La Madonna di Montevergine, La Storia le Origini

Luoghi di devozione alla Madonna
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La Madonna di Montevergine, La Storia le Origini

Messaggio da Redazione » ven mag 20, 2005 1:15 pm

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L'origine ufficiale del Santuario di Montevergine risale alla consacrazione della prima chiesa nel lontano 1126.

Tuttavia l'ascesa di Guglielmo al monte era di qualche anno precedente.

Su quelle cime impervie il Santo era andato cercando un luogo solitario per raccogliersi in preghiera, ma fin da subito la sua fama e le sue virtù attrassero sul monte uomini e donne, discepoli e sacerdoti desiderosi di servire Dio sotto il suo magistero.

La nascita del Santuario fu quindi alquanto spontanea, Guglielmo non aveva mai pensato a una propria organizzazione monacale.

Eppure in poco tempo le persone sopravvenute sul monte per seguirlo, avviarono un'intensa attività edificatrice, cosicché furono presto pronte le prime celle per i religiosi e una piccola chiesetta.

Si trattava in verità di umili capanne tenute in piedi con un po' di malta e fanghiglia, sufficienti comunque a dare l'idea di una sorgente comunità religiosa sotto la guida del Santo.

Lo stesso afflato religioso che spontaneamente aveva riunito attorno alla figura di Guglielmo una prima comunità monastica, fu alla base della scelta di dedicare la primitiva chiesa alla Madonna.

Al di là di alcune credenze popolari che hanno voluto legare l'origine del Santuario a un'apparizione della Madonna, si può dunque affermare che fu proprio lo spirito ascetico mariano di San Guglielmo e dei suoi discepoli a fare in modo che sulle cime del monte Partenio si elevasse un faro di devozione alla Santa Vergine Madre di Dio.

Da allora lo scopo principale della nuova famiglia monastica fu quello di servire Dio mediante la devozione alla Madonna, che i discepoli di Guglielmo presero ben presto a diffondere in tutta la Campania e nelle regioni adiacenti, organizzando numerosi pellegrinaggi verso la loro casa madre.

La devozione mariana fu concepita dai bianchi figli di Guglielmo come la via più efficace per inserirsi nel mistero della Trinità di Dio e della redenzione operata da Gesù.
Il motivo fondamentale del faticoso viaggio e dell'aspra salita alla chiesa di Santa Maria di Montevergine, delle prolungate preghiere e delle offerte dei credenti, divenne l'invocazione della potente intercessione della Madonna per ottenere la misericordia di Dio.

Fu così che Montevergine si trasformò presto nel Santuario mariano più famoso e visitato dell'Italia Meridionale, e i pellegrinaggi assunsero la loro specifica caratteristica.

CHE COS'E' LA CONGREGAZIONE VERGINIANA

Al 1126 risale anche l'origine ufficiale della nuova famiglia religiosa cresciuta attorno a San Guglielmo.

La Congregazione verginiana, detta all'inizio degli eremiti di Montevergine, è rimasta autonoma fino al 1879, anno di unificazione con la Congregazione sublacense (della quale fa parte ancora oggi), sancita definitivamente dal papa Leone XIII con breve pontificio dell’8 agosto 1879.

Il cenobio verginiano assunse un carattere ufficiale proprio in concomitanza con la consacrazione della primitiva chiesa dedicata alla Madonna.
In quello stesso anno, infatti, fu redatto un documento che sancì la totale esenzione dalla giurisdizione episcopale per i monaci di San Guglielmo, ai quali fu garantita così un'ampia autonomia nell'organizzazione e diffusione del nuovo ordine monastico.

La Congregazione ha sempre avuto un rapporto privilegiato e allo stesso tempo semplice e popolare con le masse dei fedeli.

Seguendo l'esempio del loro fondatore e padre spirituale, i Verginiani non hanno mai disdegnato il contatto con persone di ogni ceto sociale.
Il carattere di tutte le loro istituzioni fu, infatti, prevalentemente assistenziale.
Accanto alla propaganda religiosa, operata in lingua volgare per raggiungere le masse, si occuparono di affari pubblici, mettendo pace fra le famiglie rivali o fungendo da strumento di mediazione contro lo strapotere dei feudatari.
I loro ospedali sparsi per tutto il regno di Sicilia, svolsero un ruolo determinante nella diffusione della cultura medica.


La presenza dei monaci di San Guglielmo sul territorio contribuì quindi notevolmente a far considerare le attività assistenziali e ospedaliere come un obbligo della comunità e dello stato verso i suoi membri più deboli e bisognosi.

