Anno Paolino 28 giugno 2008 - 29 giugno 2009

Raccolta di preghiere e testi religiosi d’Autore, a cura di miriam bolfissimo
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 02, 2009 10:34 am


  • Virtù fuori tempo
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«Quindi, miei cari, voi che siete stati sempre obbedienti, non solo quando ero presente ma molto più ora che sono lontano, dedicatevi alla vostra salvezza con rispetto e timore». (Filippesi 2, 12)

Dopo il grande inno a Cristo, il quale da Dio si è fatto uomo e da uomo è stato umiliato con la morte in croce ed è stato esaltato nella gloria della risurrezione, Paolo cerca di applicare la vicenda di Gesù alla condizione di vita dei cristiani di Filippi. La prassi cristiana dipende direttamente dal mistero di Cristo, l'ascetica dalla teologia, dalla cristologia. La principale virtù che Paolo raccomanda è quella dell'obbedienza. A proposito della quale è stato scritto che non è più una virtù e, in effetti, oggi sembra che essa sia del tutto obsoleta e dimenticata. Eppure, soprattutto nel rapporto educativo, essa conserva ancora qualche valore, se viene considerata nella sua profondità. Ovviamente si tratta di stabilire una giusta relazione tra le persone in gioco, segnatamente tra educatore ed educando. Paolo lascia intendere che la persona dell'educatore va in qualche modo superata, in ragione del suo riferimento a Dio. Anche se lontano dalla città di Filippi, cioè impossibilitato a manifestare la sua autorevolezza, Paolo chiede obbedienza e afferma che da essa dipende nientemeno che la salvezza dei credenti. Proprio come Gesù che in tutto e per tutto, come Paolo ha scritto nel grande inno a Cristo di questa lettera, si è fatto obbediente fino alla morte, e alla morte di croce.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 1 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 02, 2009 10:36 am


  • Il nostro galateo
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«Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri, figli di Dio innocenti». (Filippesi 2, 14-15a)

In queste poche parole si intrecciano due prospettive: la prima riguarda il comportamento dei credenti qui in terra, mentre la seconda è relativa alla vita futura. Tra le due sussiste una relazione di dipendenza: il nostro futuro dipende dal nostro presente. Il premio conserva il carattere del dono, ma richiede la nostra gioiosa corrispondenza. Quaggiù occorre superare almeno la tentazione della facile e corrosiva mormorazione, ricordata con accenti severi da Paolo nella sua prima lettera ai Corinzi: «Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro, e caddero vittime dello sterminatore. Tutte queste cose però accaddero loro come esempio e sono state scritte per nostro ammaestramento». Se ne evince una lezione elementare: ciò che la Bibbia ci fa conoscere deve aprirci gli occhi per non cadere negli errori di chi ci ha preceduto. Paolo stigmatizza anche il comportamento di chi, pur sapendo quello che Dio aspetta da lui, non si decide mai a vivere in modo conforme alla grazia ricevuta. La seconda prospettiva, aperta dalle tre qualità della vita cristiana (irreprensibili, puri e immacolati) ha un sapore tutto escatologico, riguardante cioè il rapporto tra il presente e il futuro della nostra storia. È come dire che tutto quello che facciamo in vita avrà una risonanza nell'eternità.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 2 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun ott 05, 2009 9:37 am


  • Nel mondo, non del mondo
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«In mezzo a una generazione malvagia e perversa». (Filippesi 2, 15b)

L'invito, come è risaputo, viene da Gesù: «Essi sono nel mondo, ma non sono del mondo» (Giovanni 17, 11-14) e ci offre subito una chiave di lettura: vi è un mondo che è dono del Creatore, e perciò dobbiamo goderne come di un bene grandioso, ma vi è anche un mondo schiavo del Maligno, dal quale dobbiamo rifuggire come da un male pernicioso. Il vero discepolo di Gesù sa discernere e accoglie questa capacità di discernimento come un dono. In diverse circostanze Gesù qualifica la sua generazione come «malvagia e adultera» (Matteo 12, 39; 16, 4) volendo così stigmatizzare la chiusura ermetica dei suoi contemporanei all'ascolto della sua predicazione e del suo invito alla conversione. Anche l'apostolo Pietro, dopo aver presentato in modo assai completo il mistero di Gesù morto e risorto, conclude il suo discorso di Pentecoste con questo avvertimento: «Salvatevi da questa generazione perversa!» (Atti 2, 40). Ci deve pur essere un motivo per questa concordanza e il motivo lo dobbiamo riconoscere nella necessità, per tutti noi, di custodire il dono ricevuto con estrema attenzione, preservandolo da eventuali, possibili inquinamenti. In questo contesto Paolo intende mettere in guardia i cristiani di Filippi dal pericolo di adeguarsi alla logica del mondo che è del tutto contraria alla logica del Regno.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 3 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun ott 05, 2009 9:40 am


  • Tener salda la parola
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«In mezzo a loro voi risplendete come astri nel mondo, tenendo salda la parola di vita. Così nel giorno di Cristo io potrò vantarmi di non aver corso invano, né invano aver faticato». (Filippesi 2, 15b-16)

Prima aveva detto che la gloria dei Filippesi sta nella comunione in Cristo, ora Paolo afferma che la vita della comunità costituisce la gloria di Paolo: bellissimo intreccio di pensieri che ci aiuta a capire come la vera gioia cristiana è sì dono di Dio, ma è anche frutto di una profonda e sincera condivisione di beni spirituali. Lo scrive anche ai cristiani di Tessalonica: «Infatti, chi, se non proprio voi, è la nostra speranza, la nostra gioia e la corona di cui vantarci davanti al Signore nostro Gesù, nel momento della sua venuta? Siete voi la nostra gloria e la nostra gioia!». A integrazione di quanto detto, un altro rilievo si impone: prima Paolo aveva detto che la sua presenza avrebbe fatto crescere la gloria della comunità (1, 26); qui, a completamento del suo pensiero, afferma che la testimonianza della comunità è per lui motivo di gloria. Una breve annotazione di sapore filologico: la nuova traduzione della Cei ha «tenendo salda la parola di Dio» invece che «alta» e rispetta il significato proprio del verbo greco. In effetti, secondo l'esortazione dell'apostolo, si tratta non di sbandierare la parola di Dio come se fosse un vessillo, quanto piuttosto di tener ferma e sicura la fede che ci è stata donata, la fede in Colui che è la Parola e, in quanto tale, è via, verità e vita.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 4 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » gio ott 08, 2009 8:17 am


