Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Omelie di Monsignor Antonio Riboldi e altri commenti alla Parola, a cura di miriam bolfissimo
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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » ven giu 10, 2011 8:07 am

      • Omelia del giorno 12 Giugno 2011

        Pentecoste (Anno A)



        PENTECOSTE: il dono dello Spirito Santo
È grande la solennità della Pentecoste: Dio si fa ancora più vicino con la discesa dello Spirito Santo. È davvero il natale della Chiesa. Uno scrittore affermava: 'Benchè Gesù Cristo dopo la resurrezione si è fatto vivo ai nostri occhi, nondimeno sentiamo che Egli vive con noi, perché sentiamo il Suo Respiro. Chiamo 'respiro di Gesù Cristo' l'effusione dello Spirito Santo. La prima volta, che il genere umano sentì questo potente respiro, fu il giorno della Pentecoste. (Fornari)

Sembra di assistere con questo dono del 'respiro di Dio', al racconto biblico della stessa nostra creazione, quando Dio, dopo avere composto con il fango l'incredibile frutto del Suo Cuore, che siamo noi, lo rese partecipe della Sua stessa Vita, infondendogli il Suo 'respiro'.

L'uomo non può stare da solo: da solo è come fosse 'morto'. Creato da Chi è la stessa natura dell'Amore, che è Dio, l'uomo ha bisogno, come dell'aria che respira, di essere amato e di amare. Senza amore si sente come 'paralizzato': non riesce a capire e vivere la sua grande vocazione e realtà: 'il respiro dell' Amore'.

'Senza di Me - ha detto Gesù - non potete fare nulla, Io sono la vite, voi i tralci'. E per dare quasi un'immagine comprensibile, ci definisce 'dimora’ in cui sceglie di 'abitare' lo Spirito Santo. Ma così gli Atti raccontano la cronaca di questa grande Solennità della Pentecoste:
  • Mentre il giorno di Pentecoste stava per finire, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso un rombo dal cielo, come di vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove si trovavano gli Apostoli. Apparvero loro lingue di fuoco che si dividevano e si posavano su ciascuno di loro ed essi furono pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, come lo Spirito Santo dava loro di potere esprimersi. Si trovavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. Venuto quel fragore, la folla si radunò e rimase sbigottita perché ciascuno li sentiva parlare la propria lingua. Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore e dicevano: 'Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E come mai li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?

    Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia, dell'Egitto e della Libia, vicino a Curne, stranieri di Roma, Ebrei e proseliti Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio. (At. 2, 1-11)
E così, come 'nati da nuova creazionei gli Apostoli, non solo comprendono chiaramente in loro quanto era accaduto e quanto avevano ascoltato da Gesù, ma, con la conferma che Lui è veramente il Figlio di Dio, grazie a questa manifestazione e dono, a cui si accompagna una straordinaria potenza, a loro sconosciuta, iniziano a proclamare la Parola di Dio con coraggio, sulle stesse piazze da cui pochi giorni prima erano fuggiti per la paura.

Lo Spirito Santo era ora in loro 'come di casa', le loro voci erano la voce dello Spirito, che diffondeva la Buona Novella, il Vangelo per tutti gli uomini; le loro mani erano le mani dello Spirito che compiva prodigi, per confermare quanto la voce proclamava. Con la discesa dello Spirito Santo, la Chiesa aveva un 'Ospite', che assicurava parola e coraggio di vita.
  • L'anima della Chiesa - afferma Paolo VI – è lo Spirito Santo. Il Principio, cioè, invisibile e soprannaturale che fa vivere la Chiesa di Cristo, diffondendo in essi la grazia abituale, che percorre le sue membra, che conferisce alla Chiesa la sua natura di umanità collegata con Cristo e le infonde poteri e carismi, ne crea la coscienza e ne guida la storia.
È consuetudine che ogni cristiano, ad una certa età, riceva il sacramento della Cresima: è il giorno della nostra Pentecoste. Non so, da vescovo, a quanti fratelli nella fede, ho fatto dono della Cresima o Confermazione. Credo che tutti almeno abbiate il ricordo dell'unzione sulla fronte e del piccolo schiaffo, come a confermare la forza che si deve avere nella vita, da cristiani.

Confesso che, a volte, forse per una non appropriata formazione, ho avuto - ed ho - come l'impressione di offrire un Dono non compreso, che per troppi si riduce ad una festa esterna. Eppure lo Spirito è quella Presenza e Forza interiore che guida tanti a dare alla vita veramente un senso carismatico, fino a farli capaci di gesti grandi, fino ad accettare di vivere e morire da martiri. Chi infatti dona la forza di essere cristiani, come tanti nel mondo, dove esserlo è rischiare il carcere o la morte? O chi non scorge in tante nostre famiglie quel 'respiro dello Spirito', che rende i genitori veri testimoni del Vangelo?

È davvero immensa l'opera dello Spirito, in tutto il mondo: la Pentecoste è un 'oggi' ovunque. Basterebbe leggere ciò che avviene in tanti Paesi, dove cristiano è sinonimo di emarginazione o martirio. O basterebbe, a volte, ascoltare persone che fanno esclamare: 'Davvero è ispirata'. È davvero grande l'azione dello Spirito, 'vero respiro' di tanti. L'apostolo Paolo, scrivendo ai Corinzi, descrive i tanti modi con cui lo Spirito Santo si dona, che poi sono l'esperienza nella vita.
  • Fratelli, nessuno può dire: 'Gesù è il Signore', se non sotto l'azione dello Spirito Santo.

    Vi sono diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito. Vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità di tutti. Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un solo corpo, così anche Cristo. E in realtà tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito, per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi, e tutti siamo abbeverati a un solo Spirito. (Cor. 12,3-13)
Chiunque di noi può chiedersi, anzi deve, che posto abbia lo Spirito Santo nella sua vita quotidiana, nel ruolo che siamo stati chiamati a vivere, nella testimonianza, come quella degli Apostoli, che è - o non è - la nostra vita. Ogni giorno, anche ora che scrivo a voi queste riflessioni, mi chiedo quale sia l'azione che permetto allo Spirito di esercitare sul mio agire e, scrivendo, mi interrogo se ogni parola 'esce dalla bocca dello Spirito'... perché non posso permettermi di donare parole mie, che possono essere solo vuoto, e sarebbero solo una mancanza di rispetto nei confronti di chi mi legge.

Tutti hanno diritto di poter cogliere 'il respiro' dello Spirito in ciò che scrivo. Ho sempre davanti a me i tanti Suoi doni. Da ragazzo, preparato da un sacerdote santo, mi fu comunicato lo Spirito nella Confermazione, che invitava ad essere forti nella fede. Più grande ancora quando, ordinato sacerdote, mi furono unte le mani, che sono lo strumento del ministero pastorale, dall'Eucarestia all'Unzione degli Infermi. Da vescovo, solennemente, mi fu donata la pienezza dello Spirito e fu unto tutto il capo. Che responsabilità.

È dunque giusto, non solo davanti a Dio, ma verso tutti coloro che incontro nel ministero, che attraverso l'annuncio della Parola o la celebrazione Eucaristica, si 'senta il respiro dello Spirito'. Non è possibile essere vescovi e neppure cristiani, senza dare un segno, anche se piccolo, dello Spirito che è in noi. Questa Presenza operante dello Spirito non può che suscitare in noi, nella Chiesa, lo stupore di sentire la Sua opera in noi. Tornano le parole, piene di commozione e gratitudine, di Paolo VI:
  • Grande ora è questa che offre ai fedeli la sorte di concepire la vita cattolica come una dignità e una fortuna, come una nobiltà e una vocazione.

    Grande ora è questa che sveglia la coscienza cristiana dall'assopimento indolente in cui per moltissimi era caduta, e la illumina di nuovi diritti e doveri.

    Grande ora è questa che non ammette che uno possa dirsi cristiano e conduca una vita moralmente mediocre, caratterizzata dall'osservanza stentata di qualche precetto religioso e non trasfigurata dalla volontà positiva, umile e tenace sempre, di vivere la propria fede in pienezza di propositi.

    Grande ora è questa che bandisce dal popolo cristiano il senso della timidezza e della paura, il demone della discordia, la viltà degli interessi soverchianti quelli spirituali.

    Grande ora è questa in cui la Pentecoste invade di Spirito Santo il Corpo Mistico della Chiesa e gli ridà un rinato senso profetico. (Paolo VI giugno 1957)
Preghiamo con la Chiesa:
  • Vieni Santo Spirito, manda a noi dal cielo un raggio della tua luce.

    Vieni Padre dei poveri, vieni Datore dei doni, vieni Luce dei cuori.

    Consolatore perfetto, Ospite dolce dell’anima, dolcissimo Sollievo.

    Nella fatica riposo, nella calura riparo, nel pianto conforto.

    O Luce beatissima, invadi nell'intimo il cuore dei tuoi fedeli.

    Senza la tua forza nulla è nell'uomo, nulla senza colpa.

    Lava ciò che è sordido, bagna ciò che è arido, sana ciò che sanguina.

    Piega ciò che è rigido, scalda ciò che è gelido, drizza ciò che è sviato.

    Dona ai tuoi fedeli, che sono in te confidano, i tuoi santi doni.

    Dona virtù e premio, dona morte santa, dona gioia eterna.


Antonio Riboldi – Vescovo –

Internet: www.vescovoriboldi.it

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Messaggio da miriam bolfissimo » gio giu 16, 2011 2:12 pm

      • Omelia del giorno 19 Giugno 2011

        Santissima Trinità (Anno A)



        Solennità della SANTISSIMA TRINITÀ
Un tempo nelle famiglie si iniziava la giornata, come ogni azione, compresa quella del mettersi a tavola, con il 'segno della Croce', che è davvero il simbolo della nostra fede, come a confermare la consapevolezza che tutto era fatto nel Suo Nome. Un 'segno' davvero tanto semplice, ma accompagnato dalla professione della nostra fede, ossia, ciò che sto iniziando si compia 'nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo', nel ricordo della morte e resurrezione di Gesù, che sulla Croce ci ha salvati. È un semplice, ma profondo modo di proclamare la nostra fede ed anche di dare senso alle nostre azioni, oltre che metterle nelle sicure mani della Trinità.

Normalmente al segno della croce si aggiungeva la lode alla Trinità: 'Sia gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo'. La Chiesa stessa, ogni volta che prega, come a dare gloria e ragione a ciò che chiede nella preghiera, conclude: 'Per il nostro Signore Gesù Cristo, che è Dio e vive e regna nell'unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli’.

Una realtà di vita con il nostro Dio, che confermiamo nel Credo, riconoscendo quanto Dio ha realizzato per noi, cominciando dal Padre: 'Credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra', per poi contemplare Gesù: 'Credo in Gesù Cristo, suo unico Figlio, nato da Maria Vergine, fattosi uomo, fu crocifisso per noi, morì e fu sepolto, è asceso al cielo e siede alla destra del Padre'. Infine: 'Credo nello Spirito Santo, la santa Chiesa Cattolica', di cui lo Spirito è l'Anima. Un credo che è davvero non solo la nostra carta d'identità davanti a Dio, ma è anche la certezza del divino e stupendo Suo vivere ora vicino, tanto vicino a noi, per condividere, rispettando la nostra libertà, il cammino di fede della nostra breve esperienza terrena, per domani renderci partecipi della Sua Gloria in Cielo. La liturgia di oggi ci presenta l'apparizione di Dio a Mosé.
  • Mosé si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano. Allora il Signore scese nella nube, si fermò presso di lui e proclamò il nome del Signore. il Signore passò davanti a lui proclamando: 'Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e fedeltà.

    Mosé si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: 'Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, mio Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Sì è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato:fa “di noi la tua eredità. (Es. 34,4-9)
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    Pensando all'incredibile amore che la Trinità svolge in modo sorprendente in mezzo a noi, facendosi vicina e partecipe della nostra vicenda, non si può non essere assaliti dallo stupore. Accanto a ciascuno di noi veglia il Padre, che davvero non solo ci ha fatto dono della vita, ma ci ha affidato un compito che noi dobbiamo svolgere, che dipenderà dalle nostre scelte. Lui ci traccia la strada, mostrandoci la Sua Volontà - che è la nostra stessa piena realizzazione - e ci sta vicino come solo un padre sa fare.

    Ed è proprio il Figlio Gesù, che ci ha insegnato come sentirlo vicino, con la preghiera unica, ineffabile, che è il 'Padre nostro', un vero riassunto dell'amore del Padre per noi. Gesù, Suo Figlio, incarnandosi, non solo ha assunto la nostra natura, ma l'ha purificata dopo il peccato originale, restituendoci la possibilità di tornare con fiducia a Dio come figli prodighi, riassaporando ogni giorno la dolcezza e bellezza del Suo abbraccio. Il Padre, appena vide il figlio, che aveva abbandonato la Sua casa, per scegliere altro, 'commosso gli corse incontro, lo abbracciò e gridò: 'Facciamo festa!'.

    È una continua storia d'amore, che tutti conosciamo: la storia di un Padre, che conosce le nostre debolezze, eppure ha sempre le braccia aperte al perdono. Un Padre che, come tale, presiede la grande famiglia, che è l'umanità. Un'umanità che, come possiamo constatare ogni giorno, non sempre comprende e gioisce di essere tanto amata dal Padre, ma pare ami l'infelicità del figlio prodigo, non trovando il coraggio di 'rientrare in se stessa' e dire: 'Tornerò da mio Padre'. Così afferma Gesù a questo proposito:
    • Gesù disse a Nicodemo: 'Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in Lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di Lui".

      E poi Gesù avverte ciascuno di noi:

      "Chi crede in Lui non è condannato, ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'Unigenito Figlio di Dio'. (Gv, 3, 16-18)
    Ed è Gesù che, interpellato dai suoi discepoli - 'Maestro, insegnaci a pregare.' - ci ha trasmesso la più bella preghiera, uscita dal Cuore del Figlio, per noi figli prodighi: 'Padre nostro, che sei nei cieli... '. La più preziosa preghiera, che tutti dovremmo avere sulle labbra e nel cuore, perché, non solo è il programma della vita di ciascuno di noi, ma, quello che più conta, è un meraviglioso dialogo tra noi e il nostro Padre.

    Ed infine Gesù ci ha donato il Suo stesso Spirito, perché 'restasse con noi, fino alla fine dei tempi', ispirando le nostre scelte e donando la forza di compierle. Quante volte, incontrando o vedendo fratelli o sorelle di fede, si rimane come stupiti nell' ammirare come in loro davvero vive Dio. E quante volte udendo la Parola del Santo Padre, di sacerdoti o di semplici credenti, si coglie 'l'ispirazione' dello Spirito Santo che li guida.

    Abbiamo ancora nel ricordo, vivissima, la vita del beato Giovanni Paolo II, e più passa il tempo e più si ha la certezza che in lui davvero agiva lo Spirito Santo. Affrontava tutto, compresa la malattia, con la forza che è dono dello Spirito. Ho sempre nella mente la sua visita ad Agrigento. Si rivolse con forza, 'improvvisando', e scuotendo tutti, agli uomini della mafia: 'Non uccidete... '. Uno spettacolo divino della Presenza dello Spirito, che appare tante volte nella storia degli uomini. E dovrebbe essere anche in noi.

    Davanti a questo stupendo quadro del rapporto che la Santissima Trinità ha con ciascuno di noi, viene da pregare:
    • Credo in Te, Dio, mi fai scoprire il senso della vita; mi inviti a rimanere con te, a rimanere in tua compagnia, per scoprirti amore che si dona.

      Credo, mio Dio, che Tu sei Santo ed io ti adoro. Spesso mi chiudo nella mia fragilità, mi lascio imprigionare dalle mie paure, mi ancoro a tante mie certezze, e tu mi sussurri poche parole: 'Non temere, ti amo'.

      Credo, mio Dio, che tu mi hai dato tutto: ti ringrazio. Ti rendo grazie per la bellezza della creazione, per avermi pensato, desiderato e amato da sempre. Ti ringrazio per avermi dato la tua vita e aver offerto il tuo amore per me e per la mia salvezza.

      Credo, mio Dio, che tu sei pieno di misericordia. Le mie paure, i miei limiti, il mio peccato aprono le braccia della tua bontà. Tu sei qui, dentro di me, pronto ad accogliermi. Mi proponi la tua amicizia e mi sveli i desideri del tuo Cuore. Sii per me Luce che rischiara la strada, Parola viva che mi sostiene nelle scelte di ogni giorno.

      Grazie, o Dio, perché ci sei e bussi alla mia porta, anche quando la sbarro davanti a Te, finché io la apra, perché senza di Te la vita non ha futuro.
    È davvero una grande gioia, anche solo pensare che c'è Dio tanto vicino a noi, con amore. "Un maestro di spirito - affermava Paolo VI - diceva: 'Nella vita spirituale c'è una sola tristezza legittima, ed è quella che ci sorprende e ci deve prendere quando abbiamo peccato: i nostri peccati sono la vera e grande tristezza. E per questo c'è il rimedio: la misericordia di Dio'. Perciò la vita del cristiano deve sempre avere accesa sopra di sé la gioia. Tutto deve svolgersi nel clima di una semplice ma serena pace, che parte dalla grazia di Dio.

    Vorrei domandarvi: avete mai incontrato un santo? E se l'avete incontrato, qual è la nota che avete trovato in quell'anima? Sarà una gioia, una letizia così composta, così profonda, così semplice, ma così vera. Ed è questa trasparenza di letizia che ci fa dire: quella è davvero un'anima buona, perché ha la gioia nel cuore, ebbene, io auguro che voi tutti, che siete uniti a Cristo, abbiate sempre la letizia dell'anima". (Paolo VI, 1961)

    Ed è la gioia che oggi, nella solennità della Santissima Trinità, che è in noi, faccio a voi. Gioia: il più grande dono della fede.



    Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven giu 24, 2011 3:24 pm

      • Omelia del giorno 26 Giugno 2011

        Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Anno A)



        CORPUS DOMINI: “Io sono il pane della vita”
  • Io sono il pane vivo disceso dal Cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che Io darò è la mia carne per la vita del mondo. (Gv. 6. 51)
Nella solenne affermazione di Gesù c'è una profonda e grande verità, che non ammette discussioni. Lui 'è il pane disceso dal cielo': mangiarne è conoscere la vera Vita, che non si limita a quella materiale, ma va ben oltre, come conviene ad un uomo - noi, usciti da sempre dalle mani di Dio ­ che per 'vivere' ha un gran bisogno di Dio. Un bisogno che Gesù concretizza del 'suo pane'.

Siamo abituati ad un'infinità di proposte, che nulla hanno a che fare con la vita eterna - nostro vero destino - ma si limitano a questo momento del1'esistenza, qui sulla terra, e quindi le proposte sono, se tutto va bene, limitate e passeggere. Sono proposte che si concludono sempre in piccoli progetti per 'migliorare la vita', ma, spesso, neppure sappiamo cosa voglia veramente dire 'migliorare la vita' per una persona. Se per 'vita migliore' intendiamo pane, lavoro, ricchezza, potremmo rispondere che tanti, fra noi, oggi possono avere un pezzo di pane, una casa e fanno gridare allo stupore di sentirsi 'ricchi'. Tanto che uno scrittore ha detto che noi italiani facciamo fatica a 'vivere da ricchi'!

Forse si può essere ricchi di cose materiali, ma coloro che le possiedono sono davvero felici? Migliori? O non ci ritroviamo con tanta infelicità addosso, che fa discutere su questa proclamata ricchezza? Quella fatta di cose materiali è davvero la vera ricchezza di cui abbiamo bisogno: cose che non hanno voce e cuore? È altro 'il pane' che dà la vera felicità, che dura sempre: Gesù tra di noi.

Fatti per il cielo non potevamo assolutamente accontentarci di cose di piccola portata, che non hanno il domani dei figli di Dio. Tutto ciò che c'è attorno a noi, dal pane alla casa non ha eternità e non può essere la vera vita dell'uomo. 'Il Padre sa di quello che avete bisogno" voi ... 'Cercate il Regno dei Cieli ed il resto vi sarà dato in sovrappiù '. Gesù ci vuole dare qualcosa che vada oltre e che solo Dio sa indicare e donare. Ed ecco allora il dono dell'Eucarestia.
  • Gesù disse alle folle dei Giudei: 'Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo'. Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: 'Come può costui darci la sua carne da mangiare?'. Gesù disse: 'In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. Perché la mia carne è il vero cibo e il mio sangue la vera bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. (Gv. 6, 51-59)
Parole difficili forse a capire, ma sono la descrizione dell' Amore, che 'si fa a pezzi' per l'uomo, divenendo suo cibo. Questo stupendo evento, in cui il pane diventa 'carne di Gesù' e il vino 'Suo sangue', avviene sempre nella Santa Messa. Gesù si serve di noi sacerdoti o vescovi per attuare questo prodigio, proprio nella celebrazione Eucaristica.

Sono tanti anni che celebro la Santa Messa, ma confesso che ogni volta che arrivo al momento in cui avviene questo incredibile miracolo, mi riempio di stupore. Mi chiedo se Dio poteva fare un dono più grande a noi uomini ... per mezzo nostro?! Fin dove arriva l'Amore di Dio!... mentre noi siamo abituati a vedere solo nelle cose materiali il nostro pane quotidiano!!! A volte quasi mi attendo che quell'Ostia sanguini, come è avvenuto in qualche luogo.

Di certo è che in quel momento riconosco il grande Dono di Dio. Éuno stupore che trasborda in gratitudine, in amore, ed è come intuire e vedere il Cielo. E quanto più ammirabile il dono di Dio, che mi fa 'essere Gesù', che trasforma il pane nel Suo Corpo e il vino nel Suo Sangue. Tenere l'Ostia tra le dita è 'tenere' Lui stesso, Gesù. Mistero d'Amore. E quando Lo riceviamo in noi, Egli diventa 'una cosa sola in noi'.

Com'è possibile che tanti, che si dichiarano cristiani, possano concepire la Santa Messa come una 'cosa da poco', tanto che alla domenica preferiscono una gita o una fermata al bar alla partecipazione della Celebrazione Eucaristica. Non è una consuetudine, tanto meno un peso e neppure uno spettacolo da vedere la Santa Messa, ma un partecipare all'Evento. Ogni cristiano, nel battesimo, partecipa al sacerdozio di Gesù e quindi nella Messa partecipa attivamente all'azione eucaristica.

Occorrerebbe avere la fede dei cristiani di Abilene che, di fronte ai loro carnefici, che chiedevano loro di non celebrare più la Santa Messa, risposero: 'Senza Messa non possiamo esistere'. E così è per tanti - o forse pochi? - oggi.

Mamma da giovane, con le sorelle, ogni giorno d'estate o d'inverno, di prima mattina, percorreva 3 Km, per partecipare alla Messa. È troppo grande questo Dono che Gesù ci fa per esservi indifferenti o tradirlo, perché lo si trascura o lo si sente come un peso. Essere tanto amati può essere considerato un peso o non piuttosto una grande gioia? Ricordo la letizia che traspariva sul volto di un mio confratello, il famoso poeta Clemente Rebora, quando ogni giorno, alla Sacra di san Michele, celebrava la Messa e io la servivo. Era indescrivibile come si trasformasse, anche fisicamente, poiché viveva ciò che celebrava. Così san Paolo scriveva agli Efesini:
  • Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? Poiché c'è un pane per noi, pur essendo molti, noi siamo un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane. (Cor. 10, 16-17)
Penso a tanti nostri fratelli nella fede, in Cina, che devono celebrare clandestinamente la Santa Messa, rischiando la vita o al vescovo del Vietnam, che per la sua fede conobbe tanti anni di carcere. Si faceva dare dai carcerieri un poco di vino 'per la sua salute' e poi, alla sera, quando la sorveglianza veniva meno, con poche briciole di pane della mensa e con quel vino celebrava la Santa Messa. Me lo raccontava una volta, viaggiando insieme, quando, liberato, venne in Italia, e mi diceva: 'Quanta gioia durante quelle Messe! Quella cella, in cui ero rinchiuso, diventava la più bella cattedrale'.
  • Quale tesoro - affermava Giovanni XXIII – nella Santa Messa! Ma come spesso è lasciato, si direbbe, in disparte: sembra che molti, passandovi accanto, non si accorgano di questa mirabile sorgente di luce e di grazia, di santità. È proprio la Messa a suscitare invece la più intima familiarità dell'uomo con il suo Signore, con Colui che l'ha creato e redento.

    Grazie a Dio, molti invece sanno ancora apprezzare la ricchezza infinita dell'Eucarestia. Ai piedi dell'altare accorrono umile gente e grandi della terra. Le anime sono come rapite da questa unità col Salvatore, da cui sorgono infinite grazie. È la Comunione ad infondere la risolutezza e il coraggio che nessun intervento o scienza dell'uomo può riuscire ad ottenere fra noi.

    La Comunione dona incomparabili energie, che occorrono per il compimento del proprio dovere, per avere pazienza, per operare contro tutto e tutti, non certo in battaglia, ma resistendo, conquistando, diffondendo lo spirito di santificazione e di apostolato sociale.
Con la Chiesa cantiamo e ringraziamo Dio, per il dono dell'Eucarestia, che è la continua Sua Presenza tra di noi. Quante volte, passando accanto ad una chiesa, penso a Gesù che è lì, mi vede passare, e Lo saluto affettuosamente?

È davvero bello sapere che Gesù è, non solo in noi nella Comunione, ma tra noi, nelle tante chiese, rinchiuso nei tabernacoli. Lo ringraziamo con l'inno della Messa:
  • Ecco il Pane degli angeli, Pane dei pellegrini, vero Pane dei figli: non deve essere gettato.

