiese di poter prima stare in adorazione davanti a Gesù Eucaristia e di riceverLo nella Comunione. La gente fu stupefatta di una tale testimonianza. Nel discorso che fece trasmise davvero la sua grandezza di fede. Alla fine la folla mormorava: 'Si vede che è un santo: non si affida solo alle parole... ' Approfondiamo, con la guida delle parole di Giovanni Paolo II, che parlò e visse di Gesù, il grande Mistero eucaristico, 'nucleo del mistero della Chiesa', che siamo noi.
  • La Chiesa vive dell'Eucaristia. Questa verità non esprime soltanto un'esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa. Con gioia essa sperimenta in molteplici forme il continuo avverarsi della promessa: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20); ma nella sacra Eucaristia, per la conversione del pane e del vino nel corpo e nel sangue del Signore, essa gioisce di questa presenza con un'intensità unica. Da quando, con la Pentecoste, la Chiesa, Popolo della Nuova Alleanza, ha cominciato il suo cammino pellegrinante verso la patria celeste, il Divin Sacramento ha continuato a scandire le sue giornate, riempiendole di fiduciosa speranza. Giustamente il Concilio Vaticano II ha proclamato che il Sacrificio eucaristico è «fonte e apice di tutta la vita cristiana». «Infatti, nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua e pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante, dà vita agli uomini». Perciò lo sguardo della Chiesa è continuamente rivolto al suo Signore, presente nel Sacramento dell'Altare, nel quale essa scopre la piena manifestazione del suo immenso amore.
...e con lui chiediamo nella preghiera il coraggio di testimoniare Cristo Eucaristia:
  • Non abbiate paura di accogliere Cristo
    e di accettare la Sua potestà!
    Aiutate il Papa e tutti quanti vogliono servire Cristo
    e, con la potestà di Cristo,
    servire l'uomo e l'umanità intera! Non abbiate paura!
    Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!
    Alla Sua salvatrice potestà aprite i confini degli Stati,
    i sistemi economici come quelli politici,
    i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura!
    Cristo sa cosa è dentro l'uomo. Solo Lui lo sa!
    Oggi così spesso l'uomo non sa cosa si porta dentro,
    nel profondo del suo animo, del suo cuore.
    Così spesso è incerto del senso della sua vita su questa terra.
    È invaso dal dubbio
    che si tramuta in disperazione.
    Permettete a Cristo di parlare all'uomo.
    Solo Lui ha parole di vita, sì! di vita eterna.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » ven ago 31, 2012 8:31 am

      • Omelia del giorno 2 Settembre 2012

        XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Lo scandalo: un male grave … diventato di moda!
Sappiamo tutti che chi ha il compito di educare, soprattutto il cuore di un bambino che si presenta alla vita, come uno specchio in cui si riflettono tutti i nostri esempi, ha il dovere di 'scrivervi' il bello divino della vita secondo Dio. È questa la più grande opera di carità, agli occhi di Dio e degli uomini, che molti di noi hanno ricevuto e che oggi siamo chiamati a donare alle nuove generazioni. Venendo alla vita, dono del Padre, ogni bambino è un piccolo essere fragile, inesperto, innocente e, per questo, più esposto alla tempesta dello scandalo, che può cancellare in lui, precocemente, ogni desiderio di grandi prospettive e l'aspirazione alle grandi virtù, che sono l'abito della santità, con cui Dio adorna i suoi figli, unica vera realizzazione di sé per qualsiasi creatura umana. Da qui ben possiamo comprendere le severe parole di Gesù:
  • Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono in me, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato in mare. Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo, è meglio per te entrare nella vita zoppo, che essere gettato con due piedi nella Geenna. Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo che essere gettato con due occhi nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. (Mc. 9,40-47)
Sono parole davvero molto dure sulla bocca di Gesù, che mostrano il grande male che vi è nello scandalo, soprattutto per le conseguenze che può avere sui bambini. Questi appena nascono e cominciano a muovere i primi passi, ad incontrare persone adulte, entrano nel nostro mondo, con tutti i rischi che ciò comporta: vedono, ascoltano, imitano, senza poter avere ancora la capacità di discernere ... pensiamo anche solo a certi spettacoli, in cui non vi è alcun scrupolo di fare del male, con parole e comportamenti, ma solo conta l' audience. Da bambini si vede tutto con l'occhio pulito dell'innocenza e dell'inesperienza, ed è chiaro che fatti o linguaggi, senza rispetto né per sé né per gli altri, possono scuotere tale innocenza e fare male, molto male.

Ricordo da piccolo, in famiglia - è vero che erano altri tempi - ma vi era molta attenzione verso fatti o segni che potessero turbare i piccoli. Un giorno trovandomi con amici in una città, per un incontro, fui invitato da loro ad un pranzo in una trattoria. Mi colpì, fino ad intervenire presso i proprietari, il vedere come vicino al nostro tavolo vi fossero due piccoli che si divertivano con una rivista, che avrebbe dovuto essere di scandalo anche per noi adulti. Quando lo feci presente ai gestori ebbi una risposta che pare sia diventato il sentire di tanti, troppi.: 'Perché si meraviglia, padre? È giusto che da piccoli si sappia ciò che ci attende. Meglio saperlo oggi, che più avanti...'. Il confronto fu forte e finì con queste parole del proprietario: 'Si vede proprio che lei non conosce la vita e il mondo. Io desidero invece che i miei figli lo conoscano subito!'. Questa è una 'scusa' iniqua, per coprire la nostra superficialità, ignoranza e persino banalità negativa nell' affrontare la vita. È la scelta e il modo più gravemente dannoso dei cattivi maestri, coloro che della vita non sanno più vedere la bellezza. Che ne sarà dei piccoli che sono loro affidati?

Oggi poi si è giunti ormai ad una tale situazione di scandali diffusi, in ogni manifestazione della vita, che rischiano di non fare più neppure impressione. Eppure lo scandalo rimane sempre un trauma dell' anima, che a volte incide talmente nel profondo del cuore da imprimere un corso diverso e sbagliato ad un'intera esistenza. In quanto attentato alla bellezza del cuore, chiunque di noi abbia conservato un retto giudizio della vita, sa che è più sopportabile e meno dannoso un incidente che in qualche modo mutila il nostro corpo, di uno scandalo che intacca l'integrità del cuore, della persona. Ecco perché Gesù ha pronunciato quelle parole durissime, che dovrebbero fare riflettere tanti, ma tanti: gente che forse neppure prova rimorso di condurre una vita scandalosa. Ha ragione Gesù quando afferma: "Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono in me, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato in mare".

E allora come affrontare gli scandali del mondo, che a volte appaiono quasi 'programmati'? In modo serio, ma semplice: vivendo con chiarezza e con coraggio quello che il mondo chiama 'lo scandalo della croce', che per noi cristiani è vivere le beatitudini, sola via alla santità. Un incoraggiamento ci viene dalla guida del grande Paolo VI:
  • Gli uomini del nostro tempo sono degli esseri fragili che conoscono facilmente l'insicurezza, la paura, l'angoscia. Tanti si chiedono se sono accetti a coloro che sono accanto. I nostri fratelli hanno bisogno di incontrare altri fratelli che irradiano la serenità, la gioia, la speranza, la carità, malgrado le prove e le contraddizioni dalle quali essi stessi sono colpiti. Essere testimoni della forza di Dio, che opera nella sorprendente e sempre rinascente fragilità umana, non significa alienare l'uomo, ma proporgli il cammino della libertà. Le nuove generazioni sono particolarmente assetate di sincerità, di verità, di autenticità. Hanno orrore del fariseismo sotto tutte le forme. Il mondo attende il passaggio dei santi".
Non resta che vigilare continuamente su noi stessi, in modo da chiudere ogni spazio al male che ci attornia. Conosciamo bene la nostra debolezza e sappiamo che è facile farsi ingannare ed attirare dal male, anche se sembra assurdo, ma quel che è peggio... comunicarlo: è questo il pericolo e il dramma dello scandalo! Alziamo dunque barriere di umiltà e sincerità contro il male, dentro e fuori di noi. E non accada, mai e poi mai, che qualche nostra leggerezza o scandalo colpisca qualcuno, lasciando un segno difficile da cancellare. Dio ci aiuti in questo impegno, che richiede profondità di pensiero nella verità, ferma volontà nella giustizia e vera pace del cuore. Riflettiamo dunque ancora, aiutati dal Papa buono; Giovanni XXIII:
  • La verità. Tutti sanno quante insidie si addensano e si architettano per sopprimerla o sminuirla. Da quando eravamo bambini sappiamo l'orrore che ogni cristiano deve avere delle bugie. Orbene, oggi, si direbbe che il mondo goda di una generale menzogna in atto; voluta e organizzata. Difficilmente capita di leggere o di ascoltare un'espressione integra, completa, assoluta, di verità. Tante volte si cerca di coprire con rivestimenti del vero ciò che in realtà è il contrario. Invece noi dobbiamo, di fronte ai gravi problemi della vita, della morte e dell'aldilà della morte, rendere onore, sempre, alla verità. Il Signore è la verità. «Io sono il vostro maestro». Accanto alla verità la giustizia. Le regole fondamentali del vivere dell'uomo vicino al suo simile, nell'ordine familiare e domestico, nell'ordine civile, nell'ordine sociale, devono di continuo essere tenute presenti non solo per quanto concerne i nostri rapporti con Dio, col Vangelo e con la grande dottrina che sempre ha da rimanere la luce dei nostri passi, ma anche per ciò che, in provvida concomitanza, è benessere materiale. Infine la pace. O pace santa! Guardandoci intorno, vediamo innumerevoli persone che, attraverso questi ultimi decenni, hanno potuto osservare dolorose situazioni, rovine senza nome; ed hanno trovato rifugio unicamente nell'invocazione a Dio, per riavere l'inestimabile bene della pace.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » lun set 10, 2012 9:53 am

      • Omelia del giorno 9 Settembre 2012

        XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        All’inizio dell’anno scolastico: un augurio e una preghiera
Sento il dovere e la gioia di fare un grande augurio alla Scuola, docenti ed alunni, dalle Materne all'Università. È il cammino per la conoscenza e quindi per dare il giusto senso alla vita. È grande la responsabilità, trattandosi di formazione di ragazzi e giovani, che si apprestano ad affrontare il serio impegno che la vita esige. La Scuola non è una 'formalità', ma se ben vissuta, da tutti gli operatori, può diventare il momento formativo fondante per una crescita, vissuta all'insegna della responsabilità, della solidarietà, basi portanti della maturità personale. Mi piace offrire a tutti le parole del grande maestro di vita, che è stato Giovanni XXIII:
  • La figura del maestro, quella che tutti chiudiamo in cuore come uno dei ricordi più cari della fanciullezza, è tutta in questa altissima funzione, che lo fa educatore di anime, con la parola, con gli esempi, con l'opera paziente svolta attraverso tante difficoltà e rinunce. Con quali profonde parole, a voi ben note, san Giovanni Crisostomo tratteggia tale incomparabile missione: «Che cosa c'è di più grande che governare le anime, e plasmare i costumi degli adolescenti? Io giudico senza dubbio il più eccellente di tutti i pittori, di tutti gli scultori ed artisti, colui che ben conosce l'arte di modellare l'animo dei giovani». Quest'arte non si impara sui libri, non si acquista con la pratica, ma si ottiene dalla grazia di Dio, dalla preghiera e da un lungo tirocinio di profonda vita cristiana, fin dagli anni fecondi dello studio e della scuola. La grandezza di questa missione educatrice si giudica anche dalla responsabilità che le è collegata: all'opera dei maestri sono affidate le sorti stesse del civile consorzio, perché essi formano gli uomini di domani, instillando nel loro cuore, ancora tenero e duttile, insegnamenti e impressioni che resteranno dominanti per tutta la vita.
Conservo un ricordo irrepetibile in un anno del mio liceo, a Torino, presso l'Istituto dei Padri Rosminiani. Eravamo 33 allievi. Erano i tempi difficili degli ultimi anni di guerra, con le contrapposizioni tra partigiani e fascisti repubblichini. Anche tra di noi si discuteva, e soprattutto vi erano posizioni diverse: chi simpatizzava per gli uni e chi per gli altri, cercando di motivare attraverso il confronto le proprie scelte. Ma ci accorgemmo che la tensione poteva diventare non controllabile e troppo difficile era un'analisi oggettiva della situazione reale: la storia ha bisogno di tempo per poter essere compresa, tanto più quando coinvolge gli ideali stessi degli uomini, che l'hanno vissuta. Noi vi eravamo troppo 'immersi' dentro, per poter essere lucidi ed equilibrati. Con una maturità, che ancora oggi mi stupisce e commuove, facemmo una sorta di patto: finché avremmo frequentato l'anno scolastico, tutti, senza eccezioni, dovevamo essere amici e rispettarci, mettendo in disparte il nostro 'credo politico', che non poteva che essere causa di divisione e tensioni. Questo ci permise, in alcuni casi, di essere uniti nel difendere da situazioni difficili l'uno o l'altro compagno, indipendentemente dalla 'parte' in cui stava: importante era la persona, al di là delle sue stesse convinzioni politiche.

