Anno Paolino 28 giugno 2008 - 29 giugno 2009

Raccolta di preghiere e testi religiosi d’Autore, a cura di miriam bolfissimo
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Messaggio da miriam bolfissimo » mar set 01, 2009 3:39 pm


  • Capire e ringraziare
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«Siate sempre lieti, pregate ininterrottamente, in ogni cosa rendete grazie: questa infatti è la volontà di Dio in Cristo Gesù verso di voi». (1Ts 5, 16-18)

Gioia, preghiera, ringraziamento: atteggiamenti dello Spirito e della vita in comunione con Cristo. Paolo raccomanderà tante volte ai cristiani delle sue chiese di essere lieti (2 Cor 13,11): nella speranza Rm 12,12), nel Signore (Fil 3,1), di rallegrarsi in Lui (Fil 4,4). La gioia profonda, non superficiale e mondana, è la condizione cristiana, anche nella sofferenza e nella debolezza (2 Cor 6,10;13,9): «un sentimento vero, reale, permanente, che mantenendosi sempre composto e mite, rischiara e addolcisce anche le ore più buie» (G. Biffi). Gioia di percepirsi nel progetto salvifico del Padre, realizzato dal Risorto. Ne partecipano anche «le umili gioie umane,... semi di una realtà più alta» (Paolo VI). La preghiera, continua (2Ts 1,11), perseverante (Rm 12,12), incessante (Ef 6,18) è cammino con Cristo al Padre. Nello Spirito, che intercede per noi (Rm 8,26). Il ringraziamento, in ogni circostanza e per ogni cosa (Col 3,17; Ef 5,19-20), culmina nell’eucaristia, il mistero che coinvolge tutta la vicenda umana, la storia, l’economia della salvezza. Gioia, preghiera, ringraziamento, volontà di Dio che li ha vissuti in Gesù, in Lui vanno vissuti dall’uomo nuovo rinato dalla Pasqua.
  • Emanuela Ghini, in Avvenire 27 agosto 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mar set 01, 2009 3:42 pm


  • Il soffio in noi
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«Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie». ( 1Ts 5, 19- 20)

«Lo Spirito santo è il cuore della Chiesa e il perpetuo autore e datore della sua rifiorente primavera » (Giovanni XXIII). La vita dello Spirito si esprime nei carismi, emerge tra essi quello della profezia. Ma in una comunità profeti e carismatici corrono spesso rischi di non accoglienza. Ogni Chiesa conosce la dialettica interna fra chi si muove veloce al soffio dello Spirito e chi anche involontariamente gli si oppone, svilisce le profezie, affligge lo Spirito (Ef 4,30), quando non l’estingue. Non spegnere lo Spirito comporta seguire le sollecitazioni che ispira, ma anche essere vigilanti per non ferire le coscienze alle quali parla in modo diverso, adattandosi a quanto ognuno può accogliere di lui. Il vento che fa volare alcuni può travolgere altri, il sussurro leggero che persuade certi spiriti non è colto da chi aspetta un fragore (At 2,2). Non spegnere lo Spirito, padre dei poveri, è pregare il Consolatore, l’ospite dolce dell’anima, di essere a tutti sollievo, riposo nella fatica, riparo nel caldo, conforto nel pianto. Ma anche di ammorbidire le aridità, rendere le rigidezze flessibili, scaldare le freddezze. « Spirito Santo, liberaci dalla tristezza per i soprusi ai poveri, donaci la gioia di capire che i semi del Verbo sono in tutte le aiuole» (T. Bello).
  • Emanuela Ghini, in Avvenire 28 agosto 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mar set 01, 2009 3:46 pm


  • Scegliere il bene
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«Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono. Astenetevi da ogni specie di male». (1Ts 5, 21-22)

La vita di una comunità si svolge nello Spirito. La disponibilità allo Spirito comporta il discernimento, carisma indispensabile per la vita di una Chiesa. Paolo lo suggerirà altre due volte, invitando alla conversione per poter discernere la volontà di Dio (Rm 12,2), e al discernimento per poter distinguere sempre il meglio (Fil 1,9-10). Dal discernimento deriva la scelta del bene e l’astensione da ogni forma di male. Nell’esame di tutto per seguire il bene è compresa l’immensità degli orizzonti aperti all’esplorazione umana. Custode della creazione e protagonista della storia, l’uomo deve cautelarsi solo contro il peccato. Ogni realtà sta spalancata alla ricerca del cristiano. Nulla va rifiutato, se non il male. Lo Spirito distingue il bene dal male, ne scorge la cerniera dove sono insidiosamente congiunti. Mostra che «Dio non è solo alla radice dell’esistenza, ma di ogni momento dell’esistenza concreta, alla sorgente di ogni atto di pensiero e di amore… È un Dio con noi, che vive, cresce, gioisce e soffre, lotta e muore con noi… C’è al di dentro della violenza e dell’egoismo degli uomini e dei popoli un’indomabile forza d’amore che sentiamo nascere nel nostro cuore e nel cuore dell’umanità» (L.Bettazzi).
  • Emanuela Ghini, in Avvenire 29 agosto 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mar set 01, 2009 3:48 pm


  • Cantiamo la speranza
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«Il Dio della pace vi santifichi interamente e tutta la vostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Degno di fede è colui che ci chiama e farà tutto questo». (1Ts 5, 23-24)