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Un alone di mistero avvolge la storia dell'icona di Montevergine, molte leggende si susseguono nel tempo attribuendole vari autori, nonché molteplici intercessioni grazie alle quali il quadro sarebbe giunto presso l'omonimo Santuario.

Dal Seicento si è dato credito alla leggenda che voleva tale icona dipinta fino al petto direttamente dalla mano di San Luca a Gerusalemme, esposta poi ad Antiochia e infine trasportata a Costantinopoli, l'attuale Istanbul.
Durante l'VIII secolo, in seguito all'insediamento di Michele Paleologo sul trono di Costantinopoli, l'imperatore Baldovino II, in fuga, avrebbe fatto recidere la testa del quadro portandola con sé durante il suo esilio. La salvò, così, dalla sicura distruzione da parte degli iconoclasti che in quel periodo davano una caccia serrata a tutte le immagini sacre.

L'immagine del volto della Madonna sarebbe così giunta, per via ereditaria, nelle mani di Caterina II di Valois, che dopo averla fatta completare da Montano d'Arezzo, nel 1310 l'avrebbe donata ai monaci di Montevergine, facendola collocare nella cappella gentilizia dei d'Angiò.
Durante il Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) l'autorità ecclesiastica affidò ad alcuni critici e storici dell'arte il compito di stabilire la corretta paternità del quadro e di determinare il periodo in cui la Sacra Immagine sarebbe effettivamente giunta a Montevergine.


La leggenda della Sacra Icona perse presto consistenza perché contestata in diversi punti. Anzitutto nel 1310 Caterina II di Valois aveva appena dieci anni e sposerà solo tre anni più tardi il principe angioino Filippo II di Taranto; risulta difficile credere quindi che Caterina così giovane potesse aver commissionato il completamento del dipinto a Montano d'Arezzo.

Inoltre un pergamena conservata a Montevergine dimostra la presenza del quadro presso il Santuario già alla fine del Duecento.

In un suo studio del 1964, il padre Giovanni Mongelli, della Congregazione di Montevergine, ipotizzò che la paternità del quadro potesse essere attribuita al famoso pittore romano Pietro Cavallini, o alla sua scuola, sia per la presenza di alcuni elementi stilistici distintivi della sua tecnica pittorica -come l'intonazione bizantina e il tipico modo di panneggiare, sia per la sua accertata attività in quel periodo presso la corte dei d'Angiò.

La presenza dei gigli angioini intorno all'immagine della Vergine ne legano indiscutibilmente l'origine pittorica a quella casa regnante.
Unanimi nel giudizio gli storici hanno confutato quindi tutte quelle leggende sorte nel Medioevo che attribuiscono al ritrovamento della tela l'intercessione divina della Madonna; così come quella che voleva la Sacra Immagine giunta proprio al Santuario perché il mulo che la trasportava si oppose ai comandi del cavaliere ponendosi sulla strada che conduceva a Montevergine.
Restano comunque fermamente radicate nella tradizione popolare questa leggende che riconducono ai ritrovamenti miracolosi della Sacra Immagine, contribuendo a creare intorno al quadro un indicibile senso mistico e accrescendone, quindi, il culto e la venerazione.

Infine, in occasione della mostra iconografica Gli Angioni di Napoli e Montevergine, tenuta nel 1997 presso la Biblioteca statale di Montevergine, padre Placido Mario Tropeano, anch’egli monaco benedettino ed attuale direttore della Biblioteca, ha ricostruito con buona approssimazione la storia della prodigiosa immagine, concludendo che essa può essere ragionevolmente ascritta al catalogo organico di Montano d’Arezzo, i cui rimaneggiamenti furono tanti e tali da ridefinire quasi totalmente la geometria del quadro, giustificando così quest’ipotesi.

Calendario e origine delle feste

La festa della Natività di Maria che ricorre l'8 settembre fu considerata anche la festa della Madonna di Montevergine fino al 1742 quando Papa Benedetto XIV istituì una festa legittima.

Dal 1742, quindi, il 1° settembre di ogni anno presso il Santuario hanno luogo le celebrazioni solenni in onore della Sacra Immagine.
Rilevanza particolare acquistano comunque tutte le celebrazioni dei dogmi mariani:
- la Maternità divina, il 25 dicembre;

- l'Immacolata Concezione, l'8 dicembre;

- l'Assunzione di Maria Vergine in cielo, il 15 agosto.


