Anno Paolino 28 giugno 2008 - 29 giugno 2009

Raccolta di preghiere e testi religiosi d’Autore, a cura di miriam bolfissimo
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Messaggio da miriam bolfissimo » lun dic 14, 2009 8:44 am


  • Amore paterno
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«Forse commisi una colpa abbassando me stesso per esaltare voi, quando vi ho annunciato gratuitamente il vangelo di Dio? - In ogni circostanza ho fatto il possibile per non esservi di aggravio e così farò in avvenire. Cristo mi è testimone: nessuno mi toglierà questo vanto in terra di Acaia! Perché? Forse perché non vi amo? Lo sa Dio!». (2Cor 11,7.9b-11)

Uno dei motivi su cui verte il confronto polemico tra Paolo e i suoi avversari concerne lo stile gratuito dell'apostolato paolino. Egli, infatti, di regola non si fa mantenere dalle comunità in cui risiede per annunciare il vangelo, ma lavora per mantenersi. Ciò costituisce un pretesto per i suoi avversari, per insinuare di fronte ai Corinzi la sua pochezza in quanto apostolo. Al contrario, Paolo asserisce che tale scelta è frutto del vero amore, come quello paterno verso i propri figli, giacché spetta al padre nutrirli, e non viceversa (2Cor 11,4). L'apostolo autentico, in quanto a servizio, è essenzialmente mosso da uno stile di gratuità, che è cifra della testimonianza della Chiesa intera, ma doppiamente di chi è ordinato come suo pastore. «Il presbitero, infatti, in forza della consacrazione che riceve con il sacramento dell'Ordine, è mandato - per vivere e operare - a servizio della Chiesa e per la salvezza del mondo» (Giovanni Paolo II, Esortazione Pastores dabo vobis, 12).
  • Stefano Romanello, in Avvenire 12 dicembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun dic 14, 2009 8:45 am


  • Apparente smentita
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«Per tre volte ho pregato il Signore che allontanasse [l'inviato di Satana] da me. Ed egli mi ha detto: "Ti basta la mia grazia; la forza infatti si manifesta pienamente nella debolezza". Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo». (2Cor 11,8-9)

Gli avversari di Paolo si vantavano probabilmente di esperienze estatiche particolari. Anche l'apostolo le può rivendicare per sé, perché è lui l'uomo rapito al terzo cielo, ove ha udito parole non dicibili da uomo (vv.2-4). Ciò tuttavia non gli risparmia un contesto di opposizione dolorosa nella sua missione, paragonabile a spine che s'infiggono dolorosamente nella carne. In questi contesti egli è beneficato di una rivelazione comprensibile, qui riportata: la testimonianza, anche quando sofferta e dolorosa, è possibile perché sostenuta dalla potenza stessa di Cristo, spazio privilegiato della sua manifestazione. Qual è, allora, l'elemento su cui costruire un legittimo vanto, segno autentico della legittimità e superiorità apostolica e, per estensione, del cammino di ogni testimone di Cristo? L'esperienza straordinaria, o la testimonianza feriale, sovente sofferta, all'apparenza anche oggi smentita e crocifissa?
  • Stefano Romanello, in Avvenire 13 dicembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mar dic 15, 2009 10:12 am


  • Non ancora il traguardo
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«Perciò mi compiaccio nelle mie debolezze, negli oltraggi, nelle difficoltà, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: infatti quando sono debole, è allora che sono forte». (2Cor 12,10)

Ricordando il commento di domenica, si comprende come qui l'apostolo non si presenti come un masochista. La ragione del suo compiacimento non sta nella sofferenza, che non è cercata ma, anzi, oggetto di una preghiera per il suo allontanamento! Ma ciò non avviene, e allora la sofferenza, che mette a nudo la fragilità e la debolezza umana, è luogo per la manifestazione della forza efficace dell'agire divino, che sostiene in tale frangente la sua testimonianza. Le parole paoline focalizzano sulla sufficienza della grazia, manifestazione della potenza di Dio, come elemento di valore cardine dell'esperienza dell'apostolo! In essa l'apostolo ripercorre così, in virtù della profonda comunione con Cristo, il suo stesso percorso pasquale. Egli, infatti, pur godendo di un'uguaglianza originaria con Dio, assume la condizione di servo, si fa uomo giungendo all'estremo della debolezza nella morte in croce. Da lì la sua vita esplode nella resurrezione. Paolo, al pari di noi, non è ancora giunto a tale traguardo, ma sperimenta interiormente quella fecondità, che diviene in lui sorgente di un apostolato gratuito e libero.
  • Stefano Romanello, in Avvenire 15 dicembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » gio dic 17, 2009 10:14 am