    Buon Pastore, vero Pane, o Gesù, abbi pietà di noi.

    Nutrici e difendici, portaci ai beni eterni, nella terra dei viventi.

    Tu che tutto sai e puoi, che ci nutri sulla terra,
    conduci i tuoi fratelli alla tavola del Cielo, nella gioia dei tuoi Santi.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » sab lug 02, 2011 8:10 am

      • Omelia del giorno 3 Luglio 2011

        XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        Venite a me, voi tutti affaticati
  • Così dice il Signore: 'Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco a te viene il tuo Re. Egli è giusto e vittorioso; umile, cavalca un asino, un puledro, figlio di asina. Farà sparire i carri di Efraim e i cavalli di Gerusalemme, l'arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare, e dal fìume ai confini della terra. (Zaccaria 9,9-10)
Le parole del profeta Zaccaria fanno corona a quelle di Gesù, che oggi la liturgia ci invita ad ascoltare e fare nostre. Ci sono brani del Vangelo, che si staccano talmente dal nostro comune modo di pensare e anche di vivere, che sembrano davvero uno 'spaccato' di Cielo, che si apre sul capo degli uomini, come a mostrarci una dolcezza, una tenerezza di Dio, che difficilmente possiamo sperimentare tra noi uomini. Siamo abituati troppo spesso all'esperienza 'delle spalle curve', per il dolore o la croce che ci accompagna tutti, senza distinzioni, nella vita.

Basterebbe pensare alla grande sofferenza del beato Giovanni Paolo II, che, negli ultimi giorni della vita, appariva la domenica alle folle di piazza San Pietro: era visibile a tutti noi la sua pena di non riuscire a dire una parola. Un quadro agghiacciante e di profondo dolore, non solo suo, ma di tutti noi che, in quei momenti, e fino alla sua morte, abbiamo sofferto con lui, come fosse una croce uguale e comune.

Per alcuni, forse, la sofferenza può apparire come una maledizione, che non ci si riesce a togliere di dosso, tanto da pensare di liberarsene definitivamente con stupefacenti o con la via larga dei divertimenti a tutti i costi, a volte giungendo alla soluzione estrema ed inaccettabile, che è il suicidio o la volontà di eutanasia. Per altri, invece, la sofferenza è vivere nella verità della fede e dell'amore, che ha il suo fondamento nel dolore donato: la Croce è il segno inconfondibile dell'amore, quando questi è quello che deve essere, per sua stessa natura, cioè dono di sé, fino al sacrificio.

La vita di Gesù che si dona totalmente, fino alla Croce, è l'esempio vivo dell'Amore che si fa dono … meraviglioso Amore! Gesù, infatti, per tutto il tempo che visse tra noi, attraversando le vie della storia, vedendo la passione degli uomini, suoi contemporanei - simile in tutto alla nostra passione - fissava le folle che incontrava e lo attorniavano. Quelle folle vedevano in Lui l'ultima sponda della speranza e, quindi, della felicità. Davanti a queste folle, in cerca di qualcosa che desse ragione alla loro vita, Gesù esprime la Sua compassione, che non è un superficiale sentimento, che lascia tutto come prima, ma è condivisione totale con la passione dell'uomo.

Anzi, Gesù fa della nostra passione la Sua passione, accomunandosi con noi nel portare quella croce quotidiana e multiforme, che tutti portiamo. E si rimane con lo stupore sul volto e nel cuore, con il fiato trattenuto dalla meraviglia a pensare che le spalle di Dio sono vicine alle nostre spalle, quando si piegano per il forte dolore. E ciò dà al dolore il valore della dolcezza che viene da quell'Amore fattosi compassione – il patire.

Così nasce spontaneo il nostro Grazie. Grazie non per la croce in sé, ma perché la nostra croce, portata insieme, ci fa sperimentare dal vivo, quanto Dio si prenda cura di noi e ci voglia bene. Quante volte, incontrando i malati, scopro che sanno fare della loro malattia un modo di amare ed hanno il sorriso che brilla negli occhi, perché sono consapevoli di soffrire con Lui e per Lui. Anime davvero preziose, che sanno interpretare il Vangelo, che la Chiesa ci offre oggi.
  • In quel tempo, disse Gesù: 'Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a Te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare. Venite a Me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi e Io vi ristorerò.

    Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da Me che sono mite ed umile di cuore e troverete ristoro per le anime vostre. Il mio giogo è dolce e il mio carico leggero. (Mt. 11,25-30)
Quante perle dentro queste poche parole! Anzitutto un Dio che invita con amore accorato, come sa fare una madre, che conosce nella vita solo la dolcezza, che non tiene mai conto della fatica di essere sempre disponibile ad accogliere i figli che tornano affaticati e stanchi. La tenerezza di un Dio che vuole cancellare stanchezza ed oppressione, facendole proprie, ed in cambio dona la serenità del proprio stesso Cuore. Il Cuore e le braccia aperte di Dio, che invitano, dovrebbero commuovere ed attirare tutti ... questo solo Egli attende da noi.
  • Venite a Me, voi tutti, che siete affaticati ed oppressi ed Io vi ristorerò.
Sono tanto grandi le braccia e il Cuore di Dio, che l'immensità dei dolori di miliardi di uomini, là, in quelle braccia e in quel Cuore, diventano poca cosa ... Immenso il Cuore di Dio.

Ogni persona si vanta di avere un cuore. Quanti lo dicono e lo esaltano! Eppure è proprio lì che l'uomo viene a mancare. Non conosce le vie della bontà, che sono il frutto dell'umiltà di cuore. Un'umiltà che genera dolcezza, sa mettersi all'ultimo posto, per fare posto a tutti, che sa essere così grande e, nel silenzio, donarsi a tutti. Ma bisogna ritornare umili. Diceva il nostro sempre caro maestro, Paolo VI:
  • Tante volte vengono allo scoperto due malanni capitali della psicologia umana, colpevoli delle rovine più estese: l'egoismo e l'orgoglio. L'uomo allora fa centro su se stesso nella estimazione dei valori della vita: si fa primo, si fa unico.

    La sua arte di vivere consiste nel pensare a se stesso e nel sottomettere gli altri. Tutti i grandi disordini sociali e politici hanno, nell' egoismo e nell' orgoglio, il loro bacino di cultura, dove tanti istinti umani e tante capacità di azione trovano il loro profondo alimento, ma dove l'amore non c'è più. Ed anche dove questo sovrano sentimento ancora sopravvive, ma intriso di egoismo ed orgoglio, si deforma e deprava; diventa egoismo collettivo, diventa orgoglio di prestigio comunitario. L'amore va perduto ... Questa parentela tra l'umiltà e l'amore, fra l'umiltà e la fortezza d'animo, fra l'umiltà e l'esercizio dell'autorità, indispensabile alla giustizia e al bene comune e infine tra l'umiltà e la preghiera, dovrebbe essere oggetto di continue riflessioni. (febbraio 1975)
È tanto difficile questo amore all'umiltà e dolcezza di cuore, in un mondo che sembra impazzito nella corsa ad essere 'grande', anche se poi la sua 'grandezza' è un momentaneo fruscio di gloria, che spesso non è assolutamente tale, anzi, poiché crea ancora ... tanti poveri! Il grande Papa del sorriso, Giovanni XXIII, scrivendo ai suoi fratelli, raccomandava loro:
  • La mia tranquillità personale, che fa tanta impressione nel mondo, è tutta qui.

    Stare nell'obbedienza, come ho sempre fatto, e non desiderare o pregare di vivere di più, oltre il tempo in cui l'angelo della morte mi verrà a chiamare e prendere per il Paradiso ...

    E voi fate bene a tenervi in umiltà, come mi studio di fare anch'io, e a non lasciarvi prendere dalle insinuazioni e dalle ciance del mondo. Il mondo non si interessa che di fare soldi, godere la vita ed imporsi ad ogni costo, anche con prepotenza.
É davvero l'umiltà che si esprimeva nel meraviglioso sorriso di Giovanni XXIII e dava ali all'intera umanità. Ce lo ricordiamo tutti il suo saluto, quando, dalla finestra del palazzo apostolico, con la semplicità e bontà, che inondarono l'umanità di serenità, rivolgendosi a tutti gli uomini, disse le memorabili parole: ‘Stasera, tornando a casa, date una carezza ai vostri bambini: è la carezza del Papa’.

Credo che tanti di noi vorrebbero possedere questa umiltà e mitezza, per ridare a chi ci è vicino l'ottimismo della vita. E' possibile? Non solo possibile, ma, credo, necessario ... con l'aiuto di Dio!



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 08, 2011 10:15 am

      • Omelia del giorno 10 Luglio 2011

        XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        Una preziosa lezione sull’ASCOLTO DELLA PAROLA
L'impressione che si ha, leggendo il Vangelo, è una preziosa lezione su come ci si deve accostare alla Parola di Dio. Tanti di noi, almeno alla domenica - ma è poco - hanno la possibilità di ascoltare tre brani della Parola: la I lettura dall'Antico Testamento, la II lettura dalle lettere degli Apostoli ed infine il Vangelo.

Noi ministri siamo incaricati di dare una mano ai fedeli nell'accogliere la Parola. Sono tanti anni, che compio questa missione, di portare al maggior numero di persone la Parola: nelle Liturgie, nei tanti luoghi in cui sono invitato, ma anche alla spicciolata, negli incontri personali, perché la Parola di Dio, è per tutti il solo modo di entrare nella verità, che è la luce della vita.

È davvero grande la nostra missione. Non si tratta di parlare bene, ma di suscitare, in chi ci ascolta, un desiderio, una passione, per entrare nella verità, in un mondo tanto confuso. E che ci sia bisogno della Parola di Dio, tutti lo sappiamo e, forse, desideriamo.

Voglio ricordare un fatto, che mi ha commosso e mostrato la sete di verità, che è nelle persone. Invitato a tenere una conferenza, in una cittadina, in cui ogni anno si celebra per una settimana la festa, arrivando, chi mi aveva invitato mi disse subito la grande difficoltà di fare posto, nel calendario degli intrattenimenti, alla Parola. A sera, nonostante gli inviti, alle ore 21, recandomi puntualmente nella grande sala, trovai 20 persone: le solite - mi dissero. Attardandomi a dialogare con qualcuno, mi chiesero di iniziare, 'tanto, come sempre, saremo sempre solo i soliti'. Chiesi di attendere, perché non mi rassegnavo, di fronte a tanta delusione degli organizzatori. In un quarto d'ora - non riesco ancora, oggi, a capirne le ragioni, se non in un soffio dello Spirito - la grande sala si riempì; non solo, ma tanti per ascoltare rimasero fuori attorno all'edificio e dalle finestre seguirono l'intervento.

Il tema era provocatorio: "Solo Gesù è il centro della vera festa dell'uomo'. Parlai per un'ora, in un silenzio di ascolto... irreale. Quando feci cenno che era giunto il momento di lasciarci, mi pregarono in coro di continuare: 'Fuori è buio - dissero - qui è la luce'. E si continuò, dialogando, fino a mezzanotte. Un vero miracolo della Parola. Fui invitato l'anno seguente e, dopo l'esperienza vissuta, l'incontro avvenne nel grande teatro con le balconate. Mi faceva compagnia il Prof. Zichichi. Il teatro venne chiuso mezz'ora prima, perché ogni posto era occupato e così molte persone dovettero stare fuori, in attesa che qualcuno uscisse. Ormai la Parola aveva conquistato l'attenzione della gente.

Successe un'altra volta, in un'altra località, con il teatro pieno, che dopo l'ascolto, qualcuno chiese con commozione: 'Ci dica: ma chi può, oggi, in un mondo chiassoso, senza offerta di verità, donarci speranza nella vita?'. La mia risposta fu ed è sicura: 'Solo Gesù e la Sua Parola'. Davvero lo dico con la mia lunga esperienza: tutti abbiamo bisogno della Parola di Dio, anche se non sempre - come narra il Vangelo - per le troppe altre parole che ci sommergono, riesce a mettere radici profonde.
  • Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. Si cominciò a raccogliere attorno a Lui tanta folla, che dovette salire sulla barca; si pose a sedere, mentre la folla rimaneva sulla spiaggia. Egli parlò di molte cose in parabole. E disse: 'Ecco il seminatore uscì a seminare. E mentre seminava, parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. Ma spuntato il sole, restò bruciata e, non avendo radici, si seccò. Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove li trenta. Chi ha orecchi intenda.
Una parabola che gli apostoli non capirono, tanto da chiederGli: 'Perché parli in parabole?'. Allora Gesù spiegò loro - e a noi - la parabola del seminatore.
  • Tutte le volte che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada.

    Quello che è stato seminato in un luogo sassoso è l'uomo che ascolta la parola e subito l'accoglie con gioia, ma non ha radici in sé ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o persecuzione del mondo, a causa della Parola, egli ne resta scandalizzato.

    Quello seminato tra le spine, è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto.

    Quello seminato nella terra buona, è colui che ascolta la Parola e la comprende: questi dà frutto e produce, ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta. (Mt 13, 1-23)
Una parabola che impegna tutti noi nell'esaminare che fine fa la Parola di Dio, che leggiamo o ascoltiamo. Ricordo, da ragazzo, tutti sentivano l'impegno di andare a Messa la domenica, ma, gli uomini, avevano l'abitudine di attardarsi sul sagrato a raccontarsi i fatti della settimana, in attesa che il sacrista li avvertisse della fine della predica!!! Per loro, quindi, la Parola non faceva parte della Messa. Una cattiva abitudine.

Sono passati quei tempi, ma ancora tanti vedono la Messa o l'omelia come un 'perditempo'. Grazie a Dio, dopo il Concilio Ecumenico Vaticano II, che ha fatto della Parola il centro della fede e della vita della Chiesa, questa ha riconquistato il suo vero posto. Si sono moltiplicati i centri di ascolto, che sono quegli incontri, in cui i fedeli cercano di 'entrare' nella bellezza della Parola, perché diventi efficace, luce della vita.

È facile, oggi, incontrare cristiani che portano con sé, ovunque, il Vangelo. Ma occorre fare ancora tanto lavoro, da parte di noi sacerdoti, perché la Parola, che è Cristo, sia messa al centro della vita delle Comunità ecclesiali, curandone la predicazione. Ricordo sempre, a Torino, - ero studente - una sera mi recai a sentire un grande conferenziere, sacerdote, con tanta gente ad ascoltarlo. Vi furono tanti battimani, per l'eloquenza del predicatore. Tornando a casa, mi imbattei in una chiesa avvolta nel raccoglimento. Vi erano molti fedeli presenti, incollati all'ascolto del celebrante che, con estrema semplicità - quale si addice alla predica, per mettere al primo posto Gesù e non la nostra arte oratoria - spiegava la Parola. Mi incantò la sua semplicità, che faceva filtrare il bello della Parola, come fosse pronunciata direttamente da Gesù. Un poco come era abitudine del santo Curato d'Ars, che con la sua umiltà e profondità, scuoteva i cuori dei suoi fedeli. Scriveva il caro Giovanni XXIII:
  • La saggezza si esprime nella scelta accurata dei tempi della predicazione sia ordinaria di tutto l'anno ... sia straordinaria o caratteristica della Quaresima e della preparazione alle maggiori feste del calendario liturgico. La tentazione non manca di fare della poesia e della letteratura su argomenti più piacevoli, oppure di specializzarsi in apologetica, forse affidandosi a vecchie forme, senza tener conto delle necessità, qualche volta tremende, del tempo presente. Facciamo attenzione: il popolo ci domanda pane sostanzioso di verità, non diamogli piccoli tratti o racconti più o meno edificanti, che non hanno presa profonda sullo spirito. L'ideale è nel sapere così bene inquadrare la dottrina, in debite proporzioni, da niente dimenticare e tutto volgere ad incrementare di solida formazione intellettuale. La semplicità è il grande dono del predicatore, la via sicura per toccare il fondo delle coscienze. Semplicità non è parlare a vanvera o a braccio; essa richiede seria preparazione di preghiera e di studio. La semplicità non accarezza la preoccupazione di fare bella figura, né di cercare la parola tornita, che fa scattare l'applauso: essa rende anzi timorosi di ciò che può arrestare il moto della grazia nelle anime.[/list
    Ricorderò sempre la testimonianza di mamma. La domenica era una festa partecipare tutti alla Santa Messa. Poi mamma, prima di sederci a tavola, ci chiedeva una frase della predica, senza la quale si rischiava di saltare il pranzo. Una saggezza perduta.

    C'è un modo per capire se le persone a cui rivolgi la Parola, ti stanno seguendo. Quando predico, ho l'abitudine di guardare negli occhi delle persone più vicine, facendo della predica un dialogo della Parola con loro. Mi accorgo sempre quando la Parola non giunge e quando, invece, diventa dono.

    Noi sacerdoti e vescovi dobbiamo veramente imparare la semplicità di un Vangelo donato con amore, come voce di Cristo, e lasciare sempre impronte incancellabili della Parola di Dio.

    Ne saremo capaci?



    Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 15, 2011 8:49 am

      • Omelia del giorno 17 Luglio 2011

        XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        VIGILIAMO, perché in noi non attecchisca la zizzania
È facile per noi sacerdoti incontrare genitori che, con molta sofferenza, non sanno spiegarsi come mai un figlio o una figlia, dopo essere cresciuti in un ambiente sano ed educativo, improvvisamente sembra voltino le spalle alla buona educazione nella crescita, adottando uno stile di vita esattamente contrario a quello ricevuto. Difficile trovare le cause, perché sono troppe. E lo stesso accade ad alcune persone che, fino ad un certo punto irreprensibili nella loro vita cristiana, senza una spiegazione apparentemente plausibile - se possono essercene - sposano una vita che è esattamente il contrario di quanto avevano con gioia professato. E sono tante le storie dolorose, che tutti credo possiamo raccontare in proposito: amici, con cui condividevamo la bellezza della fede; persone che ci prendevano quasi per mano nella dura, ma necessaria, scalata alla santità...

Mi ha fatto impressione trovare in carcere una persona che ammiravo tanto per la sua onestà e testimonianza. Incontrandolo e chiedendogli una spiegazione, se voleva, mi disse: 'Mi sono lasciato attrarre dal denaro, da certe amicizie. Ho creduto che lì e solo lì ci fosse la vera ragione di vita e, in un batter d'occhio, mi sono trovato qui. Ma mi è rimasta la nostalgia di quello che ero; ora sto cercando giorno per giorno di ricostruire quella pista di bontà, che mi accorgo era la sola che donava la gioia'. E con voce commossa e occhi pieni di pianto, continuò: 'Ma come si fa a voltare le spalle al Padre, che è il solo amico che ti dà gioia? Ma che senso ha perdersi in disonestà, che ti conducono dove sono? E ora il prezzo da pagare è tanto. Ci riuscirò? Non mi resta che ricostruire ciò che ero, anche se l'ambiente non aiuta. Ma l'aiuto lo aspetto dalla grazia e da chi, come lei, mi farà da guida a cercare la strada giusta della vita'.

Non dovrebbe essere un mistero per alcuno che l'atmosfera che si respira oggi non è quella che aiuta a difendere il 'buon grano" che Dio cerca di seminare ogni giorno in noi. Tutto, anche se con toni di festival, sembra indicarci altre strade. Oggi dovremmo leggere bene la parabola di Gesù, che può farci da guida nella vita, imparando a discernere se ciò che scegliamo o facciamo è 'grano buono' o se 'di notte’ ossia senza che ce ne accorgiamo, perché questa è l'arte dell'inganno, ciò che riteniamo 'grano' non sia diventato 'zizzania'. Ci avverte san Paolo:
  • Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede per noi con gemiti inesprimibili: colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio. (Rom. 8, 26-27)
C'era un tempo in cui tutti, ma proprio tutti, si andava a Messa alla domenica. Ma c'era anche l'abitudine che gli uomini stessero fuori della chiesa, in attesa che il sacerdote finisse la predica. Per loro la celebrazione iniziava dall'Offertorio. Ed era il sacrista che si incaricava di avvertirli. Non era così per mamma e papà che, a pranzo, volevano sapere da qualcuno di noi, scelti volta per volta, cosa avesse detto il Parroco. Non avere la risposta significava rischiare ... il pranzo!

Così come i nostri vecchi sapevano tanto della Parola, al punto che un giorno, un grande dello spirito, il beato Contini, passeggiando per i campi si fermò a dialogare con una donna, che lavorava. Ed alla fine il suo stupore, per la conoscenza della Parola, da parte di questa cristiana, fu tale che esclamò: 'Ne sa più e meglio di un sacerdote!'. Ma tutto questo, purtroppo, sembra sparito, con grande danno della fede. E a questo punto non dobbiamo più stupirci che, nel mondo, anche della Chiesa, ci sia tanta, troppa 'zizzania', che impedisce che la Grazia operi in noi. Meditiamo il breve, ma denso, Vangelo di oggi:
  • Il Regno dei cieli si può paragonare ad un uomo che ha seminato il buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico. seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania. Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: 'Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania?'. Ed egli rispose loro: 'Un nemico ha fatto questo.' E i servi gli dissero: 'Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla?'. 'No' rispose, 'perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio. (Mt. 13, 24-30)
Fa impressione quello che afferma Gesù, ma è la verità dei fatti: chi semina 'zizzania’ ossia il male, lo fa in modo subdolo. Quando nelle nostre coscienze a volte 'è notte’ con parole persuasive semina 'zizzania" che a volte si trasforma in dissidi, in mezze parole, che rischiano di rovinare i buoni rapporti tra noi ... tanto che diciamo: 'Non gettare zizzania!', perché il volersi bene ha bisogno di un campo, in cui ci sia solo grano, ossia verità, bontà. Quante volte nel dialogo tra di noi, come a giustificare la 'zizzania’ sentiamo affermare: 'Che male c'è?' nascondendo che dal male ci si difende non con l'oscurare il bene e la verità, ma con più amore al bene e alla verità.

Sono tantissimi anni, come quelli del Santo Padre - 60 anni - che cerco di seminare il 'buon grano' non solo nella celebrazione della Santa Messa, ma anche in ogni circostanza che la Provvidenza mi offre ogni volta medito a lungo, prima di 'predicare' - come faccio con internet - per fare in modo di dare via libera alla Parola di Dio, senza fronzoli. Ma quante prediche sarebbe meglio non si tenessero per il nulla che contengono. È urgente che, a cominciare dai sacerdoti, vediamo e trasmettiamo quella immensa luce di verità che Dio dona per fare luce ai fedeli. E così dovrebbe essere nella famiglia. Ma quante volte, nonostante lo sforzo esemplare dei catechisti, già nella preparazione alla Prima Comunione o alla Cresima, ci si accorge che alle spalle c'è un gran vuoto educativo e cristiano, che difficilmente i sacramenti riusciranno a riempire, riducendo così tutto ad una festa esterna, con poco o nulla di spirituale ed interiore. Scriveva il caro Giovanni XXIII:
  • Permettete alcune brevi considerazioni, a direzione ed a luce del ministero della Parola. Esse concernono tutto il complesso del vostro parlare: verbo et exemplo. Viviamo in tempi arruffati ed angolosi di complicazioni spesso febbrili, di smanie divenute insaziabili e prepotenti, nel rigurgito dei rapporti, anche tra cristiani, nella vita civile.
    L'esercizio della sacra predicazione, messa a servizio dell'azione sacerdotale, vuole essere particolarmente segnato di un triplice decoro: di saggezza, di semplicità, di carità...
    La carità va di pari passo con la verità .... Dio ci ha chiamati ad illuminare le coscienze, non a confonderle e a forzarle; ci ha chiamati a parlare con la stessa semplicità con cui si enunciano gli articoli del Credo apostolico, non a complicare il ragionamento, né ad accarezzare gli uditori; ci ha chiamati a risanare i fratelli, non a terrorizzarli...
Come già vi ho detto, perché la Parola non sia un parlare, estraneo all'ascolto dell'altro, ma lo faccia partecipe, come in un dialogo - come era lo stile di Gesù - quando parlo istintivamente cerco gli occhi di chi mi sta ascoltando. Parlo fissandone gli occhi, senza che forse se ne accorgano, e così la Parola è un bene che va diritto al cuore.

È dunque necessario che tutti noi, chi parla e chi ascolta, scorga nella Parola lo Spirito di Gesù, che cerca di trovare spazio nei nostri cuori. É urgente per non svuotare la nostra anima della conoscenza della Parola di Dio, farci riempire con la nostra attenzione consapevole e amante, rendendo la programma di vita. Diversamente il parlare e l'ascoltare diventa solo un noioso rumore ... e il nostro 'campo' pronto solo ad accogliere 'zizzania', Che non avvenga mai né in chi predica, né in chi ascolta.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 22, 2011 10:28 am

      • Omelia del giorno 24 luglio 2011

        XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        Perché viviamo e per chi?
Se c'è una cosa insopportabile nella vita, almeno per chi senta la necessità e l'amore per la verità, è il non riuscire a capire perché si vive o, se vogliamo, per chi si vive. Guardando tante persone, che vivono accanto a noi o che incontriamo, scorgiamo come dipinto sul loro volto - se si ha un buon senso di osservazione - un certo smarrimento, che viene appunto dal non capire il senso della loro vita e quindi la pista da seguire.

Fanno pietà quanti cercano di soffocare questo disagio, questa domanda del perché e del per chi si vive, abbandonandosi alle creature, che sono quelle che valgono. Se sul momento può affascinarci la bellezza del corpo, sappiamo che inesorabilmente viene la decadenza. Se ci affidiamo a creature-oggetto, come il denaro, o ancora peggio la ricerca del protagonismo, la celebrità, sappiamo, o dovremmo sapere, che tutto questo svanisce, non solo, ma tante volte, quando siamo soli con noi stessi, sorge una smorfia, di fronte all'evidente finzione della vita, che tutto ciò è, svanendo come la luce delle lucciole.