  • Gioie e dolori
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«Spero nel Signore di mandarvi presto Timoteo, per essere anch'io confortato nel ricevere vostre notizie. Infatti non ho nessuno che condivida come lui i miei sentimenti e prenda sinceramente a cuore ciò che vi riguarda. Tutti in realtà cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo». (Filippesi 2, 19-21)

Un forte desiderio di comunione caratterizza questi versetti: essa è frutto di un servizio nel quale si intrecciano gioie e dolori. Qui Paolo esprime una «speranza nel Signore» che non può esaurirsi in una previsione umana, anche se forse Paolo prevede una sentenza favorevole nel processo che lo attende. Spesso Paolo, non potendo ancora andarci di persona, manda alcuni suoi collaboratori a visitare le Chiese da lui fondate. Lo fa per confermare nella fede coloro che avevano aderito a Cristo, ma forse anche per essere consolato per le notizie che attende e spera siano positive. Dicendo «nessuno» e «tutti» forse Paolo esagera, ma questo linguaggio risulta comprensibile se si pensa all'intensità dell'affetto con il quale l'apostolo segue le vicende della Comunità di Filippi. Prima aveva esortato: «Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma anche quello degli altri» (v. 4); ora invece esce in un lamento che tradisce una forte delusione, volendo accennare forse a coloro che «predicano Cristo per invidia e spirito di contesa - con spirito di rivalità e con intenzioni non rette» (1, 15-17). Anche a Filippi, dunque, come a Corinto, Paolo ha conosciuto la presenza di seminatori di zizzania, che cercavano di presentare un vangelo alternativo. Pericolo attuale?
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 6 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » gio ott 08, 2009 8:18 am


  • Come un figlio con il padre
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«Voi conoscete la buona prova da lui data, poiché ha servito il Vangelo insieme con me, come un figlio con il padre. Spero quindi di mandarvelo presto, appena avrò visto chiaro nella mia situazione. Ma ho la convinzione nel Signore che presto verrò anch'io di persona». (Filippesi 2, 22-24)

La speranza di poter rivedere i cristiani di Filippi cresce in Paolo: il processo dunque sembra volgere verso il meglio. Egli confessa che questa è una «convinzione nel Signore», dunque un desiderio misto a speranza, nella quale l'apostolo cerca di coinvolgere i suoi interlocutori. Qui Paolo tesse un grande elogio del discepolo Timoteo, certamente uno dei più fedeli e preziosi assieme a Tito: a loro Paolo invierà lettere personali per perfezionare quell'opera di educazione all'apostolato alla quale si era già dedicato. Timoteo è stato associato da Paolo nel «servizio al Vangelo»: si tratta di una diakonia del tutto speciale che è fatta di predicazione e di lavoro manuale, di preghiera e di azione, impastata di grande amore e di forte disinteresse. Qualcosa di simile sta accadendo anche nelle nostre Chiese con la presenza di nuovi ministeri o servizi con i quali le nostre comunità cercano di rispondere alle necessità spirituali e materiali emergenti. Timoteo ha collaborato con Paolo «come un figlio con il padre»: espressione semplicissima, dalla quale traspare un rapporto paterno-filiale che potremmo auspicare presente e operante anche oggi nelle nostre comunità. Ovviamente senza cadere in forme di paternalismo che sarebbero fuori tempo e controproducenti.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 7 ottobre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » gio ott 08, 2009 8:19 am


  • Condivisione fraterna
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«Ho creduto necessario mandarvi Epafrodito, fratello mio, mio compagno di lavoro e di lotta e vostro inviato per aiutarmi nelle mie necessità. Aveva grande desiderio di rivedere voi tutti e si preoccupava perché eravate a conoscenza della sua malattia. È stato grave, infatti, e vicino alla morte». (Filippesi 2, 25-27a)

Anche di Epafrodito, come prima di Timoteo, Paolo tesse elogi, che sono come un biglietto da visita con il quale viene presentato all'attenzione dei Filippesi. Potessimo anche oggi scrivere con verità biglietti di questo genere! Egli è stato «inviato» (apostolo!) a Paolo dalla Chiesa di Filippi per portare gli aiuti raccolti, per i quali l'apostolo ringrazierà più avanti (4, 10-20). Va ricordato che la comunità di Filippi è l'unica dalla quale Paolo ha accettato aiuti materiali: segno di grande familiarità e piena condivisione. Ci sono diversi modi di essere apostoli: non tutto si esaurisce nel ministero dei Dodici. La Chiesa di Dio ha bisogno dell'apporto di tutti per la predicazione del Vangelo e per la edificazione della casa comune, in attesa del Regno di Dio. «Fratello mio» dice che verso i suoi collaboratori Paolo ha saputo stabilire anche un rapporto di parità: fratelli per il dono della fede e per il modo di portare avanti il servizio all'Evangelo che per tutti rimane il primo, irrinunciabile dovere. «Compagno di lavoro e di lotta»: questa espressione si riferisce alla fatica annessa ai doveri apostolici. Paolo non solo non si è risparmiato in questo, ma ha saputo educare anche i suoi collaboratori, togliendo loro ogni illusione di vita comoda.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 8 ottobre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 09, 2009 9:35 am