Ritengo che questo sia davvero il frutto di una scuola che educa, capace di guardare all'uomo, per salvaguardarne i più elementari diritti, oltre ogni ideologia. Auguro che la scuola aiuti a far acquisire più consapevolezza della necessità, attraverso la riflessione, la disciplina e 1'autocontrollo, di un cammino di vera libertà, per maturare una personalità equilibrata e serena, capace di aprirsi con rispetto e fiducia verso ogni realtà. La Scuola, attraverso i suoi 'maestri', deve interpellare la libertà dei giovani, aprendo li ad una visione di ampio respiro, oltre il proprio 'piccolo orticello'. 'Un respiro', che abbia le sue radici nella convinzione profonda del valore della coscienza e della libertà di pensiero, di espressione e di azione, come basi dell'eguaglianza degli uomini e garanzia per la salvaguardia dei diritti di tutti.
      • Gesù condanna, senza mezzi termini, un'ipocrisia diffusa
Tutti, credo, sappiamo come l'ipocrisia altro non sia che un voler mostrare ciò che non si è o, addirittura, fame una maschera della vita. Il fatto che il Vangelo di oggi ci offre mostra la durezza di Gesù contro questa mistificazione:
  • In quel tempo si riunirono attorno a Gesù i farisei e alcuni scribi venuti da Gerusalemme. Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde - cioè non lavate, i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavati le mani fino al gomito, attenendosi alle tradizioni degli antichi e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature dei bicchieri, stoviglie e oggetti di rame – quei farisei e scribi lo interrogarono: 'Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?' Ed egli rispose loro: 'Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: 'Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini. Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate le tradizioni degli uomini'. Chiamata di nuovo la folla, Gesù diceva loro: 'Ascoltatemi tutti ed intendete bene: non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo. Dal di dentro, infatti, dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: prostituzioni, furti, omicidi, adulteri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnie, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo. (Mt. 7,1-23)
Il vivere uno vicino all'altro dovrebbe essere l'occasione per una coscienza reciproca improntata alla chiarezza, ossia mostrarci per quello che siamo, senza inutili trasformismi, che sanno di ipocrisia - anche fisicamente! Così, dialogando, non dovremmo nasconderci dietro parole senza senso o contrarie a quello che veramente pensiamo. È bello sapere che chi ci è vicino non è una 'maschera', ma una persona sincera a cui possiamo parlare ed affidarci con fiducia. Purtroppo spesso vi è invece tanta ipocrisia, che non può assolutamente aprire la strada alla vera conoscenza e quindi all'amicizia e alla stima.

Spesso, nonostante abbiamo, penso, tutti, nel profondo, un grande desiderio di mostrarci per quello che siamo, aiutandoci a vicenda nel correggerci, siamo forse ormai abituati a dare troppa importanza e a fermarci a ciò che appare, che non ha senso se non è ispirato all'essere profondo di ognuno. Quante volte siamo assordati e confusi da tante parole, che alla fine si rivelano come solo rumore o siamo attratti da un modo di presentarsi, magari anche elegante e raffinato, per poi essere profondamente delusi dai comportamenti... Nessuno condanna la cura del corpo o del vestito. Tutti abbiamo bisogno di stima, ma questa non si compra con la moda o l'estetica. La stima è un grande bene, che viene dalla sincerità, correttezza e rispetto che viviamo verso noi stessi e gli altri.

Ho incontrato tante, ma tante, persone, anche di grande prestigio, come Madre Teresa di Calcutta. Ho avuto l'opportunità di essere con lei in incontri con i giovani. Mi ha sempre colpito quel suo presentarsi discreto, per poi scomparire, senza farsi travolgere dagli applausi ... come a difendere ciò che veramente sentiva di essere. E così era con il Santo Padre, Giovanni Paolo II. Colloquiando con lui era possibile come intravedere il suo cuore semplice, capace di ascoltare, amare e stupirsi. L'augurio è che nessuno di noi si presti all'ipocrisia, che è ingannare chi ci incontra, ma soprattutto se stessi. È importante imparare a vivere nella sincerità e nella libertà, senza mai avere paura di fare 'brutta figura'.

Dobbiamo accettarci e presentarci agli altri per quel che siamo davanti a Dio: è il più bel dono che possiamo offrire a chi ci è vicino. Soprattutto la sincerità delle parole, non solo fa tanto bene, ma mostra la bellezza della verità, che apre il cuore all'amicizia. Mai ipocriti, carissimi. Sempre con totale sincerità. Siamo quello che siamo, 'vasi di creta', sì, ma anche 'tempio dello Spirito'. Lasciamo che sia Lui ad operare in noi: è questa la via per essere ed avere amici, il cui amore e la cui sincerità la vedi negli occhi. Ci aiuti Maria, specchio di sincerità, puro riflesso della Divina Presenza.



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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » lun set 17, 2012 7:59 am

      • Omelia del giorno 16 Settembre 2012

        XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Essere discepoli esige fede forte e coraggiosa
Leggendo la Parola di Gesù, oggi, si ha l'impressione di un confronto netto da quanto pensavano di Lui i Suoi, rispetto a ciò che Egli proponeva se si voleva veramente essere Suoi discepoli. Forse gli Apostoli vedevano in Gesù, che aveva Parole di verità sorrette dalla potenza dei miracoli, un domani qui in terra pieno di gloria. Erano davvero poveri, gli Apostoli: pescatori senza un domani... assomigliavano a tanta gente di oggi che non ha più nemmeno la voglia o la forza di 'sognare', consapevole che i suoi sono spesso solo castelli in aria, schiacciata dalla fatica della ferialità o, come altri, guidati solo da un sogno di grandezza umana, cullata a volte in modo sfacciato e senza scrupoli, (un mondo che non aveva posto nelle aspettative, semplici, degli apostoli) che finisce sempre per lasciare l'amaro in bocca. Solo chi ha avuto la fortuna di nascere e vivere in famiglie dove la fede era al primo posto, senza false ambizioni, può capire la bellezza di non avere sogni da uomo, ma desideri di realtà celesti.

Da piccolo vivevo in una famiglia numerosa e povera. Non potevamo coltivare sogni di grandezza, cui purtroppo tanti bambini fin da piccoli vengono educati. Si viveva la semplicità dei poveri, materialmente, ma una grande ricchezza di fede, di amore... ed eravamo felici. Oggi pare tutto diverso: si ha tutto, almeno nel nostro mondo del benessere, e si vive spesso il vuoto...

La domanda fondamentale è quindi: 'Quali sono i tempi migliori per un uomo?'. I tempi in cui i sogni terreni non vanno oltre la bellezza fisica, lo star bene e contare umanamente nella società o il tempo della semplicità evangelica, che fa spazio a Dio, alle virtù, alla generosità e all'amore? Il Vangelo di oggi mostra la diversità di prospettive tra Gesù e Pietro, in cui spesso ritroviamo noi stessi. Racconta l'evangelista Marco:
  • In quel tempo Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo, e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: 'Che dice la gente che io sia?'. Ed essi risposero: 'Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti. ' Ma egli replicò: 'E voi chi dite che io sia?'. Pietro gli rispose: 'Tu sei il Cristo'. E impose loro di non parlarne con nessuno. Ed ecco che Gesù, conoscendo i pensieri e le profondità del cuore dei Suoi, con fermezza li strappa dai falsi sogni e dalle sbagliate aspettative che pongono su di Lui, sorprendendoli: E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, per venire ucciso e dopo tre giorni risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma Gesù, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: 'Lontano da me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!'. Convocata la folla, insieme ai suoi discepoli, disse loro: 'Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuoi salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà'. (Mc. 8,27-35)
Pietro amava tanto Gesù, al punto da aver lasciato tutto per seguirlo e, forse, con gli altri apostoli, si attendeva qualcosa di diverso, come i nostri 'sogni' troppo umani. Non aveva ancora le prospettive di Vita del Maestro: una visione divina, eterna, di grande coraggio nel diffondere il Vangelo, soprattutto non poteva avere la disposizione a mettere a rischio la stessa vita terrena, per la Vita eterna, come avverrà dopo il Dono dello Spirito Santo, nella Pentecoste. Possiamo comprendere la perplessità sua e degli Apostoli, che diverrà paura e fuga il giorno dell'arresto di Gesù e durante la Sua passione e morte... come fossero cadute le speranze che avevano coltivato. Sarà lo Spirito Santo a chiarire il vero disegno di Dio su di loro, al punto che dopo la Pentecoste saranno uomini diversi, davvero discepoli del Maestro: scomparsa la paura, affronteranno ogni tipo di disagio, di sofferenza, di persecuzione, di prova, fino al martirio.

Capita anche a noi, a volte, di concepire la nostra fede, come una sorta di 'sicurezza', che viene sì da Dio, ma quasi come una 'garanzia' contro le difficoltà della vita. Ma sappiamo tutti che nessuno può sfuggire alla sofferenza e al dolore o anche a momenti di grande angoscia, legati al nostro essere creature fragili, soggette al limite e alla precari età di questa nostra vita terrena, che si manifesta in tanti modi. Sono momenti in cui - se siamo credenti - diciamo che 'Dio ci sta mettendo alla prova' o che 'è assente', o, peggio ancora, che 'ci sta punendo e castigando'... quasi rendendo Dio complice della malattia, delle difficoltà, del male. Sono momenti bui, come quelli della sera della cattura di Gesù, momenti in cui, come gli apostoli, non sappiamo vedere che, proprio in Gesù che dona se stesso, Dio si rivela come Colui che salva e libera dal male, dal nostro stesso male.

Questo è il vero senso del 'mettere alla prova la nostra fede': confermarci la Sua Presenza nella nostra vita, il Suo Amore personale e fedele per ciascuno, che soli ci possono aprire, fin da quaggiù, alla fiducia e alla speranza anche nelle situazioni più disperate. Questi sono davvero momenti di Incontro e di Vita necessari. Ricordo quando l'obbedienza mi fece parroco a Santa Ninfa, in Sicilia. Mi prese una grande angoscia, motivata dalla consapevolezza dei miei limiti e dalle difficoltà a cui andavo incontro: quella parrocchia, in seguito ad un cattivo esempio del parroco, guardava alla Chiesa come ad un pericolo. Fu richiesta a me e ai miei confratelli tanta pazienza e fiducia in Dio. Ci volle tempo, fino a che la gente comprese che la Chiesa era altro e ci si poteva, non solo fidare, ma fame generosamente parte. E fu preziosa questa partecipazione, perché, dopo il terremoto, che nel 1968 ci lasciò tutti 'nudi', senza casa e senza sicurezze, trovammo nella Comunità la forza per sopravvivere alla prova, anzi per reclamare la ricostruzione. Ma occorre avere fiducia, grande fiducia nel Padre, che certamente sa come ridonarci la serenità. 'La fede cristiana porta la nostra attenzione sulla fine del male, e, nella prospettiva delle realtà ultime, esorta a combattere il male, fisico e morale, in questo mondo'. (L. Lorenzetti)

Posso tranquillamente affermare che quando ci è chiesto il difficile, davanti a cui si vorrebbe voltare le spalle, Dio ci è vicino più che mai con la Sua luce e forza e, quando accogliamo con fede e generosità ciò che la vita porta con sé, Dio sa fare delle 'cose vecchie, cose nuove '. Questa è la vera prova della nostra fede: credere che il Padre non ci lascia mai soli. Dobbiamo tenere sempre presente nella mente e nel cuore le parole del Figlio, Gesù: 'Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuol salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà'. L'annuncio cristiano esige una fede forte e coraggiosa. Il nostro caro Paolo VI, maestro nella fede, ci aiuti ad approfondire questa verità di vita cristiana.
  • Per infondere nella nostra vita cristiana il rinnovamento, noi dobbiamo restaurare, con altre virtù e risorse dello spirito, la virtù della fortezza, come è intesa nella nostra pedagogia morale. Sì, fortezza. È forse legittima la concezione di un cristianesimo debole? Di un cristianesimo privo di fermezza nelle sue convinzioni, agnostico, indifferente, volubile, opportunista, vile? Di un cristianesimo timido e pauroso di se stesso? Manovrato dal rispetto umano? È forse autentico e nuovo un cristianesimo, che nella pratica, nel confronto con l'ambiente circostante, è disponibile a ogni conformismo, che ha soprattutto la tacita ansia di evitare fastidi, critiche, ironie, e il manifesto desiderio di profittare d'ogni occasione per fare bella figura o guadagnare vantaggi, risparmiare in guai e avanzare nella carriera?... Un seguace di Cristo non deve aver paura. Egli si sente avvolto in un'atmosfera di provvidenza, che volge al bene anche le cose avverse, le quali possono anche esse cooperare al nostro bene, se noi amiamo Dio. Egli è investito da un dovere di testimonianza che lo affranca dalla timidezza e dall'opportunismo, e che gli suggerisce contegno e parola al momento opportuno, provenienti da una sorgente interiore, di cui forse egli, prima della prova, ignorava l'esistenza. Quando anche voi foste soverchiati da avversari più forti di voi, ci insegna il Signore nel Vangelo: «Non preoccupatevi del come parlerete, né di ciò che dovrete dire: in quel momento vi sarà suggerito ciò che dovrete dire, perché non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi». A questo punto vi è un paradosso da risolvere: noi non siamo forse deboli per la nostra inferma natura? Si, è vero; persino Gesù nel Getsemani lo ha detto: «La nostra carne (cioè la nostra natura umana) è fiacca», ma Egli ha insieme affermato che «lo spirito è pronto». E San Paolo ha spiegato che, proprio quando umilmente e realisticamente ci confessiamo tribolati, allora siamo forti, perché il Signore gli aveva interiormente detto: «Ti basta la mia grazia, perché la virtù si afferma nella debolezza». Debolezza e fortezza, perciò, nel cristiano possono essere complementari. Vi è un orientamento coraggioso da imprimere nella nostra vita cristiana, privata e pubblica, per non diventare altrimenti insignificanti nel mondo dello spirito e forse complici di comuni rovine. La tendenza odierna, perciò, ad abolire ogni sforzo etico o personale (eccetto, e sta bene, nel campo sportivo, ma non basta) non prelude ad un vero progresso veramente umano. La croce è sempre diritta davanti a noi, e ci chiama al vigore morale, alla fortezza dello spirito, al sacrificio che ci assimila a Cristo e può salvare noi e il mondo. (28 maggio 1973)


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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » lun set 24, 2012 9:58 am

      • Omelia del giorno 23 Settembre 2012

        XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Se qualcuno vuol venire dietro di me...
Negli anni passati erano numerose e frequenti le occasioni di incontrarmi per un dibattito con alunni dei vari livelli scolastici. E Dio sa quanto, soprattutto gli adolescenti abbiano bisogno di conoscere, sentire persone che con serietà offrano loro degli spunti, attraverso la loro esperienza di vita vissuta. Sappiamo tutti come oggi - forse più di sempre - tante volte gli adolescenti siano circondati da un vuoto di proposte, un vuoto che dovrebbe essere colmato da pagine profonde di vita: quella vita che li attende e che, volenti o nolenti, dovranno interpretare. Un'interpretazione che necessità di basi fondamentali, che solo una serie e buona formazione, rivolta a cercare la ragione della loro esistenza agli occhi del Padre che li ha creati, può dare. Aprire il cuore e la mente alla ricerca paziente e costante dei disegni del Padre sulla nostra vita personale e comunitaria è la vera educazione alla vita. L'adolescenza è davvero un tempo in cui si possono porre radici solide, per orientare alle vere prospettive della vita, perché possa essere umanamente e spiritualmente realizzata in tutta la sua pienezza. Ma è così?