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I Dipinti

La sala fu costruita nel XII secolo dall'abate Giovanni e restaurata nel 1634 dall'abate Giovanni Giacomo Giordano.

Le principali tele conservate in questa sala si trovano esposte su cinque pareti.
Sulla parete più piccola, sul lato destro, tre tavole raffiguranti:

la Madonna di San Guglielmo, raffigurata seduta in trono nell'atto di allattare il Bambino Gesù: le è stato attribuito l'appellativo di Madonna di San Guglielmo in quanto ai suoi piedi è raffigurato un monaco che si è creduto fosse appunto il Santo. La tavola è stata dipinta da Gualtiero come atto di devozione a San Guglielmo.
Quadro votivo di Margherita di Savoia, raffigura la Madonna col Bambino mentre tende la mano a Margherita di Savoia, la quale si trova su di una nave pericolante. Figure di angeli contornano l'immagine della Vergine.
Madonna in trono col bambino e gli angeli.
Nella parete lunga, sul lato sinistro, la tela del XVI secolo raffigurante la Madonna col bambino e il donatore.

Degne di nota ancora sui tre divisori varie tele raffiguranti santi e immagini Sacre della cristianità.

Sulla parete al centro della sala tre vetrine contenenti paramenti sacri, nonché un presepio realizzato interamente in ceramica.

Sulla parete orientale, la tela della Madonna col Bambino, uno splendido crocifisso di legno del XIII secolo, varie vetrine con oggettistica e dei quadretti che raffigurano la vita degli Apostoli.
Nell'ultima parete, quella più a nord, si trovano alcuni elementi del coro, ed il pregevole seggio abbaziale del XII secolo.



Le opere, analogamente alla Sala Grande, sono ripartite su quattro pareti.
Nella prima parete si trova la splendida tela Veduta generale di Montevergine del 1763.
Sulla parete di destra il dipinto raffigurante San Benedetto e Santa Scolastica del 1631, la Donna in preghiera del Volpe e due sedie di legno in stile seicento veneziano.
In fondo alla sala tre tele del Mazzone che raffigurano tre momenti della vita della Maria Vergine ed una bacheca contenente alcuni documenti.

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La Biblioteca

a Biblioteca di Montevergine è una delle undici biblioteche cosiddette pubbliche statali annesse ai Monumenti nazionali. È ospitata all’interno del Palazzo abbaziale di Loreto, ma ha un proprio ingresso sulla via Domenico Antonio Vaccaro; sorta unicamente come strumento di sussidio e supporto all’attività di studio e di ricerca dei monaci, la Biblioteca è divenuta progressivamente un istituto statale, attualmente dipendente dal Ministero per i beni e le attività culturali.