  • Ospitalità
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«Ma Dio ha avuto misericordia di lui, e non solo di lui ma anche di me, perché non avessi dolore su dolore. Lo mando quindi con tanta premura, perché vi rallegriate al vederlo di nuovo- Accoglietelo dunque nel Signore con piena gioia». (Filippesi 2,27b-29)

Dando la guarigione ad Epafrodito il Signore ha prestato aiuto anche a Paolo, perchè gli ha risparmiato «dolore su dolore». Quando un figlio è malato non si saprebbe dire se a soffrire è più lui o il padre. Questo accade anche a Paolo che, a suo dire, sperimenta tutte le caratteristiche della vera paternità. La gioia dei Filippesi è legata anche al fatto che essi possano rivedere e riabbracciare sano e salvo uno dei loro figli, Epafrodito, che il Signore ha liberato da morte certa. Quando un fratello ritorna in vita sono tutti i fratelli a gioire con lui. È sempre vero? L'accoglienza qui tanto raccomandata da Paolo non va considerata come una semplice forma di cortesia, quanto invece come un'opera di misericordia, alla quale è annessa una grande ricompensa. Lo si legge anche nella lettera agli Ebrei: «L'amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l'ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli» (13,1). Per i cristiani l'ospitalità dunque non è, non può essere un optional, ma fa parte di quella spiritualità evangelica che ci qualifica come singoli, come famiglie e come comunità: «Condividete le necessità dei santi: siate premurosi nell'ospitalità» (Rom. 12,13). Chi ha fatto del Vangelo la sua regola di vita sa quello che comporta il dovere dell'ospitalità.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 9 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun ott 12, 2009 8:44 am


  • La vera gioia
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«Per il resto, fratelli miei, siate lieti nel Signore». (Filippesi 3, 1a)

Formulando questo invito alla gioia, Paolo sa di esprimere una caratteristica della fede cristiana e una necessità vitale per ogni credente. Quello che era vero per Paolo lo è certamente anche per noi, che spesso siamo assaliti da tristezze inspiegabili. In questa stessa lettera l'apostolo ha già indicato il vero motivo della sua gioia: «Purché Cristo venga annunciato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene» (1, 18). Nel pensiero di Paolo non entra la considerazione dei suoi stati d'animo; a lui preme solo che il messaggio della salvezza in Cristo arrivi a tutti. Sta qui la fonte della sua gioia! Anche Gesù indicò la fonte della vera gioia quando disse: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Giovanni 15, 11): è nelle parole di Gesù che siamo invitati a cercare la gioia. Con un atto di fede, certo, in colui che ha detto: «Le parole che io vi ho detto sono spirito e vita» (Giovanni 6,63). C'è una gioia apparente e una gioia permanente, c'è una gioia effimera e una gioia duratura. Quale è il criterio diagnostico? Paolo lo indica in una espressione semplicissima: «Nel Signore» per dire che non in altri, ma sempre e solo nel risorto Signore, lo stesso da lui incontrato sulla via di Damasco, noi possiamo trovare la via che porta alla gioia vera.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 10 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun ott 12, 2009 8:45 am


  • Sapersi difendere
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«Guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno mutilare!». (Filippesi 3, 2)

Desta meraviglia questo linguaggio, abbastanza insolito, nelle lettere di Paolo: eppure se lo usa significa che egli è molto preoccupato del benessere spirituale dei cristiani di Filippi. Ciò che preoccupa l'apostolo è il «contro-vangelo» proposto da coloro che sostengono la necessità della circoncisione per ottenere la salvezza in Cristo. Nulla di più sbagliato per Paolo: vorrebbe dire ritornare a Mosè, disprezzando la novità, tutta intrisa di libertà, portataci da Cristo Signore. Va annotato che, con un gioco di parole dispregiativo, Paolo paragona la circoncisione carnale degli Ebrei alle incisioni cruente dei culti pagani. I titoli poco onorifici che Paolo scaglia contro di loro stanno a indicare l'assoluta incompatibilità tra la propaganda che essi vanno facendo e il «vangelo» di Paolo. Anche nella lettera ai cristiani della Galazia Paolo si scaglia contro di loro: «Farebbero bene a farsi mutilare quelli che vi gettano nello scompiglio!» (5, 12) dove possiamo vedere una allusione alla castrazione rituale praticata nel culto di Cibele. Per due volte in pochissime espressioni Paolo mette in guardia i suoi destinatari dal pericolo di ritornare sui propri passi rinnegando così il messaggio della salvezza che hanno ascoltato dalle labbra di Paolo. Non vuole lasciare spazio a nessuna illusione: o con Cristo o contro Cristo!
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 11 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mar ott 13, 2009 3:11 pm


  • Oltre il "rito" carnale
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«I veri circoncisi siamo noi, che celebriamo il culto mossi dallo Spirito di Dio». (Filippesi, 3, 3a)

Liberato il campo dal pericolo della circoncisione della carne che ci farebbe ricadere nelle strettoie della Legge di Mosè, Paolo fa una rivendicazione molto chiara, che rivela tutto il suo pensiero, anzi sintetizza tutto il suo «vangelo». Se quella di Mosè è una circoncisione vecchia, ormai sorpassata, anzi resa inutile e dannosa, quale è quella vera? Dalla rivelazione ricevuta sulla via di Damasco Paolo sa che ce n'è una nuova, che non si limita ad un "rito" carnale, legato cioè al sistema dell'antica Legge con tutte le sue osservanze. La circoncisione nuova consiste piuttosto in un "culto", non certo nel senso rituale del termine ma nel senso "spirituale": un servizio reso a Dio in spirito o mediante lo Spirito, un culto sui generis, che coinvolge tutta la vita e non può essere ridotto ad un atto liturgico e tanto meno a pratiche più o meno superstiziose: eventualità sempre presente! Nella lettera ai cristiani di Roma Paolo si esprime in termini ancora più chiari: «Quando eravamo nella debolezza della carne, le passioni peccaminose, stimolate dalla Legge, si scatenavano nelle nostre membra, al fine di portare frutti per la morte. Ora invece, morti a ciò che ci teneva prigionieri, siamo liberati dalla Legge per servire secondo lo Spirito, che è nuovo, e non secondo la Legge, che è antiquata» (7, 5-6).
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 13 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mer ott 14, 2009 9:42 am