Di fatto fa impressione, oggi, la cronaca di troppi adolescenti che sembrano smarriti di fronte e spesso a causa di una visione di vita che in famiglia, nella scuola, nella società non presenta linee serie programmate che, che svelino le ragioni della loro creazione da parte del Padre. Hanno tutto, sono educati a voler tutto e subito, ma non sanno 'chi sono e perché vivono'. Ma nessuno, che viene a questo mondo, può sottrarsi alla responsabilità di vivere. La vita non è un caso, né un gioco, ma un meraviglioso percorso, se siamo consapevoli di essere stati presi per mano dal Padre, che ci ha affidati ai nostri genitori, il cui dovere è di indicarci i primi passi da compiere secondo Dio e non secondo il mondo. Diventati adolescenti e giunti alla maturità, toccherà poi a ciascuno accollarsi la responsabilità delle proprie scelte. Ma quanta responsabilità abbiamo noi adulti, affinché ciò sia possibile.

Ricordo un incontro con alunni di una scuola media, per un botta e risposta spontaneo, che svelasse il loro pensiero sulla vita, a cominciare dalla fede. Erano ragazzi e ragazze che nulla facevano per nascondere il loro culto del benessere, che sembrava la sola ragione, almeno superficiale, della grande responsabilità che li attendeva. Il dialogo si avviò con difficoltà, anche perché i ragazzi non sapevano cosa chiedere ad un vescovo, che ammiravano, ma che appariva come una persona di cui era difficile capire le ragioni della sua scelta e soprattutto il senso profondo del suo ministero. A bruciapelo feci una domanda: 'Chi vorreste essere nella vita, quando sarete grandi?' Si levò un coro di voci diverse, che urlavano - letteralmente - il nome di personaggi per loro famosi del mondo dello spettacolo e dello sport. Volendo guidarli ad una riflessione più profonda formulai la domanda in un altro modo: 'Ammettiamo che voi desideriate la vera felicità, quella maiuscola, che poi è la vera grandezza agli occhi di Dio, vorreste essere come S. Francesco, che da ricco si fece povero o come uno sceicco, di quelli ricchi sfondati?'. La risposta, anche questa volta, fulminea: 'Come sceicchi!'. Viva la sincerità, possiamo dire, ma se questo pare un fatto isolato, che riguarda ragazzini, la dice però lunga su quello che sognano di realizzare da adulti.

Ma possiamo davvero, anche solo umanamente, considerare 'sogno' un tale livello di aspettativa? Desiderio di celebrità, di ricchezza, di potere, - valori sì, ma che passano inesorabilmente - e nulla hanno a che fare con la bellezza che Dio vuole costruire in noi e attraverso la nostra vita, 'chiamati ad essere santi come Tu sei santo'. Purtroppo una visione solo limitata alla dimensione terrena, materiale, non riguarda solo il sogno degli adolescenti, che poco sanno della vita e delle sue difficoltà, come le conosciamo ormai noi, ma purtroppo, molte volte, è proprio 'il sogno' su cui troppi adulti sacrificano tutto, per poi trovarsi nelle mani un briciolo di apparente felicità, a cui fa seguito il vuoto, che non aiuta nella dura lotta della quotidianità. Era il sogno che cullavano quanti seguivano Gesù: un falso sogno, che diventava un ostacolo tremendo per comprendere la verità annunciata dal Maestro. Basta leggere il Vangelo di oggi:
  • Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Istruiva i suoi discepoli e diceva loro: 'Il Figlio dell'uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno: ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risorgerà'. Ma essi non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazione. Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa chiese loro: 'Di che cosa stavate discutendo lungo la via?'. Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra di loro chi fosse il più grande. Allora, sedutosi, chiamò i dodici e disse loro: 'Se uno di voi vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti'. E preso un bambino lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro: 'Chi accoglie uno di questi bambini, accoglie me, ma chi accoglie me, non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato'. (Mc. 9, 30-37)
Veramente dura la risposta di Gesù, che vuole scuotere anche noi, oggi, poiché è la sola verità di ogni vita: 'Se uno di voi vuoi essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti'. Vivere senza saper donare la vita a Cristo e, per Lui, ai fratelli, nel quotidiano, è un Vivere superficiale, un vivere 'a metà'. Occorre dare alla vita una dimensione più ampia, completa, che solo il senso del dono garantisce, poiché la vita stessa ci è stata donata. Ma per questo occorre fare piazza pulita dei falsi sogni terreni, l'essere primo, emergere su tutto e tutti, essere ricco e importante, essere celebre, avere visibilità: 'sogni' che riducono la vita ad una scalata al potere e al prestigio, senza esclusione di colpi. È la grande tentazione di sempre, fin dalle origini: 'Sarete come dio!' a cui non è sfuggito neppure Gesù, quando fu tentato da satana nel deserto. Tutti siamo soggetti alla tentazione della superbia, che illude l'uomo di essere quello che non è, di poter bastare a se stesso, magari a danno degli altri. Solo l'umiltà e la semplicità ci rendono capaci di conoscere ed accettare la nostra povertà, affidandola al Padre, “Datore di ogni bene" sapendo che 'tutto concorre al bene per chi ama il Signore'.

Ricordo spesso gli incontri con Padre Clemente Rebora, mio confratello rosminiano. Trascorremmo l'estate insieme, nel silenzio della Sacra di S. Michele (TO). Facevamo passeggiate insieme. Ero novizio e nulla sapevo della sua riconosciuta grandezza di poeta e della sua conversione, ma ne avvertivo l'autorevolezza. Cercavo di fare sfoggio di ciò che leggevo e sapevo. Certamente lui, scrittore, mi avrà compatito - anche se mai diede a vederlo - mentre io non percepivo la mia ignoranza al suo confronto. È quello che tutti rischiamo di vivere: ci facciamo un altare, su cui collocarci, senza capire che il nostro posto è 'essere lo sgabello per i Tuoi piedi'. Ci vuole tanta umiltà, che è la virtù che ci mostra la verità di ciò che siamo di fronte alla grandezza di Dio - 'Sono la serva del Signore' dichiara Maria all'angelo - e, contemporaneamente, ci fa comprendere quanto da Lui siamo amati, nonostante, anzi, grazie alla nostra pochezza - 'grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente' proclama, lodando il suo Signore.

Non resta che chiedere a Dio il dono dell'umiltà, che ci avvicina al Padre e ci tiene lontani da quei sogni di stupida superbia umana, che svilisce la nostra vera bellezza di creature amate dal Signore. Affidiamoci a Maria che con discrezione e nel silenzio ha accompagnato il Figlio nei momenti più importanti della Sua missione tra di noi: dall'Annunciazione al Natale di Gesù, rifiutato dai superbi e accolto dagli umili pastori e Magi nella grotta di Betlemme; nella ricerca per tre giorni del Figlio, ritrovato a 12 anni, Maestro tra i Dottori nel tempio e per tutto il lungo cammino di formazione dei 30 anni di vita nascosta a Nazareth. Quando Gesù, ormai adulto, darà inizio alla sua missione, Lo seguirà, senza quasi farsi notare, Discepola tra i discepoli, fino alla Croce, dove ci sarà donata dal Figlio come Mamma, cioè guida nella fede, nella preghiera, nell'attesa della Pentecoste, quando continuerà nello Spirito la missione affidatagli e lo fa ancora oggi: esserci vicina per aiutarci a diventare, come Lei, discepoli fedeli del Suo Figlio, nella semplicità e bontà di vita.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun ott 01, 2012 2:05 pm

      • Omelia del giorno 30 Settembre 2012

        XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Guai a chi scandalizza i piccoli
Dicevamo alcune domeniche fa, parlando del cuore dell'uomo, sede delle scelte da compiere e luogo sacro delle responsabilità, che chi sa educare il cuore di un bambino, compie la più grande opera di carità, davanti a Dio e agli uomini. Ognuno, nascendo alla vita, è come il bambino di cui parla oggi Gesù nel Vangelo: un piccolo essere fragile, inesperto, innocente ed aperto al bene, che è la bellezza di ciascuno di noi, ma, nello stesso tempo, esposto alle tempeste dello scandalo. Un tempo, quando i mezzi di comunicazione erano davvero quasi nulli, si era come avvolti in un mondo che offriva poco o nulla che offendesse l'innocenza di un piccolo, come anche dei giovani. Ricordo la mia infanzia ed adolescenza. La famiglia non solo era custode della nostra crescita nella fede e nella santità, ma era il luogo di una vera educazione al bene. Si cresceva all'ombra della bellezza vera. Non è più così oggi, dove il mondo pare divertirsi ad offrire la parte peggiore dell'uomo. Facile imbattersi in spettacoli televisivi in cui - al di là dell'avviso 'per un pubblico adulto' - dominano messaggi ambigui e immagini scabrose.

Sappiamo tutti quanto sia fragile il bambino, che tutto assorbe, senza consapevolezza piena, quasi fosse una 'spugna'. Offrire spettacoli o comportamenti spregiudicati, può davvero non solo guastare, ma anche modificare nel profondo la visione della vita di chi sta crescendo: una crescita che non è solo quella fisica, ma ancor più quella interiore. Il bambino, ma direi chiunque si affaccia alla vita con la voglia di conoscere, facilmente si lascia sedurre da quello che sente e vede e su quelle impressioni rischia di concepire una visione distorta della verità. Non usa mezze parole, Gesù, per condannare questo scandalo, ma toni duri.

Io non ringrazierò mai abbastanza i miei genitori, che crearono una famiglia dove la cura dell'innocenza e della fede era la priorità dell'educazione. Ringrazio mamma e papà per la loro dedizione e l'impegno e la testimonianza che mi hanno offerto per la mia crescita cristiana: un vero grande dono. È stata la forza per accogliere la mia vocazione e viverla. Purtroppo non tutti i bambini sono così fortunati. Un giorno ero con amici al ristorante. Mi colpirono due bambini che curiosavano su una rivista scandalistica. Espressi il mio dissenso e davanti alla reazione indifferente dei genitori, dopo un breve quasi battibecco, lasciai la sala. Dovremmo meditare e approfondire più spesso il Vangelo di oggi, che esprime la condanna verso ogni tipo di scandalo.
  • In quel tempo, Giovanni rispose a Gesù dicendo: 'Maestro abbiamo visto uno che scacciava i demoni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri'. Ma Gesù disse: 'Non glielo proibite, perché non vi è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi, è per noi. Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel nome mio, perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa'. "Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo, è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geenna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geenna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue. (Mc. 9, 37-47)
Gesù, pronunciando queste parole, tiene in braccio un bambino. Dobbiamo imparare la sua tenerezza, sapendo che è come volesse tenere stretta tra le sue braccia la debolezza di tutti, una fragilità che chiede protezione nella difficoltà di ogni crescita verso il bene, a tutte le età. Una crescita che dovrebbe avvenire senza il pericolo degli scandali, che possono stravolgere la vita e dare un volto drammatico all'esistenza che attende tutti. La realtà, infatti, è che tutti, oggi, senza distinzioni, conviviamo in questo mondo che ha perso il pudore, atteggiamento veramente bello agli occhi del Padre. Tutti siamo frutto delle sue mani ed è mostruoso, diabolico, imporre la visione del vizio, dell'egoismo.

Dio solo sa con quanti sacrifici si edifica un cuore di uomo e tutti siamo testimoni nella vita di questi sacrifici per dargli la bellezza che solo la virtù dona. Ma ciò che ritengo più drammatico è che oggi gli scandali sono in ogni manifestazione della vita, al punto tale che quasi non fanno più... scandalo! Si leggono fredde statistiche su decine di migliaia di fanciulli avviati alla prostituzione, usati per divertire gli adulti, di vite violentate nella brutalità per fini solo commerciali. Un tempo si conservava almeno l'orrore dello scandalo, oggi rischia di passare nelle coscienze quasi come segno di liberazione dalla virtù, eppure rimane sempre come un trauma per l'anima di chi lo subisce, incide talmente nel profondo dell'essere, da dare a volte un corso sbagliato all'intera esistenza.

Ecco perché oggi Gesù usa parole durissime, che dovrebbero far riflettere tanti, ma tanti, che forse non provano neppure più rimorso nel condurre una vita scandalosa. Non resta che pregare perché il mondo si riempia di giovani, di uomini e donne che sappiano e vogliano conservare quella bellezza del cuore, che sa emanare il profumo dell'innocenza. È bello incontrare o stare assieme a persone dalla vita sobria e semplice, in cui regna la presenza di Dio: sono una testimonianza preziosa che si contrappone all'oscurità dello scandalo.