Le sue origini rimandano inevitabilmente al fondatore della Congregazione, San Guglielmo da Vercelli, il quale dopo aver dato avvio alla vita della nuova famiglia monastica sulla sommità del monte, ne ridiscese per recarsi a Bari, dove, aderendo ad una richiesta di culto divino più diffuso da parte dei suoi confratelli, acquistò paramenti sacri ma soprattutto manoscritti greci e latini.
L’attività di copia di questi manoscritti che anche a Montevergine si intraprese diede il via alla vita illustre e prestigiosa di quello che sarà lo Scriptorium verginiano -e quindi la Biblioteca-, il cui primo nucleo era costituito da una raccolta di settemila pergamene e più di centomila documenti sciolti; l’evoluzione delle scienze archivistiche e biblioteconomiche si è indirizzata già da tempo verso una necessaria settorializzazione, legata non solo ad esigenze di unità di tempo, per cui si sono creati distinti luoghi per la conservazione, la custodia e la consultazione del materiale archivistico e librario: normalmente archivi e biblioteche, pur condividendo numerosi parametri comuni, sono luoghi fisici separati con caratteristiche molto diverse.
La Biblioteca di Montevergine, invece, confermando la sua natura di istituto culturale con caratteristiche che la rendono se non proprio unica comunque speciale, ha al suo interno una sezione di archivio in cui sono custoditi i documenti della Congregazione di Montevergine che, com’è facile immaginare, costituiscono una testimonianza innanzitutto della presenza dei monaci benedettini fortemente radicata nel territorio di Montevergine e di tutta l’Irpinia dall’Alto Medioevo in poi, ma anche, più in generale, rappresentano uno spaccato attendibile ed inevitabile per qualsiasi studio sull’argomento che abbia come obiettivo una ricostruzione storica rigorosa e fedele della vita religiosa e civile dell’Irpinia e delle zone limitrofe.
L’Archivio di Montevergine costituisce un tutt’uno con la Biblioteca, nella cui sala di lettura è possibile consultare agevolmente gli inventari delle pergamene e dei documenti, cui si dedicò padre Giovanni Mongelli e tuttora si dedica padre Placido Tropeano, attuale direttore della Biblioteca, insieme con i suoi collaboratori.
La conclusione dei lavori di costruzione del nuovo Palazzo abbaziale di Loreto fu l’occasione per trasferirvi da Montevergine la ricca collezione di pergamene e documenti, che così poterono essere conservati in maniera più idonea. La Biblioteca non era ancora a quel tempo l’ufficio pubblico che è ora, ma si avviava ad esserlo, soprattutto -dopo le già citate leggi di soppressione delle corporazioni religiose, e dopo il 1868, anno in cui Montevergine fu dichiarato Monumento nazionale- quando nel 1907 veniva emanato il primo Regolamento per le biblioteche pubbliche governative, che sanciva in via definitiva l’appartenenza allo Stato delle Biblioteche annesse ai Monumenti nazionali. Queste biblioteche dipendevano allora dal Ministero della pubblica istruzione; quando poi, nel 1975, per iniziativa del senatore Giovanni Spadolini, fu istituito il nuovo Ministero per i beni culturali e ambientali, il nuovo ufficio centrale dello Stato acquisì la competenza sulle biblioteche e sugli archivi di Stato.
Infine, una più recente edizione del Regolamento delle biblioteche statali è stato approvato con il D.P.R. del 5 luglio 1995, n. 417, in cui sono elencate, dopo le biblioteche nazionali centrali (Roma e Firenze) e le nazionali (che hanno sede in genere nei capoluoghi di regione), le undici Biblioteche pubbliche statali annesse ai Monumenti nazionali: insieme con Montevergine, Cava dei Tirreni, Girolamini di Napoli, Casamari, Monte Cassino e Trisulti in provincia di Frosinone, Grottaferrata e Subiaco in provincia di Roma, Farfa in provincia di Rieti, Santa Giustina di Padova e Praglia, in provincia di Padova.
Diciamo subito senza falsa modestia che, tra le undici Biblioteche dei Monumenti nazionali, Montevergine è sicuramente tra le più attive. Il forte impulso dato dal direttore padre Placido Tropeano, impulso che non è dissimile da quello che fu di San Guglielmo verso i suoi confratelli qualche secolo prima, si è trasmesso agli archivisti, ai bibliotecari e a tutti gli impiegati che si sono avvicendati nel servizio della Biblioteca, ed è particolarmente negli ultimi anni che il gruppo omogeneo e ben affiatato di dipendenti si è nutrito della stessa inesauribile energia che il direttore padre Tropeano spende quotidianamente da oltre mezzo secolo in favore della “sua” biblioteca. A questo riguardo, contravvenendo ad un principio teso a rendere scorrevole questa scheda e che perciò ci aveva fino ad ora consigliato di non riportare citazioni, crediamo veramente illuminante trascrivere qualche riga soltanto tratta dalla Prefazione di padre Tropeano al suo volume Civiltà del Partenio (Napoli, Berisio, 1970). Scrive Tropeano: «Il mio primo incontro con la biblioteca di Montevergine risale la 1937 quando giovane studente ginnasiale, eludendo la rigida sorveglianza del prefetto di disciplina riuscii a mettere piede in quell’unica stanza del monastero, che tutti chiamavano biblioteca ed il cui accesso era rigorosamente vietato». Attualmente, la Biblioteca di Montevergine è un ufficio moderno, che ha saputo trovare il giusto compromesso tra un non più rinviabile utilizzo della tecnologia informatica e l’obbligo della tutela più diligente di documenti di archivio, preziosi codici e libri moderni.