L'uomo - se siamo onesti, e dovremmo esserlo, per il dono della saggezza che Dio ci ha donato - trova la sua definizione nell'osservare e riconoscere la sua origine. Torna alla mente il giorno in cui il Padre ci trasse dal nulla e - come esprime la Bibbia simbolicamente, ma in modo tanto efficace - 'con un poco di fango' ci donò non solo la dignità di uomini, quali siamo, ma è andato oltre, facendoci 'simili a Sé', destinandoci alla vita felice con Lui, per l'eternità.

A volte ci pare impossibile che Dio, nella Sua infinita grandezza, ci abbia amato così tanto, da giungere poi a sacrificare Suo Figlio per riaverci in cielo, come aveva pensato fin dalla creazione. Davvero a volte viene da chiedersi: ma chi sono io, che a volte mi apprezzo fuori luogo ed altre mi disprezzo, eppure sono tanto amato da Dio? Ma chi siamo? Possibile che Dio si abbassi tanto per comunicarci amore? E come non commuoverci sapendo che, anche se per ignoranza o cattiveria a volte preferiamo altro, Lui non smette di amarci, fino al punto che se, dopo aver sbagliato, ci pentiamo, è pronto a gettarci le braccia al collo? Viene in soccorso a tante nostre domande quanto si chiede il Salmista:
  • O Signore, quanto è grande il tuo Nome su tutta la terra!
    Se guardo il cielo, opera delle tue dita, la luna e le stelle che vi hai posto,
    chi è mai l'uomo, o Dio, perché ti ricordi di lui? Chi è mai perché tu ne abbia cura?
    L'hai fatto di poco inferiore a un dio, coronato di forza ed onore,
    signore dell'opera delle tue mani. Tutto hai messo sotto il suo dominio.
    O Signore, nostro Dio, grande è il tuo Nome su tutta la terra. (Salmo 8)
Dio certamente non fissa il suo sguardo sulle apparenze momentanee, di cui ci fregiamo, ma va oltre, guarda il cuore, per cui il Padre sa riempire di amore tutti, anche e soprattutto quelli che hanno poco, ma Gli fanno spazio: coloro che sanno rendersi conto che senza di Lui la vita è vuota.

Una domanda che si fa soprattutto ai piccoli e agli adolescenti è: 'Cosa credi che sia il bello della vita? In che modo ti impegneresti per averlo e che cosa vale la pena di 'sacrificare' per averlo?'. Sappiamo tutti che tante volte l'educazione dei piccoli e degli adolescenti mira a tutto ciò che è futile nel mondo e nella vita: dal successo, alla notorietà, alla ricchezza. Basta vedere l'assurdo interesse per attrici o attori, che si mostrano in video, con scene di incredibile adulazione, voglia di essere come loro, anche se dovremmo sapere quanto vuoto, spesso vi è dietro a tanto luccichio, e quanto possa durare poco: basta nulla e tutto svanisce...
Dovremmo tutti tornare a scoprire il grande valore della vita, di chi siamo, pensando appunto che, essendo 'fatti ad immagine di Dio', siamo chiamati a vivere con Lui e per Lui, e che ciò che vale in questa breve parentesi della vita quaggiù è spenderla per essere degni di poterlo incontrare. C'è una bella lettura oggi, nel libro dei Re, molto istruttiva al riguardo:
  • "Il Signore apparve a Salomone in sogno, durante la notte e gli disse: 'Chiedimi ciò che io devo concederti. E Salomone disse: 'Signore Dio, che hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide mio padre. Ebbene io sono un ragazzo, non so come regolarmi. Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che ti sei scelto, popolo così numeroso che non si può calcolare o contare. Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male, perché chi potrebbe governare questo tuo popolo così numeroso?
    Al Signore piacque che Salomone avesse domandato la saggezza nel governare.
    Dio gli disse: 'Perché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te né una lunga vita, né la ricchezza, né la morte dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, io faccio come tu hai detto. Ecco ti concedo un cuore saggio e intelligente. Come te non ci fu alcuno prima di te, né sorgerà dopo di te. (1 Re 3,5-7-12)
Una testimonianza, quella di Salomone, che resta una grande lezione di vita per tutti. Se esaminiamo quello che noi, a volte, chiediamo a Dio, forse possiamo trovare grandi differenze dalla richiesta di Salomone!

Gesù, nel Vangelo, come a ricalcare le parole di Salomone, torna sulla necessità di dare il primo posto alla ricerca quotidiana del Regno, che è poi il solo grande Bene, immenso Bene, che dà il vero senso alla vita, davanti a cui, tante volte, ciò che cerchiamo si rivela per quello che è: dannose sciocchezze. Gesù torna ad invitarci a guardare al vero tesoro della vita: la santità.
  • Gesù disse alla folla: 'Il Regno dei cieli è simile ad un tesoro nascosto in un campo. Un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo. Il Regno dei cieli è simile ad un mercante che va in cerca di perle preziose; trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.
    Il Regno dei cieli è simile anche ad una rete gettata in mare, che raccoglie ogni genere di pesci. Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. Avete capito tutte queste cose?'. Gli risposero: 'Sì'. (Mt. 13,44-52)
E verrebbe la voglia di chiederci: e noi lo abbiamo capito? Sono queste le linee guida della nostra vita? Non dovremmo mai dimenticare quello che siamo: uomini e donne usciti dal Cuore del Padre, che ci ama e desidera una cosa sola: che viviamo a Sua immagine! Difficile, forse, oggi, in un mondo che rincorre altri idoli, ma necessario, se davvero vogliamo dare alla nostra vita la giusta direzione. Cerchiamo di seguire le sagge parole di quel grande Papa del sorriso, Giovanni XXIII, che a proposito di santità diceva:
  • Basta un semplice pensiero di amor proprio a mandare in rovina per sempre un'infinità di spiriti nobilissimi. Una debolezza di Eva, nel lasciarsi incantare dal serpente, fu l'occasione di tutti i mali dell'umanità. Quale lezione!
    Se è vero che, se ad ogni piccolo atto virtuoso corrisponde un cumulo di grazie, deve essere vero altresì che il trascurare anche per un poco questi atti, può essere il principio della mancanza di tante grazie, senza di cui io non posso fare nulla. Non è questione di maggiore o minore degnazione o benevolenza da parte di Dio, ma è questione di corrispondenza da parte dell'uomo.
    Le grazie sono sempre pronte, sono le nostre mancanze che ne impediscono l'applicazione. Ricordiamoci: la santità dei santi non è fondata sopra fatti strepitosi, ma sopra piccole cose che forse all'occhio del mondo sembrano inezie.
Quanta saggezza e semplicità in queste parole. Le stesse virtù che abbiamo potuto tutti ammirare nel Suo pontificato.
Non resta che chiedere a Maria Santissima quello che chiedeva san Francesco di Sales:
  • Per l'amore e per la gloria del Tuo Figlio divino, accettami come tuo figlio, senza considerare i miei peccati e le mie miserie.
    Libera l'anima mia e il mio corpo da ogni male, donami tutte le virtù.
    Infine arricchiscimi di tutti i beni e di tutte le grazie, che fanno lieta la Santissima Trinità.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » gio lug 28, 2011 9:47 am

      • Omelia del giorno 31 Luglio 2011

        XVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        La meravigliosa compassione di Gesù
È nello stile del Vangelo, e di tutta la Sacra Scrittura in genere, con poche pennellate, presentare un fatto che immette in dimensioni, che poco hanno a che fare e vedere con le cronache, che siamo abituati a leggere o narrare noi uomini. E nel Vangelo il punto focale è sempre Gesù, Figlio di Dio tra noi uomini, ieri e oggi. Attorno a Lui vi è 'la folla', che interpreta le genti di tutti i tempi.
  • In quel tempo - narra Matteo – quando Gesù udì della morte di Giovanni Battista, partì su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto.
Deve essere stato profondo il dolore di Gesù, per la morte di chi Lo aveva annunciato. Tra Gesù e Giovanni s’intreccia l’inizio della nostra storia: Giovanni, che annuncia, finalmente, l'avvento di Dio, tanto atteso, tra di noi, e Gesù che inizia la Sua missione di Dio tra noi uomini. Mi vengono alla mente tanti missionari, ma oggi anche semplici cristiani, tra di noi, che, spinti dallo Spirito Santo, in mezzo alla folla cercano di fare conoscere Gesù e non sempre con successo.

Ecco il perché della profondità del dolore del Maestro, che sceglie il silenzio, salendo solo sulla barca. È una testimonianza di come il dolore ami il silenzio. Il vero dolore trova il suo rifugio nel silenzio, che è un interrogarsi su quanto è accaduto, per 'scoprire' i segreti del Padre. Noi spesso diamo sfogo al dolore, manifestandolo in modo a volte chiassoso, che non aiuta a capirne ed accettarne la grande ragione.

Ricordo, da ragazzo, la morte della mia sorellina più piccola, curata da mamma. Era domenica. Mia sorella stava molto male. Non era come oggi, in cui è possibile trovare chi aiuti. Comprendevo che quelle erano le sue ultime ore di vita. Ma mamma preferì che noi tutti andassimo in parrocchia per la catechesi festiva. Quando tornai, mia sorella, che si chiamava Redenta; in ricordo dell'anno della Redenzione, era morta. Mamma volle deporla in mezzo all'unica camera da letto, tra di noi, come a dire la sua fede nella resurrezione. Ero stupito di come mamma non desse segno di disperazione. 'Questa notte - ci disse - Redenta dorme ancora tra di noi, poi sarà in Cielo'. Scoprii il suo dolore il giorno dopo, durante la sepoltura. Nel pomeriggio, senza farmi accorgere, seguii mamma, che si recava nel cimitero, chiuso. La ricordo abbracciata al cancello, che piangendo chiamava la sua bambina. Tornata a casa disse solo: 'É vero che Redenta ci manca, ma è qui dal Cielo'.

È tanto simile al dolore di Gesù, quando seppe della morte di Giovanni Battista. Possiamo immaginarlo sulla barca, solo, come a nascondere, per vivere ancor più intensamente il dolore. Che magnifico Gesù, Dio-Uomo: come ci assomiglia! Commenta san Paolo:
  • Fratelli, chi ci separerà dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori in virtù di Colui che ci ha amati. Io infatti sono persuaso che né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezze, né profondità, né alcun altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore. (Rom. 8,35-39)
Nel Vangelo si evidenzia poi un fatto sorprendente, che è una grande lezione per tutti.
  • La folla, saputolo, lo seguì a piedi dalla città. Gesù, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì molti malati.
    Sul far della sera gli si accostarono i discepoli e gli dissero: 'Il luogo è deserto ed è ormai tardi: congeda la folla, perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare. Ma Gesù rispose: 'Non occorre che vadano, date loro voi stessi da mangiare'. Gli risposero: 'Non abbiamo che cinque pani e due pesci!'. Ed egli disse: 'Portatemeli qua'. E dopo avere ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e alzati gli occhi al cielo, pronunciò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e li distribuirono alla folla. Tutti mangiarono e furono saziati e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati. Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini. (Mt. 14, 13-21)
Il Vangelo di oggi non può che suscitare tanta commozione: Gesù, addolorato per la perdita di Giovanni, lascia in disparte il suo dolore e va incontro e si fa vicino alla folla che Lo cerca e desidera forse qualche miracolo, ma soprattutto il pane della Parola, che non sia vuota come a volte sono le nostre, ma contenga quella luce che fa bene al cuore. Commuove quella folla che insegue Gesù, fino a raggiungerlo e commuove la compassione di Gesù, che ne intuisce anche il bisogno di un pezzo di pane e lo moltiplica.

Quella folla rappresenta, oggi, le moltitudini che non riescono ad avere voce e si affidano a Qualcuno che sia la loro Voce, che sia il compimento dei loro inespressi desideri. Gesù era diventano allora - e spero diventi anche oggi - l'unico punto di riferimento: Uno da cui ci si aspetta tanto, forse non sapendo neppure cosa sia quel 'tanto'.
Possiamo dire che Gesù, ieri per quella folla, e speriamo oggi per noi, era ed è la speranza per chi era malato e, forse desiderava tornare alla salute, ma soprattutto, per chi sentiva il vuoto della vita, era il Senso ritrovato. Quanta gente soffre, si dibatte nei dubbi ... ma non vive la ricerca di Gesù, come la folla di allora!
Gesù era allora - e speriamo oggi - per chi vuole ritrovare se stesso, stanco delle tante contraddizioni, la sua verità, il senso pieno della vita. Gesù, in apparenza, non aveva nulla che potesse soddisfare le attese materiali. La sua forza era tutta lì, in quello che era: 'povero' al punto che la sua stessa esistenza era affidata alla bontà di chi Gli era attorno, Lo amava. Eppure appariva anche chiaro che in Lui c'era ciò che supera le stesse attese degli uomini: Lui era 'il Tutto' necessario e Legge per ogni uomo. È in questa ottica che comprendiamo la felicità dei santi, a cominciare dal 'poverello' san Francesco, che nella sua estrema povertà contemplava le meraviglie di Dio, lodandolo: 'Laudato sii, mio Signore ... '
Dalla vita di Gesù e dalla sua parola, allora, come oggi, per i veri suoi seguaci, si comprendeva che i Cieli si erano aperti e che solo a Dio tutto è possibile, ma soprattutto si avvertiva il Suo Amore totale e fedele verso ciascuno, tanto da sentirsi in Lui e con Lui al sicuro. Si creava tra la folla e Lui un'autentica empatia. Così il profeta Isaia esprimeva questo stato d'animo:
  • O voi tutti. assetati, venite all'acqua: chi non ha denaro venga ugualmente. Comprate, mangiate senza denaro, senza spese, vino e latte. Perché spendere denaro per ciò che non è pane, il vostro patrimonio per ciò che non sazia? Su, ascoltatemi, e mangiate cose buone e gusterete cibi succulenti. Porgete l'orecchio e venite a Me, ascoltate e voi vivrete. Io stabilirò per voi un'alleanza eterna. (Is. 35, 1-3)
Ho l'impressione che oggi 'la folla' - soprattutto nei Paesi del benessere!! - stia cercando chi dia speranza, chi sia capace di farla uscire dal ghetto di cose che non donano serenità. Ma Gesù è sempre lì ad attenderci, pronto a confermare anche con 'segni', se fosse necessario, quanto ci vuole bene e quanto Gli stiamo a cuore.
Ma lo cerchiamo? Così pregava il grande sant’Agostino:
  • Signore Gesù, conoscermi, conoscerti, non desiderare altro che te; odiarmi ed amarti;
    agire solo per amor tuo, abbassarmi per farti grande e non avere altri che Te nella mente.
    Rinunciare a me stesso per seguirti, fuggire da me stesso per essere difeso.
    Diffidare di me stesso, confidare solo in Te;
    non attaccarmi a null'altro che a Te, essere povero per Te.
    Guariscimi e ti amerò: chiamami, perché ti veda e goda di Te eternamente.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » mar ago 30, 2011 1:30 pm

      • Omelia del giorno 7 Agosto 2011

        XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        Uomini di poca fede, perché dubitate?
Facile immaginarvi, carissimi, in giro un poco ovunque, per un giusto momento di riposo - almeno dovrebbe essere così. Un riposo a volte strappato davvero con le unghie, data la difficoltà economica che il mondo sta attraversando. Un riposo che purtroppo non è di tutti o per tutti.

Ogni volta, vi confesso, che anch'io mi accingo a programmare un breve periodo di riposo, mi viene quasi il rimorso, pensando a tanti che non possono godere di questa piccola gioia e non nascondo che, a volte, verrebbe voglia di rinunciarvi, per vivere fino in fondo la condivisione con chi non può. L'unica giustificazione che mi do è quella di spendere il riposo in modo da essere poi più fresco nel farmi dono a tutti ... anche se, ovunque vado, vengo richiesto per presenze nelle varie comunità, per fare dono della Santa Messa o di una buona Parola. Ma lo faccio volentieri, perché è bello anche solo vedere come tanti, ma tanti, in un tempo di riposo, desiderino ascoltare la Parola... senza contare i numerosi incontri, camminando sui sentieri dei monti, che sono un arricchimento nella comunione.

Ci furono delle estati - ben dieci - in cui ebbi in dono da una comunità alpina una struttura per poter alloggiare i miei scugnizzi: ragazzini a cui era stato concesso poco e, a volte, un po' allo sbando, senza troppe regole: erano una trentina. Per loro la montagna era una favola mai vista. La prima volta che arrivarono - ed il rifugio cappella era a 1.200 metri - vennero con poco ed una sola maglietta addosso. Erano l'immagine dell'abbandono e della povertà. Ci volle tanta pazienza, da parte dei volontari che li accompagnavano, per rivestirli e, soprattutto, lentamente educarli alle regole del vivere insieme. Ancora oggi ringrazio Dio, che in dieci anni non solo non successero incidenti, ma anzi fu loro data la possibilità di un cammino, al punto da diventare di esempio ai loro coetanei del luogo, fino ad essere stupendi chierichetti, nel servizio delle Sante Messe nelle comunità. Ricordo che un giorno chiesi ospitalità ad un caro gestore di una baita, per avere un piatto di pastasciutta per loro. Il giudizio finale fu: 'Padre, i suoi ragazzi sono molto più educati dei nostri: sono meravigliosi'. Questa è stata la mia più bella vacanza... per anni!

Una vacanza che somiglia al riposo di Gesù, narrato dal Vangelo di oggi:
  • Dopo che la folla fu saziata, subito ordinò ai suoi discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla. Congedata la folla, Gesù salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora lassù a pregare.
C'è tanta gente che, durante questo periodo di riposo, sceglie luoghi di solitudine e preghiera, come a volersi staccare dal frastuono esteriore ed interiore della vita e così ritrovare ciò che è il Bene della vita e su questo reimpostarla. Sono tanti, più di quanto pensiamo: giovani, coppie, adulti. E sono quel 'sale della terra', che poi diventa davvero la testimonianza di quello che dovremmo essere agli occhi del Padre. Ma, racconta il Vangelo, Gesù, tornando dai suoi, viene chiamato a mostrare la Sua onnipotenza. È facile nella vita quotidiana conoscere momenti difficili, che creano un senso di disagio e paura.
  • La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario. Verso la fine della notte, Gesù venne verso di loro camminando sul mare. I discepoli, al vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: 'E' un fantasma' e si misero a gridare dalla paura. Pietro gli disse: 'Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque”. Ed egli disse:
    'Vieni!'. Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: 'Signore, salvami!'. E Gesù subito stese la mano, lo afferrò e gli disse: 'Uomo di poca fede, perché hai dubitato?'. Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono dinanzi, esclamando: 'Tu sei veramente il Figlio di Dio'. (Mt. 14,22-33)
L'esperienza di Pietro, che chiede di camminare anche lui sulle acque, per poi spaventarsi - ossia l'impossibile per l'uomo, che diviene facile solo per chi ha forte fede - mette a nudo la nostra debolezza e mancanza di fiducia ed abbandono totale in Dio.

Quante volte ci troviamo in difficoltà tali, che crediamo di non poterle superare. È raro che la nostra vita quotidiana sia come un mare calmo. Quando va bene, per le piccole spine che incontriamo, è un mare increspato che non deve far paura. Il difficile viene quando il mare è talmente agitato, che rende impossibile camminarci sopra. Sono quei momenti che, credo, proviamo tutti e in cui mostriamo la qualità della nostra fede. Il più delle volte, forse, assomigliamo a Pietro che, pur invitato da Gesù, si lascia prendere la mano dalla sua fragilità umana.

Solo chi ha fede radicale e profonda trova davvero la forza di 'camminare sulle acque'. Ma ci vuole tanta, ma tanta, fede e abbandono. Spesso chiediamo l'impossibile, ma poi manchiamo di fiducia, abbiamo paura di 'camminare sulle acque' e non comprendiamo che è il momento di affidarci alla potenza di Gesù, che non manca mai di manifestarsi, sostenendoci e guidandoci nella via che conduce al nostro vero bene, anche se, forse, non nelle forme che noi vorremmo.

Quante persone ho incontrato che, davanti ad una difficoltà, anche grave, in famiglia o nella vita personale, non trovano più la forza di reagire, andando così sempre più a fondo. Quanta gente ho incontrato, nella mia vita di ministro di Dio, che si è arresa a difficoltà apparentemente insormontabili, fino a diffidare di tutto. Altre volte è bastato, facendomi vicino, cercando di capire l'origine dello smarrimento e trovando accoglienza, insieme cercare la via della speranza: ed è stato come imparare a 'camminare sulle acque'.

Come Pietro, però, occorre avere fiducia in Gesù e rivolgersi a Lui, mostrando la nostra debolezza. Rimanere soli nella sofferenza o nella difficoltà, altro non è che un affogare sempre più. È urgente e necessario affidarsi a Gesù, abbandonarsi a Lui, un po' come è accaduto ad Elia:
  • In quei giorni - racconta il libro dei Re – essendo giunto Elia al monte di Dio, l'Oreb, entrò in una caverna, per passarvi la notte, quand'ecco, il Signore gli disse: 'Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore'. Ecco, il Signore passò.
    Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco.
    Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. 'Che fai qui, Elia?' Disse il Signore. Elia rispose: 'Signore, Re dell'universo, sono stato preso da un'ardente passione per te, quando ho visto che gli Israeliti hanno violato il tuo patto ... Sono rimasto l'unico, ma cercano di togliermi la vita. (1 Re 19,9-15)
La Parola di Dio insegna ad avere fiducia in Lui, soprattutto nei momenti difficili, come quello di Pietro che rischiava di affogare e di Elia che era in fuga: Pietro viene afferrato da Gesù ed Elia è invitato a tornare, senza paura, tra la gente che gli vuole male, sostenuto dalla Presenza stessa di Dio. È bello, allora, pensare, la risposta alla nostra fede, così.

Tutti sentiamo l'asprezza della vita che, a volte, è più di una burrascosa traversata sul lago. La famiglia con le sue tensioni, il lavoro che manca, le malattie, le incomprensioni ci fanno sentire le ossa rotte. Ed è proprio in questi momenti che deve tornarci in mente Gesù che, se da una parte ci invita a salire sulla barca, dall'altra se ne sta in disparte a vegliare su di noi, con il cuore rivolto al Padre e lo sguardo su di noi, pronto ad intervenire dicendoci: 'Coraggio, non temere, Io sono vicino a te'... sempre che dentro di noi custodiamo un angolo di ascolto e fiducia in Lui.
Non facciamoci sommergere dalle difficoltà, come chi non ha fede, ma immergiamoci nella fiducia in CHI HA CURA DI NOI, sempre: DIO.
  • Signore Gesù, donami un'anima che non conosca
    la noia, i brontolamenti, i sospiri, i lamenti,
    e non permettere che mi crucci eccessivamente
    per quella cosa troppo invadente che si chiama 'io'.
    Donami, Signore, il senso dell'umorismo.
    Concedimi la grazia di comprendere uno scherzo
    affinché conosca nella vita un po’ di gioia
    e possa farne parte anche agli altri. (san Tommaso Moro)


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » mar ago 30, 2011 1:31 pm

      • Omelia del giorno 15 Agosto 2011

        Solennità dell’Assunzione al cielo di Maria Santissima (Anno A)



        La Solennità di Maria Assunta in Cielo
La Solennità di Maria Assunta in Cielo è posta al centro di un tempo di riposo, di vacanza, almeno per chi può, e dà il via, in ogni modo, ad un momento di gioia: una gioia ed una festa, che se si fermasse solo allo svago e al riposo, a poco gioverebbe. La Chiesa ha posto al centro del ferragosto questa solennità, per farci alzare lo sguardo... e sono tantissime le comunità che sanno cercare la gioia vera, meditando questo grande Mistero, che ci riguarda da vicino.

Tutti sappiamo di essere quei figli che il Padre ha creato e vuole, per quell'Amore che lo ha spinto a darci vita e anima, a ritrovare i vicini a Lui, durante, ma soprattutto dopo la prova difficile sulla terra: una prova, che trova la sua suprema espressione nella morte, che non è il segno della fine, ma un vero esame, attraverso cui, se siamo diventati degni del Paradiso - cioè capaci di amare - si passa all'incontro con il Padre, che è Amore. La morte è come dare un addio, in ogni senso, a tutto ciò che di mortale ci era servito per vivere, per rivestirci di un 'corpo celeste', come lo definisce san Paolo... se ne saremo degni. Per questo la Chiesa definisce la morte 'transito', ossia passaggio dalla terra al cielo, 'cambiando abito': il corpo, che non si consumerà più.

Ma tutti anche sappiamo, che l'amore del Padre, dopo il nostro peccato originale, in cui per superbia Lo abbiamo rinnegato e ci siamo condannati al doloroso esilio, che è diventata la vita, non ha mai rinunciato ad averci con Sé, e questo suo grandioso desiderio lo ha attuato con il dono del Figlio Gesù, che con la Sua passione e morte ha tolto il peccato del mondo e ci ha riaperto le porte del Cielo. Però la morte di ciascuno di noi rimane: torneremo 'poveri', ma per assumere quell'aspetto, che Dio da sempre ha riservato a chi torna a Lui.