  • L'autentico principio
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«Non sapete che quanti siamo stati battezzati in Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? Per mezzo del Battesimo dunque siamo stati sepolti insieme a lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai morti per mezzo della gloria del Padre, così anche noi possiamo camminare in una vita nuova». (Rm 6,3-4)

In molte riprese Paolo ricorda come il proprio apostolato sia animato dalla forza della grazia di Cristo, come abbiamo visto anche nei versetti riportati i giorni scorsi. Ciò che avviene per l'apostolo in maniera esemplare è comunque prerogativa di ogni credente. Unito a Cristo per mezzo del Battesimo, egli partecipa del suo stesso mistero pasquale. In forza di tale partecipazione, per il credente si dà una morte relativa alla potenza del peccato. Egli, così, può vivere non più una vita autosufficiente, ma orientata dall'amore e dall'obbedienza a Dio. Cristo, pertanto, non è un personaggio illustre del passato, che possa affascinare con il suo insegnamento profondo, ma anzitutto il Vivente, che associa i credenti a una peculiare comunione con Sé, divenendo sorgente della loro stessa esistenza. La cristologia non è uno dei vari elementi settoriali del pensiero paolino, bensì l'autentico suo principio ermeneutico d'unità, in quanto elemento che offre la ragione della stessa esistenza credente.
  • Stefano Romanello, in Avvenire 16 dicembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » gio dic 17, 2009 10:15 am


  • Eventi e conferme
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«A voi infatti ho trasmesso, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici». (1Cor 15,3-5)

Dopo aver più volte ricordato l'importanza che il primo kerygma ha nella riflessione paolina, lo riascoltiamo di nuovo. Paolo lo presenta nel suo carattere tradizionale, oggetto di una trasmissione di fede dell'intera prima chiesa (i verbi ricevuto/trasmesso), e nella sua importanza di valore, che determina la priorità del suo annuncio («anzitutto»). La morte e resurrezione di Cristo sono gli eventi determinanti, avvenuti secondo il progetto salvifico di Dio attestato nelle Scritture d'Israele. La sepoltura e le apparizioni fungono da conferma di questi. C'è, ovvio, una dimensione di senso essenziale nella resurrezione; il verbo, al perfetto passivo, la qualifica come intervento del Padre, e indica il carattere perenne della vita goduta dal Risorto. Ma questo non legittima l'oblio della morte. Anzi, i primi cristiani devono interpretare il fatto scandaloso della morte del Messia. Esso risulta per i nostri peccati, un complemento di vantaggio che indica come tale dono di amore, che rimane tale anche nel rifiuto e nella croce, manifesti il perdono di Dio dei nostri peccati.
  • Stefano Romanello, in Avvenire 17 dicembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven dic 18, 2009 10:59 am


  • Assoluta fiducia
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«Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi!». (Rm 8,34)

Siamo qui all'interno di un grandioso sguardo ricapitolativo sull'esistenza dei credenti, oggetto dell'argomentazione paolina nei capitoli precedenti della lettera ai Romani. In essi, Paolo intende instillare nei lettori sentimenti di assoluta fiducia, e lo fa radicandoli nella comprensione dell'evento pasquale di Cristo, elemento sorgivo della cristologia. In una sorta di fittizio tribunale escatologico, Paolo esclude ogni condanna per i credenti, avendo già privato di ogni plausibilità un'accusa loro rivolta (v.33). Tutto ciò è fondato sul pro nobis della pasqua di Cristo. La sua morte e resurrezione costituisce il perno del primitivo kerygma e della prima confessione di fede cristiana, come da Paolo asserito in 1Cor 15,3-5. Qui è completato da due verbi al presente («sta» - «intercede»). Il primo connota la resurrezione di Cristo come partecipazione alla signoria escatologica del Padre. Il secondo esplicita la valenza salvifica della sua pasqua, perennemente attuale come mistero di comunione tra Lui e noi. Ciò che egli ha realizzato nella sua pasqua è garanzia di una possibilità di comunione su cui contare con fiducia.
  • Stefano Romanello, in Avvenire 18 dicembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun dic 21, 2009 9:56 am