Descrivere i fondi della biblioteca e dare soltanto un’idea dei documenti dell’archivio annesso risulta veramente impresa ardua nello spazio ristretto che si ha a disposizione; d’altra parte non menzionare neanche qualche volume particolare sarebbe un vero peccato, né si può pensare di limitarsi ad uno sterile ed inespressivo elenco. Ma come non citare il manoscritto che narra della vita di San Guglielmo, la Legenda de vita et obitu Sancti Guilielmi, un prezioso codice latino del secolo XIII in scrittura beneventana su due colonne: è la legenda, cioè il ristretto della vita di San Guglielmo, scritto da più autori, tutti sicuramente discepoli dal santo, del quale hanno fatto a gara a narrare le gesta e a celebrarne i prodigiosi miracoli; oppure un Breviarum ordinis cisterciensium, un manoscritto latino del secolo XIV in scrittura gotica riguardante un lezionario monastico cistercense, o lo Psalterium Davidis, un manoscritto latino del secolo XV in scrittura umanistica. Tra i manoscritti figurati vanno senz’altro citati dei documenti tipici del secolo XVIII, le “platee” –di cui s’è già detto parlando del Palazzo abbaziale, cioè delle descrizioni ragionate di beni, edifici, pertinenze territoriali, che si presentano come delle vere e proprie opere d’arte in quanto si tratta di tavole acquerellate. Ancora tra i fondi antichi, come non ricordare la vasta raccolta di studi e ricerche di storici verginiani, i quali hanno trattato delle questioni più disparate, ad iniziare dalla vita di San Guglielmo per finire alla ancora dibattuta diatriba su chi sia stato il vero autore del quadro della Madonna di Montevergine. In biblioteca si custodiscono inoltre poco meno di duemila “cinquecentine”, le edizioni del XVI secolo oggetto di un censimento nazionale ancora in corso presso l’Istituto centrale per il catalogo unico, e circa duecentomila volumi dei secoli XVII, XVIII, XIX e XX. La materia prevalente è naturalmente quella religiosa, ragione per la quale la Biblioteca di Montevergine –unica biblioteca dello Stato nel territorio di Avellino e provincia- rappresenta, e non da ora, il punto di riferimento per quanti intendano seguire studi specifici nel campo; non mancano tuttavia cospicui fondi relativi ad altre discipline, quali la storia, soprattutto quella locale, l’architettura, la letteratura italiana e straniera, la narrativa. Infine la raccolta dei periodici, ricca di 705 testate, di cui 144 ancora in corso.
La Biblioteca di Montevergine è aperta al pubblico dal lunedì al sabato, dalle ore 8,15 alle 13,30; in più, nei giorni di martedì e giovedì effettua un prolungamento orario, senza alcuna interruzione, dalle 8,15 alle 18,45. In una piccola ma confortevole sala di lettura gli utenti sostano e possono prendere visione degli inventari relativi ai documenti dell’archivio, dei regesti delle pergamene, dei cataloghi per autori e titoli, per soggetti, delle “cinquecentine”, nonché dei cataloghi speciali relativi ad editori, tipografi, stampatori ed incisori fino al 1830. È possibile usufruire di un servizio di fotocopie interno e di fotoriproduzioni esterno.
Come si accennava prima, la Biblioteca di Montevergine ha saputo trarre il massimo beneficio dall’impiego della tecnologia informatica; dal gennaio del 2000, infatti, partecipa ad un progetto governativo le cui basi furono gettate più di venti anni fa; SBN, è l’acronimo di Servizio Bibliotecario Nazionale, una estesa rete telematica cui aderisce ormai la maggior parte delle biblioteche italiane, statali e di enti locali, diocesane e di grandi fondazioni private. Uno dei principi che stava alla base di SBN era quello della cooperazione bibliotecaria, cioè della condivisione delle notizie in una rete virtuale; questo principio ha di fatto reso più semplice il lavoro di catalogazione che si svolge nelle singole biblioteche, anche quelle più decentrate e periferiche –com’è proprio il caso di Montevergine - stabilendo concretamente un rapporto di collaborazione, di massima diffusione e circolazione delle informazioni. Questo, se per i libri di editoria corrente significa “semplicemente” accedere alla notizia bibliografica, per i libri antichi invece vuol dire mettere a disposizione di tutti, non soltanto gli addetti ai lavori, una succinta relazione sulla storia, sulle caratteristiche e sullo stato del libro che si immette in rete; si pensi ad una delle “cinquecentine” che, per la loro natura, sono oggetto di progetti specifici, e che presentano normalmente tanti particolari di grande interesse: ebbene, nella catalogazione delle edizioni del XVI secolo, bisogna tener conto e porre in evidenza –secondo regole molto rigide- ognuno di questi particolari che concorrono a definire senza alcun dubbio e nella maniera più esauriente il libro che si sta lavorando. Inoltre, tutte le notizie relative al materiale che le singole biblioteche lavorano ciascuna nella propria sede viene in una seconda fase –con uno scarto di circa sette/dieci giorni dal momento della prima immissione- riversato nella rete Internet, dove ad uno specifico indirizzo (http://sbnonline.sbn.it) è possibile interrogare comodamente da casa propria i cataloghi delle biblioteche che partecipano ad SBN; in aggiunta a questo c’è un ulteriore indirizzo (http://edit16.iccu.sbn.it) che consente di ricercare esclusivamente le edizioni del Cinquecento, con la possibilità di poter esaminare anche le immagini delle marche tipografiche, grazie ad un progetto ancora in corso di completamento presso l’Istituto centrale per il catalogo unico.