È duro il passaggio da questa vita, attraverso la morte, alla vita eterna. È davvero deporre tutto ciò che è terreno, con il corpo, ma per poter fare spazio al nuovo che, se ci 'lasceremo salvare', avremo in Cielo... come intona dolcemente il canto che dedichiamo a Maria e che è pieno di nostalgia del Cielo: 'Andrò a vederla un dì, in Ciel Patria mia...' Scrive oggi, nella Festa dell'Assunta, san Paolo ai Corinzi:
  • Fratelli, quando questo corpo mortale si sarà vestito d'immortalità, si compirà allora la parola della Scrittura: 'La morte è stata inghiottita nella vittoria. Dov'è, o morte, il tuo pungiglione?'. Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la Legge. Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo. (1 COL 15,54-57)
Chi di noi, trovandosi a Lourdes, la sera, durante la processione dei flambeaux, non sente la nostalgia del Cielo? Quante volte quell'inno 'Andrò a vederla un dì...' risuona come un profondo anelito e desiderio di Paradiso, per il peso delle responsabilità che tutti abbiamo, le sofferenze, che a volte sembrano schiacciarci... Dovremmo alimentare tutti, oggi, questa nostalgia di Cielo, per distrarre la nostra voglia di terra, che inganna, e finalmente alzare gli occhi dov' è Maria, che ci attende.
  • Ma - osservava Paolo VI – proprio nella festa dell'Assunzione, a volte siamo gente occupata dai desideri e dagli affari di questo mondo, come se noi altro non dovessimo cercare e amare. Così non siamo più spiriti veramente religiosi, che conoscono la contingenza radicale delle cose presenti, e non siamo più allenati ad estrarre i valori superiori, che sono quelli morali, connessi con il nostro destino eterno, valori umani, che a volte sono a noi prodighi di valori utili, ma non definitivi.
    Ecco allora che il ricordo dell'Assunzione di Maria fa risuonare nelle nostre anime, quasi come uno squillo di trombe celesti, una chiamata che parte di Là, dall'altra riva del tempo, oltre il quadro del nostro mondo naturale: quella dell'eternità e della vita soprannaturale nella sua pienezza.
    Così l'Assunzione ci obbliga con suadente invito a verificare se la via che ciascuno di noi percorre è rivolta verso il sommo traguardo e a rettificarla decisamente verso di essa.
    Nessuna età, come la nostra, è stata tentata di 'temporalismo', cioè di amore alle cose presenti, come se queste fossero gli unici e sommi beni da conseguire.
    Ed è forse per questo che la Provvidenza ha disposto che la verità dell'Assunzione ci fosse proclamata proprio in questo tempo.
    Dobbiamo alzare perciò le nostre teste. Dobbiamo guardare in alto, verso l'orizzonte dell'altra vita, che già risplende nella luminosa figura di Maria.
    Maria ci chiami. Maria ci dia la fede nel Paradiso e la speranza di raggiungerlo.
    Maria ci aiuti a camminare per la via di quell'amore che a quel beato termine conduce.
    Maria ci dia la sapienza e la povertà di spirito che tenga liberi i nostri cuori e agili i nostri animi per la ricerca dei beni eterni. 'Difendici, o Maria, dal nemico invisibile e raccogli la nostra anima nell'ora della morte!. (15 agosto 1961)
C'è nella parola ispirata di Paolo VI il richiamo a vivere sempre con i piedi a terra e il cuore là dove non esiste più la morte: il Cielo. È possibile? Credo che sia davvero un errore grande quello di avere anima e cuore talmente attaccati alle cose della terra, che inevitabilmente passano.

Incontravo un giorno una persona, che non nascondeva la sua amarezza. Era una persona adulta. Mi accostai e le chiesi la ragione del suo malessere: 'Vede, Padre, nella vita ho avuto tutto, dalla salute alla ricchezza. Ma ci sono momenti, come questi, in cui mi chiedo: 'ma poi? Quando verrà il momento di lasciare questa terra, che mi resterà? Io che non ho pensato o creduto ad altro, che a ciò che avevo? Poi improvvisamente mi chiese: 'Ma lei non sente il vuoto?'. 'No, non ho nulla sulla terra a cui aggrapparmi. So che tutto è momentaneo, passa, a cominciare dalla salute. Chiamato dal Signore ho fatto dono della vita a Lui e al servizio al prossimo. La mia vita è sempre un camminare, con le opere, verso l'incontro con Dio che mi ha scelto, mi ama e per il quale ho lasciato tutto e sono quello che sono. La morte? Fa paura a tutti, però ho tanta fiducia, perché per me vivere è Cristo'.

Mi guardò con tanto stupore e curiosità e mi chiese: 'Mi insegni come si fa a guardare in alto e dare senso alla vita?'. 'Semplice: il cuore rivolto al Cielo, il resto per le cose in terra, operando con amore e giustizia. E se vuole un consiglio, cominci a privarsi di tanti beni, scegliendo i poveri'. La lasciai piangente. La incontrai dopo un certo tempo, ma era tutto cambiato nella sua vita. Mi disse solo: 'Grazie! Ho seguito il suo consiglio: ho gustato l'aria del Paradiso, che è diversa dall'afa mortale della terra'. Papa Giovanni XXIII, il Papa del sorriso, il Papa buono, che tutti abbiamo amato ed ammirato per la sua semplicità profonda, così consigliava di festeggiare l'Assunta:
  • La vita terrena non è fine a se stessa: essa si concluderà in cielo. Passa la giovinezza, cadono sogni e progetti; si avanza il vespro accompagnato da delusioni e nostalgie, ma il cristiano non si abbandona alla disperazione. L'anima ha dei diritti indiscutibili e preminenti sul corpo e per essa occorre disciplinare le passioni, rinunciare alle seduzioni mondane.
    L'unica soggezione a Dio è il segreto della felicità vera e della pace.
    La solennità dell'Assunzione così intesa accende nei nostri cuori gli entusiasmi santi che la nostra religione sa suscitare nei popoli e nei singoli.
    Sono felice, lo confesso, di avere una Mamma così. Una Mamma tanto bella, che niente ha potuto imbruttire, ma solo la luce e la gloria di Dio hanno circondato. Sono orgoglioso, o Maria, che Tu sia la nostra Mamma. Sai, Maria, che nel nostro mondo è tanto facile 'sporcarci di terra'. Da piccolo, mamma, a sera, quando tornavo sporco dai giochi, sapeva come 'farmi nuovo, pulendomi' e poi mi diceva: 'Adesso davvero assomigli a mio figlio!'. Fa, o Maria, che nelle mie immancabili mancanze, tu possa trovare la via 'per ripulirmi', così che io possa sentirmi dire: 'Adesso davvero sei mio figlio!' e con Te cantare il Magnificat:
    "L'anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore ...
    Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della Sua Misericordia,
    come aveva promesso ai nostri Padri...” (Lc. 1,39-55)


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » mar ago 30, 2011 1:36 pm

      • Omelia del giorno 21 Agosto 2011

        XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        Voi chi dite che io sia?
Vorrei fare precedere la riflessione, partendo da un incontro, avuto pochi giorni fa. Chi mi stava davanti, per un colloquio a tu per tu, era un giovane uomo, che ha fatto una drammatica esperienza da terrorista, seguita da tanti anni di carcere. Nel racconto della sua vita, terribile, neppure lui riusciva a capire le ragioni delle sue scelte e così le spiegava:

'Forse la mia giovinezza inquieta, forse la mia voglia di fare qualcosa per cambiare la società, forse la mia mancanza di quella fede che lei ha e la rende sereno, nonostante, credo, le tante difficoltà che ha incontrato nel corso della sua vita ... non lo so. Da lei - le sembrerà incredibile - vorrei avere una mano per trovare risposta ad un problema, che per me è diventato ora molto serio, essenziale, ossia trovare la ragione di questa vita: una vita che sento oggi come un bene grande, ma di cui non ho saputo o voluto cercare il bello. Forse lei, come tanti altri, che ho conosciuto e conosco, avete trovato la giusta ragione della vita nell'essere cristiani, seguaci di quel Gesù, che a me è sconosciuto, come non esistesse, ma che ora sembra affacciarsi alla mia vita come Qualcuno che potrebbe dare un volto al bene della vita stessa. Qualcuno o qualcosa deve esserci che avvalori il senso dell'esistenza. Non è possibile che vivere significhi vagare senza senso, andando incontro ad esperienze che portano da nessuna parte o peggio solo al vuoto dell'anima. Ma le chiedo - e me lo diceva con commozione - che è mai questo Gesù che, nonostante i nostri incredibili sbagli, si presenta nella nostra vita per trascinarci con Lui? Chi è Costui che ha questa forza di attrarre al punto da farti intuire che senza di Lui non si può vivere felicemente, e neppure decentemente?'.

Sgranava queste parole con il tono accorato di una preghiera. Ed ogni parola era una domanda sussurrata, che si rivolgeva, neppure lui sapeva, a chi? Una domanda che però cercava una risposta, che è il segreto della vera vita, o se vogliamo il 'tesoro nascosto' della vita. Faceva persino meraviglia che questa domanda venisse da un uomo, sulla cui bocca, fino a poco tempo fa, c'erano ben altre parole e, nel cuore, ben altri sentimenti.

'Chi è Gesù?'. Gli ho risposto : 'É semplicemente il Figlio di Dio, Egli stesso Dio. Il Padre ce lo ha mandato per immenso amore a noi uomini, sacrificandolo perché, dalla nostra grettezza, dai nostri errori, dalla nostra stupida e crudele violenza, dal nostro guscio fatto di superbia, morendo a tutto questo, con la Sua Grazia, potessimo rientrare in comunione con il Cielo di Dio, che è solo pace, gioia, amore, serenità, voglia di fare il bene.' E viene spontaneo rivolgersi a tutti: 'Se Gesù è tutto questo immenso dono del Padre fatto a noi, perché tanta ignoranza o silenzio su di Lui?'.

Tutti sappiamo bene che, delle persone che ci stanno a cuore, non solo desideriamo conoscere tutto, come fossimo perennemente abitanti nel loro cuore, ma ci sono sempre presenti nella mente e più ancora nella vita, come se fossimo una cosa sola. Quante volte ho avuto il dono di essere vicino a persone di ogni stato ed età, per le quali 'vivere era Gesù', come afferma S. Paolo. Non c'è bisogno che ci dicano come Gesù sia il senso della loro vita, perché lo si vede dai loro gesti, dalla bontà, dall'umiltà, dalla profonda serenità.
Hanno la sicurezza che ebbe san Pietro, quando Gesù chiese agli apostoli chi fosse per loro. Racconta il Vangelo:
  • Essendo Gesù giunto nella regione di Cesarea di Filippo, chiese ai suoi discepoli: 'La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?'. Risposero: 'Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti'. Disse loro: 'Voi chi dite che io sia?'. Rispose Simon Pietro: 'Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente'. E Gesù: 'Beato te, Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli. E io dico a te: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra, sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra, sarà sciolto nei cieli'. Allora Gesù ordinò ai discepoli di non dire ad alcuno che lui era il Cristo. (Mt. 16, 13)
É stata la presentazione ufficiale agli apostoli - e quindi a noi - di chi è Gesù, da tanti ritenuto solo un profeta, anche se dotato del dono dei miracoli. 'Tu sei il Cristo, il Figlio di Dio': una rivelazione non pienamente compresa dagli Apostoli. Lo sarà dopo la discesa dello Spirito Santo, e da quel momento Egli diventerà davvero, per loro, 'il Tutto', che spiegava la loro chiamata, 'il sommo Bene' da comunicare a costo della vita, con il martirio, a tutto il mondo. E ci si commuove, leggendo le lettere di S. Paolo, fermato da Gesù sulla via di Damasco, mentre stava cercando i discepoli del Maestro, per arrestarli. Sono lettere in cui si intravede chiaramente come abbia poi totalmente amato, Colui che lo aveva prescelto, fino a dire l'indicibile - forse per noi - : 'Per me vivere è Cristo'. È la stessa risposta che mi diede mamma, innamorata di Gesù, che non faceva passare giorno senza ricevere la Santa Comunione, dicendomi: 'Senza Cristo la mia vita, come mamma che deve educarvi alla fede, sarebbe impossibile'.

Fa davvero male, anche solo pensare che ci sono tanti battezzati, e quindi 'dimora di Cristo, loro cibo e bevanda per la vita dello spirito', che non riescono neppure a concepirne la reale Presenza tra noi o hanno una conoscenza superficiale, che non ha nulla a che fare con il vero amore. Siamo forse troppo lontani da quello che oggi scrive san Paolo apostolo ai Romani: "O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i Suoi giudizi e inaccessibili le Sue vie! Infatti chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato Suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia il contraccambio? Poiché da Lui, grazie a Lui, e per Lui sono tutte le cose". (Rom. 11, 33-36) Sono di grande aiuto le parole di Paolo VI, innamorato di Cristo, per risvegliare anche in noi un amore, forse troppo sopito, per Gesù.
  • [iIl mondo dopo avere dimenticato e negato Gesù, lo cerca. Ma non vuole cercare quale è e dove è. Lo cerca fra gli uomini mortali, ricusa di adorare il Dio che si è fatto uomo e non teme di prostrarsi servilmente davanti all'uomo che si fa dio. Ma da questa inquietudine degli spiriti laici e ribelli prorompe fatale una confessione di Dio assente: di Te abbiamo bisogno.
    È una strana sinfonia di nostalgici che sospirano a Cristo perduto; di pensosi che intravedono qualche evanescenza di Cristo; di generosi che da Lui imparano il vero amore al prossimo; di sofferenti che sentono la simpatia per l'uomo dei dolori; di delusi che cercano una parola ferma, una pace sicura; di onesti che riconoscono la saggezza del vero Maestro; di convertiti che infine confidano la loro avventura spirituale e dicono la loro felicità per averLo trovato. L'ansia di trovare Cristo si insinua anche in un mondo avvinto nel materialismo, ma che non vuole soffocare.
    O Cristo, nostro Mediatore, Tu ci sei necessario per venire in comunione con Dio Padre, per diventare
    con Te, che sei Figlio unico, Suoi figli adottivi. Tu ci sei necessario, o Fratello primogenito del genere umano, per ritrovare le ragioni della fraternità fra gli uomini, i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il sommo bene della pace. Tu ci sei necessario, o grande Paziente dei nostri dolori, per conoscere il senso della sofferenza e per dare ad essa valore di espiazione e redenzione.[/i]
È una stupenda confessione di chi era Gesù per Paolo VI, ed un insegnamento per scoprire davvero in Gesù il vero senso profondo della vita, la vera via alla vita, per non correre il rischio di andare per strade che portano al nulla e che ad ogni passo altro non fanno che farci sentire il peso di una vita sbagliata. Con tutto il cuore preghiamo Gesù:
  • Gesù, dolce memoria, che dà la vera gioia del cuore,
    molto più del miele e di ogni cosa dolce, è la tua Presenza.
    Niente si canta di più soave, nulla si ode di più lieto,
    nulla si pensa di più rasserenante, che Gesù Figlio di Dio.
    Gesù, speranza di chi si converte, quale misericordia per chi ti invoca!
    Quanta bontà per chi ti cerca. Che sarai per chi ti trova?
    Non vi è lingua capace di narrare, né parola in grado di esprimere
    cosa sia l'amore di Gesù. Gesù, sii tu la nostra gioia;
    Tu il guadagno che ci attende.
    Sia in T e la nostra gloria, sempre e per tutti i secoli.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Messaggio da miriam bolfissimo » mar ago 30, 2011 1:54 pm

      • Omelia del giorno 28 Agosto 2011

        XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        LA CROCE: amore e dolore nella vita
Se c'è una cosa, che salta subito agli occhi nel nostro mondo, è il tentativo di allontanare il dolore dalla vita. Si è insofferenti ad ogni piccolo disagio, basta un nulla o una contrarietà per mandarci in crisi. D'altra parte il mondo, che ci assedia, vuol apparire come una grande fiera, che si è riempita di ogni prodotto per allontanare il dolore, fino alla droga, che è davvero un affare miliardario, che contagia quanti si illudono di evadere dalla lotta necessaria della vita, credendo al 'sogno' di un momento che ha come unico frutto la distruzione lenta della vita stessa, senza dare a questa una ragione, che mostri la sua bellezza: una bellezza che necessariamente richiede fatica e dolore, come tutte le cose che hanno valore.

C'è poi una sofferenza, una croce, che è la malattia, a volte dolorosa: basta visitare un ospedale per accorgersi che la sofferenza è di tanti, ma tanti: alcuni con problemi che la medicina può eliminare, altri con una sofferenza che non ha fine e li accompagna fino alla morte. A volte è una sofferenza così devastante che fa desiderare la morte... al punto che ora si parla di eutanasia, ossia la fuga dal dolore nella morte.

E c'è una sofferenza interiore, che ha mille motivazioni: il più delle volte è causata dall'atteggiamento di chi ci sta intorno - che forse neppure se ne accorge - ma fa tanto male. E c'è infine la sofferenza nel mondo, da chi muore di fame a chi per la violenza, o per tante altre cause.

Davvero non si può pensare di avere una vita esente dal dolore. Si deve imparare ad amministrarlo come un'occasione di amore, come è nella vita di tanti credenti. E, diciamoci la verità, non c'è modo migliore di esprimere l'amore, che partecipando silenziosamente al dolore di chi ci è vicino. È una grazia.

Se leggiamo la vita di tanti santi noti o di fratelli e sorelle, che vivono nel dolore, meraviglia la loro serenità, come se soffrire fosse un dono, che è il frutto dell'amore, che non pone limite alla sofferenza. Quante volte io stesso, nel difficile compito di parroco o vescovo, per varie ragioni, mi sono trovato a sperimentare la durezza della croce... a volte si piange silenziosamente, ma mai viene meno la voglia di dare tutto, perché che amore sarebbe se non ci si fa carico delle sofferenze del gregge?

L'ho provato duramente nella notte del terremoto a Santa Ninfa. Dopo dieci anni di tanta fatica nel ricostruire chiesa e comunità, potevamo con i confratelli gioire. Una gioia che durò pochi giorni, svanita in pochi secondi con il terremoto, che distrusse tutto: l'unico valore rimasto in piedi era il condividere il dolore della comunità, non solo, ma spendersi per dare conforto. Così il dolore non divenne disperazione, ma si trasformò in amore, che era la sola forza che ci sosteneva e confortava la comunità. Gesù, oggi, mette in chiaro cosa significa seguirLo, ossia vivere di fede, che è il dono per poter amare.
  • Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: 'Dio te ne scampi. Signore. questo non ti accadrà mai!'.
Pietro è categorico e sembra non voler lasciare spazio neppure ad una risposta. Ma quando si ama e non si conoscono le ragioni della sofferenza dell'altro, ci si comporta tutti come Pietro: un atteggiamento di amore umano, incapace di entrare in quello ampio, divino, che ha piani diversi dai nostri.
  • Ma Gesù, voltatosi, disse a Pietro: 'Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!'. Allora Gesù disse ai suoi discepoli: 'Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me la troverà. Quale vantaggio infatti avrà l'uomo se guadagnerà il mondo intero e poi perderà la propria anima? O che cosa potrà dare l'uomo in cambio della propria anima? (Mt 16, 21-26)
Sembra davvero un discorso duro ... e lo è! Gesù stesso, che pronuncia queste parole, sarà il primo a conoscere la durezza del dolore, il dramma della croce, tanto che nell'orto degli ulivi, quella notte sudò sangue e pronunciò parole che hanno tutto il senso di voler quasi allontanare la croce: 'Padre, se possibile, passi da me questo calice, ma si faccia non la mia, ma la tua volontà'. Che grande esempio dell'uomo che soffre e cerca di sfuggire, ma poi accetta per amore, perché sa che è dal suo amore, fatto dono totale, che verrà un bene immenso per tutti e arriverà fino a noi.

Un altro esempio ci viene da Maria Santissima, che segue Gesù nel suo cammino verso il Calvario. Assiste all'agonia del Figlio sulla croce, dove viene donata a noi come Mamma: 'Donna, ecco tuo figlio!'. Divino! Davvero siamo rinati al Cielo, grazie ad un amore incredibile, che sboccia dal dolore. Ci si commuove contemplando come il dolore si fa oceano di amore: un amore per noi. Il profeta Geremia, esperto nella sofferenza, così dialoga con Dio:
  • Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso. Son diventato un oggetto di scherno ogni giorno: ognuno si fa beffa di me. Quando parlo devo gridare, devo proclamare: 'Violenza! Oppressione!'. Così la parola del Signore è diventata per me motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno. Mi dicevo: 'Non penserò più a Lui, non parlerò più in Suo Nome!'. Ma nel mio cuore c'era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa: mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo. (Ger. 20, 7-9)
Commentava Paolo VI:
  • Portare la croce: che significa? Ci sono tante persone che seguono Cristo, che ne ascoltano la parola, che ne ammirano le opere prodigiose, e dicono: 'Ti seguirò ovunque andrai '. Uguali erano le parole degli apostoli poche ore prima: 'Se necessario morire per te, non ti rinnegherò' (Mt. 26,35) Ma poi ... tutti i discepoli, abbandonato Lui, fùggirono”.
    Gli apostoli, quelli fedeli, i più cari, più istruiti, quelli che avevano giurato fedeltà, quando si trattò di seguirLo per quella ignominiosa Via della Croce, tutti furono assenti.
    Seguire il Signore fino alla croce è un privilegio ed è un atto singolare, che si affianca a quell'unico che arrivò sul calvario, Giovanni, forse il più giovane degli apostoli, quello che 'Gesù prediligeva'. Giovanni arrivò fino sul Calvario, non ebbe né vergogna né paura: fu là sotto la croce, accanto a Lui, a condividere il pianto di Maria, Sua Madre, e delle donne ...
    La croce è la stazione di arrivo dell'infinito amore di Dio per noi uomini. Parte dalla croce, per gli uomini, un'onda di bontà, che arriva a tutte le anime per salvarle. In altre parole, nella croce si è compiuto il Mistero della Redenzione. È la Redenzione che ha il segreto dei grandi destini umani: senza quella croce il genere umano è perduto; con la croce, tutto il genere umano è salvo.
    Tutti ne siamo interessati, tutti siamo guardati da Cristo dall' alto della croce. Ci guarda, ci chiama, ci ama: noi crediamo che i nostri destini sono concentrati nella croce di Cristo. (15 aprile 1960)
Posso immaginare il dolore, le sofferenze di ogni tipo, che appartengono a quanti mi stanno leggendo. Vorrei farmi vicino per condividere, ma soprattutto per aiutare a far diventare tesoro quello che sembra castigo. Tutti portiamo la nostra croce, a volte con tanta fatica. Con la fede e l'amore può diventare un grande tesoro, come la Croce di Gesù, diversamente è solo dolore, senza speranza, e può diventare disperazione. Dono a tutti, che mi leggete, una preghiera di don Tonino Bello.
  • Madonna santa, fa' che io sia ferito dalle piaghe di Gesù Cristo.
    Dammi le stigmate, ma non come le fessure che hanno colpito
    la pianta della mano o dei piedi di san Francesco d'Assisi o di altri santi.
    No, dammi le stigmate e i segni di questa mia compassione,
    di questo mio soffrire per Te, come è accaduto ai piedi della croce.
E io voglio assicurare quanti, leggendomi, sono colpiti dalla sofferenza, che avranno un posto privilegiato nella mia preghiera e nel mio cuore, che sia per loro come un non sentirsi nella maledetta solitudine.



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Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 09, 2011 2:46 pm

      • Omelia del giorno 4 Settembre 2011

        XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        La difficile regola del PERDONO
La Parola di Dio, oggi, mette in discussione un atteggiamento diffuso, che è veramente il contrario del Vangelo. Conosciamo tutti la nostra fragilità umana, capace di offendere e pronta a sentirsi offesa, poco disposta a quella medicina che è la comprensione e il perdono. Basta un nulla, a volte, per renderci nemici o estranei. La frase più diffusa, in questi casi, è 'me la pagherai'.

Chi non si è trovato nella situazione di offendere, forse senza calcolare le conseguenze, o di essere offeso? Viviamo a contatto l'uno con l'altro ed è facile farsi uscire dalla bocca una frase non ben pronunciata o travisata, per creare un vero muro di divisione tra di noi. L'uomo, nella sua fragilità, in questo senso 'pecca' spesso verso il fratello. Facile, invece, rompere un dialogo già spesso difficile ed a volte impossibile sanare lo squarcio causato dall'incomprensione. Siamo davvero fragili!

Se le incomprensioni possono rovinare i rapporti personali, fa ancora più impressione constatare come l'intolleranza, le ingiustizie o gli attriti tra le nazioni, causino guerre, che hanno un prezzo di dolore incalcolabile per l'umanità. È scandaloso quanto le varie nazioni spendano in armamenti, per costruire strumenti di morte sempre più devastanti. È come se il veleno di satana, iniettato sui progenitori, dopo la creazione, continui a moltiplicarsi. Se quanto si spende per la guerra fosse applicato per una equa distribuzione delle ricchezze e la pace tra i popoli, credo che avremmo un benessere generale, che sarebbe come un pezzo di Paradiso tra di noi. Ma non è così. Sembra che nell'uomo si annidi e domini la voglia di contrasto e non l'aspirazione all'amore.