Chiediamo al Padre di conservarci 'un cuore da bambini', che è la vera nostra bellezza davanti ai Suoi occhi. È un cammino esigente, ma necessario, se vogliamo davvero realizzare il fine umano e divino per cui siamo stati creati. Gesù ci guida e ci sostiene, Lui, l'Agnello innocente e senza macchia, affinché possiamo davvero 'essere ciò che siamo', come afferma Paolo VI, cioè figli del Padre:
  • Cristo nel suo Vangelo, c'insegna con la parola e con l'esempio come dobbiamo vivere, e con il sussidio interiore del suo Spirito, la grazia, e quello esteriore della sua comunità, la Chiesa, ci rende possibile compiere ciò che egli ci prescrive ... Nessuno si illuda. Cristo è esigente. La via di Cristo è la via stretta (cfr. Mt. 7, 14) ... Il Concilio dirà che, se abbiamo coscienza di quanto il battesimo opera nel nostro essere umano rigenerato, dobbiamo sentirci obbligati a vivere come figli di Dio, secondo l'esigenza di perfezione e di santità, che appunto deriva dalla nostra elevazione all'ordine soprannaturale. (Lumen gentium n 40)
Ma nessuno si spaventi. Perché la perfezione alla quale - siamo chiamati dalla nostra elezione cristiana non complica e non aggrava la vita, anche se ci domanderà l'osservanza di molte norme pratiche, atte piuttosto ad aiutare che non a rendere più difficile la nostra fedeltà. La perfezione cristiana esige innanzi tutto da noi la ricerca dei principi fondamentali del nostro essere umano. Il nostro dovere cerca di adeguarsi al nostro essere. Dobbiamo essere ciò che siamo. È questo il criterio della legge naturale, sulla quale oggi tanto si discute; ma che la semplice ragione rivendica nelle sue esigenze fondamentali, risultanti dalla vita stessa, interpretate dal buon senso, dalla ragione comune (cfr. Gaudium et spes, n. 36). È la legge che portiamo in noi stessi, in quanto uomini: «non scripta sed nata lex» (Cicerone); la legge che San Paolo riconosce anche nei popoli ai quali non fu annunciata la legge mosaica (cfr. Rm. 2, 14), e che il Vangelo ha assorbito, convalidato e perfezionato".



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Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 05, 2012 10:44 am

      • Omelia del giorno 7 Ottobre 2012

        XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        La famiglia, un dono, oggi, a volte incompreso
Il Vangelo di oggi con forza ci interpella sul grande sacramento del Matrimonio. Ogni uomo, nascendo, ha una sua vocazione, ossia una strada da percorrere, per realizzare pienamente se stesso, costruendo ogni giorno la sua santità. E questo sentiero, il più delle volte, è il Matrimonio e quindi la famiglia. Conosciamo tutti come questo grande sacramento venga oggi bistrattato, come pure non ci si riesce a darsi una ragione del fatto di così tante separazioni, che avvengono spesso anche dopo un brevissimo lasso di tempo vissuto insieme. Alla base di una tale reale 'emergenza' - personale e sociale - certamente esiste una scarsa o precaria preparazione a questa stupenda vocazione, la più diffusa, in cui si misura la capacità e la vera natura del volersi bene. Per tanti amarsi è seguire un sentimento, cioè innamorarsi, ma questa è solo una prima tappa - importante, ma non fondante - che poco ha a che fare con la vera natura dell'amore. È vero che l'amore trova la sua base sul sentimento, ma questo, se non è educato, rischia di finire presto, mentre la famiglia e il matrimonio hanno bisogno di continuità.

L'amore non è certamente solo il 'sentirsi innamorati', ma va oltre: è una scelta di voler amare e come tale necessita di tempo, di fedeltà, di continuità per diventare davvero amore, quello vero. Un tempo, nella società tutta, il senso della famiglia era profondo e serio: viveva di profondità e in una visione effettiva del 'per tutta la vita'. Ho sempre in mente le parole che un giorno mi disse papà - io ero già sacerdote - 'Sono trent'anni che sto con mamma e mi sembra ieri, ma ti confesso che l'amo così tanto che se mi mancasse sarebbe come morire'. In altre parole mi voleva dire che quando si ama veramente, proprio per la natura dell'amore, che non è sono sentimento passeggero, proprio per la sua natura fa dei due una realtà così profonda nella vita, che ha il segno dell'eternità. Aveva ragione papà a dire che perderla sarebbe stato come morire, perché mamma era diventata parte della sua stessa vita.

Il male di oggi è la troppa superficialità, che si ferma alla provvisorietà di un innamoramento, dopo di che, se non coltivato, viene il vuoto e inizia la tragedia della rottura. Che la grazia del sacramento agisca e assicuri la continuità lo vedo da tante coppie che spesso chiedono una particolare benedizione in occasione dell'anniversario del loro matrimonio dopo 25, 30, 40 anni. Una fedeltà che commuove ed è la testimonianza più bella che amare è davvero 'mettere piede nell'eternità'. E sono tante ancora le famiglie che conservano un dono così prezioso. Ogni volta le incontro o le benedico tocco con mano l'efficacia della Grazia. Purtroppo è anche vero che in questo mondo, che ha al centro il consumismo, basato sull'usa e getta, gli stessi rapporti interpersonali e tanto più il matrimonio, sono privati di radici profonde e corrono il grave rischio di consumarsi in poco tempo e, a volte, con tanta leggerezza, senza valutare le drammatiche 'ferite' che arrecano... paradossalmente anche in chi crede di compiere un atto di 'libertà personale'. Ricordo un fotografo che mi manifestava la sua delusione, perché non sapeva a chi dare le foto di un matrimonio celebrato... pochi mesi prima e già in frantumi. Sono casi limite, si dirà, ma evidenziano come sia necessaria, soprattutto da parte della Chiesa, una vera preparazione, non superficiale, ma profonda, ossia che aiuti i fidanzati a conoscersi, valutare se sono in grado di compiere una vera scelta consapevole l'uno dell'altra, educandoli alla vera natura dell'amore, educazione che dovrebbe iniziare fin dai primi anni di vita nelle proprie famiglie, ma è così? Che l'amore soffra per le nostre fragilità, che spesso non ci rendono capaci di assumerci responsabilità, portandole avanti anche nelle difficoltà, è un limite che appartiene a uomini e donne di tutti i tempi, anche quelli di Gesù. Basta leggere il Vangelo di oggi:
  • "Avvicinatisi dei farisei per metterlo alla prova, domandarono a Gesù: 'E' lecito ad un marito ripudiare la propria moglie?'. Ma egli rispose loro: 'Che cosa vi ha ordinato Mosé?' Dissero: 'Mosé ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di rimandarla'. Gesù disse loro: 'Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma all'inizio della creazione Dio li creò maschio e femmina, per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e i due saranno una carne sola. Sicché non sono più due, ma una cosa sola. L'uomo non separi mai ciò che Dio ha congiunto. (Mc. 10,2-16)
Lungo è il cammino: occorre non solo pregare, ma cercare di formare i giovani, i fidanzati, non solo cristiani, alla responsabilità nella vita e, soprattutto, nel matrimonio. Unirsi in matrimonio è una vocazione, ossia una scelta che non può conoscere soste e tempo. È una scelta per sempre, che esige maturità umana e spirituale. Non è la grande festa di un giorno, ma deve diventare un cammino insieme di tutta la vita, volendo davvero insieme, e con l'aiuto della Grazia, per chi crede, diventare 'una sola cosa' nello spirito, oltre che nella carne. Vale sempre la ragione di mio papà, che credo sia anche di tantissimi papà e mamme: 'Se mi mancasse... mi sentirei morire', perché sarebbe come perdere 'una parte di sé': questo è il matrimonio a cui si deve aspirare e per cui si è disposti alla 'rinunciare di sé' , intesa come pretese di illusoria 'libertà' ed egoismo.

Bisognerebbe, in un tempo come il nostro in cui regna tanta superficialità ed individualismo in tutto, educare alla serietà e alla gioia del dono, unica via per una realizzazione personale e maturazione vera. Non dobbiamo mai dimenticare che la nostra cosiddetta 'libertà', non può essere tale se lede i diritti degli altri. Abbiamo mai provato a metterci nei panni di figli che vivono il dramma della separazione dei genitori? Pagano conseguenze terribili per l'immaturità di chi dovrebbe proteggerli, provando confusione, disorientamento, sofferenze che pesantemente influiranno sulla loro vita, sulla loro crescita come persone. Il Vangelo di oggi pone accanto alla necessità della fedeltà nel matrimonio, la conseguenza sulla sorte dei piccoli. Gesù amava i bambini, proprio perché più deboli. E lascia un monito che deve farci pensare: 'Lasciate che i bambini vengano a Me. Non glielo impedite, perché a chi è come loro appartiene il Regno dei Cieli'. Affermava Giovanni Paolo II:
  • La famiglia cristiana, in quanto Chiesa domestica, costituisce una scuola nativa e fondamentale per la formazione alla fede. Il padre e la madre ricevono dal sacramento del matrimonio la grazia e il ministero dell' educazione cristiana nei riguardi dei figli, ai quali trasmettono e testimoniano insieme valori umani e valori religiosi. Imparando le prime parole, i figli imparano anche a lodare Dio, che sentono vicino come Padre amorevole e provvidente, imparando i primi gesti d'amore, i figli imparano ad aprirsi anche agli altri, cogliendo nel dono di sé il senso del vivere umano...
    Quanto più i coniugi e i genitori cristiani cresceranno nella consapevolezza che la loro 'Chiesa domestica' è partecipe della vita e della missione della Chiesa universale, tanto più i figli potranno essere formati al senso della Chiesa.
Non ci resta che pregare la Sacra Famiglia di Gesù, Giuseppe e Maria. Sia la sola scuola di vita di tante famiglie che, con me, cercano il vero segreto della gioia e della santità. Prego per voi.



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Messaggio da miriam bolfissimo » lun ott 15, 2012 8:46 am

      • Omelia del giorno 14 Ottobre 2012

        XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Tu vieni e seguimi
Difficile conoscere il cuore degli uomini, sempre, come spesso è difficile decifrare il nostro cuore, anche quando meditiamo la Parola di Dio, direi, anzi, che ogni volta che cerchiamo di immergerci nella Sua Parola, ci prende una grande confusione, dovendo constatare il grande distacco tra ciò cui aspiriamo e ciò che viene richiesto. Quando parla della difficoltà del nostro cuore, intendo riferirmi alla sede delle nostre scelte, soprattutto quelle profonde, su cui poi indirizziamo non solo gli affetti, ma l'intera vita e con essa la scommessa della vera felicità o, se volete, la scoperta del segreto di ciò che Dio, creandoci, ha 'sognato' per noi. Infatti il cuore dell'uomo è diventato un groviglio di interessi, che a volte si affannano a detenere il primo posto - per poi magari essere smentiti subito dopo da altri in contrasto.

Al mattino - si spera - preghiamo: 'Ti adoro, mio Dio, ti amo con tutto il cuore e sopra ogni cosa ... ' e poi durante il giorno ci accorgiamo di rincorrere ben altro: interessi materiali, cercati a volte disordinatamente o, più semplicemente tutta una serie di azioni dettate semplicemente dal tanto radicato nostro egoismo. Alla fine - ed è Grazia - ci viene da chiederci: 'Ma io amo veramente Dio?' O forse ci chiediamo: 'Dove si dirige il mio amore? È davvero il centro delle mie scelte, da cui prendono sapore e gusto le altre creature e la stessa mia vita?'. C'è nella vita di ciascuno di noi qualcuno o - Dio non voglia - qualcosa che amiamo di più: qualcuno o qualcosa che abbiamo scelto come il più grande amore, cui dedicare la massima attenzione, fino a dare la vita se necessario! Un amore, insomma, che è come il nostro respiro e dà senso a tutto. Può venire a mancare tutto e ... sarebbe sopportabile, ma guai se venisse a mancare questo amore. Come quando due persone che si amano con totalità, se una delle due sta male ed occorre curarla, si è disposti a vendere tutto, purché sia salva la vita di chi si ama. È l'amore e lì è la felicità.

Sappiamo tutti che noi veniamo alla vita per la volontà del Padre, il quale non solo sa a chi affidarci, ma dà alla nostra vita come un progetto da realizzare. In questa vita terrena abbiamo il compito di raffinarci nell'amore, eseguendo la Sua volontà che ci manifesta, ma lascia sempre liberi di scegliere. È il progetto che Dio a ciascuno di noi, ora, nella nostra vita quotidiana, manifesta in mille modi, attraverso i nostri doveri, le persone che incontriamo, i fatti che ci accadono, la Sua Parola, nel matrimonio, nella vita consacrata, nelle missioni ... insomma, a ciascuno Dio crea una strada da percorrere, che diventa il filo da seguire. Noi le chiamiamo scelte, ma direi che, più che nostre scelte, dovrebbero essere il frutto della ricerca, che ciascuno fa nella vita, delle scelte 'sognate' da Dio per la nostra realizzazione e pienezza di Vita.

È vero che sono infiniti i modi di vivere le scelte, ma è altrettanto vero che tutte dovrebbero essere un 'fiat' generoso alla volontà del Padre, che ha tutto preparato per noi. Non avrei mai immaginato di vivere nella mia vita quello che ho vissuto! A cominciare dalla mia vocazione alla vita religiosa, al mio essere parroco nel Belice, con tutto quello che è accaduto, fino alla sorpresa di essere chiamato dalla Chiesa ad essere vescovo. Nulla di tutto questo era nei miei sogni da fanciullo. Nella prima adolescenza avevo avuto qualche pensiero sull'essere missionario in Africa, ma poi le cose sono andate diversamente e così, facendomi prendere per mano, come religioso, dall'obbedienza, mi sono visto mandato dove non avrei mai immaginato di andare ed essere quello che mai mi era passato nemmeno per la testa. Ma ora, a distanza, riesco a vedere chiaro la mano di Dio che ha fatto di me quello che non avrei mai sognato!