Non si può tacere, inoltre, dell’attività di “propaganda” che la Biblioteca di Montevergine persegue regolarmente con lo scopo di pubblicizzare e far conoscere i tesori che al suo interno si custodiscono; oltre ad una attività di tipo istituzionale –quale l’organizzazione di mostre documentarie e bibliografiche di grande spessore scientifico, una per tutte la mostra su documenti dell’imperatore Federico II, Federico II e Montevergine, allestita in occasione dell’VIII centenario della nascita del grande imperatore svevo nel 1994-1995- ce n’è un’altra, più informale ma non meno interessante ed impegnativa, che ha lo scopo di portare la biblioteca al di fuori del suo contesto tradizionale in giro per le piazze della città; infatti nel corso del 2000 e del 2001 la Biblioteca ha organizzato le prime due edizioni della manifestazione Libri fuori: la biblioteca a zonzo per la città, aderendo alle iniziative delle domeniche ecologiche cui prese parte anche il comune di Avellino. In uno scenario molto suggestivo, la Biblioteca di Montevergine allestì uno stand in cui di volta in volta furono esposti libri e documenti legati ai temi delle giornate ecologiche. La terza edizione di Libri fuori si è tenuta nel 2002 all’interno del chiostro cinquecentesco del Santuario di Montevergine. Sempre in quest’ambito, la Biblioteca di Montevergine produce annualmente un “Bollettino delle nuove accessioni”, giunto nel 2002 al numero 7, all’interno del quale dà notizia degli acquisti dei libri effettuati nel corso dell’anno precedente; questo bollettino viene anche utilizzato per dare notizia all’esterno del lavoro svolto. Lo stesso scopo ha anche la collaborazione avviata proficuamente da due anni con la disponibile direzione della rivista “Il santuario di Montevergine”, nella quale i bibliotecari di Montevergine hanno una rubrica fissa mensile significativamente intitolata Una finestra sulla Biblioteca di Montevergine, che serve da vetrina per le attività della biblioteca: di quest’opportunità loro concessa i bibliotecari di Montevergine sono molto grati innanzitutto al direttore padre Placido Tropeano, e anche a dom Riccardo Guariglia con il quale si stabilirono i primi contatti per avviare la collaborazione.
La Biblioteca di Montevergine è infine attrezzata per visite guidate che per gruppi e scolaresche si effettuano previa prenotazione telefonica; allo scopo di illustrarne meglio la storia e l’attività è stata allestita una mostra permanente dal titolo Dal papiro al libro a stampa: l’evoluzione della scrittura con riferimento alla produzione dei Padri Verginiani di Montevergine, che rappresenta un agile percorso cronologico in cui sono descritte le tappe dell’evoluzione della scrittura, utilizzando come esempio la ancora ricca produzione dello scrittorio verginiano. Una seconda mostra, anch’essa a carattere permanente, riguarda i documenti di mons. Luigi Barbarito, originario di Atripalda, già Nunzio apostolico, del quale sono esposti documenti originali relativi agli incarichi ricevuti come ambasciatore della Santa Sede in diversi paesi, dall’Africa prima, all’Australia poi e infine all’Inghilterra.
Per chiudere questa scheda sulla Biblioteca di Montevergine diamo di seguito alcune informazioni di carattere pratico.
L’ingresso della Biblioteca si trova sulla via Domenico Antonio Vaccaro, alle spalle dell’ingresso principale del Palazzo di Loreto; la Biblioteca risponde ai numeri di telefono (0825 787191) e di fax (0825 789086).
Indirizzi e-mail montevergine@librari.beniculturali.it e biblioteca@santuariodimontevergine.com.
Inoltre, all’indirizzo http://www.beniculturali.it è possibile accedere al sito del Ministero per i beni e le attività culturali, all’interno del quale oltre a reperire informazioni relative alle iniziative in corso su tutto il territorio nazionale, si possono consultare schede su Archivi di Stato e Biblioteche, in un articolato percorso che abbraccia tutta Italia.
Un’avvertenza indispensabile ci sembra doveroso fare come corollario alle informazioni sul Palazzo abbaziale di Loreto, la Farmacia e la Biblioteca di Montevergine. La loro storia è molto complessa e ricca di particolari minuti, curiosi ed intriganti, drammatici e felici, molto più di quanto possano lasciare intendere queste schede che per forza di cosa si son dovute realizzare improntate ad una dolorosa quanto necessaria sintesi; le quali, non essendo in alcun modo esaustive, hanno come scopo di stimolare l’interesse ad approfondire le ricerche, cosa che potrà essere fatta agevolmente in Biblioteca, dove il personale tecnico-scientifico sarà, con la precisione e la disponibilità che ne caratterizzano l’operato quotidiano, a disposizione di quanti intendano intraprendere o consolidare studi su tutto quanto attiene a Montevergine.