Per fortuna non è così per i Santi o per i cristiani veri, che hanno un cuore grande, capace di assorbire il male che ricevono, trasformandolo in occasione per manifestare la bellezza del perdono. La medicina all'immane male, che è la vendetta, la dà Gesù:
  • Gesù disse ai suoi discepoli: 'Se il tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato tuo fratello; se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni. Se poi non ascolta neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano o un pubblicano.
Una prova che Dio esige amore e perdono, l'abbiamo nel momento in cui noi ci avviciniamo al Signore nel Sacrificio della Santa Messa, che è l'espressione visibile dell' Amore di Dio, senza se e senza ma... Ma chiede lo stesso a noi, al punto che, se non vi è totale amore tra di noi, chi odia o non perdona il fratello non può accostarsi alla S. Comunione, segno visibile della nostra UNIONE.
La Santa Comunione è come la confessione pubblica che ci vogliamo bene e che non vi sono divisioni con alcuno, in noi. Scriveva l'Apostolo Paolo ai Romani:
  • Fratelli,. non abbiate alcun debito con nessuno, se non quello di un amore vicendevole: perché chi ama il suo simile ha adempiuto alla legge. Infatti il precetto: 'Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare' e qualsiasi altro comandamento, si riassume in queste parole; 'Amerai il prossimo tuo come te stesso'. L'amore non fa nessun male al prossimo: pieno compimento della legge è l'amore. (Rom. 13,8-10)
Un grande esempio ce lo ha dato Papa Giovanni Paolo II, dopo l'attentato in piazza San Pietro, dove fu miracolosamente preservato dalla morte. Guarito, chiese di poter far visita in carcere al suo attentatore, Alì Agcà, portandogli il segno del suo totale perdono. E potremmo estendere lo sguardo a tantissimi martiri che, sull'esempio di Gesù, perdonavano chi li torturava o uccideva, e a tanti tra di noi capaci di perdonare anche il tradimento. Sono la testimonianza che nel mondo, anche oggi, non c'è solo voglia di vendetta, ma esiste il grande bene del perdono. Diceva il beato Giovanni Paolo II:
  • Atteggiamenti di conversione, di pentimento, si manifestano all'esterno: è il fare penitenza. Fare penitenza vuol dire ristabilire l'equilibrio e l'armonia rotti dal peccato, cambiare direzione anche a costo di sacrifici. Una catechesi sulla penitenza è inderogabile in un tempo come il nostro, nel quale gli atteggiamenti dominanti nella psicologia e nel comportamento sociale sono così in contrasto con il valore del pentimento: l'uomo contemporaneo sembra fare più fatica che mai nel riconoscere i propri sbagli e a decidere di tornare sui suoi passi per riprendere il cammino dopo aver rettificato la marcia; egli sembra molto riluttante a dire 'me ne pento' o 'mi dispiace'; sembra rifiutare istintivamente tutto ciò che è penitenza.
L'uomo moderno non ha più la capacità di riconoscere il male e lo stupore del perdono, cioè sia il riconoscere il proprio sbaglio - vera Grazia di Dio! - Sia l'essere pronto a ristabilire la comunione con il fratello, nella Grazia del perdono. Insomma, avere la capacità del 'ritorno', affidandosi al perdono, come figli prodighi.
  • In verità vi dico: 'Tutto quello che legherete sopra la terra, sarà legato anche in Cielo e tutto quello che scioglierete sulla terra, sarà sciolto anche in Cielo'.
    In verità vi dico: 'Se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei Cieli ve la concederà. Perché dove due o tre sono riuniti nel mio Nome, Io sono in mezzo a loro. (Mt. 18, 15-20)
Parole chiare, quelle che Gesù ci rivolge sul perdono. Sappiamo tutti, per esperienza, come sia facile scontrarsi e, a volte, senza quasi accorgersene, offendere: è nella debolezza della nostra natura, ma Dio chiede che non ci sia mai e poi mai qualche ruggine nei nostri rapporti.

Basterebbe pensare all'esempio di Dio stesso, in Gesù, Suo Figlio. Dopo una vita passata a trasmettere il Cielo e fare del bene a noi uomini - quanti miracoli! Alla fine viene arrestato e crocifisso. In un momento così drammatico, come quello in croce, Dio dà l'esempio a tutti noi: 'Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno'. Non aveva offeso nessuno, anzi ... Lui era stato offeso.

E tutti sappiamo che offendere Dio è cosa inaudita. Perché Dio è solo amore e non offende mai e neppure ci fa del male. Ama solo. Eppure, nonostante le nostre offese, Lui è sempre il Padre, che non chiude la porta al 'figlio prodigo', che, dopo aver dissipato tutti i beni ed aver preferito il mondo alla casa del Padre, ritorna. Anzi il Padre non si rassegna mai all'assenza di un solo figlio, 'lo attende sulla porta di casa' e, quando si accorge che sta ritornando, 'gli va incontro e gli mette le braccia al collo e invita tutti a fare festa': la festa del perdono. Incredibile quanto Dio ci voglia bene!

Proviamo a pensare a quante volte, nel sacramento della Penitenza, ci accade lo stesso, come al figlio prodigo. A noi, che ritorniamo a Lui, pentiti, il sacerdote si fa “padre” e rimette ogni colpa. Questo è Dio. E se Dio è così nei nostri riguardi, chiede a noi di essere come Lui verso i nostri fratelli. Non più dunque il sentimento di 'me la pagherà' o il togliere il saluto, come se chi ci ha offeso non fosse più nostro fratello! Sono sentimenti e atteggiamenti inconcepibili per noi, che in Dio siamo fratelli e che dovremmo imitarLo, perché quello che Lui ci perdona è mille volte più grave, di quanto noi dobbiamo perdonare... Non resta che meditare ed affidarsi alla Parola del profeta Ezechiele:
  • Così dice il Signore: Figlio dell'uomo, io ti ho costituito sentinella per gli Israeliti: ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia. Se io dico all'empio: Empio tu morirai e tu non parli per distogliere l'empio dalla sua condotta, egli, l'empio, morirà, per la sua iniquità, ma della sua morte chiederò conto a te. Ma se tu avrai ammonito l'empio della sua condotta, perché egli si converta ed egli non si converte, egli morirà per la sua iniquità, tu invece sarai salvo. (Ez. 33, 7-9)
Non ci resta che pregare per ottenere quella generosità di cuore, non solo per non recare offesa al prossimo, ma ancor più per donare amore a chi ci fa del male. In altre parole, mettere in pratica la Parola del Padre nostro: "…RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI, COME NOI LI RIMETTIAMO AI NOSTRI DEBITORI".


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Messaggio da miriam bolfissimo » sab set 10, 2011 8:47 am

      • Omelia del giorno 11 Settembre 2011

        XXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        Costruttori di riconciliazione
Ricordo una scena di quando ero parroco in Sicilia. Nella quotidiana guerra che la mafia combatteva, cercando di imporsi e vendicarsi, gruppo contro gruppo, in una spirale che tendeva a crescere e mai a diminuire, un giorno, venne ferito gravemente uno di loro. Andai a visitarlo in ospedale. Intuendo che per lui era vicino l'incontro con Dio, lo esortavo a prepararsi degnamente, incominciando dal pentimento e dal perdono a chi lo aveva colpito. La risposta fu secca: 'Se la mia sorte sarà la morte, lo perdonerò; se invece sopravviverò, lo ucciderò'.

Una risposta agghiacciante, che nulla ha a che vedere con la legge del perdono e dell'amore, donata dal Vangelo e che riflette la fedeltà di Dio al Suo Amore per l'uomo: una fedeltà pagata con il duro prezzo della morte di Suo Figlio sulla croce. In altre parole, di fronte alle nostre tante offese, che sono sempre immense, perché rivolte, senza alcuna ragione, ad Uno che non ha confini nell'amore, Dio risponde sempre con la sua fedeltà, pronto sempre al perdono. È la follia del Cuore di Dio, un Dio talmente innamorato della sua creatura, che fa della riconciliazione la gemma più preziosa... sempre che noi riconosciamo le nostre colpe e siamo disposti a 'ritornare' a Lui, chiedendo perdono.

Noi viviamo quotidianamente tanto vicini gli uni gli altri, in famiglia, sul lavoro, ovunque, che è facile urtarsi, offendersi. Impossibile, finché viviamo su questa terra, pieni di debolezze, come siamo tutti, non inciampare, non urtarci, non andare incontro ad incomprensioni e offese, capaci di bruciare in un istante ogni rapporto di serenità tra di noi. La vita è come un camminare su una strada piena di cocci; ci si ferisce continuamente reciprocamente. Si può tranquillamente affermare che vivere insieme è una continua battaglia, in cui a volte si è vincitori e a volte perdenti.
Dovessimo legarci al dito tutti i torti che riceviamo, avremmo in pochi giorni le mani impossibilitate a muoversi, perché sovraccariche di corde, tutti! Perché i torti si ricevono, ma si fanno anche agli altri! Non solo, ma, se ogni offesa che riceviamo dovesse essere ricambiata con un distacco da chi ci offende, estraniandolo dall'amore, presto rimarremmo soli, estremamente soli, noi che da Dio siamo stati creati con il desiderio e la ragione di amare ed essere amati... sarebbe l'autodistruzione totale dell'umanità: se chi ci offende fosse da considerarsi 'come morto' nel nostro cuore, la nostra vita - di ciascuno - diventerebbe un cimitero. Ci avverte oggi il Siracide:
  • Il rancore e l'ira sono un abominio: il peccatore li possiede. Chi si vendica avrà la vendetta del Signore ed egli terrà sempre presenti i suoi peccati. Perdona l'offèsa del tuo prossimo e allora per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. Se qualcuno conserva la collera verso un altro uomo, come oserà chiedere la guarigione al Signore? Egli non ha misericordia per un uomo simile e osa pregare per i suoi peccati? Egli, che è soltanto carne, conserva rancore: chi perdonerà i suoi peccati? Ricordati della tua fine e smetti di odiare; ricordati della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti. (Sir. 27,28)
Gesù sulla croce dovrebbe suggerire a tutti il valore della Misericordia. Non aveva certamente né detto, né commesso alcunché da farsi perdonare, quando era tra noi... anzi, in quei tre anni, altro non aveva fatto che del bene, come solo Lui sa fare... e aveva insistito, nonostante la nostra natura fragile, a imitarLo nella bontà. Fino a quando assunse totalmente la nostra condizione, addossandosi tutti i peccati dell'umanità, - e chi mai potrà calcolarli? I miei, i vostri ... - Non fu facile per Lui, il Santo dei Santi, la Bontà infinita, che si era espressa nel farsi uno di noi, Figlio dell'Uomo, andare incontro alla Passione.

Ricordiamo tutti la notte dell'agonia nel Getsemani. Sudò sangue e pregò il Padre: 'Se possibile, passi da me questo calice, ma, non la mia, ma la Tua volontà sia fatta '. E poi si consegnò a chi era venuto, tradendolo, a catturarlo... e fu davvero un continuo dolore, un perdere tutto, fino alla beffa, all'essere schiaffeggiato dai soldati, al ricevere sputi - segno di massimo disprezzo - all' essere rivestito come un pagliaccio delle vesti di porpora,"facendosi gioco di Lui, incoronandolo di spine: 'Ecco il vostro re!'. Nessuna compassione nel caricarlo della croce, nessuna quando cadeva sotto il peso della croce. E alla fine lo hanno crocifisso sul Calvario, dove si punivano i delinquenti più gravi e pericolosi.

Davvero venne calpestata ogni briciola della sua dignità e senza alcuna ragione, perché Lui non aveva offeso nessuno, anzi, era venuto per pagare tutte le nostre offese a Dio e ai fratelli. È davvero incredibile che ci sia Qualcuno, Dio, che voglia 'pagare' le nostre offese, anziché, come facciamo noi, rispondere ad offesa con offesa: è la grande lezione del perdono. Un perdono che noi sperimentiamo nel sacramento della Riconciliazione. È lì, se abbiamo davvero un cuore contrito, che Lui è Padre che accoglie 'il figlio prodigo'. Oggi Gesù ci insegna tutto questo nel Vangelo:
  • Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: 'Signore, quante volte dovrò perdonare a mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?'. E Gesù gli rispose: 'Fino a settanta volte sette!. A proposito il regno dei cieli è simile ad un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fossero venduti lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva e saldasse così il suo debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui, che gli doveva cento denari e afferratolo lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito. Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone ciò che era accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito, perché mi hai pregato. Non dovevi anche tu avere pietà del tuo compagno, come io ho avuto pietà di te? E sdegnato il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli fosse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello. (Mt. 18,21-35)
Una grande testimonianza del perdono ci fu data dal beato Giovanni Paolo II. Ricordiamo tutti l'attentato in piazza San Pietro: se non morì fu un vero miracolo, come lui stesso affermò. Quando poté volle andare a visitare il suo attentatore, Alì Agcia, in prigione, per confermargli il suo perdono. La storia, se da una parte racconta vendette atroci, dall'altra mostra in tanti la bellezza del perdono. Ed è a questa bellezza che dovremmo guardare quando ci sentiamo offesi, e pronti anche a non aver paura a chiedere perdono, quando ad offendere siamo stati noi. Oggi prego Maria Santissima:
  • É facile pensarti, Madre dolorosa, confusa tra la gente che seguiva tuo Figlio sulla via del Calvario.
    'Quel povero uomo', come era considerato dalle pie donne, che non riuscirono a trattenere la loro naturale tenerezza verso chi soffriva.
    'Quel maledetto condannato' per coloro che lo consideravano solo un delinquente senza dignità.
    Nessuna pietà per il condannato: la vergogna, la morte doveva gustarle fino in fondo.
    Purtroppo i prezzi della nostra cosiddetta giustizia vanno pagati fino in fondo.
    La nostra giustizia, Maria Santissima, qui sulla terra, a volte non conosce pietà né amore.
    Ma Gesù ha cambiato questa logica perversa.
    Lui, maledetto dagli uomini, si lascia maledire senza opporre resistenza.
    Sulle Sue spalle sa di portare tutti i peccati del mondo e di quelli che lo maledicono.
    La Sua è una giustizia diversa: è fedeltà a noi, figli del Padre e che il Padre non rinuncia ad amare
    fino a caricare le nostre colpe sulle spalle del Suo Figlio, Amore come Lui.
    E così Gesù, tuo Figlio, stringe la croce come fosse il cuore degli uomini, da non abbandonare mai, ma da salvare.
    'Non sono venuto - dirà tuo Figlio e lo dice oggi a noi - a giudicare il mondo, ma a salvarlo'.
    E ancora: 'Non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva" per questo: 'Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno'.
    Non mi rimane, cara Madre, che mettermi in ginocchio e riconoscente dire
    Grazie al Padre, al Figlio, allo Spirito d'Amore e a Te, per tanto amore vissuto e condiviso.

Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » lun set 19, 2011 2:12 pm

      • Omelia del giorno 18 settembre 2011

        XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        Facciamoci trovare quando Dio chiama
C'era un tempo, quando si era più poveri: una povertà dignitosa, che creava spazi alla vita interiore e, quindi, a Dio. Uno spazio che era come farsi trovare quando Dio ci cerca. E sappiamo tutti che nessuno ha avuto il dono della vita senza uno scopo. Dovremmo sapere tutti che questo grande dono deve contenere un'infinita ricchezza, che si costruisce giorno per giorno, e, alla fine di questa esperienza terrena, sarà la sola ricchezza che porteremo con noi. Ed è davvero triste vedere come troppi non si fanno trovare, quando Dio passa e chiama, vanificando il dono della vita ricevuto. Ha ragione il profeta Isaia quando afferma:
  • Cercate il Signore, mentre si fa trovare; invocatelo, mentre è vicino. L'empio abbandoni la sua via, e l'uomo iniquo i suoi pensieri: ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. Perché i miei pensieri non sono i vostri pensieri e le vostre vie non sono le mie vie - oracolo del Signore. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie; i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri. (Is. 55,6-9)
Ed ogni uomo, tutti, noi compresi, abbiamo 'dentro' la storia di questo cercare o non cercare, di questo invocare o non invocare. Di fatto siamo in realtà ciò che abbiamo cercato o non cercato. Tutti! In proposito, ad un grande artista, che ebbi modo di incontrare, il maestro Carlo Maria Giulini, una sera, chiesi se era cosa buona tale ricerca. Così rispose: 'Quasi sempre noi sentiamo parlare di Dio dai sacerdoti, dalla Chiesa. Poche volte lo sentiamo dalla gente comune. Quella che mi offre è una buona occasione per confrontarci. Sarà interessante sapere con quale linguaggio le persone, che lei incontra o ha incontrato, si esprimono in proposito. Sapere che cosa è rimasto in loro della educazione dall'infanzia. Cosa di più interessante si è offerto loro. Saper quali sono stati i cammini verso o lontano dalla fede. È certo che Dio passa vicino ad ogni uomo, chiama, indica la via che dà il vero senso alla vita. Ma oggi è veramente saggio ciò che si insegna?'.

C'è un momento in cui Dio passa e chiama a diventare 'operai nella Sua vigna'. Quante persone ho avuto modo di incontrare che, nella vita, erano come dei 'disoccupati' o lontani da ogni ricerca di Dio e, all'improvviso, - vera Grazia! - hanno sentito il richiamo di Dio e la loro esistenza è cambiata totalmente, mettendosi sulle orme del Signore. Così parla Gesù, oggi:
  • Il regno dei cieli è simile ad un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori, per la sua vigna. Accordatosi con loro, per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza disoccupati e disse loro: 'Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò'. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse: 'Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi '. Gli risposero: 'Perché nessuno ci ha presi a giornata'. Ed egli disse loro: 'Andate anche voi nella mia vigna'.
    Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: 'Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi'. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch'essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone, dicendo: 'Questi ultimi hanno lavorato un'ora e li ha trattati come noi, che abbiamo sopportato tutto il peso della giornata e il caldo'. Ma il padrone. rispondendo a uno di loro disse: 'Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene: ma io voglio dare anche a quest'ultimo quanto a te. Non posso fare delle cose mie quello che voglio? Oppure tu sei invidioso, perché io sono buono? Così gli ultimi saranno i primi e i primi ultimi. (Mt. 20, 1-16)
È facile, leggendo la vita di chi sta vicino, vedere realizzarsi la parabola delle chiamate di Dio. Avvengono in tempi diversi della vita: alcuni da giovani, altri addirittura da anziani. Dio non ha orari nel chiamarci: attende solo che noi gli diciamo di sì. Ho avuto modo di conoscere questa varietà di chiamate di tanti.

Ricordo un grande sacerdote, che per 40 anni si era disinteressato a Dio: era un dissipato, ma sentiva fortemente che non era nella verità della vita, quel suo essere 'disoccupato'. Finché trovò qualcuno che colse il suo disagio e lo indirizzò a guide spirituali, che lo aiutarono a ritrovare la vigna del Signore. Descrive bene il suo percorso nella famosa poesia Riamato l'Amor, l'Amor vuol tutto
  • E venne il giorno che in divin furore,
    la verità di Cristo mi costrinse a giustiziar e libri e scritti e carte: o sì che quello fu un gran bel stracciare!
    Allor che quanto m'ea il più del male ridotto fu a un lacerato ammasso, mi sentì lieve in libertà felice.
    Ed ecco repentino a me salire dal fondo del fracasso della strada un patetico annuncio e me ben noto: Strascèe? ...Ehi straccivendolo... Egli pesta passo per passo all'ultimo gradino ingombra il sacco sopra la stadera:
    per poco prezzo quella roba tolse.
    Il cittadino accendere della sera mi trovò solo a ripensare il tempo l'anima mia posta nell'eterno,
    mestizia forse, non tristezza colse. (Clemente Rebora)
Per qualche estate, veniva alla Sacra di San Michele, per riposare. Lo accompagnavo nelle brevi passeggiate. Non parlava mai, ascoltava, come avvolto in un silenzio, che riempiva della meravigliosa novità che scopriva nella vita, gli anni trascorsi a sperimentare il 'vuoto'. E non fu così, forse, la storia di San Francesco, quando, assecondando l'invito di Dio, da ricco e spensierato che era, si spogliò di tutto, sposando quella che chiamava 'Madonna Povertà', ed era la grande ricchezza di seguire Cristo?

Ma se vogliamo capire la storia di tanti - e nella mia vita di pastore ho avuto la grazia di conoscerne tanti davvero - cogliamo la verità di questa parabola: Dio chiama alla Sua vigna in ogni tempo, senza mai stancarsi. Forse è la vostra storia ... diversamente si rischia di restare 'disoccupati sulla strada della vita'. Afferma il grande Papa del sorriso, Giovanni XXIII:
  • Iddio mi ha creato, eppure non aveva bisogno di me; eppure l'ordine dell'universo, l'ambiente che mi circonda, tutto insomma, esisterebbe senza bisogno di me. Perché dunque mi credo io così necessario a questo mondo? Chi sono io, se non una formica, un granello di arena? Perché dunque mi faccio sì grande davanti a me stesso? A che sono io in questo mondo? Per servire Dio. Dunque la mia vita deve essere del tutto consacrata a Lui: a compiere i Suoi voleri, del tutto e per sempre. Quindi, quando non penso a Dio, ma al mio amor proprio, divento un servo disobbediente. Servo di Dio: qual bel titolo, quale mansione bellissima è mai questa!
Così sono i 'disoccupati' che sanno attendere Chi li chiama. Ma oggi, guardandoci attorno, in questa società, che continua a costruirsi idoli senza anima, destinati all'insoddisfazione, si ha come la sensazione che troppi non cerchino più Dio. Eppure questa mancanza di desiderio di Dio, diventa un vuoto, un 'disagio' che si fa sentire.

Non resta che chiedere di avere un cuore sempre all'erta, attento all'invito a seguirLo nella Sua Vigna. SeguirLo è la spiegazione della serenità di tanti: una serenità che non è generata dalle cose materiali, ma dalla gioia di vivere nella vigna del Signore. La stessa gioia, che si rifletteva sempre sul viso di don Clemente Rebora, ed era il frutto di quell'essersi sbarazzato dell'inutile raccolta di Strascèe. Così, ancora scriveva, in proposito, don Clemente:
  • Speravo in me stesso, ma il nulla mi afferra.
    Speravo nel tempo, ma passa, trapassa.
    Speravo nel ben che verrà sulla terra, ma tutto finisce travolto in ambascia.
    Ho peccato, sofferto, cercato, ascoltato
    la voce dell'amor che chiama e non langue: ed ecco la speranza: la Croce.
    Ho trovato Chi prima mi ha amato e mi ama e mi lava nel sangue che è fuoco.
    Gesù, l'Ognibene, l'Amore infinito, l'Amore che dona l'amore,
    l'Amore che vive ben dentro nel cuore.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » sab set 24, 2011 8:31 am

      • Omelia del giorno 25 Settembre 2011

        XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        La bellezza di essere sempre veri
Capita a tutti, credo, di sentire giudizi o commenti sulle persone che sono vicine o che incontriamo o frequentiamo. È molto difficile, per non dire impossibile, che qualcuno si salvi da un errato giudizio verso qualcuno. Siamo portati, per difetto, a vedere il male più che ammirare il bene che vi è in tutti noi. E tante volte sottolineiamo appunto ciò che riteniamo male, ma difficilmente siamo attenti al bello che è in tanti, anche perché a volte è difficile distinguere in una persona cattiveria o semplicemente un modo di comportarsi o le conseguenze del carattere.

Purtroppo anche noi cristiani, che dovremmo avere occhi puliti nel valutare il comportamento del prossimo, ricordando la Parola saggia di Gesù: 'Non giudicate e non sarete giudicati', di fatto lasciamo che i nostri occhi siano appannati dalla prima impressione, che si ha di qualcuno, dai pregiudizi, che albergano in noi e nella società che ci circonda, dall'opinione pubblica modaiola e 'gregge'. Del resto sappiamo anche quanto sia difficile, per ciascuno, riconoscere fino in fondo se in noi prevalga la bontà o la leggerezza nel giudicare noi stessi e gli altri - quante volte inganniamo noi stessi sulle vere motivazioni che ci spingono ad agire!

Eppure il vero dialogo, o se volete la vera convivenza, dovrebbe avere le sue basi sulla verità e la compassione verso gli altri ... e anche verso se stessi, consapevoli di essere tutti 'grandi' nel destino, ma, pur sempre creature limitate. Tutti facciamo esperienza della nostra fragilità, che ci porta a volte, anche se non vogliamo,ad essere ed apparire quello che non vorremmo - quando siamo consapevoli e alla ricerca della verità. E ci fa tanto male che altri vedano in noi quello che non siamo o non vogliamo essere.

Tutti aspiriamo ad essere, più che giudicati, compresi, conosciuti nelle nostre vere aspirazioni, e soprattutto amati, soprattutto nei momenti difficili, in cui abbiamo bisogno di comprensione e non di giudizi errati o senza spazio all'amore. Dice oggi il profeta Ezechiele:
  • Voi dite: 'Non è retto il modo di agire del Signore'. Ascolta, dunque, popolo d'Israele: non è retta la mia condotta o piuttosto non è retta la vostra? Se il giusto si allontana dalla giustizia per commettere l’iniquità, a causa di questa muore: ed egli muore appunto per l’iniquità che ha commesso. Ma se l'ingiusto desiste dall'iniquità, che ha commessa, e agisce con giustizia e rettitudine, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto e si è allontanato da tutte le colpe commesse; egli certo vivrà e non morirà. (Ez. 18, 25-28)
Capitava spesso a Gesù di trovarsi a parlare davanti ad una folla, che ripeteva i nostri stessi sbagli e giudizi. C'era chi si riteneva giusto, come i farisei. Loro, almeno in apparenza, osservavano la Legge, fino a spaccare - esternamente - il pelo! Tanto da arrivare a giudicare persino Gesù, il Giusto per eccellenza, da loro considerato un peccatore, perché guariva in giorno di sabato! Una pretesa da folli, assomigliavano al primo figlio, di cui parla il Vangelo oggi. La loro è una giustizia di forme, priva di amore. Non solo giudicavano spietatamente gli altri, ma addirittura stabilivano la condanna a morte per chi aveva sbagliato. Ricordiamo il fatto dell'adultera, colta in fragrante reato. Viene portata da Gesù, trascinata da una folla, che attraverso la condanna della donna, mira alla condanna di Gesù. Tutto dipendeva da quello che il Maestro avrebbe risposto. E questa è davvero ipocrisia, mascherata con un falso desiderio di giustizia.