Tutte le esortazioni di Paolo sono raccolte nella preghiera. Con essa, il ringraziamento, iniziava la lettera, con essa si conclude. Dio solo può compiere il povero sforzo dell’uomo: il Dio della pace, che dona la serena convivenza tra fratelli: colui che santifica, in Cristo e nello Spirito, facendo crescere il germe di santificazione del battesimo. Il cristiano è chiamato con tutta la sua persona, di cui il corpo è espressione e luogo di rapporto con gli altri, col mondo, con Dio, ad accogliere il dono e a conservarsi irreprensibile per la venuta del Signore. «Dio non realizza tutti i nostri desideri, ma tutte le sue promesse» (D. Bonhoeffer). L’espressione che chiude il primo testo del Nuovo Testamento è percorsa di esultanza. Colui che chiama, «Gesù Cristo, il testimone fedele» (Ap 1,5), accompagna l’uomo nel suo percorso verso un futuro di speranza già illuminato, nella fatica dei giorni, dalla luce della sua venuta. «Siate felici, possiate godere l’intimità del Signore e sentirvelo vicino nei momenti più tribolati. Incrementate la letizia della Chiesa. Cantate la speranza» (T. Bello).
  • Emanuela Ghini, in Avvenire 30 agosto 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mar set 01, 2009 3:52 pm


  • Grazia e pace
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«Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi: grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo». (Filippesi 1,1-2)

Dalla prigione, presumibilmente isolato, Paolo si associa a Timoteo nell'inviare i suoi saluti alla comunità di Filippi. Il vero apostolo non è mai solo, la comunione tra coloro che condividono le stesse fatiche apostoliche è sempre viva e attiva. Oggi come ieri. La comunità di Filippi è presentata nella sua fondamentale articolazione: fedeli, vescovi cioè presbiteri incaricati di dirigere la comunità, e diaconi che sono i loro assistenti. Una comunità sostanzialmente uguale alle nostre, nelle quali l'unica fede è vissuta nel segno della condivisione fraterna e della suddivisione dei vari ministeri o servizi. Se questo avviene nell'armonia allora si cresce tutti nella carità, che per Paolo costituisce il dono più grande, verso il quale i veri discepoli di Cristo devono tendere con tutte le fibre del loro essere. Scrivendo ai cristiani di Corinto egli la indica come la via più sublime da percorrere a ogni costo. Grazia e pace sono il contenuto del saluto iniziale di questa lettera: grazia come dono di Dio e quindi come segno della sua presenza tra di noi; pace che, in gergo biblico, indica la sintesi di tutti i beni desiderabili. Grazia e pace, un binomio inscindibile: non devono essere separate perché insieme esse veicolano il dono che Dio vuole fare a tutti.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 1 settembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mer set 02, 2009 10:47 am


  • Pregare nella gioia
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«Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente». (Filippesi 1, 3-5)

Paolo inizia la sua lettera con un ricordo che non ha nulla di nostalgico, ma è intriso di gratitudine verso i cristiani di Filippi e di ringraziamento a Dio: una sorta di "eucaristia" (lo indica chiaramente il verbo greco). Pertanto non c'è solo la celebrazione sacramentale dell'eucaristia ma, per chi crede, tantissime situazioni di vita possono trasformarsi in una piccola, autentica eucaristia. La preghiera di Paolo ha due connotazioni: avviene sempre nella gioia e questa presuppone la disponibilità dei cristiani di Filippi a condividere con Paolo le fatiche della evangelizzazione. Certo, Paolo ha conosciuto anche l'esperienza delle lacrime, a motivo della scarsa corrispondenza dei destinatari della sua predicazione al messaggio evangelico, ma qui egli preferisce confidare una sua esperienza positiva, introducendo un tema, quello della gioia, che caratterizza fortemente tutta la lettera. I cristiani di Filippi hanno collaborato con Paolo non solo con soccorsi pecuniari, come dirà più avanti, ma anche con il loro contributo alla testimonianza apostolica. «A voi infatti -scrive l'apostolo in 1,29s- è stata data la grazia non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui, sostenendo la stessa lotta che mi avete visto sostenere e sapete che sostengo anche ora».
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 2 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 04, 2009 1:22 pm


  • L'opera buona
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«Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù». (Filippesi 1,6)

Di quale opera buona sta parlando Paolo? Certamente dell'evangelizzazione affidata agli apostoli, ma frutto anche della collaborazione di ogni singolo credente, come del resto Paolo ha detto pocanzi lodando l'apporto dei cristiani di Filippi alla diffusione del Vangelo. È degna di nota questa stupenda sinergia tra Paolo, i cristiani e Dio: essa consente di definire con chiarezza il mistero della predicazione. Come afferma scrivendo ai tessalonicesi, accogliendo la predicazione si accoglie la parola di uomini come parola di Dio (1 Tess. 2,13). Tale opera è detta «buona» perché è opera di Dio. Paolo lo afferma anche altrove quando a proposito di Tito scrive: «Abbiamo pregato Tito che, come l'aveva cominciata, così portasse a compimento fra voi quest'opera generosa» (2 Cor 8,6). Anche se qui si tratta della colletta a favore dei poveri, tuttavia anch'essa entra nell'opera della evangelizzazione. Evangelizza chi sa coniugare parole e gesti. Paolo afferma che nel fare il bene, segnatamente nel collaborare alla diffusione del Vangelo, occorre perseverare «fino al giorno di Gesù Cristo». Mentre prima aveva detto «dal primo giorno fino al presente» ora dice dal presente fino al giorno nel quale Gesù ritornerà come giudice dei vivi e dei morti. Se non è facile fare il bene ancor più difficile è perseverare in esso: è grazia riservata a pochi.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 3 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 04, 2009 1:23 pm


  • Paternamente
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«È giusto, del resto, che io provi questi sentimenti per tutti voi, perché vi porto nel cuore, sia quando sono in prigionia, sia quando difendo e confermo il Vangelo, voi che con me siete tutti partecipi della grazia». (Filippesi 1,7)