  • Vantarsi, ma di che cosa?
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«Noi ci vantiamo in Cristo Gesù senza porre fiducia nella carne, sebbene anche in essa io possa confidare». (Filippesi 3, 3b-4a)

A fronte di quella che è la circoncisione "nuova", non ci meravigliamo se Paolo manifesta il suo sano orgoglio per aver raggiunto una liberazione che da solo non avrebbe mai potuto darsi. Paolo si sente libero perché conquistato da Gesù in persona. Il suo vanto Paolo lo mutua da Cristo Gesù, cioè da Colui dal quale è stato ghermito, quasi sedotto sulla via di Damasco: là il Signore risorto ha sconvolto la vita di Paolo e il suo stesso modo di valutare le cose e gli eventi. Pur consapevole di poter trarre vanto anche dalla sua vita pregressa di ebreo puro sangue, Paolo non può più confidare in quello che è ormai definitivamente tramontato non solo per lui, ma per tutti, cioè per quanti desiderano aprirsi al dono della salvezza in Cristo. C'è dunque un "prima" e un "dopo" nella vita di Paolo, come del resto nella vita di chi incontra Cristo Signore: questo incontro infatti non può lasciare le cose semplicemente come stavano, quasi che la presenza del Signore sia riducibile e assimilabile a tutte le altre. Non sarebbe del tutto fuori luogo chiederci se anche noi ci sentissimo davvero fieri e orgogliosi di aver incontrato Cristo, di conoscerlo nella sua autentica personalità e di riconoscerlo come unico nostro salvatore, oltre ovviamente a testimoniarlo apertamente e gioiosamente nelle varie circostanze giornaliere.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 14 ottobre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » gio ott 15, 2009 10:44 am


  • Abbracciare la novità
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«Se qualcuno ritiene di poter aver fiducia nella carne, io più di lui: circonciso all'età di otto giorni, della stirpe d'Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei; quanto alla Legge, fariseo». (Filippesi 3, 4b-5)

Paolo non ha mai rinnegato il suo passato di Giudeo; nella lettera ai cristiani della Galazia afferma che «nel giudaismo superavo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri» (1, 14). Però, mai come qui l'apostolo enumera tanti titoli, dei quali era e rimane orgoglioso e fiero. Nella vita possiamo rinnovarci dando un orientamento nuovo alle nostre scelte, mai cancellare il passato. È da saggi rileggerlo per valorizzarlo. Nella vita di Saulo si è verificato un evento nuovo, un fatto del tutto inedito: l'incontro con quel Gesù che prima perseguitava nei cristiani. Egli infatti conserva i segni della circoncisione: solo che ora vive secondo le esigenze di una circoncisione "nuova". Paolo appartiene sempre alla stirpe d'Israele, solo che ora sa di appartenere all'Israele "nuovo". Paolo rimane «ebreo figlio di ebrei», di ceppo palestinese, che parla l'aramaico, la lingua degli antenati (Atti 21, 40), solo che ora ha compreso che per ottenere la salvezza occorre adottare uno stile di vita "nuovo". Paolo non può non dirsi, ancora oggi, fariseo: solo che il suo zelo, un tempo totalmente rivolto contro Gesù e contro i suoi seguaci, ora ha trovato una motivazione "nuova"e si manifesta secondo modalità del tutto nuove. Non è facile, non è di tutti, abbracciare con coraggio la novità del cristianesimo.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 15 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 16, 2009 10:49 am


  • L'uomo di ieri
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«Quanto allo zelo, persecutore della Chiesa; quanto alla giustizia che deriva dall'osservanza della Legge, irreprensibile». (Filippesi 3,6)

Continua l'auto-presentazione di Paolo: certamente egli non intende indulgere in una sorta di compiacimento personale: non è questo che egli cerca. Al contrario Paolo sa che tutto è dono nella sua vita: «Per grazia di Dio sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana» (1 Corinzi 15, 10). Qui Paolo si definisce persecutore della Chiesa, riassumendo in questa espressione la sua rilettura personale di quello che aveva fatto prima di Damasco, inclusa la sua presenza connivente al martirio di Stefano. In quel momento egli esprimeva non solo la sua totale adesione alla Legge, che era diventata praticamente il suo idolo, ma anche la sua totale fiducia nella possibilità di ottenere in questo modo la salvezza desiderata. Sappiamo da Paolo stesso che questo zelo più tardi sarà messo a servizio della Chiesa. Allo zelo, che lo aveva accecato e gli aveva tolto una visione corretta della sua vita, è subentrata la gelosia divina, un sentimento non meno forte ed esigente: «Io provo per voi una specie di gelosia divina: vi ho promessi infatti a un unico sposo per presentarvi a Cristo come vergine casta» (2 Corinzi 11, 2). Paolo è l'uomo dai sentimenti forti, è l'apostolo dalle scelte taglienti, è l'innamorato di Cristo che non conosce le mezze misure.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 16 ottobre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » lun ott 19, 2009 10:08 am


  • Fine del privilegio
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«Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo». (Filippesi 3, 7)