Gesù inizialmente risponde con il silenzio, come se il caso non lo riguardasse ... crea uno spazio 'vuoto', da riempire con calma e riflessione, per poi semplicemente riportare tutti alla realtà: “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra”. È impressionante la scena evangelica successiva ... tutti, dai più anziani ai più giovani... se ne andarono. Quella dei farisei è una terribile ipocrisia, che possiamo trovare anche oggi in tanti casi, che generano solo tante, ma tante sofferenze.

Ricordo un fatto personale. Un giorno su 'Il Mattino', giornale napoletano, uscì un articolo, che cercava di mostrare come la mia battaglia alla camorra fosse finta e di fatto un modo per difendere i camorristi. Chiamai il direttore del giornale, che si scusò, mettendo la testata a mia disposizione, per affermare la verità ... rinunciai, anche se simili attacchi ed accuse, fanno un grande male.

Per Gesù la giustizia è altra cosa, cosi come ogni virtù. Giustizia è un atto di amore da parte del Cuore di Dio, che sostiene la nostra volontà ed attende una risposta che sia amore, non apparenza. Può sembrare duro questo affidarsi all'Amore, che ci mette alla prova. Venne chiesto una volta a Madre Teresa di Calcutta: 'Se rinascesse, rifarebbe la stessa vita?' Tra lo sbigottimento generale, rispose: 'Oggi sapendo quanto può essere duro fare la volontà di Dio, sarei tentata di dire di no'. Nell'assemblea ci fu un vero smarrimento. Non si aspettavano queste scarne parole della Madre, che evidenziavano la durezza della croce. Ma dopo alcuni istanti di silenzio totale, improvvisamente Madre Teresa, sorridendo, sorprese tutti … “ma sapendo quanto Dio mi voglia bene e quanto gliene voglio io, credo Gli direi nuovamente di sì”. Vi fu un applauso scrosciante ed entusiasta dei giovani presenti.

Che il nostro sia il tempo del “Sì”, per chi è veramente discepolo di Cristo, dovrebbe essere chiaro per tutti. Il mondo sfacciatamente evidenzia la sua mostruosa faccia di falsità. Inganna, offrendo ciò che non è bello agli occhi, non solo di Dio, ma di ogni uomo, tanto più se uomo di fede, illudendoci che la vera felicità sia in suo possesso: falsità, inganno, menzogna. È coinvolgente per noi il Vangelo di oggi, stretti come siamo dalla volontà di restare fedeli a Dio e la tentazione continua di 'non considerarlo' o, Dio non voglia, voltargli le spalle... Scrive l'evangelista Matteo:
  • In quel tempo Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 'Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli: rivoltosi al primo disse: 'Figlio, và oggi a lavorare nella vigna'. Ed egli rispose: “Sì, signore” ma non andò. Rivoltosi al secondo gli disse lo stesso. Ed egli rispose: 'Non ne ho voglia, ma poi, pentitosi, ci andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre? Dicono: 'L'ultimo'. E Gesù disse loro: “In verità vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano davanti nel Regno di Dio. E' venuto a voi Giovanni nella via della giustizia e non gli avete creduto; i pubblicani e le prostitute invece gli hanno creduto. Voi al contrario, pur avendo visto queste cose, non vi siete nemmeno pentiti per credergli. (Mt. 21, 28-32)
Una bella lezione per tutti noi e sulle nostre scelte che, a volte, assomigliano alla risposta del primo figlio. Scrive con efficacia Paolo VI:
  • Il grande fallo di tanti cristiani moderni è l'incoerenza e la mancanza di fedeltà alla Grazia, ricevuta nel Battesimo e successivamente in altri sacramenti, e agli impegni solenni e salutari, assunti verso Dio, verso la Chiesa nella celebrazione di un patto, di una alleanza, di una comunione di vita soprannaturale, che non mai avrebbe dovuto essere trascurata o tradita. Quale grande vantaggio di avere tenuto fede lealmente a quegli impegni che danno senso, virtù e merito alla vita cristiana. (1974)
Gesù ci aiuti ad essere sempre nella vita testimoni viventi della fede e dell'amore a Lui, distinguendoci da questo mondo, che non ha più riferimenti e non sa più 'volare alto', poiché si affida a ciò che non lascia spazio alla Grazia.
  • O Divin Redentore, che hai amato e ami la Chiesa e per essa hai dato te stesso,
    al fine di santificarla e farla comparire innanzi a Te, risplendente di gloria,
    rendi, questa tua Chiesa, Una nella tua carità, Santa nella partecipazione alla tua santità.
    Sia ancora oggi, nel mondo, vessillo di salvezza per gli uomini,
    centro di unità di tutti i cuori, ispiratrice di santi propositi.
    Che i suoi figli, lasciata ogni divisione e indegnità, le facciano onore, sempre e ovunque,
    affinché tutti gli uomini, che ancora non le appartengono, guardando ad essa, trovino Via, Verità, Vita,
    e in Te siano ricondotti al Padre, nell'unità dello Spirito Santo.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » gio set 29, 2011 10:47 am

      • Omelia del giorno 2 Ottobre 2011

        XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        Inizia il mese del Rosario
C'è una preghiera, che è come il racconto della vita di Gesù, contemplata da tantissimi, uomini, donne, giovani e anziani, nella recita del Santo Rosario. Sappiamo tutti come è facile trovare nelle mani o addosso questa coroncina, come a ricordarci che Maria, la dolce Mamma, davvero si prende cura di tutti noi. Una preghiera semplice, che un tempo, e mi auguro per molti oggi, chiudeva la giornata delle famiglie, che si radunavano per la recita del Santo Rosario.

Nella mia famiglia, anche quando ero diventato prete, era papà che sentiva di essere 'il sacerdote', che anima il Rosario ... così come, quando c'era ancora la nonna materna, era lei che, non solo ci voleva tutti vicini, ma commentava con semplice profondità i Misteri del Rosario. Una teologia spicciola, ma saggia, che la diceva lunga sulla fede e la conoscenza della nonna. Era una recita così sentita, che ci coinvolgeva tutti, non solo gli adulti, ma anche noi adolescenti. Era davvero una catechesi pregata, quella recita del Santo Rosario. Diceva Paolo VI:
  • Il Rosario è un'educazione alla pietà religiosa, più semplice e popolare e allo stesso tempo più seria e più autentica, insegna ad unire l'orazione con le comuni azioni della giornata, santifica le vostre amicizie, vi abitua a unire le parole della preghiera al pensiero, alla riflessione sui Misteri del Rosario e questi si presentano come quadri e come scene, come racconti, l'uno dopo l'altro, e ricordano un po' l'incantesimo delle sequenze cinematografiche, per voi tanto interessanti; vi portano alla visione fantastica dei fatti ricordati dai Misteri, alla storia della vita di Gesù e di Maria, e alla comprensione delle più alte verità della vostra religione: l'Incarnazione del Signore, la sua Redenzione e la vita Cristiana presente e futura. È una scala il Rosario e voi salite insieme adagio, adagio, andando in su, incontro alla Madonna, che vuol dire incontro a Gesù. Perché anche questo è uno dei caratteri del Rosario, ed è il più importante, il più bello di tutti, e cioè, il Rosario è una devozione che, attraverso la Madonna, ci porta a Gesù.
    È Gesù Cristo il termine di questa lunga e ripetuta invocazione a Maria. Si parla di Maria per arrivare a Gesù. Ella lo ha portato al mondo. Ella è la Madre del Signore. Ella ci introduce a Lui, se noi siamo devoti a Lei. (maggio 1964)
La recita del Santo Rosario era la preghiera del tempo libero del grande beato Giovanni Paolo II. Lo ricordo un giorno, in visita alla Sacra di Santo Michele. Dopo la visita all'abbazia, che credo molti conoscano, non potendo l'elicottero atterrare sui dorsali della Sacra, per il grande vento, fu costretto a scendere in macchina. Lo accompagnai, felice di stare insieme e poter scambiare con lui qualche parola. Il beato si raccolse in se stesso e mi pregò di fargli compagnia nella recita del Santo Rosario. Essendo il tragitto abbastanza lungo, insieme, senza perdersi in parole, recitammo i Misteri gaudiosi e dolorosi. Alla fine mi salutò con un grazie, che esprimeva non solo riconoscenza, ma tanto affetto. È proprio vero che i santi sono, con la loro vita, una scuola di santità, anche ... viaggiando! Abbiamo bisogno che la Mamma ci aiuti.

Un tormentato e famoso scrittore di spiritualità, Peguy, paragonava il Padre nostro e l'Ave Maria a dei 'vascelli' naviganti vittoriosamente verso il Padre. Dobbiamo tentare anche noi questa impresa. E non si dica che, così facendo, strumentalizziamo la preghiera, il culto alla Vergine, la religione in favore di nostri bisogni o fini temporali. Non può essere considerata una strumentalizzazione, il vivere l'orazione come una confessione dei nostri limiti, dei nostri bisogni, della nostra fiducia di ottenere dall'Alto ciò che, con le nostre forze, non possiamo conseguire, anzi.

Non ce lo ha forse insegnato Gesù stesso? 'Chiedete e vi sarà dato '. Non ultimo, la recita del Santo Rosario, per chi vi ha confidenza, eletto quasi a dialogo con la Vergine, ci mette al passo con Lei, ce ne fa subire il fascino, ci incoraggia a seguirne l'esempio educatore e trasformante. È davvero una scuola di vita cristiana. Ma vi è anche tanta gente che oggi ha sostituito il rosario con i gingilli della moda, nell'intento di apparire esteriormente, ma svuotando quello che più conta: il cuore.

Non è così delle persone semplici, anche giovani, che vedono nel Santo Rosario, che portano con sé, una forma di presenza nella vita della Vergine, come un segno di appartenenza a Maria. Direi di più, come a ricordarsi che c'è viva e attenta Chi ha cura di noi in Cielo: la Mamma celeste. Mi ha colpito un giorno, in aereo, un signore distinto. Uno che apparentemente apparteneva alla cosiddetta alta società. Ad un certo punto, meravigliandomi, mi chiese di recitare con lui il Santo Rosario ... 'in cielo!'. Quello che più mi colpì fu la devozione e la fede, il suo raccoglimento. Questo esempio è l'affermazione che la Mamma è amata da tanti, senza distinzione.

Dovremmo dialogare con Lei più spesso, soprattutto oggi, con la semplicità profonda del Santo Rosario: un dialogo che si distingue dalle chiacchiere del mondo e ci fa sentire il sapore del Cielo. Con Maria, oggi, vogliamo meditare la Parola di Dio, dal Vangelo di Matteo:
  • Gesù disse ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: 'Ascoltate quest'altra parabola: C'era un padre, che aveva una vigna e la circondò con una siepe. Vi scavò un frantoio, vi costruì una torre, poi l'affidò ai vignaioli e se ne andò. Quando fu il tempo dei frutti, mandò i suoi servi da quei vignaioli a ritirare il raccolto. Ma quei vignaioli presero i servi e uno lo bastonarono .. l'altro lo uccisero, l'altro lo lapidarono. Di nuovo mandò altri servi, più numerosi dei primi, ma quelli si comportarono nello stesso modo. Da ultimo mandò anche il proprio figlio, dicendo: 'Avranno rispetto di mio figlio'. Ma quei vignaioli, videro il figlio e dissero tra di loro: 'Costui è l'erede: venite, uccidiamolo e avremo poi l'eredità. E, presolo, lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero'. Quando dunque verrà il padrone della vigna che farà a questi vignaioli? Gli risposero: 'Farà morire miseramente quei malvagi e darà la vigna ad altri vignaioli, che gli consegneranno i frutti a suo tempo. (Mt. 21, 33-43)
È stata la storia del popolo eletto, che uccideva i profeti inviati da Dio per ammonirlo ed infine uccise il Figlio Gesù. Una storia di infedeltà e di non amore, che parrebbe incredibile se non vi fosse la testimonianza storica di tale comportamento del popolo eletto nell'Antico Testamento. Ma può anche essere 'letta' come un'altra storia: quella della Chiesa che ora e per sempre è e sarà la vigna del Signore.

Una vigna difficile e meravigliosa da coltivare ma che, qualche volta, trova nei pastori stessi, che dovrebbero averne cura, peccato e miserie, come pure può essere per loro causa di difficoltà e persecuzioni. Basti pensare all'uccisione di tanti missionari, o anche solo delle incomprensioni o critiche, non sempre oneste, verso i pastori.

Conosciamo tutti, soprattutto oggi, la difficoltà di lavorare nella vigna del Signore. Se un tempo la Chiesa, la famiglia di Dio, era davvero percepita dalle nostre famiglie come comunità a cui si apparteneva con impegno e gioia, oggi, spesso, la meraviglia della Presenza di Dio tra di noi è snobbata dagli stessi cristiani che, non solo non si ritrovano per l'Eucarestia, ma vivono come se la 'loro vigna' fosse un 'accessorio', di cui si può assolutamente fare a meno in questo mondo.

Sì, è davvero faticoso lavorare in questa vigna .... ma anche entusiasmante! Ripenso, nonostante le innumerevoli difficoltà, all'immensa gioia sprigionatasi dalla Giornata Mondiale della Gioventù a Madrid. Incredibile come nella veglia, funestata da un forte temporale, tutti, a cominciare dal Santo Padre, continuarono sereni, pur sapendo che avrebbero poi dovuto, almeno i giovani, riposare ... .in quel campo bagnato! E come non ricordare il Congresso Eucaristico di Ancona, che è stato punto di riferimento, riunendo - anche se a distanza - milioni di cristiani intorno all'Eucarestia?

Se questi momenti speciali sono importanti, non possiamo dimenticare i tanti fratelli che sfidano la morte per riunirsi in preghiera, in Cina e in tante altre parti del mondo, dove per loro, cristiani, la vita non è davvero facile. Sono questi fratelli, che soffrono per vivere la fede in Gesù, che ci insegnano ad amare di più la nostra Chiesa. Guardando a loro dovremmo, tutte le volte che ci troviamo assieme, come la domenica, saper rinvigorire la consapevolezza di essere la vigna del Signore, che accoglie la salvezza donata dal nostro Redentore. Infatti fa male scoprire come in troppi cristiani sia scomparso l'amore alla Chiesa, 'loro famiglia divina', per cui non provano gioia stando insieme, anzi rifuggono ne rifuggono la compagnia.

Sono tanti anni che il Signore mi ha chiamato alla Sua vigna, inviandomi in luoghi difficili, come il Belice, da parroco, o vescovo ad Acerra. Erano, allora, vigne da dissodare. Le ho amate con tutto il cuore e, a volte, - per contrastare il crimine organizzato - 'mettendo in conto' la stessa vita. Ma più era difficile donare tutto me stesso, più l'amore alla vigna diventava grande e la consapevolezza che la vigna era del Signore sempre più intensa: Lui operava e guidava, io ero solo un suo strumento e questa convinzione dava forza e serenità.

Auguro a tutti di sperimentare lo stesso amore per le vostre Chiese, che devono sempre essere viste come 'famiglie divine' dove il Padre, non solo sta con noi, ma nella Parola e nei Sacramenti è vivo e Vivente, per farci crescere in Lui. Amiamoci tanto come Chiesa e preghiamo con il cuore, quando in lei tocchiamo la presenza del male, chiedendo a Gesù: 'Perdonali ... perdonaci ... non sappiamo quello che facciamo!'.

Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 07, 2011 9:22 am

      • Omelia del giorno giorno 9 Ottobre 2011

        XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        L'invito al banchetto di Dio
Ogni volta che celebro, soprattutto la domenica, anche se noto come la Chiesa parrocchiale sia sempre piena di fedeli (ma pochi i giovani!), soffro pensando all'assenza dei più che considerano la Santa Messa non come un meraviglioso invito alla Mensa di Dio, ma 'un di più', che comunque non merita particolare attenzione, rispetto a tante altre cose, ritenute davvero importanti nel giorno della festa.

Viene da chiederci: quale posto occupa nel cuore dei cristiani il banchetto eucaristico, ossia la Messa? Sappiamo che nella vita dei santi e, per fortuna, di tanti, occupa il primo posto, ieri come oggi. Non mi stancherò mai di fare memoria della testimonianza di mia mamma. Aveva sette figli piccoli, ma ogni mattina, insieme alla sorella faceva tre chilometri a piedi, alzandosi presto, per poter partecipare all'Eucarestia. E usava dire: 'Senza Comunione la mia giornata sarebbe come vuota, come se mancasse Qualcuno che è la forza e la gioia della vita: Gesù'. Ed esigeva che anche noi, una volta giunta la maturità, dopo la prima Comunione, non mancassimo mai alla Messa, digiuni, per poter ricevere Gesù.

Ho avuto il dono di essere chiamato da Dio alla vita religiosa e, per obbedienza, al sacerdozio e, per volontà del grande Paolo VI, al ministero vescovile. Posso dire con serenità, ringraziando Dio, che la sorgente della mia vita religiosa e pastorale era l'Eucarestia, non solo per la Santa Messa quotidiana, ma per la certezza del cuore che Gesù era vicino - ora addirittura Presente, ogni istante, in una piccola cappella, nella mia abitazione. Ho come l'impressione - ma è verità di fede - di sentirmelo accanto, quando scrivo, come sto facendo, quando ricevo qualcuno o semplicemente leggo o penso. È il vero senso della mia vita, direi di più, è la grande forza e serenità della mia vita. Cosa sarebbe stata e cosa sarebbe senza l'Eucarestia? Un vuoto come la morte.

Il Vangelo di oggi ci racconta come si possa rifiutare l'Eucarestia - quello che Gesù chiama il banchetto di nozze del figlio - per ragioni anche insulse, comunque secondarie, che diventano una sorta di disprezzo verso l'invito e Colui che chiama.
  • Il Regno dei Cieli è simile ad un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Egli andò a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire. Di nuovo mandò altri servi a dire: ”Ecco, ho preparato il mio pranzo. Venite alle nozze” Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari, altri poi presero i suoi servi li insultarono e li uccisero. Allora il re s'indignò e, mandate le sue truppe, punì quegli assassini e diede alle fiamme le loro città. Poi disse ai servi: 'Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni. Andate ora tra i crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete chiamateli alle nozze. Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali.
    Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale, gli disse: 'Amico, come mai hai potuto entrare qui senza abito nuziale?' E lo espulse dal banchetto.
    Gesù termina la parabola con una frase che, se da una parte contiene amarezza, dall'altra è un serio monito per tutti: “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti. (Mt. 22, 1-14)
Nessuno di noi cristiani, credo, mette in discussione il privilegio di essere invitato alle nozze del Re. Se a queste nozze diamo un nome, ossia l'invito a far parte del Regno di Dio, facile accorgersi dei tanti rifiuti del Popolo eletto, nel primo tempo della sua travagliata storia. Non fu solo il rifiuto dei profeti - Isaia, Geremia, Osea... - ma addirittura il rifiuto del Figlio di Dio, Gesù, fino a crocifiggerlo. Ma era 'necessario' proprio quel rifiuto, perché con Gesù, il Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, la storia dell'umanità, la nostra storia, potesse diventare un meraviglioso “sì”.

Ma bisogna entrare con fede nel grande Amore che Dio ha per noi, fino a farsi Dono quotidiano, se Lo accogliamo, nell'Eucarestia. Incredibile come la Sua Presenza reale, nel tabernacolo, venga tanto ignorata. E addolora, nonostante il 'saggio' motivo addotto, della difesa, vedere le porte delle chiese chiuse durante il giorno, quasi un 'mettere in prigione' Dio stesso. Verrebbe da dire: spalancate quelle porte! ... Forse si sentirebbe il sapore della bellezza della Presenza di Dio tra noi, anche solo guardandole.

Ma ci rendiamo conto di questa Presenza tra noi di Dio in Gesù? Ne siamo convinti? E, ancora di più, siamo consapevoli dell'incredibile atto di amore che Gesù ci fa nella S. Messa e nella Eucaristia con la Santa Comunione? Avete mai provato il brivido di quando tra le mani o sulle labbra ci si rende conto che in 'quel pezzo di pane' è il Corpo del Cristo quello che riceviamo?

Tante volte, celebrando la Messa, in varie parti d'Italia, nel vedere la poca gente che oggi frequenta l'Eucarestia, mi assale un dolore come se il rifiuto fosse fatto a me. Da giovane servivo la Santa Messa a un santo sacerdote. Ero colpito da come riuscisse a riempire ogni momento della Messa con un tale fervore, tanto che davvero ci si rendeva conto che lui vedeva Gesù e parlava con Lui. Era impressionante e comunicava a me la stessa passione. Come del resto ricorderete un'altra esperienza toccante, con la massa di fedeli che si recava a San Giovanni Rotondo, da Padre Pio, per assistere alla sua Messa. L'Eucarestia era davvero sentita come una 'apparizione e presenza di Dio'.

A volte mi domando: ma a Gesù non bastava essere venuto tra di noi, averci lasciato la Sua Parola, essersi sacrificato sulla croce, averci indicato il nostro futuro con la Sua Resurrezione? Per un Dio, che è Amore, non c'è un 'basta', ma solo la continuità del dono di Sé. È davvero grande il dono dell'Eucarestia, forse 'inconcepibile' per i nostri ristretti pensieri e poveri sentimenti... Lo capiremo ed accoglieremo mai questo immenso Dono? Scrive Paolo VI:
  • L'Eucarestia è anzitutto comunione con Cristo, Dio da Dio, Luce da Luce, Amore da Amore, vivo e vero, personalmente e sostanzialmente. Agnello immolato per la nostra salvezza, amico e fratello, sposo, misteriosamente nascosto e abbassato sotto la semplicità delle apparenze eppure glorioso nella vita di Risorto che vivifica, comunicandoci i frutti del mistero pasquale.
    Non avremo mai meditato abbastanza sulla ricchezza che ci apre questa intima comunione di fede, di amore, di sentimenti con Cristo Eucaristico. La mente si perde, perché ha difficoltà a capire; i sensi dubitano, perché si trovano davanti a realtà note: pane e vino, i due elementi semplici del nostro cibo quotidiano. Eppure proprio il 'segno', con cui questa divina Presenza ci si offre, indica come dobbiamo pensarla: il pane e il vino, queste specie tanto comuni, hanno valore di segno.
    Segno di che? Anche qui nasconde la più grande realtà sotto le apparenze più umili e per questo a tutti accessibili. Questo sacramento è segno che Cristo vuol essere nostro cibo, principio interiore di vita per ciascuno di noi. (1969)
E Giovanni XXIII così esprimeva la sua gratitudine:
  • Grazie o Dio. Molti ancora oggi sanno apprezzare la ricchezza infinita dell'Eucarestia. Ai piedi dell'altare si ritrovano piccoli e grandi della terra. E' la Comunione ad infondere coraggio, che nessun intervento o scienza dell'uomo può riuscire ad ottenere fra noi. Essa dona incomparabili energie che occorrono per il compimento del proprio dovere, per avere pazienza e operare il bene. Grazie, o Dio!.
Dal Vangelo notiamo come, al rifiuto blasfemo di chi non sente il bisogno dell'amore di Dio, si oppone la semplicità del povero che vive ai margini dell'esistenza: creature che sentono il bisogno di essere amate. Sono loro, tante volte, anche oggi - la gente semplice - che sanno apprezzare la bellezza dell'Eucarestia e amano cibarsi di quel Pane, che noi uomini non sappiamo dare.

Occorre sempre avere il cuore sgombro dal male, indossando 'la veste' adatta all'invito di Dio. Così canta la Chiesa nella Solennità del Corpus Domini:
  • È certezza per noi cristiani:
    il pane si trasforma in carne e il vino in sangue.

    È un segno ciò che appare, nasconde nel mistero realtà sublimi.

    Ecco il Pane degli Angeli, Pane dei pellegrini,
    vero Pane dei figli: non deve essere gettato.

    Buon Pastore, Pane vero, o Gesù, pietà di noi.
    Nutrici e difendici, portaci ai beni eterni, nella Patria dei beati.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 14, 2011 9:50 am

      • Omelia del giorno 16 Ottobre 2011

        XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        Convivere chiede SOLIDARIETÀ
Il Vangelo di oggi mette in risalto una delle condizioni essenziali, che riguardano il bene comune. Parlare di bene comune in una società significa avere strutture organizzative, che esigono una spesa non indifferente. Proviamo a pensare al nostro Paese. Ogni città o paesino ha il suo Consiglio comunale, come ogni Provincia, ogni Regione ... ed infine un Parlamento, con due Camere: ministri, sottosegretari, deputati, senatori, ecc. Sono molte migliaia di persone in strutture che dovrebbero assicurare l'ordinamento della giustizia e del bene comune. È di questi tempi il pensiero che, forse, sono troppe, ed occorrerebbe alleggerire il peso della spesa, accorpando Comuni di mille abitanti, abrogando le Province e diminuendo deputati e senatori.

Se questo dovesse accadere forse davvero diminuirebbero le spese e, quindi, il carico delle tasse .... Con i mezzi di comunicazione che si hanno oggi è sicuramente possibile sostituire le persone con la tecnologia in vari ambiti, ma non è facile tagliare queste spese, senza incontrare l'opposizione - in alcuni casi davvero comprensibile, di migliaia di persone interessate in questi ambiti dell' amministrazione pubblica.