I sentimenti che prova per i cristiani di Filippi, per Paolo sono quasi un dovere; sono il minimo che un padre possa fare per i suoi figli. E si sa che egli nei confronti di chi ascolta la sua predicazione si considera non come un semplice pedagogo, ma come padre: «Potreste avere anche diecimila pedagoghi in Cristo, ma non certo molti padri: sono io che vi ho generato in Cristo mediante il Vangelo» (1 Cor 4,15). Una paternità, quella di Paolo, che viene avvalorata dalle catene che lo costringono all'inerzia, che gli tolgono la libertà di azione, ma non certo la facoltà di predicare: in questo modo egli predica più con le sue sofferenze che con le sue parole. Come Gesù, che il suo ministero pubblico l'ha intessuto di parole e di fatti: «Nel mio primo libro (il Vangelo) - scrive Luca all'inizio degli Atti degli Apostoli - ho trattato di tutto quello che Gesù fece e insegnò». Modello più che eloquente per chi intende mettersi al servizio del Vangelo. Inoltre per Paolo la vita cristiana consiste essenzialmente nella condivisione della stessa grazia: ne partecipano sia chi predicando presta un servizio singolare alla Parola sia chi ascoltando si appropria della beatitudine evangelica: «Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica» (Luca 11,28).
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 4 settembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun set 07, 2009 8:32 am


  • Nella tenerezza
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«Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù. E perciò prego che la vostra carità cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento». (Filippesi 1, 8-9)

Secondo la testimonianza dell'evangelista Luca, conservata negli Atti degli Apostoli, Paolo ha fondato la comunità di Filippi tra le gioie, come la conversione di Lidia e l'ospitalità nella sua casa, e le sofferenze, fino a essere incarcerato a causa di un miracolo che aveva compiuto. Un inizio di apostolato esattamente corrispondente alla spiritualità pasquale, che ogni vero discepolo di Gesù sa di essere chiamato a vivere. Gioie e dolori, fatiche e speranze, fino a prova contraria, sono l'intreccio della nostra vita quotidiana. Ora Paolo può chiamare Dio a testimone di ciò che sente verso i cristiani di Filippi: un vivo desiderio, ma di che cosa? Si tratta forse di una semplice voglia di rivederli? Oppure di poter andare da loro? No! Se badiamo alla espressione letterale «nelle viscere di Cristo Gesù», che può essere tradotta anche «nella tenerezza di Gesù Cristo», comprendiamo che questi sentimenti di Paolo verso i filippesi vanno al di dà di qualsiasi sentimentalismo: l'amore di Paolo verso i cristiani di Filippi scaturisce dall'amore stesso di Cristo. È qui che si misura la statura spirituale di questo grande apostolo: Paolo ha saputo congiungere le più alte vette della vita mistica alle più semplici manifestazioni dell'affetto umano. Non c'è nessuna incompatibilità tra le due cose.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 4 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » lun set 07, 2009 8:37 am


  • Prigioniero per Cristo
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«Desidero che sappiate, fratelli, come le mie vicende si siano volte piuttosto per il progresso del Vangelo, al punto che, in tutto il palazzo del pretorio e dovunque, si sa che io sono prigioniero per Cristo». (Filippesi 1, 12-13)

Le vicende alle quali allude Paolo sono il suo arresto e il processo che ne è seguito: come dire che tutto quello che viene fatto contro Cristo e il Vangelo e apparentemente potrebbe causare il loro danno, al contrario ne favorisce la crescita e la diffusione. Questa è una legge generale dell'economia della salvezza e vale sia per le vicende terrene della vita di Gesù, sia per quelle dei suoi apostoli e testimoni. Qui siamo invitati a considerarla come legge valida anche oggi: ovviamente essa vale per chi ha occhi per vedere e orecchi per udire, cioè per chi è disposto a entrare nella logica pasquale inaugurata da Gesù stesso. Il Vangelo di Cristo, predicato e testimoniato da Paolo e dai suoi collaboratori, non ha bisogno tanto di manifestazioni eclatanti, non chiede ostentata visibilità o supporti mediatici, quanto piuttosto silenzio e nascondimento. «Quando venni tra di voi - sono parole di Paolo ai cristiani di Corinto - non mi presentai ad annunziarvi il mistero di Dio con l'eccellenza della parola o della sapienza... Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione». Parole ostiche, forse persino intollerabili: eppure questa è «la legge regale» di cui parla l'apostolo Giacomo (2, 8 secondo il testo greco), l'unico modo per poter dire di appartenere al suo Regno.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 6 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mer set 09, 2009 8:15 am


  • Senza timore
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«In tal modo la maggior parte dei fratelli nel Signore, incoraggiati dalle mie catene, ancor più ardiscono annunciare senza timore la Parola» (Filippesi 1, 14)

Paradossale ma vero: per chi crede, il coraggio della testimonianza può venire non tanto dalla coesione e dalla forza di una comunità, quanto piuttosto dalla debolezza e dalla insicurezza di un fratello che è incatenato e quindi privo di ogni libertà. Sì, perché, per usare un'altra bellissima espressione di Paolo, «la parola di Dio non è incatenata!». Questo affermava proprio mentre portava le catene come un malfattore (2 Timoteo 2, 9-10). Si direbbe che le catene ai persecutori servano per infierire contro i cristiani ma non per intimorirli e chiudere loro la bocca. Queste sono le meraviglie della grazia. Chi fa esperienza di Dio, soprattutto del Dio di Gesù Cristo, sa come si è manifestata la carità di Dio e sa pure - come afferma l'evangelista Giovanni - che «il vero amore scaccia il timore». È da questa esperienza personale di un Dio-amore che deriva il coraggio ai testimoni del Risorto. Lo ha affermato a chiare lettere anche Pietro dinanzi agli scribi di Gerusalemme: «Se sia giusto dinanzi a Dio obbedire a voi invece che a Dio, giudicatelo voi. Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (Atti 4, 19-20). Non solo la Parola non è e non sarà mai incatenata, ma essa risuona ancor più eloquente quando i suoi testimoni vengono zittiti o messi a morte.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 8 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mer set 09, 2009 8:16 am