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I Presepi

La mostra si compone di pregevoli esempi di presepi regionali italiani, nonché di alcune riproduzioni di presepi di altre nazioni.
Negli anni si è andata sempre più arricchendo, e costituisce oggi una delle più ricche e pregevoli collezioni italiane.
Nell'atrio in sei vetrine si trovano alcuni presepi regionali.
La mostra si compone di nove sale nelle quali si trovano rispettivamente:

- nella prima sala un presepio con episodi della vita di Gesù, donato da Alfredo Marzano;
- nella seconda sala un presepe romano del Primo Ottocento;
- nella terza sala si trovano collocati la Notte di Greccio, un presepe abruzzese e uno pugliese di Alberobello;
- nella quarta sala un presepio raffigurante un paesaggio siciliano con i ruderi del tempio greco, il Golfo di Taormina ed un altro tipico della produzione calabrese;
- nella quinta sala una vigilia di Natale in una famiglia dell'Ottocento e un mirabile presepio con effetti di luce;
- nella sesta sala un presepio veneziano del secolo XVIII;
- nella settima sala sono presenti esempi di presepi di varie nazioni tra cui l'Argentina, il Perù, il Portogallo, la Danimarca e l'Andalusia;
- nella sala ottava il presepio esquimese, quello vietnamita ed infine una riproduzione di quello giapponese;
- nella nona sala un presepe palestinese.
Si aggiungono ai citati altri centinaia di piccoli presepi che arricchiscono di fascino questa mostra, certamente unica nel suo genere.

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Messaggio da Redazione » ven mag 20, 2005 1:16 pm

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Mamma Schiavona, la prima icona di Maria. (La Madonna di Montevergine)

Dieci anni fa la studiosa che ha scoperto le ossa di San Pietro a Roma, sostenne il primato della Madonna di Montevergine. Ora i computer le danno ragione.



Secondo un antico canto popolare virginiano, la più brutta delle sei Madonne campane, perché era nera, avrebbe scelto di andarsene lontano "...se ne jette a Muntevergene..er' a Maronn' 'e Muntevergene". Il canto si conclude ribaltando le posizioni e Mamma Schiavona, la più miracolosa delle sei sorelle - di Pompei, Mugnano, di Santa Filomena, del Carmine e dei Bagni - diventa anche la più bella.

La dolcezza enigmatica e severa del volto della Madonna Bizantina, accogliente quant'altri mai, ha generato nei secoli un culto popolare saldissimo, ma ha anche affascinato grandi uomini di anime differenti, come Pier Paolo Pasolini - che in un suo soggiorno irpino volle visitare il Santuario - e, nel 1974, un semplice prete venuto dalla Polonia, Karol Wojtyla, che scrisse alla Madonna una dedica in latino (Sub protectione materna B.M. Virginia manete in pace et in servitio cum angelis ad salutem Populi Dei).

A tanto fulgore devozionale - o proprio in ragione di ciò - corrispondono oscure conoscenze dal punto di vista storico-artistico, probabilmente anche perché - che se ne abbia notizia - mai a nessuno studioso è stato consentito di analizzare da vicino il quadro risalente, nella sua interezza, al 1200. Neanche a quella Margherita Guarducci, epigrafista archeologa e illustre storica dell'arte - sua la scoperta delle ossa di San Pietro in Vaticano - che nell'88, inseguendo un'intuizione, salì sul monte dei benedettini, nel tentativo di avvicinarsi al dipinto. In realtà la Guarducci era a un passo dalla scoperta che aveva inseguito per una vita: rintracciare la prima immagine del volto della Madonna, o, almeno, la copia occidentale più antica della prima icona bizantina, la famosa Odigitria (cioè "delle guide" dalla Chiesa degli Odeghi a Costantinopoli dove venne venerata). Questo primo volto mariano - da cui derivarono tutti gli altri portati come vessillo in testa agli eserciti-sarebbe stato trasferito in Italia dall'ultimo imperatore latino d'Oriente, Baldovino II, che in fuga verso l'occidente l'avrebbe poi donato agli Angioini: E sarebbero stati proprio gli Angioini di Napoli, secondo la leggenda, a nascondere l'icona dell'Odigitria a Montevergine. L'intuizione della studiosa, la legenda e la storia hanno trovato una straordinaria sintesi nel video prodotto da Irpinia TV, curato da Michelangelo Varrecchia e Gerardo troncone.