Ricordo sempre quando Paolo VI mi chiese di accettare di essere vescovo. Rimasi talmente confuso, che non seppi dire una parola, salvo poi dire la sola che mi venne: obbedisco. Essere cristiani è essere come fanciulli che non conoscono la strada, ma si affidano ciecamente a Chi li prende per mano, pienamente fiduciosi, anche se a volte in qualcuno è forte la tentazione di dire 'no' alla voce di Dio, l'unica vera causa di 'tristezza' nella vita.
  • Mentre Gesù stava per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e gettandosi in ginocchio davanti a lui gli domanda: 'Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?'. Gesù gli rispose: 'Perché mi chiami buono? Nessuno è buono se non Dio solo. Tu conosci i comandamenti: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza, non frodare, onora il padre e la madre '. Egli allora gli disse: 'Maestro tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza'. Allora fissatolo, lo amò e gli disse: 'Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri e avrai un tesoro in cielo, poi vieni e seguimi'. Ma egli, rattristatosi per quelle parole, se ne andò afflitto, poiché aveva molti beni. Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: 'Quanto difficilmente coloro che hanno ricchezze entreranno nel regno dei cieli!'. I discepoli rimasero stupefatti a queste parole, ma Gesù riprese: 'Come è difficile entrare nel regno di Dio! È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco nel regno di Dio!'. Ma i discepoli ancora più sbalorditi dicevano tra loro: 'E chi si può salvare?'. Ma Gesù, guardandoli, disse: 'Impossibile presso gli uomini ma non presso Dio! Perché tutto è possibile a Dio!'. Pietro allora disse: 'Ecco noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito'. Gesù gli rispose: 'In verità vi dico: non v'è nessuno che abbia lasciato casa, fratelli, sorelle o padre o madre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case, fratelli, sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni e nel futuro la vita eterna'. (Mc. 10, 17-30)
Fa davvero pensare quel giovane, presentatosi a Gesù con entusiasmo, di fronte alla scelta del Maestro e alle sue richieste ... rattristatosi, rifiuta di seguirLo, perché aveva molti beni! Fa davvero pensare il rifiuto del giovane, che si era presentato a Gesù con entusiasmo ed era stato scelto dal Maestro.Certo può sembrare un linguaggio duro questo offrirsi di Dio, come il più grande Amore, che deve occupare tutta la vita. Chissà quante volte, anche oggi, avviene questo rifiuto.

Non si può comprendere come si possa rifiutare l'offerta di essere amati in modo totale da Dio, ma comprendiamo benissimo come la inevitabile conseguenza sia un profondo 'rattristarsi'. Del resto quale importanza possono avere tutte le cose di questo mondo, una volta che si è trovata 'la perla preziosa'. Possiamo ammirare, godere di tante bellezze e comodità della vita, sono sempre creature di Dio, ma sono, appunto, solo creature ... passano! Eppure siamo pronti a venderle tutte per non perdere una sola fibra del Suo Amore? È questo davvero l'atteggiamento spirituale di ogni cristiano, qualunque sia la via maestra - matrimonio, vita consacrata ... - che per lui il Padre ha disegnato?

Fa davvero riflettere quello che da parte di tante mamme e papà che, fin da piccoli, indirizzano i figli verso traguardi che nulla hanno a che fare con la vita eterna. Ogni volta incontro giovani, mamme, papà, che hanno a cuore una vera educazione dei figli alla vita con Dio provo una grande gioia. È una gioia che vorrei fosse di tutti quelli che con me riflettono sul Vangelo di oggi. Dovremmo avere sempre davanti al cuore e alla mente le parole che Gesù rivolse a Pietro, che affermava: 'Noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito...'. La risposta del Maestro è chiara, sicura e fedele: In verità in verità vi dico: 'Non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o padre o madre o figli o campi a causa mia e a causa del Vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madre e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna'.

Mettere l'amore al Padre al primo posto, affidandoci alla Sua volontà, è la strada maestra, sicura, che auguro a tutti noi per essere davvero figli felici qui e, soprattutto, nella Casa del Padre.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 19, 2012 8:47 am

      • Omelia del giorno 21 Ottobre 2012

        XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Il cristiano vero ama il servizio, non il potere
Mi sono chiesto tante volte cosa spinga tanti uomini e donne a farsi avanti per essere sulle prime pagine dei giornali, delle riviste o della cronaca in genere, e non solo nel campo della politica o dell'economia o dello spettacolo, ma a volte in quello della violenza o della malavita organizzata. Ed è emersa una risposta abbastanza evidente. Sono due le 'sirene' che attraggono, seppur nascoste sotto modi e forme diversi: il prestigio e il potere. È difficile sottrarsi alla tentazione del fascino di queste 'sirene'! Se si ha l'occasione, ben volentieri ci si lascia sedurre. Del resto 'l'occasione fa l'uomo ladro' è un detto della saggezza antica, quella che nasce da una lunga esperienza del vivere umano! Il successo e il potere garantiscono di finire sulla bocca di tutti, di entrare nella vita di tanti e diventano un sogno per molti. Poco importa se, spesso, per arrivarci si debbano percorrere vie in cui si fa scempio di ogni rispetto alla giustizia, alla propria dignità morale, se si deve ignorare ogni sentimento di solidarietà verso gli altri, che invece, per noi che siamo di Cristo, sono valori che hanno il primo posto nella vita.

Dobbiamo esserne consapevoli: il prestigio e il potere, in ogni campo, esigono come prezzo di essere posti come principi di vita, da non mettere mai in discussione, se li si vuole raggiungere... anche se le conseguenze sono a volte devastanti: masse di affamati, moltitudini di emarginati, schiere di disoccupati, senza considerare il vuoto esistenziale, il deserto interiore, che una tale visione di vita, a lungo andare provoca in chi si è reso schiavo di tali 'sirene'. Il prestigio e il potere si rivelano 'padroni', che inaridiscono coloro che li seguono, rendendoli 'duri di cuore', fino a pretendere dagli altri un servizio, che è servilismo, distruggendo la meravigliosa condivisione e senso dell'uguaglianza nella dignità, che solo l'amore sa costruire. Ricordo una visita in un carcere. Ero stato invitato da alcuni detenuti per un colloquio. Uno di loro mi fece attendere un'ora. Quando finalmente comparve, con una certa delicatezza, gli feci rilevare la non opportunità di un simile atteggiamento. La risposta fu brutale, di quelle che danno la misura di che cosa sia 'il trono', che ci si può costruire 'dentro'. Con fare sprezzante quasi mi urlò: 'Nessuno le ha mai detto chi sono io? Nessuno le ha mai parlato del mio potere? Sappia che ho ucciso più di 27 persone!'... e vi era un chiaro compiacimento in queste sue parole! Gli risposi: 'lo non ho mai torto un capello a nessuno. Sono qui, perché sono stato invitato da lei e dai suoi compagni, e la ringrazio. Forse ai suoi occhi, per questo mio servizio, sono un niente, ma ho scelto io di voler essere un niente senza morti, abbracciando come principio della vita il servizio'. Mi guardò con attenzione, con un senso di sufficienza, poi ebbe una reazione furibonda e, mentre uscivo, urlò: 'Questa sera non arriverà a casa'. Un vero delirio di chi si sente grande... a suo modo!

Sappiamo tutti che la superbia è il grande male, iniziato all'origine della creazione dell'uomo, a causa dell'uomo stesso. I progenitori erano stati creati per la felicità, erano il primo frutto dell'amore del Padre... ed erano nello stesso tempo la nostra origine. Dio permise che l'amore fosse messo alla prova, perché amare è sempre una scelta libera. Il demonio seppe ingannarli, facendo balenare ai loro occhi la possibilità di 'essere come Dio, disobbedendo': è la tentazione della superbia, ieri, oggi e sempre, perché i nostri pro genitori caddero e quel vizio è ora annidato in ogni uomo. Il Vangelo di oggi ha una prima parte in cui affiora la voglia di emergere, del potere e dall'altra la risposta netta di Gesù: 'Chi vuol essere primo tra di voi sarà servo di tutti'. Ricordiamo sempre che tutto quello che Gesù, il Figlio dell'uomo, chiede, lo ha vissuto in prima persona: è la grande lezione nella lavanda di piedi agli Apostoli.
  • In quel tempo si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, dicendogli: 'Maestro noi vogliamo che tu ci faccia quello che ti chiederemo'. Egli disse loro: 'Cosa volete che io faccia per voi?'. Gli risposero: 'Concedici di sedere nella tua gloria uno alla tua destra e uno alla tua sinistra'. Gesù disse loro: 'Voi non sapete ciò che domandate. Potete bere il calice che io bevo o ricevere il battesimo con cui io sono battezzato?'. Gli risposero: 'Lo possiamo'. E Gesù disse: 'Il calice che io bevo anche voi lo berrete e il battesimo che io ricevo anche voi lo riceverete. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato'. All'udire questo gli altri dieci si sdegnarono con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù chiamatoli a sé disse loro: 'Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di loro il potere. Fra voi però non sia così, ma chi vuol essere grande tra voi sia il vostro servitore, e chi vuol essere il primo sia il servo di tutti. Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti'. (Mc. 10,35-45)
È evidente che i due apostoli, Giacomo e Giovanni, non ancora trasformati dallo Spirito, fino a divenire conformi al Maestro, ragionavano ancora come tanti di noi. Immaginavano che, stando vicino al Maestro, se non proprio subito, ma in un prossimo futuro, ne avrebbero condiviso la 'gloria'. Ma non potevano sapere, né tanto meno comprendere ed accettare, da un punto di vista puramente umano, qual era il loro - e spesso il nostro - che la 'gloria' era nell'annientamento per amore, attraverso la passione fino al colmo dell'umiliazione sulla Croce. Affermava Paolo VI: 'Che l'umiltà sia un'esigenza costituzionale della morale del cristiano, nessuno lo può negare. Un cristiano superbo è una contraddizione nei suoi termini stessi'.

Se ci guardiamo dentro con sincerità troviamo in noi stessi tanti lati oscuri, al punto da riuscire a volte ad appannare persino ogni tentativo di superbia, per mascherarla. Siamo proprio nulla. Solo del bene che lasciamo operare da Dio in noi dovremmo vantarci. Questo lo capivano e lo capiscono i grandi nello Spirito. Ho avuto la grazia di stare vicino a persone davvero 'grandi' agli occhi di Dio e degli uomini, proprio per la loro umiltà e confidenza nell'azione della Grazia, e sempre mi hanno colpito proprio per la loro semplicità di cuore, questa è la luce vera che effondevano ed effondono ancora. Così come nulla rattrista ed allontana come la superbia. Non resta a noi, che siamo di Cristo, che riconquistare quello spirito di verità che genera l'umiltà.

Alziamo il nostro sguardo a Maria Santissima. Nessuna creatura al mondo è stata e sarà grande come Maria, scelta da Dio ad essere Madre del Suo Figlio. Leggendo il Vangelo appare tutta la sua umiltà, quella che le fa cantare: 'L'anima mia magnifica il Signore, perché ha guardato all'umiltà della Sua serva... Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente e grande è il Suo Nome'. Che ci aiuti Maria a voler essere umili, ossia graditi a Dio e quindi amati ... anche se agli occhi degli uomini siamo considerati un nulla. L'umiltà è verità e aiuta a guardare con mitezza e bontà, con speranza radicata in Dio, ogni espressione della vita. Con questo spirito riflettiamo ancora con le parole di Paolo VI:
  • Noi abbiamo passato in rivista i nomi gloriosi che qualificano la Chiesa: regno di Dio e città di Dio, casa di Dio, ovile e gregge di Cristo, Sposa di Cristo, e cosi via; come pure abbiamo nominato alcuni degli aspetti con cui si presenta l'attività della Chiesa: Chiesa orante, Chiesa missionaria e militante, Chiesa povera e sofferente; ecc. Vi diremo ora che vi è un altro aspetto delle Chiesa in questo mondo, quello della Chiesa umile; della Chiesa, che conosce i propri limiti umani, i propri falli, il proprio bisogno della misericordia di Dio e del perdono degli uomini. Sì, vi è anche una Chiesa penitente, che predica e pratica la penitenza; che non nasconde le proprie mancanze, ma le deplora; che si confonde volentieri con l'umanità peccatrice per trarre dal senso della comune miseria più forte il dolore del peccato, più implorante l'invocazione della divina pietà, e più umile la fiducia della sperata salvezza. Chiesa umile, non nelle file del popolo fedele, ma altresì, e soprattutto, nei gradi più alti della gerarchia, che nella coscienza e nell'esercizio delle sue potestà, generatrice e moderatrice del Popolo di Dio, sa di doverle adoperare per l'edificazione e per il servizio delle anime; e ciò fino al grado primo, quello di Pietro, quello che definisce se stesso «Servo dei servi di Dio», e che sente, più d'ogni altro, la sproporzione fra la missione ricevuta da Cristo e la debolezza e l'indegnità propria, sempre ricordando l'esclamazione dell'Apostolo pescatore: «Allontanati da me, Signore, perché io sono uomo peccatore» (Lc. 5, 8). E qui un fatto singolare e stupendo si presenta, quello della santità e dell'indefettibilità della Chiesa e della rappresentazione di Cristo in essa, anche quando gli uomini di Chiesa sono personalmente manchevoli. La Chiesa di Pietro gode di un'assistenza di Cristo e d'una presenza dello Spirito Santo, che non consentono la prevalenza delle forze del male; e la Chiesa intera non cessa d'essere amata da Cristo anche nei più gravi momenti della sua umana fragilità, e di possedere nell'esercizio delle sue funzioni pastorali una santità strumentale, sempre capace di generare santità e salvezza «per l'edificazione del Corpo di Cristo» (Ef. 4, 12). Questa osservazione, che ci condurrebbe allo studio delicato dell'azione del Signore nella sua Chiesa, ci autorizza a fare a voi, diletti figli e figlie, una raccomandazione. Procurate di conoscere bene la Chiesa, di conoscerla meglio; ecco la raccomandazione. Non vi accontentate di impressioni superficiali, non giudicate la Chiesa soltanto dalla faccia umana e dalla veste esteriore, che essa presenta; conoscetela nella verità, nella ricchezza, nella profondità dei suoi molteplici aspetti, nel mistero umano-divino del suo essere interiore, nella santità e nella necessità della sua missione salvatrice".


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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 26, 2012 2:51 pm

      • Omelia del giorno 28 Ottobre 2012

        XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Una insistenza della preghiera che viene ripagata
"Che vuoi che io ti faccia?" È la domanda che Gesù pone al cieco, che aveva incontrato, mentre era in viaggio. E la risposta diretta del cieco è una grande lezione su cosa significhi avere fiducia, ossia fede: 'Rabbunì, che io riabbia la vista'. Tante volte capita anche a noi, nella necessità, di rivolgerci a Dio, ma quasi con arroganza, con la pretesa di essere esauditi, che è ben diversa dalla fede, che è un rimettersi alla bontà di Dio, certi che Lui sa quello che giova a noi ed è il nostro vero bene.