  • Potere creativo
«...il vangelo di Dio, che egli [Dio] aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture e che riguarda il Figlio suo, nato dal seme di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti, Gesù Cristo nostro Signore». (Rm 1,1b-4)

Se i due poli o "stadi" della vicenda di Cristo su cui s'impernia la cristologia di Paolo sono solitamente la sua morte e la sua resurrezione, si possono talvolta rilevare alcuni significativi ampliamenti. Amplificando le formule protocollari dei saluti epistolari, all'inizio della lettera ai Romani Paolo riporta quella che verosimilmente è una confessione d'origine giudeo-cristiana. Essa ricorda come decisiva la resurrezione, in cui Cristo, che è già Figlio di Dio, viene costituito «Figlio di Dio con potenza», ossia partecipa e manifesta il potere creativo di Dio, che in una situazione di morte fa nascere la vita. Nuova è qui la menzione della discendenza davidica di Cristo. Egli risulta così ancorato alla storia d'Israele e alle promesse salvifiche di cui esso è depositario. È il messia davidico atteso da Israele, che nella resurrezione compie, in forma singolare ed eccedente, tale attesa, rendendola significativa per l'umanità intera.
  • Stefano Romanello, in Avvenire 19 dicembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun dic 21, 2009 10:00 am


  • Dischiusa possibilità
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«Dico infatti che Cristo è diventato servitore dei circoncisi per mostrare la fedeltà di Dio nel compiere le promesse dei padri; le genti invece glorificano Dio per la sua misericordia, come sta scritto: per questo ti loderò fra le genti e canterò inni al tuo nome». (Rm 15,8-9, citando Sal 18,49)

La novità della pasqua di Cristo, vero centro determinante la riflessione paolina, non è irrelata alla storia salvifica intrapresa da Dio con Israele. Anzi, Cristo, messia d'Israele, compie le promesse rivolte da Dio ai padri, come ricorda il cap.4 della lettera, commentando la promessa ad Abramo. In questo Cristo è diventato - e rimane tale, stando al tempo perfetto del verbo - servitore, diakonos di Israele, indicato, con una metonimia, come «circoncisi». Questo perché lui dischiude la possibilità di pieno accesso a una familiarità con Dio, che costituisce il senso delle promesse salvifiche. E la dischiude per tutti i popoli, Israele non escluso, sebbene non esclusivo beneficiario della stessa. La memoria delle promesse a Israele segnala che il loro compimento, operato da Cristo, s'inserisce in una storia in cui le genti sono innestate, della cui fecondità beneficiano. Per questo, e per la misericordia gratuita, inusitata, che si palesa in tale storia compiuta da Cristo, sale dalle genti redente il canto di lode e di gloria a Dio.
  • Stefano Romanello, in Avvenire 20 dicembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mar dic 22, 2009 9:04 am


  • Pienamente visibile
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«Egli [il Figlio] è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra - Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono». (Col 1,15-17)

La riflessione su Cristo, a partire dal suo mistero pasquale, si allarga a considerare la sua preesistenza e la sua opera nella creazione. La tradizione biblica sapienziale già aiuta a formulare l'idea che Cristo sia la personificazione di quel progetto sapiente di Dio per mezzo del quale la creazione ha avuto inizio. Ma Cristo è anche colui «in vista» del quale la creazione è avvenuta, ne costituisce la dimensione di senso. Ancora, è ragione della sussistenza attuale del creato, tutte categorie che superano gli attributi tradizionali della sapienza biblica, e sottolineano la singolarità di Cristo. Se, come appare nella Pasqua, egli è il mediatore del progetto divino, che dona vita, tale mediazione ha avuto luogo al primo atto di tale progetto, ossia alla creazione stessa. Inoltre, la riflessione giunge a considerare ciò che Cristo «è», e costituisce il fondamento adeguato di ciò che egli «fa». Egli è l'immagine esclusiva di Dio, lo rappresenta personalmente. Con il Natale tale «immagine» diviene a noi pienamente visibile.
  • Stefano Romanello, in Avvenire 22 dicembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mer dic 23, 2009 10:33 am