  • Per invidia o per amore
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«Alcuni, è vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, ma altri con buoni sentimenti. Questi lo fanno per amore, sapendo che io sono stato incaricato in difesa del Vangelo; quelli invece predicano Cristo con spirito di rivalità, con intenzioni non rette, pensando di accrescere dolore alle mie catene». (Filippesi 1,15-17)

Purtroppo è sempre stato vero, e lo è certamente anche oggi: a Cristo si può prestare un servizio ambiguo. È facile avere il suo nome sulle labbra senza averlo nel cuore. C'è addirittura chi si riempie la bocca del suo nome, ma il suo cuore batte per altri. Lo aveva già affermato anche il profeta Isaia, citato da Gesù in Marco 7,6: «Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me». Ecco quindi chiaramente delineate le due categorie di persone: quelli che predicano Cristo malamente e sono pronti a ricavarne vantaggi personali o di gruppo; e quelli che, invece, lo predicano perché lo amano e sono disposti a pagare di persona. Nella comunità cristiana di Corinto un cattivo modo di credere in Cristo e un cattivo uso dei carismi aveva suscitato una situazione ecclesiale intollerabile e Paolo dovette intervenire per fare chiarezza. A coloro che predicano Cristo malamente Paolo attribuisce una intenzione particolare: essi pensano di accrescere le pene che egli già deve soffrire per le catene che porta. Ma si illudono: un apostolo più soffre più sente di essere fedele alla missione ricevuta, perché assomiglia di più a Cristo.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 9 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 11, 2009 1:41 pm


  • Con certezza
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«So infatti che questo servirà alla mia salvezza, grazie alla vostra preghiera e all'aiuto dello Spirito di Gesù Cristo, secondo la mia ardente attesa e la speranza che in nulla rimarrò deluso». (Filippesi 1, 19-20a)

Paolo è sollecito non solo della salvezza altrui ma anche della propria: per questo fa appello alla preghiera dei cristiani di Filippi oltre che, ovviamente, all'aiuto dello Spirito di Cristo. Ciò che Paolo sa con certezza è che, dopo l'evento di Damasco e in forza di quella rivelazione, egli deve lottare su due fronti: il primo è quello della difesa del Vangelo e della preservazione dei suoi fedeli da ogni pericolo di attacco degli avversari. La verità del Vangelo ha i suoi discepoli ma conosce anche i suoi nemici. Ieri come oggi. Il secondo fronte è quello suo personale, perché egli sa che l'avversario, il cui nome è Satana e il cui compito è quello di illudere e di ingannare, sta sempre in agguato. Anche Satana ha i suoi angeli e Paolo lo confessa apertamente: «Affinché io non monti in superbia, è stata data alla mia carne una spina, un inviato di Satana per percuotermi». Paolo lo dice per esperienza e sa che l'antidoto a una presunzione imperdonabile è la preghiera di liberazione e la persecuzione da parte di chi non vuole arrendersi dinanzi alla verità del Vangelo. Riguardo alla propria salvezza si può solo sperare. Con una precisazione: la speranza cristiana non consiste in una vaga previsione di quanto potrebbe accadere, ma nella certezza che la vittoria finale spetta sempre a Dio.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 10 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 11, 2009 1:42 pm


  • Amori compatibili
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«Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa scegliere». (Filippesi 1, 21-22)

È come una dichiarazione d'amore: Tu sei la mia vita! Poterlo dire di Gesù in tutta verità, come spesso lo si dice a una persona cara, sarebbe indice non solo di fede genuina, ma anche e soprattutto di un amore appassionato capace di travolgere una vita. Qualcuno, ritoccando leggermente il testo greco, vorrebbe tradurre: «Per me il vivere è utile e il morire un guadagno». Il parallelismo delle due parti della frase sarebbe perfetto, ma si perde molto del suo spessore mistico. Più che di un parallelismo qui si tratta di una contrapposizione chiara e netta tra due scelte che, per Paolo, risultano estremamente problematiche. È quanto meno sconcertante costatare come Paolo metta sullo stesso piatto il suo amore a Cristo e il suo attaccamento alla comunità di Filippi. C'è di che riflettere sull'importanza del popolo di Dio nella vita e nella spiritualità del missionario. In effetti i due amori sono perfettamente compatibili, anzi amano essere coltivati insieme. La seconda affermazione invece tradisce un'incertezza nell'animo di Paolo: un'incertezza che non riguarda la sua fede o i suoi amori, quanto piuttosto il dover differire nel tempo il suo definitivo congiungimento con l'Amato. Ecco qui un altro vertice della spiritualità paolina che fa spesso capolino in questa sua lettera.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 11 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » lun set 14, 2009 9:57 am


  • Dilemma esistenziale
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«Sono stretto infatti fra queste due cose: ho il desiderio di lasciare questa vita per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; ma per voi è più necessario che io rimanga nel corpo». (Filippesi 1, 23-24)

La morte, come la vita, per Paolo è una maniera di «essere con Cristo», cioè una vera e propria comunione personale con l'amato. Paolo mi porta a riflettere su una cosa di estrema importanza: quello che conta nell'amare non è solo l'oggetto dell'amore quanto l'intensità dell'atto d'amore. L'ardente desiderio di cui parla Paolo spesso viene tradotto con concupiscenza e sta a indicare la passione con la quale Paolo esprime il suo rapporto con Cristo: un amore appassionato e appassionante. Paolo non spiega come concepisce questo «guadagno», questo stato che egli considera molto migliore, ma è certo che egli dimostra di non temere un esito infelice del processo, che potrebbe terminare con una condanna a morte: somma libertà di chi ha posto in Cristo tutta la sua fiducia: «So infatti in chi ho posto la mia fede e sono convinto che egli è capace di custodire fino a quel giorno ciò che mi è stato affidato» (2 Tim. 2,12). È bene rilevare che qui Paolo parla di uno stare con Cristo, cioè di una forma di esistenza che succede direttamente alla morte, senza attendere la risurrezione di tutti. Qualunque sia la cultura della quale subisce l'influsso, l'apostolo insegna che ogni uomo, immediatamente dopo la morte, raggiunge un destino eterno. C'è di che trepidare, ma anche molto da sperare.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 12 settembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun set 14, 2009 9:59 am