Eppure una buona economia assomiglia a quella di una famiglia, che sa misurare le proprie entrate, vivendo al livello delle proprie possibilità. C'è stato un tempo - non lontano - in cui il benessere diffuso aveva dato l'illusione di poter vivere da ricchi. Basta vedere quanto abbiamo nelle nostre case di superfluo o di inutile e quanto consideriamo rifiuti e gettiamo. È la mentalità dell'usa e getta... Per molti poi è difficile accettare le regole dell'economia e allora vi è quel fenomeno, davvero simile ad un 'furto', per cui si nascondono o mandano all'estero i propri capitali, per non dover essere soggetti alla tassazione.

Ma si impone una norma di giustizia, se davvero abbiamo a cuore il bene della nostra società, e non mettiamo al primo posto solo il nostro benessere. È chiaro che partecipare alla vita di una società ha un prezzo, ma in compenso si possono avere quei servizi, dall'ordine pubblico alla salute, alla casa e al lavoro, che possono assicurare serenità - anche se in questo momento particolare di crisi, sembra un po’ utopico parlare in questi termini!!! Del resto, tanto più fa male, in questa congiuntura generale, scoprire ogni giorno che chi dovrebbe essere zelante nel difendere il bene comune e la vita, non sa dare esempio neppure di onestà. Il Vangelo di oggi aiuta a riflettere anche su questo.
  • In quel tempo i farisei, avendo sentito che Gesù aveva ridotto al silenzio i sadducei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi.
    Mandarono dunque a lui i propri discepoli con gli erodiani a dirgli: 'Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno. Dicci dunque il tuo parere: 'E' lecito o no pagare il tributo a Cesare?'.
    Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: 'Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo'. Ed essi gli presentarono un denaro. Gesù domandò loro: 'Di chi è questa immagine e l'iscrizione?'. Gli risposero: 'Di Cesare'. Allora disse loro: 'Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio. (Mt. 22, 15-21)
In altre parole: Gesù invita a pagare il tributo richiesto. Commenta Paolo VI, nell'Enciclica 'Chiesa e mondo':
  • Il bene della persona e della società umana e cristiana è strettamente connesso con una felice situazione della comunità. Perciò i cristiani, assieme con quanti hanno alta stima di questa comunità coniugale, si rallegrano sinceramente dei vari sussidi grazie ai quali gli uomini favoriscono oggi la formazione di una comunità di amore ed il rispetto della vita: sussidi che sono aiuto a coniugi e genitori nella loro preminente missione ... Però non dappertutto la dignità di questa istituzione brilla della identica chiarezza.
In un'altra Enciclica, parlando del lavoro, così si esprime:
  • Necessaria all'incremento e al progresso umano, l'introduzione dell'industria è insieme segno e fattore di sviluppo. Mediante l'applicazione tenace della sua intelligenza e del suo lavoro, l'uomo strappa poco a poco i suoi segreti alla natura, favorendo il miglior uso delle sue ricchezze ...
    Ma su queste condizioni nuove della società si è malauguratamente instaurato un sistema che considerava il profitto come motivo essenziale dell'economia, la proprietà privata dei mezzi di produzione come diritto assoluto, senza limiti né obblighi sociali corrispondenti. Tale liberalismo senza freno conduceva alla dittatura. Non si condanneranno mai abbastanza simili abusi, ricordando ancora una volta solennemente che l'economia è al servizio di tutti. Ma se è vero che un certo capitalismo è stato fonte di tante sofferenze, di tante ingiustizie e lotte fratricide, di cui perdurano gli effetti, errato sarebbe attribuire all'industrializzazione stessa dei mali che sono dovuti al nefasto sistema che l'accompagnava. Bisogna, al contrario, per debito di giustizia, riconoscere l'apporto dell'organizzazione del lavoro, (Populorum Progressio n.22-24)
È sotto gli occhi di tutti la gravità del momento: se da una parte assistiamo ad un arricchimento incredibile di pochi (e c'è da chiedersi se questo è lecito), abbiamo una massa sempre più considerevole di lavoratori che vedono la loro fatica ripagata con uno stipendio che, tante volte, non riesce a soddisfare le necessità della famiglia: uno stipendio che ha tutta l'aria di una 'elemosina" ben lontana dalla giustizia.

La Chiesa si sente tanto vicina e non si stanca di alzare la voce, perché al lavoro svolto venga ridata quella dignità che gli spetta e, con la dignità, uno stipendio che abbia davvero il sapore della riconoscenza e della giustizia, per la collaborazione del lavoratore al bene sociale. Non si possono calpestare i diritti della persona che lavora, senza calpestare la persona stessa, che ha reso il servizio. Che dire di quanti vivono ai margini del diritto al lavoro, con qualche sussidio che mortifica la giustizia? Sua Santità Giovanni XXIII, il Papa buono, ebbe parole di fuoco al riguardo.
  • Rileviamo con tristezza - affermava – per usare le parole della nostra 'Mater et Magistra', che, mentre da una parte si mettono in accentuato rilievo le situazioni di disagio e si fa balenare lo spettro della miseria e della fame, dall'altra si utilizzano le risorse economiche per creare terribili strumenti di rovina e di morte.
    È un invito a chi detiene l'arte di formare l'opinione pubblica e, in parte, ne ha il monopolio, a temere il severo giudizio di Dio e anche quello della storia e a procedere cautamente con rispetto e senso di misura. Non poche volte nei tempi moderni - e lo diciamo con pena e con franchezza - la stampa ha cooperato a preparare un clima di avversione e animosità, di rottura.
    Uomini coperti di responsabilità, fragili e mortali, a voi guardiamo con ansia i vostri simili, prima fratelli e poi sudditi. Con l'autorità che ci viene da Gesù Cristo, vi diciamo: allontanate le suggestioni di forza; tremate all'idea di determinare una catena imponderabile di fatti, di giudizi, di risentimenti. Potere grande vi è stato dato, non per distruggere, ma per edificare; non per dividere, ma per unire; non per far scorrere fiumi di lacrime, ma per dare a tutti lavoro e sicurezza.
    Ecco le varie applicazioni di una bontà che si deve estendere in tutti i campi dell'umana convivenza. Questa 'bontà' è forza e dominio di se stessi, pazienza per gli altri, carità che non si estingue, che non si perde d'animo, perché vuole solamente il bene attorno a sé.
Mentre scrivo passa davanti ai miei occhi la folla di chi disperato cerca un 'qualsiasi lavoro', il più delle volte perché deve mantenere una famiglia. Sa che è un suo diritto, prova a bussare a tutte le porte, ma la risposta è sempre la stessa: 'Siamo in crisi; ora non c'è posto!'. È duro non sapere che fare di fronte a tali problemi, anche perché ricordo le lacrime di papà, quando venne colpito alla gamba da una barra di acciaio infuocata ... e fu licenziato! Passarono mesi per poter ritrovare la possibilità di un lavoro, anche perché era ridotto ad essere zoppicante. Ma la volontà di dare alla famiglia - che era di sette figli piccoli, più mamma - era più forte del dolore. E lo guardavo con tristezza e orgoglio, ogni mattina partire in bicicletta, per trovare un qualsiasi lavoro, pur di portare a casa qualcosa che ci sostenesse. E questo per anni. E quanti, come papà, oggi si trovano nelle stesse condizioni?

Non resta che operare e pregare, perché per tutti ci sia posto per la giustizia, per la semplice ragione che il lavoro è, per ogni uomo, giustizia e una società ben organizzata dovrebbe essere capace di attuare questo diritto, tanto più se la sua Costituzione proclama nello articolo: 'L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro...". L'uomo, ogni uomo o donna, ricordiamolo sempre, non ha così tante capacità, dono di Dio, per custodirle nel cassetto, ma per partecipare, tutti, senza eccezioni, allo sviluppo dell'umanità, oltre che per fare spazio alle proprie doti, dono di Dio.

Che si avveri quello che Gesù disse: 'Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio’ cioè date all'uomo quello che è dell'uomo, così che possa sentire e vivere la gioia di dare a Dio quel che è di Dio.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » lun ott 24, 2011 8:39 am

      • Omelia del giorno 23 Ottobre 2011

        XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        LA MISSIONE, un impegno oggi necessario
Fa bene, ed è oggi una grande necessità, celebrare in ottobre il mese 'dedicato alla missione'... Cosa dire? Ci fu un tempo in cui, in questo giorno, si ricordavano solo i popoli non ancora evangelizzati. E ancora oggi tanta parte della umanità non conosce Gesù e la Sua Parola. Per portare Cristo a tutti, è davvero preziosa e grande l'opera di tanti missionari, che a volte vivono in condizioni difficili, altre volte, come in Cina, con il rischio o della galera o dell'essere uccisi. Sono i meravigliosi missionari 'di frontiera'.

Ma il compito di fare conoscere Gesù e il Vangelo è solo compito di alcuni o è dovere di tutti? Non è forse vero che i nostri 'primi missionari' dovrebbero essere i nostri genitori, che ci fanno della vita un dono, che agli occhi del Padre ha una sola ragione: conoscerLo, amarLo , servirLo per poi alla fine, se saremo degni, gioire con Lui in Paradiso?! C'è una preghiera eucaristica che descrive in modo meraviglioso chi è Dio per ogni creatura. Suona così:
  • Noi Ti lodiamo e Ti benediciamo Dio, Onnipotente, Signore del Cielo e della terra, per Gesù Cristo venuto nel tuo nome: Egli è la mano che tendi ai peccatori, la parola che ci salva, la via che ci guida alla pace. Tutti ci siamo allontanati da Te, ma Tu stesso, o Dio nostro Padre, ti sei fatto vicino ad ogni uomo, con il sacrificio della croce.
Credo che tutti almeno dovremmo sapere o credere che la nostra esistenza, l'esistenza di ogni uomo e donna, ha una sola ragione: è stata concepita dall'eternità dal Cuore del Padre, che ci ha affidati nel tempo ad una famiglia, con il solo scopo di ricambiare qui l'amore, raggiungere la santità e quindi tornare alla Sua e nostra Casa, che è la sola Casa vera per tutti. Qui, tutto è provvisorio, come nel viaggio di un pellegrino.

Non ci stancheremo mai di dire che la ragione vera della vita non sono i soldi, tanto meno la superbia dell'apparire o del dominare, un'onorificenza o la celebrità effimera, ma la sola ragione, ripeto, è amare ed essere amati. Gesù, chiestogli quale fosse il più grande comandamento, rispose:
  • Nella vita amerai il Signore tuo Dio, con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze. Il secondo comandamento è simile a questo: amerai il prossimo tuo come te stesso. Fa’ questo e vivrai!
Affermava il Santo Padre nella giornata missionaria dello scorso anno: "Il compito missionario non è la rimozione del mondo, ma trasfigurarlo attingendo la forza da Gesù Cristo". Ma - ripeto - il compito missionario riguarda solo chi non conosce Dio, e verso cui operano i nostri 'missionari', o riguarda ogni cristiano? Non è forse vero che ogni cristiano, nel suo ruolo, ha un compito che non può eludere, perchè è quello che lo fa partecipe della sua vera natura e origine?

Impensierisce l'ignoranza di troppi fratelli e sorelle che, se va bene, a volte conoscono 'briciole' della Parola di Dio, quando invece questa dovrebbe essere il PANE che dà ragione alla vita, dono di Dio. Affermava Paolo VI, che non si stancava di viaggiare per il mondo, per portare con autorità il Vangelo a tutti, fino ai confini della terra:
  • Il popolo di Dio è un popolo missionario. Cristo avrebbe potuto chiedere al Padre suo, ed egli avrebbe messo a disposizione più di dodici legioni di angeli, per annunciare al mondo la sua redenzione. Invece Cristo ha conferito questo compito e questo privilegio a noi; a noi, gli infimi di tutti i santi che siamo davvero indegni di essere chiamati apostoli, di proposito, per annunciare la buona novella all'umanità. Egli non ha voluto servirsi di altre voci che della nostra.
    A noi infatti è stata data questa grazia di evangelizzare i pagani, con l'insondabile ricchezza del Vangelo. A noi poi spetta di proclamare il Vangelo in questo straordinario periodo della storia umana, un tempo davvero senza precedenti. Se mai ci fu un tempo, in cui i cristiani, più che in passato, sono chiamati ad essere luce che illumina il mondo, città situata su un monte, sale che dà sapore alla vita degli uomini, questo è indubbiamente il nostro tempo.
    Noi infatti possediamo l'antidoto al pessimismo, agli oscuri presagi, allo scoraggiamento e alla paura, di cui soffre il nostro tempo. E ciascuno di noi per il fatto di essere cristiano, deve sentirsi spinto a diffondere questa buona novella fino ai confini della terra. 'Non possiamo - dicevano i primi cristiani, - non parlare di ciò che abbiamo visto e udito' (At. 4, 20).
    Nessun cristiano - sia egli papa, vescovo, sacerdote, religioso o laico - può rinunciare alla sua responsabilità nei riguardi di questo dovere essenziale di cristiano. Ricorderete certamente l'insistenza con cui il recente concilio ecumenico ha inculcato questo punto: 'Ad ogni discepolo di Cristo - senza eccezione - incombe il dovere di spargere per quanto possibile la fede. Tutti i figli della Chiesa devono avere la viva coscienza della loro responsabilità di fronte al mondo, devono spendere le loro forze nell'opera di evangelizzazione' (Ad gentes, n. 23)
Possono apparire parole dure e coraggiose, ma in effetti sono la missione che tutti i battezzati, che hanno coscienza della loro natura di figli di Dio, hanno! Un dovere che poi si rivela come un grande bene, il bene della verità del Vangelo e della vita, ai fratelli e le sorelle.

'Guai a me non evangelizzassi' afferma l'apostolo. E difatti come si può essere davvero cristiani se non si conosce la parola di Dio che è la scuola di vita cristiana? Si può pensare di vivere ignorandola? Ed è forse questa pretesa assurda che porta a vivere disordinatamente. Solo la PAROLA educa alla vita, altre vie non ce ne sono, se non quelle di una religiosità a fior di pelle che genera pericolosa ignoranza.

Conoscere e diffondere il Vangeli è diventato, dal Concilio Ecumenico in poi, la grande strada scelta dalla Chiesa. Sono tante le comunità o parrocchie dove vige 'la scuola della Parola'. Ricordiamo tutti la grande testimonianza del cardinal Martini che, periodicamente e con fedeltà, nel duomo di Milano, invitava alla conoscenza profonda della Parola. Un duomo che si riempiva soprattutto di giovani, felici finalmente di conoscere Cristo, non solo a parole, ma in profondità. E la scuola della Parola ora è diffusa in ogni comunità.

Ricordo, da ragazzo, come tante donne e uomini conoscevano il Vangelo in modo incredibile e non vi erano le tante possibilità di oggi. Così come ricordo come mamma alla domenica, prima di pranzo, chiedeva a noi figli quale tratto della predica della Santa Messa ci avesse colpiti. Era vero culto della Parola. Così come la domenica pomeriggio, era considerato obbligo frequentare in parrocchia la dottrina della Chiesa, ossia il Vangelo!

Ricordo, da vescovo, come durante l'anno liturgico sceglievo tempi adatti per incontrare in chiesa o all'aperto i miei fedeli, cercando insieme di entrare nel vivo della conoscenza della Parola. Era il momento atteso da tanti, perchè dava modo di conoscere Dio nella Parola, in modo familiare, simile allo stile di Gesù. Era una via per conoscere, amare e servire Dio. Alla fine più che invitare i fedeli erano loro a insistere per incontrarsi. Scoprivamo insieme la bellezza della Parola di Dio, che poi entra nelle coscienze a comporre il mosaico della santità.
Quante mamme, oggi, ma quante mamme, si trovano a pregare per la fede della propria famiglia! Quanta gente soffre per la perdita di una fede consapevole e profonda! E, paradossalmente, quanta gente, nella onesta ricerca della verità, dice: 'Come invidio la sua fede!' Non rimane allora che convertirci alla missionarietà.

Le comunità ecclesiali dovrebbero essere come quella che descrive l'apostolo Paolo ai Tessalonicesi:
  • La Parola del Signore riecheggia per mezzo vostro non soltanto in Macedonia, nell'Acaia, ma la fama della vostra fede in Dio si è diffusa dappertutto, in modo che non abbiamo più bisogno di parlarne. (Tess. 1,5-10)
Non resta che pregare, perché questo richiamo alla missionarietà di ciascuno trovi spazio in voi e così la luce della Parola illumini i vostri passi.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » sab ott 29, 2011 8:28 am

      • Omelia del giorno 30 Ottobre 2011

        XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        Una lezione di umiltà
C'è una cosa che davvero dà fastidio a chi conserva ancora la coscienza dei propri limiti, ed è quella di chi cerca sempre e dovunque di essere il primo, ammirato, anche se tutto è la sola cornice di una realtà veramente povera, in cui di grande vi è solo la superbia... e questa davvero non è grandezza, ma solo soprastima di se stessi. Non ci si accorge che questa esibizione di se stessi, almeno per chi ha conservato la verità in se stesso, è uno squallido spettacolo. Non ci si accorge neppure più di essere ridicoli agli occhi della gente, tanta è la cecità che genera l'esibizionismo. Chi di noi non ha incontrato persone che sfoggiano se stessi dicendo: Sai chi sono io? Alle volte, anzi, alcuni, che possono 'permetterselo', scelgono luoghi esclusivi, condivisi con gente simile a loro, creando come uno steccato, che li divide da tutta la gente che non riesce neppure a mantenersi. Quante persone, oggi, per tante ragioni, lottano ogni giorno per sopravvivere e quanto pochi... sperperano anche il superfluo!

Cosa ne penserà Dio, il Padre, Colui che desidera che ciascuno possa esprimere le proprie capacità e realizzarsi, davanti a questo quadro di pochi ricchi e tanti poveri? Basta leggere la parabola del ricco epulone e il povero Lazzaro. Questa è la Parola di Dio, oggi:
  • Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo: "Sulla cattedra di Mosé si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere perchè dicono e non fanno. Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dagli uomini: amano posti di onore nei conviti, i primi seggi nelle loro sinagoghe, i saluti nelle piazze, come anche sentirsi chiamare rabbì. Ma voi non fatevi chiamare 'rabbì', perché uno solo è il vostro maestro e voi siete tutti fratelli. E non fatevi chiamare maestri, perchè uno solo è il vostro Maestro, Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servo: chi invece si innalzerà sarà abbassato e chi si abbasserà, sarà innalzato. (Mt. 23,1-25)
  • L'umiltà, - diceva Paolo VI – è una esigenza, potremmo dire, costituzionale della moralità del cristiano. Un cristiano superbo è una contraddizione nei suoi stessi termini. Se vogliamo rinnovare la vita cristiana, non possiamo tacere la lezione e la pratica dell'umiltà" (Febbraio 1973)
Se osserviamo bene, il superbo suscita un senso di fastidio per quella voluta recita di ciò che è effimero, l'umile, che sembra voler scomparire per la sua umiltà, senza che lui se ne accorga, infonde tanta, ma tanta luce, che è la luce della grandezza interiore. Non resta che scegliere questa parte.


      • SOLENNITÀ’ DEI SANTI E COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI.
La Chiesa, accompagnandoci nel cammino della vita, con la solennità dei Santi e la Commemorazione dei nostri defunti, certamente vuole ricordarci la ragione della nostra stessa esistenza. Nessuno nasce senza che prima non sia stato voluto e concepito con la sola ragione di partecipare alla santità e quindi all'eterna felicità di Dio, Suo Creatore.

Non poteva, Dio-Amore, anche solo immaginare di creare un uomo, abbandonandolo a se stesso, senza dargli una ragione della sua vita. Da qui nasce la vocazione di tutti alla santità, che non è una scelta di qualcuno, ma è LA SCELTA che ogni persona creata deve fare perchè appunto è la ragione della nostra esistenza.

Quando Dio creò Adamo ed Eva, ricordiamocelo sempre, li creò a Sua immagine e somiglianza, ossia la misura e la realtà della vita era di partecipare alla vita del Padre. Ma, lo sappiamo o dovremmo saperlo tutti, l'amore ha la sua grandezza e natura nella libertà: ossia dire sì o no a chi ti ama. I nostri progenitori scelsero di dire un no a Dio, per dire sì a un misero frutto della terra, il proprio ego. Ma valeva la pena, - sia pure tentato da satana, che in tema di inganno è davvero maestro ieri e oggi - rinunciare alla gioia del cielo per il proprio banale desiderio egoistico? E' la tentazione contro cui lottano oggi - e sempre - tutti gli uomini.

Chi di noi quotidianamente, consapevolmente o no, non si sente nelle stesse condizioni dei nostri progenitori? È la quotidianità di tutti questo trovarsi di fronte alla scelta dell'amore o della superbia o egoismo. Per cui la vita, forse senza accorgerci, è una continua lotta tra Dio, il Bene, e il nostro egoismo. Ed è dall'esito delle nostre scelte che dipende la santità o l'inferno... già quaggiù!

Quando ci rechiamo al Cimitero, fissando quelle tombe, siamo chiamati a riflettere sulle scelte della nostra vita. Davanti ai tanti nostri fallimenti viene sulle labbra la domanda degli apostoli: "E chi si salverà?" Diciamo subito che una vita vissuta solo materialmente su questa terra, pensando che non ci sarà un 'dopo', di cui dare ragione a Dio, diventa una tremenda banalità, che rende amaro tutto.

Che senso ha vivere senza un domani e un domani che abbia le sue radici nell'oggi? Eppure quanta gente vive talmente di materialismo che non le passa neppure per la mente questa responsabilità di un bene ricevuto e che doveva e deve essere coltivato nel mondo giusto! Non c'è di peggio che vivere senza sapere perchè e per Chi viviamo, senza una ragione grande per la vita.

Ricordo di avere assistito alla ultime ore di un esattore. Era grave. Teneva ben saldo nelle mani un gruzzolo di soldi, convinto forse che nessuno lo avrebbe derubato. Feci di tutto per richiamarlo alla realtà di una vita con un futuro. Fu tutto inutile. Morì stringendo quel gruzzolo... una miseria. Me ne andai amareggiato. La vita, continuavo a dirmi, non può esaurirsi in una manciata di soldi. È qualcosa di più. Tornando più tardi, per benedirlo, i soldi non c'erano più!

Affermava Paolo VI, che sicuramente oggi è in cielo e sono certo che mi sta dando una mano per diventare santo:
  • Sono i santi che oggi ci interessano: la nostra lezione. Impossibile sfuggire ai temi che essi impongono, a questo atto festivo, alla nostra coscienza, qualunque essa sia. Perchè il solo titolo di questa solennità 'I Santi' presenta una quantità di questioni, che per noi credenti hanno risposte magnifiche; per chi è fuori dal cono di luce della nostra fede restano problemi gravi e angosciosi. La questione dapprima della nostra immortalità, della vera durata della nostra esistenza, della vita futura; La questione tornerà anche domani nella commemorazione dei nostri defunti. Avremo una vita oltre quella presente, oltre il tempo, una vita eterna? Sì. E come sarà? Altra questione. N e sappiamo poco, ma sappiamo ciò che conta: sarà felicissima o infelicisssima.
    E sappiamo che questa scelta alternativa si matura durante il periodo della nostra attuale esperienza esistenziale: a seconda della nostra maniera di vivere, l'uso della nostra libertà, del nostro tempo, e soprattutto la nostra unione con il ceppo della vita che non muore, con Cristo.
    Ma è impossibile la santità? No, è facile per chi vuole. Per tutti dovrebbe esserlo.
    Oggi la solennità di tutti i santi ci dovrebbe insegnare quali sono i veri valori indispensabili; quelli della bontà e della pietà. Ci fanno sognare i santi. Ma non sono sogni, possiamo esserlo noi quel segno. (1 Novembre 1969)
E noi vorremmo, con la nostra vita cristiana, vivere di questo 'sogno'. Quando pregheremo nella commemorazione dei nostri cari defunti, cui ci lega una grande nostalgia di averli e vivere vicino per sempre, dovremmo sentire nel silenzio del sepolcro il loro richiamo, che forse ci libererà da tanti affanni inutili e dannosi della vita e ci riporterà alla bella realtà di un domani felice con loro. E la via per raggiungere i nostri cari e con loro gioire per sempre ce la indicano le Beatitudini:
  • Beati i poveri in spirito, perchè di essi è il regno dei cieli.
    Beati quelli che ora sono nel pianto, perchè saranno consolati.
    Beati i miti perchè avranno l'eredità della terra.
    Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati. Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia.
    Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio.
    Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio...
Non resta che vivere nella fede questi due giorni, che preludono il nostro eterno domani, e la vita feriale come un continuo cammino verso la Patria… quando Dio ci chiamerà.



Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » gio nov 03, 2011 11:05 am

      • Omelia del giorno 6 Novembre 2011

        XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        Vegliate, perché non sapete né il giorno né l'ora
É un tempo il nostro in cui pare non ci sia spazio al silenzio, alla riflessione. C'è solo spazio, troppo spazio alla agitazione. La vita diventa un continuo affannarsi, per riempirla di cose inutili e a volte dannose. Proviamo a chiederci quante ore passiamo davanti alla televisione, quante ore dedichiamo alle chiacchiere che a volte sono solo un inutile e dannoso rumore senza contenuto. C'è davvero poco tempo per riflettere. Ma una vita senza la compagnia del silenzio e della riflessione oltre che chiasso diventa causa di tanta confusione dello spirito. Non abbiamo tante volte sperimentato la delusione di avere bisogno di ascoltare o parlare di cose serie che riguardano la vita, non solo questa, ma quella eterna, trovando solo chi sta alla porta della nostra necessità e sta lì a sentire senza ascoltare?