  • Riconciliamo il mondo
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«Egli [il Figlio] è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli». (Col 1,18-20)

La riflessione su Cristo ha comunque come punto di partenza la sua pasqua, qui ricordata nella sua polarità inscindibile di morte («sangue della sua croce») e resurrezione, ove il testo, in realtà, letteralmente dice «primogenito dai morti». Certo, la resurrezione è qui sottintesa, e la formula sottolinea la stretta comunanza di Cristo con l'umanità mortale. Per essere nostro primogenito nella resurrezione, egli ha solidarizzato sino in fondo con la nostra condizione, sino a vivere personalmente il dramma della morte. Il Natale non è poesia, bensì dramma: Cristo assume su di sé la precarietà della condizione umana, votata alla morte, per portarla, lui, alla pienezza della vita che trionfa sulla morte. E tale pienezza è frutto di una comunione con Dio, che Dio ristabilisce riconciliando a sé il mondo, ossia affrancandolo da una situazione di inimicizia in cui esso viene a trovarsi.
  • Stefano Romanello, in Avvenire 23 dicembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun dic 28, 2009 9:28 am


  • Realtà efficace
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«È apparsa infatti la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo». ( Tt 2,11-13)

L’annuncio gioioso del manifestarsi (così in greco il termine tradotto «è apparsa») della grazia salvifica divina contraddistingue questo passo, proclamato nella liturgia romana della messa della notte. Un manifestarsi non legato al sopraggiungere del sovrano divinizzato nel culto pagano, né di qualche divinità mitica, come nelle accezioni profane del verbo, bensì alla persona di Gesù Cristo. Egli è «salvatore», depositario personale della salvezza che Dio opera per l’umanità, e che ora si è fatta storia. Tale titolo nell’Antico Testamento è riservato a Dio, per cui il suo stesso utilizzo equipara Gesù a Dio, come il testo comunque esplicita, appellando Gesù «Dio». La manifestazione del salvatore è per noi sorgente feconda di orientamenti esistenziali che rifuggono dall’empietà/autosufficienza, e ci dirigono nella pietà/obbedienza, radicando in noi gli stessi atteggiamenti di obbedienza filiale di Cristo. È una realtà già ora efficace, in attesa del suo compimento escatologico.
  • Stefano Romanello, in Avvenire 24 dicembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun dic 28, 2009 9:32 am


  • Nella nostra storia
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«Ma quando apparvero la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini, egli ci ha salvati, non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, con un'acqua che rigenera e rinnova nello Spirito Santo, che Dio ha effuso su di noi in abbondanza per mezzo di Gesù Cristo, salvatore nostro». (Tt 3,4-6)

In queste giornate natalizie gustiamo profondamente l'annuncio della «manifestazione» della salvezza di Dio, che non è una grandezza astratta, ma una persona: il Gesù venuto in mezzo a noi. In lui il progetto salvifico di Dio si è fatto evento, possibilità aperta nella storia degli uomini e delle donne di ripensare la propria esistenza in modo diverso all'autosufficienza da Dio che conduce inevitabilmente all'indifferenza o, peggio, all'odio verso gli altri (v.3). Tutto ciò è dovuto unicamente alla bontà, alla «filantropia» di Dio, che per il suo amore gratuito condivide, nel Figlio, la nostra vicenda umana, facendo divenire la salvezza un fatto storico. Salvezza che continua ad essere dono e interpellazione all'umanità grazie alla testimonianza della Chiesa, precisamente al suo annuncio (1,1; 3,8) e alla celebrazione sacramentale, a partire dal battesimo, elargizione dello Spirito che rigenera nel segno dell'acqua.
  • Stefano Romanello, in Avvenire 27 dicembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » dom gen 03, 2010 8:39 pm


  • Raggiunti dal dono
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«È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui, che è il capo di ogni Principato e di ogni Potenza». (Col 2,9-10)