  • Giusto vanto
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«Persuaso di questo, so che rimarrò e continuerò a rimanere in mezzo a tutti voi per il progresso e la gioia della vostra fede, affinché il vostro vanto nei miei riguardi cresca sempre più in Cristo Gesù, con il mio ritorno fra voi». (Filippesi 1, 25-26)

In diversi passaggi delle sue lettere Paolo manifesta questa lacerazione tra il desiderio di visitare le sue comunità e l'impossibilità di realizzarlo. Il presentimento qui espresso che tuttavia non è ancora una certezza, si è felicemente realizzato per la consolazione di tutti (vedi Atti 20, 1-6). Paolo esprime due sentimenti: da un lato la sua continua presenza spirituale e, dall'altro, il proposito di ritornare fisicamente tra i suoi fedeli. Chi ama non può non desiderare la presenza dell'amato, anche se sa con assoluta certezza che l'amato non è mai lontano da lui. Quello che conta per Paolo è che sia l'una che l'altra presenza costituiscano un servizio al progresso e alla gioia della fede dei credenti: nulla di egoistico o di autoreferenziale in questo affetto che Paolo non ha alcun pudore di manifestare, ma solo desiderio di mettere tutto se stesso a servizio della missione ricevuta Non solo, ma addirittura la presenza di Paolo, comunque si realizzi, può costituire un vanto, una gloria. Ma di quale gloria si tratta? Il motivo della gloria dei filippesi è la comunione in Cristo, che sarà ravvivata anche dal ritorno di Paolo a Filippi. L'intenzione apostolica di Paolo non potrebbe trovare espressione più completa e più trasparente.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 13 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mer set 16, 2009 4:00 pm


  • Regola di vita
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«Comportatevi dunque in modo degno del vangelo di Cristo perché, sia che io venga e vi veda, sia che io rimanga lontano, abbia notizie di voi: che state saldi in un solo spirito e che combattete unanimi per la fede del Vangelo». (Filippesi 1, 27)

Il verbo greco politeuomai nel suo primo senso significa «conduco una vita da cittadino» secondo la legge di una città. La città nuova del regno di Dio ha Cristo per re, il Vangelo per legge e il cristiano per cittadino. Con una precisazione non trascurabile: «La vostra cittadinanza è nei cieli - dirà più avanti l'apostolo - e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo». Solo nel futuro di Dio si compirà appieno questo progetto. Quando pensiamo e parliamo di Cristo Re dobbiamo sempre purificare il nostro linguaggio per non cadere in equivoci che, oggi soprattutto, sarebbero fuori luogo. Se siamo invitati a combattere la «buona battaglia», sappiamo anche che essa ci vede disarmati e inoffensivi: la nostra unica arma è l' amore! «Non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio»: è questa la nostra vera identità e quindi la nostra somma dignità. Il nostro re esercita il suo potere a colpi di perdono; la misericordia è la sua arma preferita. Per vivere in maniera degna, cioè conforme al Vangelo, la sua vita sulla terra il cristiano deve disporsi ad accogliere la grazia di Dio, la quale è sì dono gratuito di Dio ma è anche stimolo e invito a corrispondere al dono da figlio e non da schiavo, da amico e non da mercenario.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 15 settembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mer set 16, 2009 4:02 pm


  • Nella storia
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«Senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari. Questo per loro è segno di perdizione, per voi invece di salvezza, e ciò da parte di Dio». (Filippesi 1,28)

La fortezza per noi cristiani non è solo manifestazione di una qualità umana, quanto piuttosto dono di Dio: essa è esattamente uno dei doni dello Spirito Santo. Paradossalmente, alla luce della sua esperienza personale ma certamente con intenzione pedagogica, con grande verità Paolo può affermare: «Quando sono debole è allora che sono forte». Per una comunità, sia pur piccola come quella di Filippi, la fermezza incrollabile di fronte alle immancabili difficoltà e persecuzioni è già un segno del giudizio e della vittoria finale di Dio. Si legge nella seconda lettera ai cristiani di Tessalonica: «È questo un segno del giusto giudizio di Dio, perché siate fatti degni del regno di Dio, per il quale appunto soffrite». Scrivendo: «e ciò da parte di Dio» Paolo intende sottolineare con forza, ancora una volta, l'azione di Dio. Si direbbe che Paolo non sa formulare alcun giudizio, non sa esprimere alcuna convinzione se non a partire da questa certezza: a Dio compete sempre l'iniziativa; Lui si riserva sempre il primo posto. Nella grande come nella piccola storia, nulla accade senza l'intervento di Dio: è lui che crea e ricrea, è lui che vede e provvede, è lui che ama e soccorre, è lui che risana e guarisce, è lui che sceglie e manda, è lui che promette e ricompensa.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 16 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 18, 2009 5:02 pm


  • Testimonianza al mondo
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«Se dunque c'è qualche consolazione in Cristo, se c'è qualche conforto, frutto della carità, se c'è qualche comunione di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione-». (Filippesi 2, 1)