Ci troviamo di fronte a un colpo di scena netto: lo stacco tra il passato e il presente non potrebbe essere più forte e deciso. Paolo gioca sulla contrapposizione di due termini «guadagno» e «perdita» e vi costruisce un discorso pulito, che non lascia adito a incertezze. Anzitutto Paolo getta uno sguardo sul suo passato e, con la luce della rivelazione di Damasco, lo valuta per quello che sembrava essere (un guadagno) e per quello che è (una perdita): alla cecità di un tempo subentra una visione chiarissima della situazione nuova. Con l'incontro di Damasco ogni privilegio di nascita o di educazione è finito, ogni sforzo religioso o morale ha perduto senso. Tutto ciò che apparteneva all'antica maniera di vivere non solo si è rivelato trascurabile, ma addirittura nocivo. Come Paolo ha potuto arrivare a tanto? La risposta sta tutta nascosta in questa semplicissima espressione «a motivo di Cristo». C'è uno al quale va attribuita questa responsabilità. È Cristo l'unico vero «colpevole» di tutto quello che è accaduto nella vita di Paolo. Cristo ha donato a Saulo ciò che Saulo non poteva neppure immaginare: la certezza che la salvezza desiderata non deve essere cercata nella fiducia in se stesso o nelle proprie azioni, ma esclusivamente in Gesù, morto e risorto.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 17 ottobre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » lun ott 19, 2009 10:09 am


  • Confronto illuminante
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«Anzi ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore». (Filippesi 3, 8a)

Paolo riprende il motivo della «perdita» che può qualificare come tale solo dopo che e perché ha conosciuto Uno che gli ha sconvolto l'esistenza, Uno che gli ha cambiato i connotati spirituali. Non fosse entrato Gesù nella sua vita nulla sarebbe cambiato. Paolo lo sa e lo confessa candidamente. Ora però egli specifica ulteriormente il motivo per il quale ha potuto formulare un giudizio così chiaro e perentorio, la ragione della sua conversione così radicale e travolgente. Egli parla di una «conoscenza sublime» e intende dare all'espressione un senso biblico fortissimo: non si tratta di una conoscenza intellettuale, ma di un legame vitale intimo che farà di Paolo un alter Christus, del tutto simile a Gesù nella morte e nella vita nuova. Si evince anzitutto che Damasco è stato un evento conoscitivo sì, ma nel senso più forte del termine perché la conoscenza che ne è scaturita ha assunto subito i caratteri della esclusività e della totalità. Degno di nota è il fatto che solo qui Paolo, in uno slancio personale che ha tutti i caratteri di una dichiarazione d'amore, unisce il pronome possessivo «mio» al titolo «Signore». Raggiungiamo perciò una vetta della mistica paolina, che lascio a ogni lettore approfondire mediante la meditazione personale.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 18 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mar ott 20, 2009 7:59 am


  • Essere trovati
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«Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui». (Filippesi 3,8b-9a)

In queste brevi espressioni possiamo riconoscere le due fasi del cammino di conversione di Paolo: quello negativo dell'abbandono della precedente forma di vita e quello positivo della totale adesione a Cristo. È, o dovrebbe essere, anche il cammino di ciascuno di noi, nella consapevolezza che anche la più alta adesione a Cristo richiede sempre l'abbandono delle nostre miserie. Paolo ha avuto il coraggio, dono della grazia, di lasciar perdere, cioè di abbandonare totalmente non solo le pratiche della Legge antica, ma anche quella mentalità farisaica che lo portava a nutrire fiducia in quello che faceva e che lo travolgeva in un affanno esteriore che non lasciava spazio alla riflessione personale. Ma ora Paolo ha anche il coraggio di definire «spazzatura», mondezza, tutto quello che faceva prima: una svalutazione assoluta che non era possibile se non alla luce di quella «Luce» che lo ha momentaneamente accecato sulla via di Damasco per poi illuminarlo a giorno. Ma quello che più preme rilevare è la tensione tra i due verbi finali: «guadagnare» ed «essere trovato». Qui riconosciamo un'altra espressione della mistica paolina: Paolo non potrebbe dire di aver guadagnato Cristo se prima non fosse stato trovato (si noti il verbo passivo) da Lui per vivere in Lui.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 20 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mer ott 21, 2009 9:53 am


  • Le due giustizie
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«Avendo come giustizia non quella derivante dalla Legge, ma quella che viene dalla fede in Cristo, la giustizia che viene da Dio basata sulla fede». (Filippesi 3, 9b)

Il richiamo al passato giudaico offre a Paolo l'occasione per definire le due giustizie: quella che deriva dalla Legge e l'altra che è dono di Dio per la fede in Cristo Signore. L'opposizione di queste due giustizie costituisce tutto l'argomento delle lettere ai Galati e ai Romani. Qui possiamo soffermarci brevemente a focalizzare le loro marcate differenze. La prima deriva dalla Legge, la quale era stata donata da Dio a Mosè, ma solo come preparazione alla venuta del Salvatore; pertanto ora che il Messia è venuto occorre superarla per adottare la legge nuova, «la legge dello Spirito che dà la vita in Cristo Gesù» (Romani 8, 2). La seconda giustizia invece viene da Dio, il quale ha ormai inaugurato i tempi nuovi, quelli nei quali dona a tutti la liberazione dalla legge del peccato e della morte per renderli partecipi della vita divina. La prima giustizia si commisura sulla osservanza dei precetti e quindi si avvale della bravura e delle capacità umane. La seconda invece viene dalla fede ed è basata sulla fede: è così che «si rivela la giustizia di Dio, di fede in fede, come sta scritto: Il giusto per fede vivrà» (Romani 1, 17). Ormai «ciò che era impossibile alla Legge, resa impotente a causa della carne, Dio lo ha reso possibile, mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato» (Romani 8, 3). «Chi crede ha la vita eterna» (Giovanni 6, 47).
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 21 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » gio ott 22, 2009 1:56 pm


  • Per conoscere lui
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«Perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze». (Filippesi 3, 10a)