La riflessione sulla divinità di Cristo, così accentuata nella lettera ai Colossesi, non nasce da un gusto speculativo fine a se stesso, ma da una necessità pastorale precisa. La lettera, infatti, testimonia la ricerca di mediazioni celesti probabilmente ritenute compatibili con Cristo stesso, un ossequio a principati e potenze celesti ritenuti fortemente influenti sulla vita e il destino dei singoli. Per questo la lettera ha ricordato come ogni essere, celeste e terreno, sia sostanzialmente dipendente da Cristo già dalla sua stessa creazione (Col 1,15-17). E qui ricorda come in Cristo abiti la pienezza della divinità, una pienezza di cui egli ci ha reso partecipi, con la sua vita, morte e resurrezione. Egli non ha tenuto nascosta la sua pienezza, ma l'ha resa manifesta, e ne ha fatto dono. Raggiunti da tale dono, non ha davvero senso la ricerca di altri mediatori. Cristo, che porta nella nostra storia la pienezza della divinità, è, per tale ragione, colui che indica compiutamente le possibilità della nostra comunione con il Padre, in cui risiede il senso stesso della nostra vita.
  • Stefano Romanello, in Avvenire 29 dicembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » dom gen 03, 2010 8:40 pm


  • Riscatto per tutti
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«Uno solo, infatti, è Dio e uno solo anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, che ha dato se stesso in riscatto per tutti. Questa testimonianza egli l'ha data nei tempi stabiliti, e di essa io sono stato fatto messaggero e apostolo - dico la verità, non mentisco -, maestro dei pagani nella fede e nella verità». (1Tm 2,5-6)

Le professioni cristologiche presenti nell'epistolario paolino, come in tutto il Nuovo Testamento, non dimenticano la fede ebraica nell'unicità di Dio. Ciò risulta chiaro da questi versetti, che iniziano con una menzione dello Shema Israel, la confessione di fede giudaica nell'unicità di Dio (cfr. Dt 6,5). Essa è subito completata con la menzione di un'unicità della mediazione a opera di Gesù Cristo. È una mediazione pienamente umana, contrariamente alle credenze giudaiche, che scorgevano gli angeli mediatori del dono divino della Legge. Tale mediazione si palesa nell'autodonazione per tutti. Essa ha valore di riscatto, ossia di liberazione da una situazione storica di peccato e iniquità (cfr. Tt 2,14). Ed è intesa, secondo il progetto di Dio, per «tutti» gli esseri umani, i quali, ovviamente, sono interpellati ad accoglierla con la propria adesione di fede. Questa profonda convinzione anima l'annuncio e l'apostolato di Paolo tra le genti.
  • Stefano Romanello, in Avvenire 30 dicembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » dom gen 03, 2010 8:41 pm


  • Compimento e novità
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«...Dio, mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e a motivo del peccato, ha condannato il peccato nella carne, perché la giustizia della Legge fosse compiuta in noi, che camminiamo non secondo la carne ma secondo lo Spirito». (Rm 8,3b-4)

Abbiamo già incontrato significativi sviluppi della riflessione cristologica originaria paolina che, lo ricordo, inizia dalla comprensione della sua pasqua. Anche questo passo va in tal senso. Si guarda, infatti, all'invio stesso del Figlio nella nostra storia. Si suppone così che il Figlio sia preesistente, e come tale inviato tra noi. E poiché è questo invio a rendere possibile poi l'evento pasquale, esso stesso viene considerato a partire dall'efficacia salvifica propria della pasqua: la luce della pasqua, in altri termini, si riverbera in ciò che la rende possibile, a iniziare dall'invio stesso del Figlio, lo rende fattore salvifico, di vittoria sul peccato. Ma dove si realizza tale invio? In una «carne», ossia in un'umanità storicamente contrassegnata da una condizione drammatica, di «peccato», appunto! Il Figlio realizza la salvezza attraverso la condivisione estrema della condizione umana, assumendo su di sé ciò che sarebbe, in teoria, alieno alla sua grandezza e alle sue prerogative. Ma è da questo che si dischiude per noi una possibilità di esistenza nuova.
  • Stefano Romanello, in Avvenire 31 dicembre 2009
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