Siamo forse dinanzi ad un semplice elenco di termini consolatori? Non sembra! Se leggiamo questo inizio di capitolo con occhi un po' più attenti non facciamo fatica a riconoscervi le tracce di una rivelazione più alta. Sono gli occhi della fede che consentono di penetrare il significato profondo delle parole della Bibbia. Se accostiamo questo versetto alla dossologia, o inno di lode, di 2 Cor 13,13 ci accorgiamo che qui si allude alla Trinità: dal Padre infatti viene il dono dell'amore o carità, dal Figlio il dono della consolazione e dallo Spirito Santo il dono della comunione. La Trinità si fa dono per noi e noi, solo per grazia, diventiamo riflesso della vita di Dio. Questo per ricordare che la vita cristiana è un riverbero della vita di Dio e che la vita di una comunità di fede non vuole essere altro che una testimonianza al mondo dell'intima comunione che vige tra il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La comunione ecclesiale non ha altra funzione se non quella di testimoniare la comunione divina. Ovviamente qui fa capolino quella che potremmo chiamare la pedagogia di Paolo, la quale è tutta macerata di spiritualità.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 17 settembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 18, 2009 5:04 pm


  • Unanimi e concordi
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«Rendete piena la mia gioia con un medesimo sentire e con la stessa carità, rimanendo unanimi e concordi». (Filippesi 2, 2)

Paolo sa per esperienza come facilmente possono nascere conflitti e contese in seno alle comunità ecclesiali: caso eclatante è quello di Corinto dove Paolo ha faticato assai per riportarvi un po' di serenità e di pace. Da questa convinzione nasce l'esortazione alla concordia e all'unanimità rivolta alla comunità ecclesiale di Filippi. La gioia dell'apostolo non si fonda su situazioni più o meno felici della sua vita privata. Senza disprezzare tutto quello che per altri può essere fonte di gioia, l'apostolo sa per esperienza e per dono di Dio che la sua vera gioia può consistere solo ed esclusivamente nel bene spirituale dei fedeli, segnatamente nella loro vita comunitaria vissuta nella fedeltà al Vangelo. «Unanimi e concordi»: Paolo chiede ai cristiani di Filippi di realizzare nel loro piccolo quello che Luca presenta come l'ideale dei membri della comunità di Gerusalemme: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti avevano un cuor solo e un'anima sola» (Atti 4, 32). Questo invito di Paolo non è in contraddizione con la gioia fiduciosa che pervade tutta la lettera. L'unità non si realizzerà se non attraverso una vita di umiltà, di sacrificio e di servizio. Per questo alcuni manoscritti terminano il versetto con queste parola: «ricercate l'unità».
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 18 settembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » lun set 21, 2009 11:18 am


  • Con tutta umiltà
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«Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso». (Filippesi 2, 3)

A ben considerare, rivalità e vanagloria sono due scelte di vita assai diffuse, che spesso stanno all'inizio di un cammino che, per un eccesso di autostima, porta a separarci sempre più dagli altri. Non è forse questo il desolante spettacolo al quale dobbiamo assistere quasi imbelli, talvolta addirittura sconcertati, sopraffatti da una desolazione profonda? L'ideale che Paolo ci prospetta è diametralmente opposto: sentimenti di umiltà autentica. Non l'umiltà "pelosa", come si diceva un tempo, per la quale uno pretende di passare per umile mentre invece il suo cuore è pieno di vanità e di presunzione. Nulla di più indisponente e, diciamolo pure, nulla di più ridicolo! Paolo arriva a dire che questa umiltà porta a due scelte di fondo, ambedue assai decisive. La prima consiste nel considerare gli altri superiori a noi stessi: ad essere onesti chi di noi arriva a tanto? Non è forse mera utopia? Eppure l'esperienza insegna che non è affatto impossibile arrivare a tanto. Solo che chi vive questo sentimento lo tiene gelosamente nascosto e non ama affatto svenderlo con leggerezza. Non solo gli altri non comprenderebbero ma finirebbero col cadere in forme di dileggio, vergognandosi del Vangelo.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 19 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » lun set 21, 2009 11:20 am


  • Per il bene comune
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«Ciascuno non cerchi l'interesse proprio, ma quello degli altri». (Filippesi 2, 4)

La seconda scelta di chi è intenzionato a praticare l'umiltà evangelica consiste nel cercare non gli interessi propri ma quelli degli altri: ancora una volta, onestamente, chi di noi può dire di essere arrivato a questo traguardo? Eppure qui viene offerto un invito-comando a ricercare quel "bene comune" che è parte integrante della giustizia sociale. Paolo VI diceva che non ci può essere carità senza giustizia e che la giustizia è la misura minima della carità. Noi parliamo di interessi in banca e ci preoccupiamo quando le sorti delle banche internazionali scricchiolano; allora ci diamo da fare per salvare il salvabile. In altri momenti della nostra vita parliamo di interessi personali in riferimento alla buona stima che vogliamo godere in società, facendo di tutto per conservarla intatta. Senza demonizzare quegli interessi che sono leciti e forse anche lodevoli, qui Paolo indica ad ogni cristiano una via simile a quella che suggeriva alla comunità di Corinto: «Desiderate intensamente i carismi più grandi. E allora, vi mostro la via più sublime» (1 Cor 12, 31), cioè la via della carità! La carità vera ci educa a coniugare armonicamente gli interessi nostri con quelli degli altri. Nulla di sentimentale perciò nei sentimenti che Paolo sta per illustrare sull'esempio di Gesù!
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 20 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mar set 22, 2009 3:19 pm


  • Sentire profondo
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«Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù». (Filippesi 2, 5)