Pregare è, credo, innanzitutto affidare a Dio ciò che siamo e desideriamo, poiché è evidente la nostra continua esperienza di quanto poco possiamo e, quindi, la necessità di rivolgerci a Chi invece può tutto, ma senza mai dimenticare come ho già detto e ribadisco - che il Padre sa meglio di noi quale è il nostro vero bene. Questa è la fiducia che dobbiamo dimostrargli, mettendo tutta la nostra vita nelle sue braccia e lasciando a Lui, con molta fiducia, l'opportunità o meno di esaudire i nostri desideri, poiché noi, nella nostra pochezza, troppo spesso, misuriamo il bene della vita solo guardando alle necessità della terra, ossia alla breve esperienza che facciamo qui, prima della vera vita eterna, che per Dio è il nostro vero fine, la nostra vera realizzazione e salvezza.

Pregare è dialogare con Dio, per imparare a conoscerne i pensieri, il progetto d'amore da Lui pensato per ciascuno di noi. Vi può essere un momento più importante del dialogare con Dio? Ma sappiamo come è difficile questo atteggiamento già solo tra di noi, spesso le nostre sono solo chiacchiere senza contenuto, un parlare che fa solo rumore, ma quando il parlare diviene dialogo allora davvero si cerca nell'altro e con l'altro il vicendevole bene. Ci vuole però tanta fiducia, immensa fiducia, l'uno con l'altro: è un cammino difficile, come fu quello di Bartimeo, il cieco di cui parla il Vangelo di oggi:
  • Mentre Gesù partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: 'Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me'. Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: 'Figlio di Davide, abbi pietà di me!'. Allora, Gesù si fermò e disse: 'Chiamatelo'. E chiamarono il cieco dicendogli: 'Coraggio! Alzati, ti chiama'. Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. Allora Gesù gli disse: 'Che vuoi che io ti faccia?'. E il cieco a lui: 'Rabbunì, che io riabbia la vista'. E Gesù gli disse: 'Va', la tua fede ti ha salvato'. E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per strada. (Mc, 10, 46-52)
É davvero commovente la fede e la semplicità del cieco Bartimeo. Quando si rivolge a Gesù innanzitutto si appella alla Sua pietà, ed è questa fiducia che tocca il cuore di Gesù e diviene guarigione per Bartimeo. Molto diversa dalla preghiera di troppi che, a volte, si rivolgono a Dio con la presunzione di imporgli ciò che riteniamo ci sia necessario, senza chiederci se rientra nel nostro vero bene, quello che Dio solo conosce: un bene che non può essere solo la soddisfazione di quel che necessita qui, ma va oltre, e proprio per questo noi miserelli non siamo neppure in grado di valutarlo. È giusto, dunque, rivolgerci a Dio nelle nostre necessità, ma è più saggio abbandonarsi poi al Cuore del Padre, che sa quello di cui veramente abbiamo bisogno.

Ho conosciuto un uomo che aveva alle spalle una vita certamente lontana da Dio. Si trovò un giorno a doversi riparare dalla pioggia in una chiesa. Il silenzio del luogo sacro lo attrasse e avvenne l'Incontro. Passò ore davanti al Santissimo come a voler ricucire un dialogo che forse non c'era mai stato. Ma quando uscì da quella chiesa era ben altro, tanto che diceva a tutti coloro che conosceva o incontrava, meravigliandoli: 'Dio esiste. lo l'ho incontrato'... e scrisse anche un libro eccezionale su questa sua esperienza di vita... divina. Così come conosco famiglie che nella casa hanno un angolo, un piccolo spazio - tanto prezioso - per i momenti di preghiera, dove tutti, a sera, si ritrovano per condividere fede e fiducia e Dio li ripaga con una vita insieme che è vera comunione. Quando ci si affida a Dio, Lui non ci lascia mai a mani vuote.

Ben diversa la situazione di una persona che era in difficoltà e viveva il grande male della disperazione. Quando le dissi di provare a fidarsi del Padre e invocarlo nella preghiera, la risposta mi agghiacciò: 'Ma lei crede ancora a queste cose?'. Purtroppo sono tanti che ragionano come quell'uomo, ma sappiamo tutti come il dolore, tante volte, possa essere devastante, soprattutto se affrontato con le sole nostre forze, che sono talmente povere, fino a poter giungere a volergli porre un fine con il suicidio. Bisogna ritornare a chiederci, tutti, quale posto abbia Dio nella nostra vita. Dio non voglia, davvero, che lo abbiamo ridotto ad una pura astrazione, una illusione, una tradizione da vecchi ... peggio ancora 'oppio dei popoli'. Dio esiste, è il Vivente e la Sorgente della nostra vita, è Colui che ci mantiene nell'essere e nell'esistere e ha cura di noi, di ciascuno di noi ... personalmente! Questa è la nostra fede e questa è la ragione che ci porta a chiederci quale posto abbia ancora, in noi e nella nostra vita, la preghiera? Meglio ancora quale posto ha Dio in noi e come e quante volte nella giornata Gli parliamo, anche solo con uno sguardo o un sospiro del cuore o un breve dialogo spontaneo con Lui: questa è l'essenza della preghiera, sapere che c'è e veglia su di noi ed è l'Unico di cui non possiamo fare a meno. Non è lui l'assente, ma siamo noi che troppo siamo distratti da altre cose... Lui attende solo che, come il cieco Bartimeo, Gli rivolgiamo attenzione, parola e amore.

Voglio ricordare un esempio di preghiera che mi ha dato gioia. Era l'8 maggio del 1968, qualche mese dopo il terremoto del Belice. Subito dopo il dramma avevamo costruito, accanto alle baracche, una chiesa-tenda, come a ricordare a tutti che il Padre era tra di noi. Venne a visitarci l'On.le Aldo Moro. Quel giorno, come è usanza, vi era la supplica alla Madonna di Pompei. Il Presidente arrivò quando era iniziata l'ora di adorazione. Chiese di parteciparvi e stette per tutto il tempo in ginocchio, in atteggiamento di profonda preghiera, lasciando tutti noi stupiti, quasi attoniti. Solo dopo visitò le baracche. Ricordo che accanto a me un uomo, visibilmente commosso, disse: 'Finchè ci sono uomini così al Governo possiamo avere tanta fiducia'.

Sarebbe bello se ciascuno di noi creasse un momento della giornata in cui poter dialogare, con calma e nella pace, con Dio. Darebbe alla vita un altro sapore, quello che solo Dio sa donare. Ma saremo capaci di avere la fede di Bartimeo? Approfondiamo questo valore profondo della preghiera con le parole del caro Paolo VI:
  • La preghiera è un colloquio; un colloquio della nostra personalità attualmente cosciente con lui, l'interlocutore invisibile, ma avvertito presente, il sacro Vivente, che riempie di timore e di amore, il divino Ineffabile, che Cristo, (cfr. Mi.11,27) facendoci il grande, inestimabile dono della rivelazione, ci ha insegnato a chiamare Padre, cioè fonte necessaria e amorosa della nostra vita, invisibile e immenso come il cielo, come l'universo, dov'egli si trova, tutto creante, tutto penetrante e continuamente operante. Come risvegliare questo fondamentale senso religioso, nel quale soltanto la nostra voce minima, ma piena di significato, piena di spirito, trova la sua atmosfera, e può esprimersi gemendo e cantando la sua filiale parola: Padre nostro, che sei nei cieli? Risvegliare, dicevamo, nell'uomo moderno questo senso religioso, come si può? (cfr. Guardini, Introduzione alla preghiera). Perché noi avvertiamo l'enorme e cresciuta difficoltà, che oggi la gente incontra nel parlare con Dio. Il senso religioso oggi si è come affievolito, spento, svanito. Almeno così pare. Chiamate come volete questo fenomeno: demitizzazione, secolarizzazione, autosufficienza, ateismo, antiteismo, materialismo ... Ma il fatto è grave, estremamente complesso, anche se si presenta in pratica così semplice, e invade le masse, trova propaganda e adesione nella cultura e nel costume, arriva dappertutto, come fosse una conquista del pensiero e del progresso; sembra caratterizzare l'epoca nuova, senza religione, senza fede, senza Dio, come se l'unità fosse emancipata da una condizione superflua e oppressiva (cfr. Gaudium et Spes, n. 7).
    Così non può essere, voi lo sapete: ricordate forse - per dire tutto con un'immagine - la parabola del «filo dall'alto» dello Joergensen, quel filo che sostiene tutta la trama della vita, spezzato il quale, tutta la vita si affloscia e decade, perde il suo vero significato, il suo stupendo valore; quel filo è il nostro rapporto con Dio, è la religione. Essa ci sostiene e ci fa sperimentare in una gamma ricchissima di sentimenti, la meraviglia di esistere, la gioia e la responsabilità di vivere. Noi siamo certissimi di ciò. Il nostro ministero vi è essenzialmente impegnato, e soffre osservando come la nostra generazione faccia fatica a conservare e ad alimentare questo senso religioso sublime e indispensabile.


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Messaggio da miriam bolfissimo » lun nov 05, 2012 9:50 am

      • Omelia del giorno 4 Novembre 2012

        XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Il più grande comandamento
Credo che tutti conserviamo nella mente e nel cuore il ricordo dei nostri cari defunti. La prima domanda che viene alla mente, visitando le loro tombe è: 'Dove sono i miei cari, ora?'. Certamente occupano il posto presso Dio, che si sono costruiti nella vita o stanno pagando il modo disinvolto in cui hanno vissuto la loro esperienza qui tra noi, senza la presenza di Dio, forse quasi come se Dio non esistesse... alla Sua Misericordia e Bontà possiamo sempre affidarli. Quante volte penso ai miei cari e a tutte le persone che ho incontrato nella vita, come cristiano e ancor più come vescovo: tutti li incontrerò presso Dio. Posso dire di avere amato e servito tanta gente e a tanti, proprio donando Dio, che forse era stato messo da parte nella loro vita, l'ho fatto ritrovare...

Nel nostro tempo c'è una diffusa leggerezza, frutto di un mondo materialista, che ci porta a vivere il presente, con quel poco o nulla che contiene, come se fosse un assoluto, facendo tacere lentamente il pensiero del 'domani', che ci attende dopo la partenza da questa terra. È triste considerare la vita - immenso dono che Dio ci ha fatto, come cammino verso l'eternità della gioia - come un' avventura limitata o con poche o nessuna gioia. Dovremmo imparare a vivere l'istante, che è la nostra vita su questa terra, non con leggerezza, superficialità e tanto meno noia o, peggio ancora, 'sballo', ma con pienezza e impegno, frutti del nostro cuore e pensiero sempre rivolti all'eternità, che 'ci appartiene'. Là è la moltitudine di uomini e donne che sono vissuti tra di noi o prima di noi: tutti accomunati dal dono della vita, ma alcuni vissuta come prova di amore e bontà e, Dio non voglia, altri che hanno sprecato una tale opportunità, unica opportunità. Infatti, non tutti hanno la grazia di considerare questa vita un'attesa alla vita eterna. Per questi nostri fratelli occorre pregare, perché solo la Luce dello Spirito può aprire queste tenebre. Del resto è ben poco il tempo che viviamo su questa terra in confronto all'eternità che attende tutti, senza eccezioni... ma non tutti con la stessa sorte.

Quante persone ho avuto modo di conoscere che vivevano con il pensiero sempre rivolto all'eternità, quella beata. 'Che cosa vuole che siano i pochi anni di fatiche - mi diceva un amico - in confronto alla pienezza di Vita con il nostro Signore! È il solo interesse che mi accompagna e mi consente di vivere già qui con serenità, nonostante tutte le difficoltà e sofferenze, che offro per me e per le persone che amo'. Ma è davvero questa la verità della vita? E' bene farci questa domanda, soprattutto in questi giorni, in cui ricordiamo i nostri cari ... defunti, qui sulla terra, ma viventi presso Dio. Sì, i nostri cari sono in Dio e sono certo che pregano per noi, affinché quando sarà compiuto il nostro cammino li possiamo raggiungere. Ma qual è la via sicura che conduce al Cielo? Ascoltiamo la Parola di Dio di oggi, che ci illumina, fortifica e rassicura:
  • In quel tempo si avvicinò a Gesù uno degli scribi e gli domandò: 'Qual è il primo di tutti i comandamenti?'. Gesù rispose: 'Il primo è: Ascolta, Israele! Il Signore nostro Dio è l'unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. Il secondo è questo: Amerai il tuo prossimo come te stesso. Non c'è altro comandamento più grande di questi'. Lo scriba gli disse: 'Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all'infuori di Lui; amarLo con tutto il cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici'. Vedendo che gli aveva risposto saggiamente, Gesù gli disse: 'Non sei lontano dal Regno di Dio'. E nessuno aveva più il coraggio di interrogarLo. (Mc. 12,28-34)
La risposta di Gesù è di una semplicità disarmante, una risposta che è la regola di vita per eccellenza: la nostra esistenza quaggiù acquista un senso per l'eternità solo se vissuta nell'amore a Dio e ai fratelli. Se ci pensiamo bene, tutti, senza distinzioni, nel profondo del cuore sanno che amare ed essere amati è il vero segreto della gioia. È grande la gioia quando ci sentiamo amati in famiglia, tra gli amici, sul lavoro. Ma l'amore chiede di saper dimenticare se stessi per fare posto all'altro. Non è un sentimento che 'dura quanto dura', come troppi pensano.