Paolo torna a ribadire i caratteri della conoscenza della quale è stato gratificato sulla via di Damasco. «Per conoscere Lui»: questa espressione mette in forte rilievo il carattere personalistico di tale conoscenza. A Damasco Paolo non ha conosciuto un nuovo sistema dottrinale, tanto meno egli ha aderito a una nuova scuola filosofica. Paolo ha incontrato Gesù di Nazaret, anzi è stato Gesù a sbarrargli la strada, costringendolo a fermarsi e a confrontarsi con lui. Di Gesù Paolo ha sperimentato «la potenza della risurrezione»: infatti per la prima volta nella sua vita ha incontrato Gesù risorto e ha dovuto cedere alla potenza divina manifestatasi in modo del tutto imprevisto e sorprendente. In effetti Paolo diventerà il cantore o, se si preferisce, il primo grande teologo della risurrezione di Gesù. Ma dello stesso Gesù Paolo ha conosciuto anche «la comunione alle sofferenze», che è l'altro aspetto del mistero pasquale. Paolo ha compreso subito che non si può separare la gloria della risurrezione dalle sofferenze della crocifissione e morte di Gesù. Per questo egli insiste tanto sulla necessità per ogni cristiano di farsi carico della croce di Cristo. Di se stesso afferma: «Sono stato crocifisso con Cristo e non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Galati 2, 19-20).
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 22 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 23, 2009 10:04 am


  • Vivere il mistero
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«Facendomi conforme alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti». (Filippesi 3, 10b-11)

È il mistero pasquale il filo conduttore del pensiero di Paolo: l'evento di morte e di risurrezione di Cristo Signore, che per un cristiano autentico non costituisce solo oggetto della professione di fede, ma anche, e ancor prima, un «mistero» da inverare nella propria vita. Ce l'ha ricordato in termini perentori il Concilio Vaticano II. Anche Paolo non si accontenta di ricordarlo o di insegnarlo; egli lo presenta come il «mistero» che è entrato prepotentemente nella sua vita e lo ha totalmente trasformato. Paolo parla della sua conformazione alla morte di Gesù, come di un evento che attende di essere attualizzato giorno dopo giorno: «Ogni giorno io vado incontro alla morte» (1Corinzi 15, 31), «portando sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù» (2 Corinzi 4, 10). Parimenti l'apostolo parla della sua speranza di giungere a sperimentare anche le gioie della risurrezione di Cristo: egli infatti sa che se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la sua predicazione, vana la nostra fede. Ma anche la risurrezione di Gesù, come del resto la morte, per Paolo non è un evento da commemorare, ma è un mistero da rivivere, giorno dopo giorno: «Sempre infatti, noi che siamo vivi, veniamo consegnati alla morte a causa di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale: cosicché in noi agisce la morte, in voi la vita» (2 Corinzi 4, 11-12).
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 23 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun ott 26, 2009 10:55 am


  • Coscienza del limite
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«Non ho certo raggiunto la mèta, non sono arrivato alla perfezione». (Filippesi 3, 12a)

Si parla spesso di «cammino di fede» per indicare gli sviluppi di una vita secondo lo Spirito la quale non è altro se non una ricerca di assimilare sempre più il vangelo di Gesù e di assomigliare a Lui. Quello di Paolo è stato un cammino estremamente arduo e difficile: egli ha dovuto andare contro corrente, talvolta avversato da tutti e da tutto. Ma, per la grazia che gli è stata accordata, Paolo ha conservato intatta la sua fede, inalterata la sua adesione a Colui che gli è apparso sulla via per Damasco. Qui con estrema lucidità Paolo dimostra di essere perfettamente consapevole del punto al quale è arrivato: ha fatto certamente un buon tratto di strada e può dire di aver speso tutto se stesso per la causa di Gesù e del Vangelo. Però sa di aver ancora molte lotte da sostenere, molte fatiche da sopportare, ma può dire: «So in chi ho posto la mia fede e sono convinto che egli è capace di custodire fino a quel giorno ciò che mi è stato affidato» (2 Timoteo 1, 12). Sembra quasi che Paolo esprima un dubbio, una incertezza, ma non è esattamente così. Piuttosto l'apostolo nutre la speranza di poter portare a termine il suo cammino. Ora la speranza sta fondata sul dono reale di Dio; tuttavia la necessità di sottoporsi ad uno sforzo quotidiano sembra rendere la certezza meno assoluta, e spinge alla lotta. È di questa speranza che si nutre la nostra vita spirituale?
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 24 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun ott 26, 2009 10:57 am


  • Sapersi arrendere
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«Mi sforzo di correre per conquistarla, perché anch'io sono stato conquistato da Cristo Gesù». (Filippesi 3, 12b)

Spesso siamo come assaliti da una sorta di megalomania che ci fa sentire capaci quasi di tutto, comunque poco disponibili a lasciarsi aiutare dagli altri. Sembra essere una malattia dei nostri tempi. È certo comunque che questo atteggiamento non si addice alla psicologia del vero discepolo di Cristo e Paolo si presenta come modello anche in questo. Lo stesso verbo «conquistare» qui viene utilizzato sia nella forma attiva sia in quella passiva per esprimere due concetti tra loro complementari. Allo sforzo nostro di poter conquistare la mèta corrisponde il fatto che siamo stati conquistati da Cristo. Sarebbe più corretto dire: poiché siamo stati conquistati da Cristo noi possiamo tendere a conquistare la mèta. La grazia di Dio ci precede sempre, per cui possiamo dire che «tutto è grazia». La grazia che Paolo ha ricevuto non lo esime tuttavia dal dovere di sottoporsi ad una sorta di ginnastica spirituale, fatta di resistenza al Male, di autocontrollo continuo, di pazienza infinita, di abbandono fiducioso nelle mani del Padre. Una ginnastica sempre necessaria! Paolo esprime la certezza di essere stato conquistato da Cristo. Per questo dirà più volte di sentirsi come «prigioniero di Cristo per voi pagani» (Efesini 3, 1) oppure «prigioniero a motivo del Signore» (4,1): questa è la sua nuova condizione di vita, questo il suo vanto.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 25 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mer ott 28, 2009 10:51 am