Che cosa intende dire Paolo quando invita ad avere in noi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù? È espressione così pregnante che si fatica a intravederne il significato. L'inno che segue si incarica di offrire una fondazione teologica di primissimo grado all'ideale di vita evangelica delineato nei versetti precedenti. Abbiate in voi o tra di voi? Le due traduzioni sono possibili e si integrano: la prima indica una dimensione personale, interiore; la seconda invita a considerare i rapporti interpersonali. I sentimenti di Gesù possono informare la vita del cristiano sotto tutti e due i profili: in riferimento sia alla sua vita interiore sia alla vita ecclesiale e pubblica. Quale sia questo modo di "sentire" Paolo lo dirà più avanti. I sentimenti che furono o che sono: anche qui due possibili traduzioni. I sentimenti di Cristo ai quali Paolo si riferisce non appartengono ad un passato ormai travolto dalla storia, ma rimangono presenti ed efficaci sempre, anche ora. Qui Paolo lascia trasparire la sua fede profonda: il mistero del Gesù storico, soprattutto attraverso i sacramenti ma non solo, continua nel mistero della Chiesa e quindi nella vita di ogni cristiano. La Chiesa è il prolungamento della santa umanità di Gesù (Elisabetta della Trinità). In qualche modo lo è anche la vita di ogni cristiano.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 22 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » gio set 24, 2009 5:04 pm


  • Umiltà divina
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«Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non tenne un privilegio l'essere come Dio». (Filippesi 2, 6)

Ciò che caratterizza fondamentalmente questo inno è il contrasto tra due movimenti: l'abbassamento volontario di Cristo (vv- 6-8) e il suo innalzamento operato da Dio (vv. 9-11). Il passaggio, secondo il testo greco, avviene dalla «forma di Dio» alla «forma di schiavo». È la figura o immagine visibile che manifesta l'essere profondo o natura. Cristo era ed è Dio da sempre, prima dell'incarnazione, ma quello che era ed è egli non l'ha voluto considerare e tenere per sé come un privilegio (sarebbe più esatto tradurre «come una preda»). L'essere uguale a Dio, per Gesù, era certamente un diritto, un privilegio, una condizione propria, indiscutibile e irrinunciabile. Ma egli non volle considerarla come tale: al contrario l'ha voluta condividere con l'uomo, assumendo anche la natura umana. In questo consiste il primo grande abbassamento di Gesù. Il riflesso dell'essere divino si manifesta dunque nel comportamento terrestre di Gesù. Egli non ha fatto come Adamo che ha cercato di farsi uguale a Dio: Cristo, sulla terra, ha scelto la via dell'umiltà e dell'obbedienza, invece che la via dell'orgoglio e della rivolta. Questo rapporto tra Cristo e Adamo è assai familiare a Paolo, come risulta da altre sue lettere.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 23 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » gio set 24, 2009 5:05 pm


  • Umanità amata
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«Ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo». (Filippesi 2,7)

Questo svuotamento (kenosis) non implica che Gesù abbia cessato di essere uguale a Dio o di essere l'immagine di Dio: sarebbe contrario ad ogni sana dottrina. Ciò che Cristo era da sempre egli lo conserva: solo che - se posso esprimermi così - lo abbina alla nuova condizione umana. Cristo è, ad un tempo, vero Dio e vero uomo. In Cristo-uomo abita corporalmente la divinità. Cristo Signore rivela l'essere e l'amore di Dio nel suo stesso abbassamento. Sì, perché l'incarnazione va considerata come la più grande manifestazione di quella carità che è la vita stessa della Trinità. Fino a che punto Dio abbia amato e ami l'umanità intera si è manifestato storicamente nell'uomo Cristo Gesù. Per esprimere al meglio questo abbassamento Paolo fa uso di cinque verbi: qui ne abbiamo tre, dai quali si evince che Paolo pensa a quel «Servo del Signore» che è descritto in modo realistico e commovente dal profeta Isaia in uno dei suoi poemi più belli: «perché ha spogliato se stesso fino alla morte» (53, 12b). Si può dire che a poco sarebbe valso l'evento dell'incarnazione se non fosse approdato all'evento della morte di Dio. Colui che ha conosciuto un primo svuotamento ne ha voluto conoscere un secondo; anzi ha voluto perfezionare il primo con il secondo. Tra il Natale e la Pasqua vi è intimo rapporto.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 24 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 25, 2009 3:51 pm


  • Povertà scelta
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«Diventando simile agli uomini. Dall'aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso». (Filippesi 2, 7b-8a)

Se prestiamo attenzione alla testimonianza di alcuni manoscritti «simile agli uomini», dobbiamo dire che Cristo si è assimilato non solo a un uomo, ma all'intera umanità. Questa prospettiva comunitaria e universale del mistero dell'incarnazione apre l'animo a un grande respiro e traduce esattamente la volontà salvifica universale di Dio: «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati» (1 Timoteo 2,4). L'incarnazione del Verbo dice riferimento diretto, e forse necessario, alla redenzione dell'umanità dal peccato per mezzo della passione, morte e risurrezione di Gesù. «Dall'aspetto riconosciuto come uomo»: anche se il suo modo di essere è differente da quello di tutti gli altri uomini, Cristo condivide in tutto e per tutto la natura umana, che è comune a tutti gli uomini. Lo sappiamo anche dalla lettera agli Ebrei: «È stato messo alla prova in ogni cosa come noi, escluso il peccato» (4, 15). Se non avesse condiviso in tutto la natura degli uomini non avrebbe potuto salvarci. «Umiliò se stesso», si fece «tapino» (sta nell'etimologia del verbo greco), cioè povero, talmente povero che più povero non si può. Se l'incarnazione costituisce un primo aspetto della kenosis, qui abbiamo il secondo aspetto. Il mistero del Dio fatto uomo vuole essere creduto e accolto nella sua totalità.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 25 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mar set 29, 2009 2:24 pm


  • Obbedienza scandalosa
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«Facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce». (Filippesi 2, 8b)