L'amore è una scelta di vita che va coltivata nella fiducia, nell'ascolto, nell'attenzione, nella capacità di perdono. È farsi dono con tutto il cuore, anche a chi non ci pensa o non ci ama. Se ci interroghiamo seriamente su ciò che ci rende felici, la risposta non sarà in riferimento a qualche cosa di quaggiù, ma alla capacità di amare e di lasciarsi amare... nonostante tutto. Ci può essere intensità di gioia fuori dall'amore? Penso proprio di no. Ma quando l'amore diventa un dialogo con il Dio vivente e presente nella nostra storia quotidiana, davvero diventa 'estasi', cioè capacità di uscire dal nostro io egoistico per aprirci a Lui e ai fratelli. Amare Dio, per i martiri, è dare la vita per lui, ma per i Suoi discepoli, tutti noi, è donargliela, dimostrargli che Lo amiamo, ogni giorno, in ogni situazione, attraverso l'amore al prossimo. È la via della scelta battesimale, che Dio ci fa, di poter rendere tutto della nostra esistenza un amare Lui e i fratelli, ritenendo un nulla tutto quello che è solo terreno.

Vi è poi una via privilegiata, in cui Lui sceglie 'quelli che vuole': è la vita di consacrazione religiosa, che non è mai frutto di una decisione personale, ma la scelta stessa di Dio, che scegli alcuni, perché vivano per Lui totalmente: una totalità che si esprime con i voti di povertà, castità ed obbedienza, davvero scoprire e 'vedere' Dio in ogni aspetto del vivere quaggiù. È un'esperienza che, se vissuta in pienezza, è davvero un immenso dono di Dio. Basta leggere la vita di qualche santo, per ammirarne la bellezza. Mi ha sempre impressionato la vita di santa Teresina del Bambino Gesù. Una vita, all'apparenza quasi banale, ma che nascondeva una tale profondità, bellezza e trasparenza, freschezza del dono ricevuto, anche nei momenti più bui e difficili, da diventare davvero un paradigma della vita vissuta evangelicamente. Guardando a lei e a tutti coloro che hanno saputo vivere evangelicamente, cioè santamente, nell'Amore, nasce spontanea la domanda: 'Ma davvero, anche nella nostra vita, l'Amore di Dio è messo al primo posto, osservandone i comandamenti e soprattutto vivendo la gioia della sua Presenza e del dialogo con Lui?' Accogliamo l'invito del nostro Dio, espresso nelle parole del Deuteronomio:
  • Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio; il Signore è uno solo.
    Tu amerai il Signore con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima,
    con tutte le tue forze. Questi precetti che ora Io ti do, ti stiano fissi nel cuore. (Deut. 6, 4-6)


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » ven nov 09, 2012 8:33 am

      • Omelia del giorno 11 Novembre 2012

        XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        La carità verso i poveri deve essere generosità
Il Vangelo è veramente la Buona Novella che sconvolge tutte le regole e i comportamenti, che sono sempre stati la linea da troppi ritenuta necessaria, per stare a galla nel nostro mondo. La carità, che il Vangelo pone alla base di ogni scelta, è invece la capacità di guardare verso chi ci è vicino e soffre, per la malattia, per ogni tipo di sofferenza, o per non avere, a volte, il necessario per vivere. Di queste situazioni, anche se spesso sfuggono alla superficialità del nostro sguardo, abbonda ormai anche la nostra Italia. Arroccati sulla nostra sicurezza, facciamo fatica a guardare oltre il nostro benessere e così non riusciamo più - o, peggio, non vogliamo - vedere chi ci sta vicino e forse sta male. È incredibile che questo possa accadere, ma avviene. Ma come possiamo rafforzare la nostra fede o testimoniare la nostra carità, se non sappiamo neppure vedere le povertà? Nel Vangelo, che la Chiesa ci offre oggi, c'è veramente la fotografia della nostra società e, se vogliamo, l'invito ad un esame di coscienza su qual è il nostro personale atteggiamento verso chi ci è vicino e non ha di che vivere. Il Vangelo ci dà una stupenda lezione ...
  • In quel tempo, Gesù (nel tempio) diceva alla folla nel suo insegnamento: «Guardatevi dagli scribi, che amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere. Essi riceveranno una condanna più severa». Seduto di fronte al tesoro, osservava come la folla vi gettava monete. Tanti ricchi ne gettavano molte. Ma, venuta una vedova povera, vi gettò due monetine, che fanno un soldo. Allora, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato nel tesoro più di tutti gli altri. Tutti infatti hanno gettato parte del loro superfluo. Lei invece, nella sua miseria, vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere». (Mc 12,38-44)
Colpisce l'atteggiamento di Gesù, che osserva chi, andando al tempio, fa laute offerte. Ma è proprio dall'offerta donata che Gesù indica il comportamento giusto. Un giorno, dopo l'omelia, in cui avevo proprio parlato della carità, partendo dal Vangelo di oggi, in sacrestia mi raggiunse una signora, dalla presenza fragile e molto sobria. Si accostò e mi affidò un gruzzolo. Mi disse: 'Accetti questo, Padre. Sono i miei risparmi, ma mentre io questo poco che ho, altri non hanno nulla. Li dia a chi è più povero... , io mi aggiusterò...'. Cercai di dissuaderla, ma non ci fu nulla da fare. Era felice della decisione presa e così di essere in pace con Dio. Incredibile quella testimonianza, tanto simile all'immagine della vedova del Vangelo, che Gesù loda. Quel giorno avrà lodato anche colei che mi aveva dato i suoi risparmi per i più poveri.

Nel Vangelo di oggi Gesù, impietosamente, ma necessariamente, come fa il medico quando prende in cura un ammalato e lo vuole guarire, mette a nudo ciò che non è la verità dell'amore, quella cioè degli scribi, che 'amano passeggiare in lunghe vesti, ricevere saluti nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei banchetti. Divorano le case delle vedove e pregano a lungo per farsi vedere'. Per Gesù la vera carità dimentica anche la propria sicurezza, per supplire il vuoto di tanti. Del resto Gesù, Figlio del Padre, pur essendo Dio egli stesso, si è vestito concretamente della nostra miseria, vivendo la sua giovinezza nella dignitosa povertà di Nazareth, facendo dono della Sua Parola con i discepoli ovunque, in un continuo cammino, senza 'né pane, né bisaccia, né un tetto dove riposare', Non si è garantito nessuna sicurezza materiale: dormiva dove capitava, mangiava quando glielo permettevano o glielo offrivano e alla fine, per salvarci dalla nostra immensa miseria di peccatori, tagliati fuori dal Regno del Padre, ha dato veramente tutto, la sua stessa vita nell'umiliante crocifissione.

La sua vita è così diventata la testimonianza di come deve essere la nostra, pellegrini sulla terra: mai schiavi del benessere, ma sempre con il cuore che benedice Dio e gli occhi puntati su chi non ha, per amarli e, soprattutto, nell' amore ai fratelli rendere vero ed attivo il nostro amore al Signore, convinti che 'qualunque cosa farete ad uno solo di questi piccoli l'avete fatto a Me'. Ai suoi discepoli che un giorno discutevano su chi avrebbe avuto i primi posti nel Suo Regno, Gesù ha risposto: 'Chi di voi è primo si faccia servo di tutti. Il Figlio dell'uomo, infatti, è venuto sulla terra non per essere servito, ma per servire'. Il grande sant'Agostino, consacrato vescovo, così interpretava le parole di Gesù:
  • Da quando mi sono posto sulle spalle questo peso di cui dovrò rendere conto a Dio, sempre sono tormentato dalla preoccupazione per la mia dignità. La cosa più terribile nell'esercizio di questo incarico è il pericolo di preferire l'onore proprio alla salvezza altrui. Però se da una parte mi spiace ciò che sono per voi, dall'altra parte mi consola il fatto che sono per voi. Per voi infatti sono vescovo, con voi sono cristiano. E aggiungeva: Aiutateci con la vostra preghiera e la vostra obbedienza, perché troviamo la nostra gioia non nell'essere vostri capi, quanto nell'esservi utili servitori.
I Santi davvero sono la giusta immagine di quello che dovremmo essere tutti noi. Ricordiamoci sempre che l'egoismo, ossia la nostra attenzione rivolta solo su noi stessi e le nostre necessità - fossero anche più che legittime - è un pericoloso impedimento, che ci rende ciechi e sordi di fronte alle povertà e sofferenze, non solo dei lontani, ma anche di coloro che ci sono vicini. La vera carità è invece saper vedere - anche oltre le spesse dignitose apparenze - chi è in difficoltà, è sapersi fare carico delle sue fatiche, è risvegliare in noi il senso della solidarietà e la capacità di donarsi: 'Quello che fate ad uno di questi piccoli, l'avete fatto a Me'... non dimentichiamolo mai! Incontrai una volta, all'aeroporto di Roma il carissimo don Tonino Bello, che penso tutti conoscerete per la sua vita, che è stata davvero un dono, fino alla fine, per i suoi amati fratelli, soprattutto se deboli o sofferenti. Doveva tornare in parrocchia, ma non aveva soldi per pagare il biglietto. Nessuno lo ascoltava. Mi feci vicino e fui subito colpito da questo sacerdote, dal suo atteggiamento serio, ma profondamente buono. Gli pagai il biglietto e diventammo amici. Da vescovo fui ospitato nel suo episcopio ed ebbi conferma della prima impressione ricevuta, constatando la sua attenzione e, diciamo pure, preferenza verso i poveri. Oggi tutti conosciamo la sua grandezza d'animo ed è divenuto per tanti, come lo fu per me, un maestro di vita, un testimone di santità nella carità.

Sono tanti, per il mondo, i cristiani veri che, come lui, operano seguendo i passi di Cristo, nella via della povertà e della carità, senza fare rumore. Il beato Rosmini, fondatore dell'Istituto a cui appartengo, affermava che la povertà è il muro di sostegno della Chiesa. Ed è così oggi e lo sarà sempre. Sono i poveri in spirito, secondo il Vangelo, che sanno dare tutto di sé, facendo splendere la Chiesa di Gesù, povero, ma ricco di amore. Ricordo che un giovane medico, mio grande amico, un giorno, agli inizi del mio episcopato, vedendo la scala del vescovado sempre affollata di gente, che veniva a chiedere aiuto o la soluzione a qualche problema, mi disse: 'Quella processione di poveri è la più grande ed efficace predica che lei possa fare. Le auguro che sia sempre così. È un richiamo di cui abbiamo bisogno'. Non resta che pregare Dio, perché torni nella Sua Chiesa e nella vita di ogni suo discepolo, quella povertà evangelica che ne è il fondamento e la più efficace testimonianza.



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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2011/2012

Messaggio da miriam bolfissimo » lun nov 19, 2012 9:42 am

      • Omelia del giorno 18 Novembre 2012

        XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)



        Non corriamo, inutilmente e con gli occhi bendati, nella vita
A volte, con un semplice: 'Perché?', sfugge dalla bocca di tanti la vera preoccupazione profonda che ciascuno - consapevolmente o meno nasconde nel profondo - quella del chi siamo e del come viviamo nel breve periodo che ci è concesso da Dio su questa terra. Se non ci lasciamo troppo sviare dalle tante sirene che tentano di distrarci e farci vivere solo l'attimo fuggente, abbiamo come l'impressione che il tempo scorra via, alla velocità del suono, e paiono istanti gli anni vissuti su questa terra. Si ha davvero la sensazione che la vita corra più di quanto vorremmo, in un continuo mutamento, come una rincorsa tra speranze, ansie e sofferenze, ma soprattutto, se si fa strada la ragione, viene da chiedersi: 'Cosa sarà di tutti noi, del mondo, alla fine dei tempi?' Sappiamo infatti che, nel disegno del Padre, questa terra, su cui viviamo, non è affatto il Regno senza tempo che Dio aveva prefigurato per noi, creandoci. E il Suo progetto è fedele e dura per sempre, ancora oggi. È quindi una giusta domanda, quella che ci poniamo, che rivela, se fatta con serietà, nobiltà di riflessione, perché mette in discussione tutto di noi, per chi viviamo, del come viviamo, correndo verso il futuro che ci attende.

È vero che tanta gente preferisce o non vuole porsela, scegliendo di correre con gli occhi bendati, senza neppure chiedersi dove finirà la sua corsa su questa terra o stabilendo, semplicisticamente, che la conclusione è solo il nulla di una tomba. Che tristezza! Questo è davvero annullare ogni umanità e spiritualità dell'uomo, contraddire la sua evidente ansia di infinito, che è la traccia chiara che testimonia il nostro essere 'ad immagine e somiglianza di Dio", quindi creati per l'eternità. Dovremmo sapere tutti che la vita Dio ce l'ha donata, non come un soggiorno di breve durata qui, per poi finire tutto con la morte. Non avrebbe senso. Se riflettiamo anche solo un momento, con serietà, sentiamo che è forte l'interrogativo sul futuro, che inizia dopo la breve parentesi dell'esistenza su questa terra. Da dove giunge una tale 'ansia' di eterno? Può essere il frutto dell'essere solo 'polvere e fango' o non piuttosto il dono profondo dello Spirito che già abita in noi? Chiediamo la luce per credere o per confermare la nostra fede: sì, la vita è dono di Dio, per costruire la santità, che è amare come Lui ci ha amati, ed essere così pronti, domani, per incontrare il nostro Signore, che, per Amore, ci ha già riaperto le porte del Cielo.

Fin da quando ero piccolo, mamma, a tutti noi fratelli, chiedeva spesso la ragione del nostro essere al mondo. La risposta, che avevamo imparato al catechismo, era chiara ed anche rassicurante: 'Per conoscere Dio, amarlo, servirlo in questa vita, per poi essere felice con Lui in Paradiso'. Una breve, ma profondissima ed essenziale frase: che riassumeva tutto il senso di ogni vita umana. Purtroppo il nostro tempo, tanto evoluto e tecnologico, ma troppo materialista, ha cancellato questa 'ragione' fondante della nostra esistenza: una vigilia per la grande festa che ci attende, per cui dovremmo imparare a vivere con responsabilità ogni scelta terrena, con l'amore necessario, che si attinge guardando al Cielo e ci prepara alla Vita eterna, che ci attende.