  • Il porto e la luce
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«Tutti noi, che siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti; se in qualche cosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo». (Filippesi 3, 15)

Nessuno, nella vita spirituale, può essere sicuro di essere arrivato definitivamente in porto: anche se rimane un breve tratto di strada da fare c'è sempre la possibilità di sorprese più o meno gradite. Dicendo «noi che siamo perfetti» forse Paolo lo fa con una punta di ironia, allo scopo di provocare la pigrizia dei cristiani di Filippi: Paolo desidera che anch'essi, come lui, siano perseveranti nel tendere alla perfezione. Emerge quindi la possibilità di arrendersi alle prove della vita, cedendo alla tristezza o alla stanchezza, ipotesi tutt'altro che astratte. Di che cosa abbiamo bisogno quando si delinea un periodo di crisi, quando le tenebre avvolgono il nostro animo e la nostra mente si obnubila? Di luce, solo di luce! La luce che viene dall'alto, la luce che è Cristo! «Io prego», scrive Paolo ai cristiani di Efeso che: «il Padre della gloria vi dia uno spirito di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui; illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua eredità tra i santi» (1, 15-18). Paolo non dubita che Dio vorrà illuminare tutti coloro che si apriranno al suo dono. Allora essi stessi diventeranno luce: «Un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore» (Efesini 5, 8).
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 28 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » gio ott 29, 2009 9:38 am


  • Essere trovati
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«Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui». (Filippesi 3,8b-9a)

In queste brevi espressioni possiamo riconoscere le due fasi del cammino di conversione di Paolo: quello negativo dell'abbandono della precedente forma di vita e quello positivo della totale adesione a Cristo. È, o dovrebbe essere, anche il cammino di ciascuno di noi, nella consapevolezza che anche la più alta adesione a Cristo richiede sempre l'abbandono delle nostre miserie. Paolo ha avuto il coraggio, dono della grazia, di lasciar perdere, cioè di abbandonare totalmente non solo le pratiche della Legge antica, ma anche quella mentalità farisaica che lo portava a nutrire fiducia in quello che faceva e che lo travolgeva in un affanno esteriore che non lasciava spazio alla riflessione personale. Ma ora Paolo ha anche il coraggio di definire «spazzatura», mondezza, tutto quello che faceva prima: una svalutazione assoluta che non era possibile se non alla luce di quella «Luce» che lo ha momentaneamente accecato sulla via di Damasco per poi illuminarlo a giorno. Ma quello che più preme rilevare è la tensione tra i due verbi finali: «guadagnare» ed «essere trovato». Qui riconosciamo un'altra espressione della mistica paolina: Paolo non potrebbe dire di aver guadagnato Cristo se prima non fosse stato trovato (si noti il verbo passivo) da Lui per vivere in Lui.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 29 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 30, 2009 9:44 am


  • Il senso della «tradizione»
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«Fratelli, fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l'esempio che avete in noi». (Filippesi 3, 17)

Paolo non ha alcun pudore nel presentare se stesso come modello di vita cristiana: lo fa a ragion veduta, mosso certamente da quello Spirito che lo ha animato in tutte le sue vicende apostoliche e che lo ha spinto a scrivere le sue lettere. Più avanti dirà: «Le cose che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, mettetele in pratica: e il Dio della pace sarà con voi» (4, 9). L'imitazione alla quale Paolo esorta non consiste dunque solo in una più forte attenzione alla sua persona o alla sua condotta: essa è parte integrante di quella «tradizione» alla quale Paolo stesso si sente legato indissolubilmente e che vuole assicurare alle singole comunità. Nella prima lettera ai cristiani di Corinto afferma: «Diventate miei imitatori, come io lo sono di Cristo» (11, 1). Il punto di riferimento primo e ultimo dunque non è certo la persona di Paolo, quanto piuttosto la persona di Cristo, considerato nella totalità del suo mistero di morte e di vita nuova. Paolo sente di poter fondare questo invito su una paternità spirituale della quale va orgoglioso: «Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo mediante il Vangelo» (1 Corinzi 4, 15), quel Vangelo che è «potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede» (Romani 1, 16).
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 30 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun nov 02, 2009 10:40 am


  • Verità e inimicizia
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«Perché molti - ve l'ho già detto più volte e ora, con le lacrime agli occhi, ve lo ripeto - si comportano da nemici della croce di Cristo». (Filippesi 3, 18)

Un apostolo autentico, che ha fatto della sua vita un continuo servizio alla Parola, predica certamente con la bocca ma talvolta parla, forse in modo più eloquente, con le lacrime agli occhi. Anche nella seconda lettera ai cristiani di Corinto Paolo scrive: «Vi ho scritto in un momento di grande afflizione e col cuore angosciato, tra molte lacrime, non perché vi rattristiate, ma perché conosciate l'amore che nutro particolarmente verso di voi» (2, 4) e qualche esegeta ipotizza che qui Paolo accenni a una ipotetica «lettera delle lacrime» nella quale avrebbe dato sfogo alle sue lamentele, non del tutto ingiustificate. A chi pensa Paolo quando parla di «nemici della croce di Cristo»? Forse a quelle stesse persone che precedentemente aveva stigmatizzato come «cani e cattivi operai», quelli che, fidando ancora nella Legge di Mosè, si fanno circoncidere. Il tono polemico riemerge di nuovo: forse Paolo non riesce a controllare il suo vocabolario, quando è in gioco la fedeltà a Cristo e alla sua proposta di salvezza. Ma questa per Paolo è la verità da predicare, l'unica verità da difendere, a costo anche di provocare reazioni forti come quella dei cristiani della Galazia ai quali scrive: «Sono dunque diventato vostro nemico dicendovi la verità?» (4,16).
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 31 ottobre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun nov 02, 2009 10:43 am