La morte, neppure per un cristiano, ha valore in se stessa: «è entrata nel mondo per invidia del diavolo» ed è «stipendio del peccato». Essa può prendere valore solo se qualcuno l'accetta e la vive come dono di se stesso, come sacrificio gradito a Dio. Esattamente quello che ha fatto Cristo Signore: egli non l'ha subita passivamente, ma l'ha vissuta come atto di obbedienza al Padre: «Entrando nel mondo, Cristo dice: Tu non hai voluto né sacrificio né offerta; un corpo invece mi hai preparato- Allora ho detto: Ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà» (Ebrei 10, 5-7). Quello che si dice dell'incarnazione vale anche per la passione e morte di Gesù: tutta la vita di Cristo ha avuto e ha una valenza salvifica. Non solo l'atto del morire, ma anche il modo con il quale Gesù è morto per Paolo assume un significato di primaria importanza: la croce, che per altri era solo uno strumento di supplizio, per Gesù diventa uno strumento di salvezza. Morire su una croce era riservato ai delinquenti. Anche di Gesù si dice: «e fu annoverato tra i malfattori» (Luca 22, 37). Siamo dinanzi alla «parola della croce» (1 Cor. 1, 18), allo «scandalo della croce»: uno dei punti fondamentali della predicazione di Paolo. Uno scandalo sempre attuale, al di là delle apparenze.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 26 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mar set 29, 2009 2:26 pm


  • La risposta di Dio
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«Per questo Dio lo esaltò e gli donò il nome che è al di sopra di ogni nome». (Filippesi 2, 9)

«Per questo»: l'innalzamento di Gesù a opera di Dio è strettamente collegato al suo abbassamento volontario. Perché noi potessimo essere salvati era necessario che al sacrificio volontario di Gesù facesse seguito l'alto gradimento del Padre. La risurrezione di Gesù costituisce la risposta di Dio all'offerta che Gesù ha fatto di se stesso per amore nostro. Dio ha "superesaltato" o "sovranamente esaltato" Gesù: un verbo che ricorre solo qui nel Nuovo Testamento, per indicare che a Gesù il Padre riserva una gloria superiore a quella donata a tutti i giusti. Gesù infatti è il nostro Capo e la nostra Guida, il nostro Pontefice e Salvatore. Gesù riceve quella gloria che condivide con il Padre fin dall'eternità. L'esaltazione di Gesù può essere riassunta nel Nome nuovo: dare un nome non è solo attribuire un titolo ma, nel gergo biblico, significa dare una reale dignità. Quale nome? Il nome di «Signore» che è nome divino. Infatti nell'Antico Testamento greco questo termine è usato per esprimere il nome di Dio stesso, che non si poteva pronunciare in segno di massimo rispetto e di assoluta sottomissione. La signoria universale e assoluta di Dio, paradossalmente ma realmente, si manifesta dunque nella estrema umiliazione di Gesù. La croce di Gesù perciò si circonda di gloria; diventa una croce gloriosa.
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 27 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » mar set 29, 2009 2:28 pm


  • In lui e per lui
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«Perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra-». (Filippesi 2, 10)

Si realizza ormai la profezia di Isaia: «Io vivo, dice il Signore: ogni ginocchio si piegherà davanti a me» (45, 23), profezia alla quale Paolo stesso si ispira in Romani 14,11. Ma occorre notare che qui l'apostolo deliberatamente usa solo il nome di Gesù, in contrasto con l'espressione del versetto seguente. Egli intende evocare la figura sofferente e umiliata del Servo sofferente che ha presentato nei versetti precedenti. Tutto si tiene in questo inno stupendo, che probabilmente proviene dall'uso liturgico di una precedente comunità cristiana. L'universo intero è chiamato a riconoscere l'autorità di Gesù, nessuna creatura eccettuata: il gesto di adorazione e di omaggio dovuto a Dio solo, d'ora in poi si rivolge a Gesù Signore. In lui e per mezzo di lui, infatti, Dio si rivela e agisce. La triplice divisione richiama la totalità del mondo: Paolo, a costo di turbare la rigorosa struttura dell'inno, insiste contemporaneamente sulla estensione illimitata della signoria di Gesù e sulla sua dipendenza rispetto al Padre. Lo aveva già scritto ai cristiani di Corinto: «Quando tutto gli sarà stato sottomesso, anch'egli, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti» (1 Cor. 15, 28).
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 29 settembre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 02, 2009 10:33 am


  • Vivere a lode
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«E ogni lingua proclami: 'Gesù Cristo è Signore!', a gloria di Dio Padre». (Filippesi 2, 11)

Tutta la storia della salvezza si riassume in un duplice movimento: dall’alto in basso, cioè da Dio all’umanità per mezzo di Cristo Gesù, e dal basso in alto, cioè dall’umanità a Dio sempre per mezzo di Cristo Gesù. «Signore è Gesù Cristo»: così letteralmente per dare al titolo «Signore» la preminenza che gli spetta. Questa è la confessione fondamentale della fede cristiana che risulta anche dalla prima predicazione di Pietro il giorno di Pentecoste: «Sappia dunque con certezza tutta la casa d’Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso» ( Atti 2, 36 ). «A gloria di Dio Padre»: Dio Padre, che ha accolto il sacrificio di Gesù e lo ha esaltato al di sopra di tutto e di tutti, riceve la gloria che gli è dovuta quando il nome che ha dato a Gesù è adorato e confessato. Questo dovrebbe essere l’orientamento non solo della nostra preghiera, ma anche della nostra vita e dell’intera storia. Lo aveva già detto in 1,11 : «Ricolmi di quel frutto di giustizia che si ottiene per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio». Anche in 1 Cor 3,21-23 Paolo scrive: «Tutto è vostro… Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio». Ha riassunto molto bene Elisabetta della Trinità quando diceva che la nostra vocazione è quella di vivere «a lode della sua Gloria».
  • Carlo Ghidelli, in Avvenire 30 settembre 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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