Con l'ausilio del computer i curatori del video - grazie all'elaborazione grafica di Multimedia - sono giunti alla soluzione di quella aporia che da secoli ha lasciato gli studiosi in una insuperabile empasse e che la Guarducci era stata a un passo dall'afferrare (la nota studiosa è scomparsa di recente all'età di novantanni): la Madonna di Montevergine sarebbe la prima copia occidentale della Madonna Odigitria e vediamo perché.

Precedentemente Margherita Guarducci e Pico Cellini - lo studioso ultranovantenne vive ad Altavilla Irpina- avevano individuato la prima copia della Madonna Odigitria di Costantinopoli nell'immagine di Santa Francesca Romana, venerata a Roma col nome di Madonna del Conforto. Fu una scoperta laboriosa e di grande importanza dovuta alla decisione dei monaci Olivetani di far restaurare una tavola apparentemente ottocentesca e senza pregio. Nello studio di Cellini la Madonna giunge nel febbraio del 1950. Sotto lo strato più recente vengono fuori altri due volti della Madonna, risalenti al XIII secolo. E, clamoroso, sotto questi due se ne svelano altrettanti, dipinti su tela di lino a encausto - un'antichissima e raffinata tecnica che prevedeva l'uso di colori disciolti a caldo in cera liquida. Di questi il più evidente risale al V secolo ed è la più antica immagine di Maria mai ritrovata.

La notevole dimensione del volto -due volte e mezzo superiore a quella delle Madonne conosciute - la posa inequivocabile - capo reclinato verso una spalla in direzione del bambino - e i tratti mediorientali che culminano nella profondità degli occhi neri, inducono gli studiosi a sostenere che si tratti della copia principale dell'Odigitria e, precisamente una copia ricavata - come accadeva nelle botteghe dell'epoca - specularmente. Quella che mancava, ora, -oltre ovviamente all'Odigitria di cui si hanno solo notizie leggendarie - era l'originale di quella copia ricavata a rovescio.

Dopo molti anni di ricerche e l'analisi meticolosa di tutte le Madonne conosciute, la Guarducci si risolse che, per dimensioni e caratteristiche, l'riginale del voto mariano di Santa Francesca Romana non poteva che essere la Madonna di Montevergine, il cui quadro ha una struttura unica. Si tratta di due tavole di legno unite da traverse poste sul retro. Largo due metri a alto quattro è collocato dalla critica più recente - Monelli, Bologna, De Castris, Tropeano - intorno alla fine del duecento e attribuito a Montano d'Arezzo, pittore presente a Napoli nel Duomo e a San Lorenzo Maggiore. La testa della Madonna però. è un pezzo a sé, staccabile dal resto dell'opera e in essa incastonata. Sovrapponendo, grazie all'ausilio della grafica computerizzata le due icone - quella di Santa Francesca Romana e questa di Montevergine - i curatori del video dimostrano quello che era stato impossibile alla Guarducci, vale a dire che sarebbe proprio Mamma Schiavona la prima copia dell'Odigitria Bizantina e, dunque il più fedele volto della Madonna.

La scoperta, sebbene a questo punto evidente, non sorprende il Vaticano che da sempre è a conoscenza dell'ipotesi della Guarducci, ora confermata dai nuovi ausili tecnologici. Ma, evidentemente non sarà semplice ottenere un placet che rivoluzionerebbe il culto mariano tra capitale e provincia.

Intanto la lungimiranza della Pro Loco di Ospedaletto d'Alpinolo, preseduta dalla prof.ssa Rosanna Armonico, consente se non altro, la ripresa di studi in questo settore e la divulgazione della più affascinante delle ipotesi storico-artistiche, suffragata dal rigore scientifico di una studiosa come la Guarducci e dalla incontrovertibilità della ricostruzione computerizzata.



Immaginefonte:www.comuneospedaletto.it

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