  • Benché la lotta
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«Possa egli davvero illuminare gli occhi della vostra mente per farvi comprendere a quale speranza vi ha chiamati...» ( Ef 1,18)

Paolo prega per le genti e spera che la luce illumini di gioia i percorsi umani. Preghiera commossa, nata il giorno in cui dai suoi occhi sono cadute via le scaglie del peccato. È la speranza che finalmente, liberati dalle tenebre, gli occhi sappiano scrutare il vero e abbracciare con lo sguardo della mente la libertà definitiva. Il Padre è la luce e il Figlio è il suo splendore e nello Spirito siamo illuminati. Speranza che provoca i nostri giorni privi di parole positive, ritmi ossessivi studiati ad arte per offendere il futuro e impoverire il presente. È la speranza il motore della storia credente e nella speranza siamo stati generati. La fede apre il sì al Dio che si rivela, la speranza lo afferra e lo rilancia nella mischia degli avvenimenti per trasformarli in opportunità felice. Credere senza sperare è tradire la verità ricevuta. Gli occhi della mente illuminati dal sole divino vedono davvero e sognano l’approdo. Sperare è ridere la vita e, benché la lotta, cercare compagnia di coraggio. Illuminati dalla luce vera, riscopriamo il volto dell’appartenenza, non più soli, ma figli di Dio, il passo diventa veloce.
  • Gennaro Matino, in Avvenire 1 novembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mer nov 04, 2009 9:24 am


  • Doveri di figlio
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«E che voi siete figli ne è prova il fatto che Dio ha mandato nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio che grida: Abbà, Padre!» (Gal 4,6)

La luce che illumina gli occhi della mente ravviva la speranza, è la vita divina che Gesù viene a offrire all'uomo. Lo sguardo di Dio si posa sulle sue attese e consegna in nome dell'Amore una inaudita eredità: figli nel Figlio. L'Amore riversato nei nostri cuori con l'abbondanza del miracolo definitivo è forza per riscattare i deboli, coraggio per sostenere gli impauriti, libertà per sciogliere catene inique. È grido irrefrenabile che sfondato il muro resistente della morte supera il tempo e lo spazio e dichiara la nuova condizione: Abbà, Padre. Tenerezza infinita di chi, scoperta la propria dignità, non ha più timore, di stringere al petto la propria origine e il proprio futuro, di abbracciarlo e sentire la carezza della guancia: Abbà, Padre, adorato Papà. Questo è il disegno di Dio, che ogni uomo gridando la paternità di Dio scopra la sua figliolanza e, nella gioia consapevole di far parte della famiglia, assuma assieme ai diritti di erede i doveri di figlio. Non più schiavo sussurra: Abbà, Padre, suono delicato di dolce relazione, responsabilità infinita di fedeltà assoluta.
  • Gennaro Matino, in Avvenire 3 novembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mer nov 04, 2009 9:25 am


  • Dignità originaria
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«Quindi non sei più schiavo, ma figlio» (Gal 4,7)

Abbà, Padre, grido di abbandono tra le braccia sicure di chi non tradisce, di chi conosce a uno a uno ogni suo figlio. In Lui è la vita e la vita è la luce degli uomini, in Lui la libertà trova il suo senso. Paolo sa usare la parola, non la sciupa mai, conosce le viscere del significato e scioglie il colore del verbo. Liberi perché liberati, liberati perché riscattati, riscattati perché amati. Da fanciulli eravamo come schiavi degli elementi del mondo, ma quando il tempo fu maturo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge per riscattarci, perché ricevessimo l'adozione a figli. E allora la consapevolezza di un Dio che ha tanto amato il mondo da riconsegnarci, malgrado noi, l'originaria dignità, scioglie la parola del ringraziamento e la melodia dell'appartenenza: Abbà, Padre. Scoprirsi figli e non schiavi è anche scoperta di nuova condizione che pretende responsabile atteggiamento. Se figli, la vita, la storia, gli avvenimenti del tempo non possono che essere vissuti nella consapevolezza di essere parte di un progetto d'amore. Lo schiavo teme il destino perché sottomesso senza giudizio, il figlio partecipa sicuro della fedeltà del Padre. Se schiavo subisci, se figlio condividi.
  • Gennaro Matino, in Avvenire 4 novembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven nov 06, 2009 9:30 am


  • Non più schiavi
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«E se figlio, sei anche erede per volontà di Dio». (Gal 4,7)

Figli per condividere, per partecipare al progetto che prima del tempo è disegnato dal Padre. Non più schiavi ma eredi. Il credo di chi nella relazione con Dio assume atteggiamenti da schiavo è frutto di paura e non ha il sapore dell'amore. Schiavo è colui che risponde perfettamente al dettame della legge, non si lascia trapassare dalla parola liberante e il suo cuore non ha masticato il precetto dell'amore. Essere figlio è assaporare la familiarità con Dio, è imporsi la regola non per rispettare il dettato dei numeri, ma perché non si può fare a meno di condividere la stessa tavola, di partecipare allo stesso banchetto, alla frazione dello stesso pane. Per questo il Figlio è mandato per riscattare i figli sottoposti al gioco della legge e garantire loro il posto a tavola. Come si fa a non sentire l'ebbrezza di questa gratuita offerta, come è possibile non liberare il canto di ringraziamento per chi ci ha amato tanto. Il riconoscimento della propria figliolanza mostra il viso della tenerezza: grazie Papà, Abbà, Padre. Essere figli è consapevolezza di non essere schiavi, è scoperta provocata in noi dallo Spirito di Gesù di appartenere alla nuova patria che è nei cieli.
  • Gennaro Matino, in Avvenire 5 novembre 2009
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