Sappiamo tutti, o dovremmo saperlo, come ogni attimo può essere quello del 'passaggio' della Sposo da seguire alla festa del Cielo. Per cui il Vangelo oggi offre la parola chiave della vita: "Vigilate, perché non sapete né il giorno né l'ora". Gesù nel Vangelo paragona la nostra vita a quella delle vergini invitate alle nozze, ossia la festa con lo sposo. E magistralmente descrive i due modi di attendere: il modo saggio e il modo stolto. Interessa molto questa pagina del Vangelo perchè suggerisce quello che dovrebbe essere lo stile di vita di tutti: "attendere, pronti a seguire lo Sposo che passa".
  • In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: Il regno dei cieli è simile a dieci vergini che prese le loro lampade, uscirono incontro allo sposo. Cinque di essere erano stolte e cinque sagge: le stolte presero le lampade, ma non presero con sé l'olio; le sagge invece insieme con le lampade presero anche l'olio in piccoli vasi.
    Poiché lo sposo, tardava, si assopirono tutte e dormirono. Ma a mezzanotte si levò un grido: Ecco lo sposo, andategli incontro! Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. E le stolte dissero alle sagge: Dateci del vostro olio, perchè le nostre lampade si spengono. Ma le sagge risposero: No, che non abbia a mancare per noi e per voi: andate piuttosto dai venditori e compratevene. Ora, mentre quelle andavano per comprare l'olio arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e cominciarono a dire: Signore, Signore, aprici. Ma egli disse: In verità vi dico: NON VI CONOSCO! VEGLIATE dunque PERCHÉ NON SAPETE NÉ IL GIORNO, NÉ L'ORA. (Mt. 25, 1-13)
Fa molto riflettere la parola 'vigilate'. E se guardiamo bene è la parola che quando si è saggi usiamo spesso, come atteggiamento deterrente a quanto può danneggiare vita e cose. Si vigila sulla casa perché, non solo sia in ordine, ma nessuno entri quando usciamo. Si vigila sulla salute - ed è un dovere sacrosanto, perchè la vita è un dono da difendere - ma tante volte, per seguire la moda o per insipienza, la mettiamo in pericolo. Si ha la sensazione, leggendo tante cronache del sabato sera che tanti, soprattutto giovani, tornino a tarda notte, tante volte in preda all'alcool o alla droga e finiscono con la macchina in un mucchio di macerie. All'improvviso senza avere avuto voglia o tempo di vigilare.... Quando si va in montagna si è molto vigili nel seguire le indicazioni o i sentieri, per non rischiare di perdere la via e finire male. É un dovere dei genitori vigilare sulla condotta dei figli. Se si chiude un occhio sugli sbagli continui, sulle mode, sulle cattive compagnie, si ha il rischio di un giorno vedere i propri figli fuori strada, seguendo il male o compagnie che si dovrebbero evitare.

Vigilare, credo, sia una grande virtù e necessità che accompagna la bellezza e la bontà della vita. Non c'è momento del giorno o azione che non esiga la vigilanza. Il segreto dei santi era quella vigilanza che è il faro che Dio ha posto in ogni uomo, rendendolo capace di 'vedere' ciò che è buono e ciò che è male. Non solo, ma avendo coscienza della fragilità della vita, lo aiuta ad evitare ciò che può renderlo ancora più debole. Leggendo la vita dei santi ci si meraviglia di quanto grande fosse la loro capacità di vigilare. Quando san Francesco si accorse che la sua vita non era buona, colpito dalla Parola, si spogliò di tutto e divenne il santo che dovrebbe essere guida per tutti.

Sappiamo tutti come il mondo ci educhi ogni giorno a non essere vigili. Quante volte si sente dire, di fronte a ciò che la coscienza retta condanna: "Ma che male c'è? Lo fanno tutti". Ma se si ha l'opportunità di guardare in faccia i propugnatori di tali indicazioni, è proprio negli occhi che vedi la vacuità della loro vita. Come, viceversa, non dimenticherò mai lo sguardo di persone che mi trasmettevano la loro santità fissandomi. Come quello del beato Giovanni Paolo II, con cui ebbi il dono di dialogare per più di un'ora in quella che noi vescovi chiamiamo 'visita ad limina': un incontro che era un conoscere da parte sua la vita della Chiesa, che si era stati chiamati a presiedere come vescovi. Qualcuno forse mi aveva descritto un poco fuori delle righe, per non so quale ragione. Il Santo Padre, contrariamente a come spesso appariva, con gli occhi quasi socchiusi, quel giorno tenne i suoi occhi aperti, quasi a volere leggere ciò che realmente ero. Mi facevo leggere con fiducia. Alla fine mi abbracciò dicendomi, 'Tornate presto: ho bisogno di sapere e voi avete il dono di trasmettere con lo sguardo la verità'. E fu sempre così nei nostri incontri. O gli occhi quasi socchiusi di Madre Teresa. Incontrandola cercai di leggere il suo cuore attraverso il suo comportamento negli incontri che aveva davanti a platee di giovani. Ogni parola detta con riflessione era uno sprazzo di ciò che davvero era: sguardo di santa.

E lo stesso avviene in tanta gente semplice che sa trasmetterti la bontà, frutto di una continua vigilanza su se stessi. Insomma 'tutte vergini in attesa dell'arrivo dello Sposo', quando verrà. Così Paolo VI:
  • Il primo atteggiamento da prendere sembra a noi quello della vigilanza: una vigilanza attenta e serena, che non cede al sonno della consuetudine, dell'indifferenza, dell'ottimismo convenzionale, ma sa guardare la realtà dei fatti e alla realtà degli spiriti... Una vigilanza non sospettosa, ma umile e buona, che sa trarre motivo di esame di coscienza e stimolo a sempre migliori propositi da ogni fatto osservato. E finalmente una vigilanza che sa riconoscere gli aspetti positivi di questi movimenti spirituali e ciò che vi può essere di buono come insegna l'apostolo: "Esaminate ogni cosa e ritenete ciò che è buono"...
E il beato Giovanni Paolo II, rivolgendosi ai giovani, così li esortava:
  • Cari amici, vedo in voi le sentinelle del mattino. Nel corso del secolo che muore, giovani come voi venivano convocati in adunanze oceaniche per imparare ad odiare. I diversi messianismi secolarizzati, che hanno tentato di sostituire la speranza cristiana, si sono poi rivelati veri e propri inferni. Cari giovani, dicendo "sì" a Cristo voi dite "sì" ad ogni vostro più nobile ideale. Prego perchè Egli regni nei vostri cuori e nella umanità del nuovo tempo. Non abbiate paura di affidarvi a Cristo. Egli vi guiderà, vi darà forza, vi darà forza di seguirLo ogni giorno e in ogni situazione.
A tanta gente che, a volte, vedendo noi cristiani attenti al bene e quindi vigilanti nella vita, ci gridano: "Aprite gli occhi al nostro tempo!", Rispondo: non venderemo mai la nostra veduta alla vostra cecità. Noi sappiamo dove andiamo: seguiamo il sentiero di Cristo che può apparire aspro. Ma sappiamo che ci attende la vetta del cielo. Meglio che andare per strade 'larghe e in discesa', che alla fine ti fanno trovare solo 'il deserto della vita', quel deserto che davvero manca di tutto, anche della prospettiva di amare la vita. Con Madre Teresa preghiamo:
  • Signore, quando credo che il mio cuore sia straripante di amore e mi accorgo, in un momento di onestà, di amare me stessa nella persona amata, liberami da me stessa.
    Signore, quando credo di avere dato tutto quello che ho da dare e mi accorgo, in un momento di onestà, che sono io a ricevere, liberami da me stessa.
    Signore, quando mi sono convinta di essere povera e mi accordo, in un momento di onestà, di essere ricca di orgoglio, di invidia, liberami da me stessa.
    E, Signore, quando il regno dei cieli si confonde falsamente con i regni di questo mondo, fa' che io trovi felicità e conforto in Te.


Antonio Riboldi – Vescovo –

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Omelie di Monsignor Riboldi - Anno Liturgico 2010/2011

Messaggio da miriam bolfissimo » ven nov 11, 2011 11:25 am

      • Omelia del giorno 13 Novembre 2011

        XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)



        Non nascondere i talenti sottoterra
C'è saggezza nel Padre, creandoci. L'uomo non è 'una cosa' o un monile da appendere per ornare la casa, ma senza vita. Ad ognuno di noi Dio ha dato doni che sono la bellezza della vita. Ed è tanta la varietà dei doni avuto che, se diamo uno sguardo all'umanità, ci smarriamo, vedendo quali meraviglie Dio ha dato in dote a ciascuno. Rimaniamo senza parola di fronte alla vita di un santo, che ha saputo dare spazio ai talenti, facendo della vita non solo una lode all'Altissimo, ma è stato capace di tante opere a favore del prossimo da stupire, chiedendoci come abbia fatto.

Basterebbe meditare un momento sulla vita straordinaria di Madre Tersa di Calcutta. Con la semplicità, tipica dei santi, ha saputo dare senso a tanti che erano considerati solo 'pezzi di marciapiede', come i poveri di Calcutta, rigenerandoli, facendo ritrovare quella dignità che era nascosta o calpestata, e riemergeva con le cure della santa. O pensare alla grandezza di Paolo VI, di Giovanni Paolo II. Leggendo la loro vita si rimane stupiti come Dio abbia saputo educarli, non solo alla Santità, ma rendendoli responsabili della vita della Chiesa. Ed è incredibile anche solo pensare che ciò avvenga, tanto che ci domandiamo come sia possibile.

Eppure leggendo la vita di questi fratelli, ci scorgiamo la mano di Dio che crea il suo disegno, con la loro cooperazione. Davvero la Santità è un 'botta e risposta' generoso tra Dio, che crea nell'uomo un modello, e l'uomo che con libertà e sacrificio d'amore si lascia plasmare dal Padre. Così come si rimane incantati dall'opera che Dio ha compiuto in san Francesco d'Assisi, che, da giovane brillante quasi ignaro o indifferente alla Santità, improvvisamente, rispondendo alla chiamata di Dio, si lascia rivoltare come un calzino e diventa quel Santo che tutti, anche chi ha difficoltà a credere, ammira.

Come è possibile che una povera creatura, come siamo noi, possa aderire al modello che il Padre ha preparato per lei? Eppure tutti i giorni, tutti, senza eccezione, sono chiamati a modellarsi sul modello di Dio, perchè quella è la sola verità della vita e la sola nostra vera ragione di vita. Del resto, nei momenti di riflessione sincera - e tutti ne abbiamo - nei momenti di ricerca della verità della nostra vita, ci viene da chiederci: 'Cosa vuole Dio da me?' Non saremo forse chiamati a modelli di santità che sono fari per tutti, ma almeno sappiamo che la vita di ciascuno di noi, altro non è che rispondere con semplicità a ciò che Lui ha preparato per noi. Racconta il Vangelo oggi:
  • In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli questa parabola: "Un uomo, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro secondo la sua capacità. e partì .... Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Colui che aveva ricevuto cinque talenti ne presentò altri cinque dicendo: Signore tu mi hai consegnato cinque talenti, ecco, ne ho guadagnati altri cinque. 'Bene - rispose il padrone - servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto. Prendi parte alla gioia del tuo padrone'. Venuto infine colui che aveva ricevuto un solo talento disse: 'Signore, so che sei un uomo duro che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso, per paura andai a nascondere il tuo talento sottoterra: ecco qui il tuo'. 'Servo malvagio e infingardo sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso. Toglietegli dunque il talento e datelo a chi ha i dieci talenti. (Mt. 25,14-30)
Da tutto questo diventa chiaro che vivere non è solo un trascorre tempo 'a vuoto': sarebbe un modo sconveniente, un vero tradimento del progetto del Padre, per colui al quale Dio, creandolo, ha dato capacità finalizzate alla sua realizzazione, cioè la santità. Vivere, secondo le parole di Gesù, non è neppure fare disordinatamente tante cose che non hanno senso o contenuto accettabile. Non è detto che "fare tanto" sia anche "fare bene"! Questo si chiama attivismo che è più che altro una ricerca di affermazione di se stessi.

Assale il timore che tante cose che facciamo non abbiano alcun peso e valore se "misurate o pesate" con il metro di Dio, che è il metro della verità, della giustizia e dell'amore divino. Il 'tanto' che facciamo può essere svilito dalla intenzione sbagliata, che poniamo in esso. Come, per esempio, impiegare le nostre capacità per realizzare sogni di gloria personale o sogni di ricchezza e benessere, o qualcosa che ci fa sentire superiore agli altri.

Vivere è la coscienza di avere avuto in consegna una 'missione' e dei talenti da sfruttare per la gloria di Dio e il bene degli uomini... Dovremmo ricordare sempre che la vita non è una scelta personale, ma, potremmo chiamarla, 'una missione' affidataci dal Padre, non soltanto per costruire qui la santità, ma per raggiungere il fine ultimo della nostra creazione, il Paradiso, che, se meditiamo bene, è la grande ragione per cui ci ha creati, mentre quello che siamo chiamati a 'fare' è la strada per arrivarci. Ci ricorda Paolo VI, parlando dei laici:
  • Voi sapete che la nostra dottrina riconosce al laico cristiano una sua partecipazione al Sacerdozio di Cristo e perciò una sua capacità, anzi una sua responsabilità all'esercizio dell'apostolato, che è venuto determinandosi in concetti diversi e forme adeguate alle possibilità e all'indole, della vita del Laico immerso nelle realtà temporali, ma altresì imponendosi come una missione propria, dell'ora presente.
E il beato Giovanni Paolo II specifica:
  • Annunciare Cristo significa soprattutto esserne testimoni. Si tratta della forma di evangelizzazione più semplice e al tempo stesso, più efficace a vostra disposizione. Consiste nel manifestare la presenza di Cristo nella propria vita, attraverso l'impegno quotidiano e la coerenza con il Vangelo in ogni scelta concreta. Oggi il mondo ha bisogno di testimoni credibili. E voi, cari giovani e adulti, che tanto amate l'autenticità delle persone e che quasi istintivamente condannate ogni forma di ipocrisia, siete disposti ad offrire a Cristo una testimonianza limpida e sincera. Testimoniate dunque la vostra fede, anche tramite il vostro impegno nel mondo. Il discepolo di Cristo non è mai un osservatore passivo ed indifferente di fronte agli eventi. Al contrario egli si sente responsabile della trasformazione della realtà sociale, politica, economica e culturale.
Avere la coscienza di essere chiamati dal Padre è chiedersi continuamente: 'Cosa vuoi che io faccia? Perchè mi hai fatto dono della vita? Qual è il giusto indirizzo che devo dare alla mia vita?' La domanda, diciamolo francamente, è difficile per tutti. Dio che chiede la mia collaborazione, chiamandomi a lavorare nella Sua vigna? È una grande responsabilità... è la chiamata fondamentale, che esige una risposta sincera e netta, per non cadere nel pericolo di vivere senza una ragione seria, profonda e veritiera.

Tante volte da vescovo o da semplice uomo di fede, mi si chiede: 'Qual è la ragione della sua serenità?' Rispondo sempre, profondamente convinto: 'In molta parte deriva dal fatto che sono dove Dio mi ha chiamato e cerco di coltivare la Sua vigna'. É la mia consapevolezza che non è una scelta personale, ma viene direttamente da Lui, che mi ha creato e chiamato per questo: da ragazzo la chiamata alla vita religiosa. Ordinato sacerdote tutto e sempre è avvenuto inaspettatamente, a volte anche a dispetto della obbedienza, tanto che, quando ero parroco nel Belice, dopo dieci anni di zelo pastorale, l'obbedienza ai miei Superiori mi chiese di cambiare sede, ma il terremoto mi costrinse a restare! Così come dopo altri dieci anni, quando la Parrocchia, devastata dal terremoto, aveva ritrovato la sua vita, l'obbedienza dispose che dopo qualche mese avrei dovuto tornare al Nord. Neanche erano trascorsi due giorni dall'aver ricevuto questa obbedienza, che mi giunse inaspettatamente, da parte di Paolo VI, la nomina a vescovo di Acerra, che era proprio ciò che non avrei mai pensato, e tanto meno voluto o scelto, come religioso. Proprio vero: a gestire la mia vita è stato Dio stesso, lasciando a me solo la possibilità di dire 'sì', per poi starmi vicino nel compiere i ministeri nei luoghi - difficili, per tanti motivi - in cui mi mandava. Per anni, volendo liberare la città dalla criminalità, fui costretto a subire la tutela da parte dello Stato e così persi quel briciolo di libertà che mi era rimasto.

Davvero Dio è sorprendente nelle sue scelte... però ho sperimentato quanto sia Lui stesso a fare strada e dare quella energia che noi non possediamo. Davvero è di grande serenità sentire che dove sei e cosa fai è disegno di Dio a cui basta dire un 'sì'. Ed è quello che auguro e prego per voi, perchè sappiate 'vedere', nelle scelte della vostra vita, la realizzazione del progetto che Dio ha sognato e preparato per voi... sin dall'eternità e per l'eternità!



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Messaggio da miriam bolfissimo » ven nov 18, 2011 10:20 am

      • Omelia del giorno 20 Novembre 2011

        XXXIV Domenica del Tempo Ordinario – Cristo Re (Anno A)



        Solennità di Gesù Cristo Re dell’Universo
Tutti noi, se siamo sinceri, siamo sempre affannosamente in ricerca di qualcosa o QUALCUNO CHE SIA CAPACE DI FARCI FELICI, che è il solo senso del nostro vivere. Ma rischiamo di chiamare felicità qualcosa o qualcuno che tale non è o, se lo è, - come quando ci si ama - comprendiamo che non può donarci quella felicità integrale che ci attendiamo. Per capire questa sete interiore, basta guardare tante volte la gente che pare si abbarbichi a tutto e tutti, nella speranza di trovare la sorgente della felicità.

Che la felicità sia il sale della vita di ogni uomo è scontato. L'uomo, tutti noi, che lo ammettiamo o no, siamo usciti dal cuore del Padre. Ed è logico che, essendo Sue creature, conserviamo nel profondo dell'anima la nostalgia di ciò che Lui è: la gioia, che è frutto di amore. Cercarla altrove è pura follia. Ma purtroppo noi la cerchiamo ovunque, dando nome di gioia a qualsiasi cosa ci capiti tra le mani. Non possiamo cancellare dalla vita ciò che Dio ci ha donato e desidera e opera perché, non solo la troviamo, ma ne partecipiamo, ossia la gioia dell'amore.

Con il peccato originale i nostri progenitori, tentati, preferirono se stessi a Dio amore e vennero esclusi dal Paradiso. Come è vero quel grido di Dio nell'Eden: "Uomo dove sei?". Un grido, una ricerca appassionata, che si ripete anche oggi nel mondo e non sempre trova risposta. Si preferisce nascondersi agli occhi del Padre, ma non è sufficiente una foglia di fico... e rimane l'amarezza dell'esilio dal Cielo... a cui ha risposto e risponde il Padre con il più grande gesto di amore possibile: donandoci il Figlio. Incredibile amore del Padre verso di noi, e molte volte, quando lo medito, non ho parola per esprimere la mia confusione, come a dire: 'Ma è mai possibile che Dio, che non ha certo bisogno di noi, si sia abbassato tanto fino a donarci il Figlio Gesù, perchè spazzasse via ogni ombra di esilio e riaprisse le porte del cielo?'.

Fa sempre impressione e tanta commozione, ogni volta ci mettiamo di fronte al Crocifisso, sapere che quella croce ha una sola parola da comunicarci "TI VOGLIO BENE A QUALUNQUE COSTO". Ed è un dono a portata di mano di tutti: non solo, ma è la ragione stessa della nostra creazione. Oggi la Chiesa chiude l'anno liturgico, racconto della nostra redenzione - iniziato con l'Avvento del 2010 - con la SOLENNITA' DI GESU' RE DELL'UNIVERSO. Ma troppi ancora sanno poco o niente di Gesù, che invece dovrebbe essere il centro dei nostri pensieri. Ma perché così tanta ignoranza o indifferenza? Il nostro grande Paolo VI così risponde all' interrogativo:
  • Chi dicono che sia il Figlio dell'uomo?' (Mt.16,13) Questo interrogativo fatto da Gesù stesso, si presenta ancora agli uomini, a noi personalmente. 'Io, che penso di Gesù Cristo?'. Lo conosciamo forse perchè Egli vive con noi, in una civiltà plasmata dai suoi principi, da una religione? Lo conosciamo forse perchè la nostra educazione religiosa ci parlò di Lui? Eppure la domanda resta anche sulle nostre labbra, sovente senza risposta. La prima risposta è troppo grave: implica il nostro destino spirituale. É troppo profonda e ineffabile. Conoscere Gesù e definirLo vorrebbe dire viverLo e sarebbe risposta fatta di gioia interiore. Ma la sua figura il più delle volte rimane vaga e sbiadita, cioè la nostra conoscenza di Gesù il più delle volte è rudimentale, frammentaria, incerta e forse anche fredda. Così i nostri stati di animo di fronte a Lui rimangono ordinariamente, un conoscerLo senza amarLo, un supporLo senza conoscerLo, un trascurarLo, dimenticarLo".
Ed è davvero inconcepibile che CHI dovrebbe essere il centro della vita, la fonte della gioia, la bellezza di una compagnia che fa sicuri i nostri passi, possa conoscere il pericolo di essere 'l'ultimo dei nostri pensieri'; un bene di cui non sappiamo cosa fame... anche se Gesù ha detto di Sé: 'Io sono la VIA, la VERITA', la VITA'. Sarà forse per la natura stessa dell'amore che, quando si fa vicino, fino ad essere segreto della serenità della vita, guida della vita, può essere, come la presenza di Gesù, talmente discreto, da passare inosservata... soprattutto per chi è troppo affaccendato, indaffarato, chiassoso? Non dimentichiamo che è proprio dell'amore non fare chiasso, ma essere foresta che cresce; non imporsi, ma liberare; non possedere, ma donare... nel silenzio e nella pace.

Il Vangelo della solennità di Cristo Re, ce Lo presenta nella pienezza della sua regalità, che ci giudica sulla carità. Ci mostra come Gesù sempre si mette nei nostri panni in attesa di una risposta che non è solo rivolta a noi. ma è rivolta a Lui.
  • In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: 'Quando il Figlio dell'uomo, verrà nella sua gloria, con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri come il pastore separa le pecore dai capri e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra. Allora il re dirà a quelli della sua destra: 'Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perchè ho avuto fame e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi'. Allora i giusti gli risponderanno: 'Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato e siamo venuti a visitarti?'. Rispondendo il re dirà loro: "In verità vi dico ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo dei miei fratelli più piccoli, lo avete fatto a me'.
    Poi dirà a quelli alla sua sinistra: "Via lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perchè ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 'ero forestiero e non mi avete ospitato; nudo e non mi avete vestito, malato o in carcere e non mi avete visitato'. Anch'essi risponderanno: 'Signore, quando ti abbiamo visto affamato e non ti abbiamo dato da mangiare, o assetato o forestiero o nudo, o malato o in carcere e non ti abbiamo visitato?'. Ma egli risponderà: 'In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose ad uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me'. E se ne andranno, questi al supplizio eterno e i giusti alla vita eterna (Mt. 25, 31-46).
Il giudizio di Dio può sembrare duro, ma è fondato sulla carità. Un giudizio che noi ci costruiamo con la nostra condotta verso gli altri, giorno per giorno, con il nostro agire con amore o senza. E, onestamente, se c'è una cosa che oggi si nota è proprio la mancanza di amore verso chi ha bisogno. È stupendo sapere che ogni gesto di carità che noi facciamo - e ogni giorno se ne presenta l'occasione - non si ferma al povero, all'ammalato, all'emarginato, non si ferma alla persona che si incontra, ma Dio lo considera fatto a Lui stesso. Ne fossimo davvero coscienti sarebbe certamente diversa la nostra condotta verso chi tende a noi la mano. Ma rattrista vedere come manca questa consapevolezza e, quindi, rispetto, accoglienza, bontà, verso chi incontriamo nel bisogno. Con Paolo VI oggi con voi rifletto:
  • Dall'inquietudine degli spiriti laici e ribelli, dall'aberrazione delle dolorose esperienze umane, prorompe forte la confessione al Cristo assente: di Te abbiamo bisogno. É una strana sinfonia di nostalgici che sospirano a Cristo perduto; di sofferenti che sentono la simpatia per l'uomo dei dolori; di delusi che cercano una parola ferma, una pace sicura: di onesti che riconoscono la saggezza del vero maestro; di convertiti che confidano la loro avventura spirituale e dicono la loro felicità per averlo trovato".
E sempre con Paolo VI, preghiamo oggi Gesù Re e Signore dell'universo, nella cui mani e Cuore vogliamo essere tutti:
  • O Cristo, nostro unico mediatore, tu ci sei necessario; per venire in comunione con Dio Padre; per diventare con Te suoi figli adottivi. Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire la nostra miseria e per guarirla; per avere il concetto del bene e del male e la speranza della santità.
    Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi, per imparare l'amore vero e per camminare nella gioia e nella forza della carità lungo il cammino della nostra vita faticosa, fino all'incontro finale con Te, amato, con Te atteso, con Te benedetto nei secoli (Quaresima 1955).


Antonio Riboldi – Vescovo –

Internet: www.vescovoriboldi.it

E-mail: riboldi@tin.it
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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