Ricordiamocelo sempre: non siamo 'cose di breve durata', ma siamo preziose creature amate dal Padre. La nostra vita è un'attesa della vita eterna con Lui e con tutte le persone che abbiamo amato: un'attesa come bene è descritta da Gesù con la parabola delle vergini sagge. Esse sono attente e vigilanti, in attesa dello Sposo, e si fanno trovare pronte al suo arrivo. Le vergini stolte invece, spendono il tempo dell'attesa in distrazioni, 'si addormentano', e quando lo Sposo giunge all'improvviso le loro lampade sono spente. Lo Sposo passa ed esse non sono pronte. Per loro la porta viene chiusa e si sentono dire le terribili parole: 'Non vi conosco!', Gesù affronta anche il discorso dell'ultimo giorno, non come uno spezzarsi dei legami o l'oscurarsi di una speranza, ma come un cambiamento radicale che finalmente metterà a fuoco ciò che nella vita terrena davvero fosse importante: il Suo Amore e la nostra relazione di amore con Lui. Così, quel giorno, viene descritto, nel Vangelo di Marco:
  • "In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, e la luna non darà più il suo splendore, e gli astri si metteranno a cadere dal cielo, e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria. Egli manderà gli angeli e riunirà i suoi eletti dai quattro venti, dall'estremità della terra, fino all'estremità dei cieli. Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina, alle porte. Così anche voi: quando vedrete accadere queste cose, sappiate che egli è vicino, è alle porte. In verità io vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo avvenga. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto però a quel giorno o a quell'ora, nessuno lo sa, né gli angeli nel cielo né il Figlio, eccetto il Padre. (Mc. 13,24-32)
Nella mia giovinezza, età dei sogni, che facilmente rischia anche di conoscere l'amarezza del fallimento, il Signore mi mise accanto un padre spirituale - un po' come io mi considero nei vostri confronti - Ma era un padre davvero con tutti i segni della santità: un sacerdote che viveva sì con i piedi per terra, come tutti noi, ma con il cuore e la mente sempre indirizzati al Cielo, vivendo l'esistenza proprio come una vigilia del gran giorno con il Padre. Lui spiegava la vita dell'uomo, di ogni uomo o donna, con semplicità. 'In ciascuno di noi - amava ripetere - plasmato dalle mani del Padre, ci sono tre grandi momenti, che sono come tre porte, che si aprono una dopo l'altra. La prima è il giorno del nostro Battesimo, quando Dio ci chiama per nome a vivere sul modello della vita di Gesù, come un figlio con il suo Padre: è il morire al mondo per uniformarsi a Lui. La seconda porta è il giorno della nostra scelta su che cosa fare del dono della vita, ossia conoscere e vivere la vocazione che Dio mi ha preparato per arrivare a Lui: è l'abbracciare la Sua volontà o disegno preparato per me dall'eternità. La terza porta che si apre, è il momento più solenne: l'incontro con Lui e tutti i Santi in Cielo. Devi aprire ciascuna di queste tre porte - continuava a ripetermi - perché se anche una sola rimane chiusa la tua vita sarà come un fallimento. Per cui cerca di vivere ogni giorno l'impegno del tuo Battesimo, vivi con gioia e fedeltà la tua vocazione e troverai alla fine, spalancata, l'ultima porta, quella del Cielo'.

Il Concilio Vaticano II, che in questi tempi ricordiamo frequentemente, ha queste magnifiche parole: "La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati in Cristo e nella quale per mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità, non avrà compimento se non nella Gloria del Cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose ... Fino a che non vi saranno cieli nuovi e terra nuova, nei quali la giustizia ha la sua dimora, la Chiesa peregrinante, nei suoi sacramenti e nelle sue istituzioni, che appartengono all'età presente, porta la figura fugace di questo mondo e vive tra le sue creature, le quali sono in gemito e nel travaglio del parto e sospirano la manifestazione dei figli di Dio". Non resta che pregare con le parole del Salmo 15:
  • Il Signore è la mia parte di eredità e mio calice: nelle tue mani è la mia vita.
    lo pongo sempre davanti a me il Signore, sta alla mia destra, non potrò vacillare. Per questo gioisce il mio cuore
    ed esulta la mia anima;
    anche il mio corpo riposa al sicuro,
    perché non abbandonerai la mia vita negli inferi,
    né lascerai che il tuo fedele veda la fossa.
    Mi indicherai il sentiero della vita,
    gioia piena alla tua Presenza
    dolcezza senza fine alla tua destra.
Non possiamo che augurarci, e per questo pregare, affinché, quando arriverà il momento del nostro incontro con Dio, per entrare nella pienezza della Vita con Lui, per sempre, tutti ci possiamo ritrovare, felici di avere percorso insieme la strada verso il Cielo. Auguri.



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Messaggio da miriam bolfissimo » gio nov 22, 2012 10:36 am

      • Omelia del giorno 25 Novembre 2012

        Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo (Anno B)



        Solennità di Cristo Re: un potere che si fa dono
La Chiesa chiude l'anno liturgico con la Solennità di Cristo Re. La storia della salvezza inizia con la venuta e presenza tra di noi del Figlio di Dio. Sappiamo tutti che, dopo il peccato originale, l'uomo aveva escluso se stesso dalla partecipazione alla vita stessa di Dio. Con la scelta libera di voler 'essere come Dio' - tragico atto di superbia, istigato da satana, l'angelo ribelle; l'uomo si era privato del bene supremo, per se stesso e la propria eterna realizzazione: essere figlio del Padre, vivere a stretto contatto con Lui e poter un giorno ritornare alla Casa della sua origine. Un assurdo atto di superbia, di pura arroganza, quello dell'uomo creatura, che si ribella al suo Creatore: una superbia che ancora oggi serpeggia - è proprio il termine giusto - in tanti, che antepongono se stessi, misere e limitate creature, al nostro Dio e Padre, negando anche la profonda nostalgia di infinito ed eterno che ci abita, come 'traccia' indelebile del nostro essere stati creati, non per la materia, ma per vivere nello Spirito, poiché: “fatti a Sua immagine e somiglianza”. Questo mondo terreno e questa vita limitata dal tempo e dallo spazio non possono essere la nostra Casa definitiva. Lo vogliamo o no, tutti sentiamo la nostalgia di una felicità piena, che solo l'Infinito e l'Eterno, Dio, possono donarci: è questo il nostro vero DNA!

Dall'errore iniziale passò un lungo tempo di attesa e di preparazione alla riconciliazione, voluta dal Padre, con l'umanità, con ciascuno di noi. È la storia narrata nel Vecchio Testamento. Fino alla venuta del Figlio prediletto, tanto amato, l'Unico, che, facendosi uno di noi, assumendo tutto della nostra umanità, anche il peccato - causa della separazione - poteva annullarne le conseguenze - il dolore e la stessa morte - donando totalmente Se stesso, soffrendo e morendo sulla croce, per poi risorgere, perché anche noi potessimo 'rinascere a vita nuova'. Durante l'anno liturgico la Chiesa, non solo ricorda, ma rinnova la storia di quegli anni di Gesù tra noi, fino al momento in cui, con la Risurrezione, ha spalancato per noi il Cielo, divenendo davvero il nostro Signore e Re. Ora sappiamo che Dio è Padre, Gesù il nostro Salvatore e Re e noi figli e fratelli, chiamati, dopo il Battesimo, a costruirci quella storia di santità, che ci dà diritto al Cielo. Da qui la solennità della Regalità di Gesù, che la Chiesa oggi celebra.

È dunque giusto chiederci se la nostra vita è davvero un cammino verso il Cielo o non è spesso quasi un vagabondare senza meta. Davvero Gesù è il Re e Signore della nostra vita o, più per ignoranza, forse, che per cattiveria, percorriamo altre vie, che non portano al Regno di Dio? Abbastanza facilmente ci definiamo cristiani, ma la nostra vita è davvero un camminare seriamente e consapevolmente sulle orme di Cristo, seguendo il Suo esempio di vita, vivendo in comunione di sentimenti con Lui, operando sotto l'azione del Suo Spirito, o non rischia di essere spesso solo una formalità esteriore?

La Solennità di Cristo Re, il ripensare alla storia di Gesù tra noi, ci aiuta a riflettere e correggere, se necessario, l'orientamento della nostra esistenza. Gesù, Figlio di Dio, fatto uomo, pare quasi abbia scelto i momenti più drammatici della sua vita, per affermare le grandi verità del Cielo, così da escludere ogni possibilità di ombre o ambiguità nella loro comprensione da parte nostra. Davanti a Pilato, che aveva il potere di giudicare e condannare Gesù, si deve difendere da una precisa accusa, che sicuramente agli occhi del governatore della Palestina doveva apparire grottesca: 'Tu dici di essere il re dei giude '. Era mai possibile essere re senza un territorio, senza potere né uomini né armi? Ben altro era Pilato, che rappresentava l'Impero Romano, pronto a mostrare la sua forza, che non guardava troppo per il sottile i diritti degli uomini, altro era Gesù, davanti a Pilato, solo, vilipeso da tutti, abbandonato anche dai suoi discepoli, impauriti e nascosti, dei 'poveracci' diremmo noi oggi: Gesù, con la sola forza di Figlio di un Dio, alieno da ogni esercizio di potenza umana, di violenza e sopruso, un Dio 'che ama il diritto e la giustizia... che consola gli orfani e le vedove... pieno di misericordia verso tutti gli uomin '.

La potenza di Dio, in Gesù, era ed è, anche oggi, l'Amore, unica ragione della sua presenza tra di noi. E Gesù, sapendo di essere - come uomo e come Dio-Amore - totalmente nelle mani del mostruoso potere umano, avendolo liberamente accettato con la logica provvidenziale dell'Amore, che si fa dono, fino a donare la vita, essendo venuto tra di noi per farsi vittima agli occhi del Padre, per riscattare noi dalla colpa, all'accusa risponde con la disarmante chiarezza che è la caratteristica del suo essere la Verità: 'Tu lo dici: io sono re'. Davvero un Amore infinito e fedele che dovrebbe commuoverci e attrarci, ma che troppe volte dimentichiamo. Contempliamo l'incontro di Gesù e Pilato nel Vangelo di Giovanni:
  • In quel tempo, Pilato disse a Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». Rispose Gesù Cristo: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce». (Gv 18,33b-37)
Davvero due modi contrapposti di esercitare la regalità e il potere: il primo, di Pilato, del mondo, non è un servizio, ma solo l'affermazione di una supremazia, come se gli uomini fossero 'cose' e non meravigliosi figli del Padre; quello di Gesù, che, a differenza di noi, in quanto Figlio di Dio, il potere su di noi 'potrebbe' davvero esercitarlo, poiché 'da Lui, in Lui e per Lui noi siamo creat " sceglie invece 'il potere' dell'Amore che si fa dono per salvarci. La regalità di Gesù non si impone, la si può anche rifiutare, anche se il nostro rifiuto è come oscurare il Sole, mettendoci le mani davanti agli occhi, come a voler dimostrare che non esiste la luce! La regalità di Gesù altro non è che il Suo Amore per ciascuno di noi, un desiderio intenso di farci partecipare ai Suoi beni.

Da parte nostra non dovrebbe esserci che un fiducioso 'sì', un gioioso 'grazie', abbandonandoci tra le sue braccia, a volte distesi con Lui sulla croce, ma che è sempre riposare in un Dio che ci ama in totalità. Per questo è davvero bello fare festa oggi, celebrando la Regalità di Gesù: è sapere che siamo nelle sue mani e nel suo Cuore. É un grandissimo dono sapere di appartenere a Gesù, nostro Dio e Signore ed è gioia profonda poter dire, nella fede certa: Gesù è il Re della mia vita. Preghiamo che davvero Egli regni su di noi, a dispetto dei tanti Pilato, che continuano a pensare che il potere è quello che esercitano loro, senza rispetto della dignità altrui e perdendo anche la propria. Fermiamoci ancora un attimo a riflettere e pregare con le parole di Paolo VI.
  • Ricordiamo... Cristo non è lontano nei secoli e nei luoghi propri della sua apparizione storica; Cristo è venuto nel mondo per vivere la sorte dell'intera umanità, per assorbire in sé quanto di umano possiede la stirpe di Adamo, all'infuori, s'intende, della macchia originata dal primo fallo; è venuto per riflettere ed emanare da sé sul mondo, quanto di umano e di divino egli ha destinato a nostro conforto, a nostro esempio, a nostra luce, a nostra salvezza. Cristo è vicino, Cristo è presente, Cristo è nostro, se lo sappiamo capire ed accogliere... Ma anche sappiamo che egli, il Viandante che si fa compagno al fianco dell'uomo, sia che questi corra nuove strade veloci, o sia che stenti nella stanchezza il suo arduo cammino, è stato dichiarato da tanti e tante estraneo, sconosciuto, inutile, quando addirittura non stato accusato di essere l'ostacolo, l'avversario, il nemico da crocifiggere ancora, oggi, come nel venerdì esecrando e santo di allora. «Chi è Cristo? A che cosa mi serve? Conosce lui i miei problemi? Come può lui aiutarmi a risolverli? E che relazione esiste tra lui e questo avvento del mondo nuovo?»: questioni queste, che sono in fondo all'anima di tanti, e che spesso vengono alle labbra senza trovare risposta. No, una risposta comincia ad essere formulata e pronunciata... É Cristo, il Dio fatto uomo, che proclama la dignità della vita, e perciò il suo carattere sacro e supremo; è lui il liberatore dai confini, dai vincoli che costringono l'uomo nella statura inferiore delle sue espressioni materiali e animali, e l'innalza alla statura di Figlio di Dio; è lui che porta, con il dono di sé, l'amore al mondo e riannodando i rapporti dell'uomo con Dio, rapporti ineffabili di figli al Padre dei cieli, rende uguali e fratelli fra loro gli uomini; è lui che, facendosi nostra carne, santifica e benedice le cose della terra e della vita, e ci insegna a scoprirvi sapienza e bellezza, a goderne con temperanza, ad ordinarle alla conquista finale d'un bene trascendente ed eterno.

Davvero Cristo deve diventare il Re della nostra vita! Questa è la Grazia suprema, per noi.



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