la Madonnina Nera di Tindari, La storia il luogo

Luoghi di devozione alla Madonna
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la Madonnina Nera di Tindari, La storia il luogo

Messaggio da Redazione » gio mag 19, 2005 5:59 pm

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Misterioso il fascino della Madonna di Tindari. Antica icona lignea, custodita sulla sommità di una collina prospiciente il golfo di Patti, che attrae a sè da quasi mille anni la gente di Sicilia. Immagine di struggente sacralità che sintetizza, nella forma plastica, il genio interiore del medioevo, europeo e mediterraneo.
Una «Vergine con Bambino»: Theotokos e Hodigitria. Simile strutturalmente alle tante Madonne scolpite intorno al XII secolo al sud della Francia e al centro Italia. Diversa da queste per connotazioni culturali sorprendenti, che intrigano storici e critici d’arte. Sembra in essa vivere la Koinè che contraddistingue il tempo anteriore, le lacerazioni fra occidente e oriente. Non solo per comunione di fede, ma anche per circolarità e scambio di pienezza antropologica che consente di partecipare dei valori etici ed estetici.
Bizantina è questa Madonna e latina e mediorientale. Creazione del romanico che non conosce confini geografici e divisioni politiche, lievitato dall’umanesimo cristiano aperto agli influssi di ogni regione. Da secoli indicata, con riferimento al Cantico dei Cantici, come «Nigra sum» per l’incarnato bruno del volto, è oggetto di venerazione. A lei giungono pellegrini da ogni parte per invocare aiuto. Dinanzi a lei, palpitanti di emozioni, contemplano il mistero di Dio che si rivela nell’amore della Madre.


Tessuta di tradizioni e fioretti è la vicenda di questo simulacro, che si dice proveniente dalla Siria o dall’Egitto, in epoca iconoclasta. Si racconta che la statua, destinata ad altri lidi, sia giunta su una nave che, a causa di una tempesta, si incaglia fra le secche di Tindari. La gente del luogo viene subito a conoscenza dell’icona e ne resta colpita. Spinta da sentimento religioso, la trasporta in cima al colle installandola all’interno di un tempietto preesistente. Fin qui la leggenda.


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La Tyndaris dei greci e dei romani, fondata da coloni dori nel 396 a. C. e distrutta nel primo secolo a. C. forse da un terremoto, risorta nel quinto secolo, divenendo sede vescovile e umiliata dai musulmani, si trova d’improvviso ad esser meta di viandanti del cielo. Luogo santo, perchè santa è l’immagine, posta nella solitudine della rupe, che appare nel silenzio a moltitudini di contadini e pastori, di avventurieri e viaggiatori, di mistici e agnostici. Non lascia indifferenti. A tutti comunica il segno arcano della sua presenza.
Frammentari sono i documenti che testimoniano, nel corso dei secoli, gli eventi relativi all’effigie sacra. Significativa la ricostruzione del vecchio santuario, nel 1598, ad opera del vescovo Bartolomeo Sebastiani, sulle rovine di una chiesetta, probabilmente medievale, rasa al suolo, nel 1544, da Rais Dragut, pirata algerino. Anche l’iconografia riguardante il sito e l’icona è povera: attende di essere scoperta.
L’immagine della Madonna di Tindari, molto diffusa, non è quella della storia. Appartiene ad una cultura, tra fine settecento e inizio ottocento, che si compiace di agghindare con paludamenti, monili e corone soprattutto le statue, riadattandole a un gusto popolare talvolta folclorico. La Nigra sum perde i suoi connotati romanici che vengono nascosti da una struttura di tela che, dipinta di azzurro e rosso, ricopre l’antica scultura, libera soltanto nel volto e nelle mani. In seguito l’abito "moderno" viene occultato dal piviale ricamato d’oro che copre per intero il simulacro.

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Molta letteratura è germogliata attorno a questa iconografia, di cui si intende, da parte di teologi e studiosi, la non verità. Indicativa l’affermazione del canonico Giardina, nel 1882, riguardante la materia del simulacro: «essa è costruita di legno, non di marmo, come erroneamente asseriscono molti cronisti ecclesiastici, forse ingannati dall ‘autorità di P. Ottavio Caietano primo a cadere in questo abbaglio». Pertanto il dubbio, come cenere, rimane a bruciare per lunghi decenni senza mai spegnersi. Non pochi uomini di cultura e fede chiedono di verificare il processo storico dell’immagine e di intervenire a salvaguardia della sua integrità. Complesso dilemma che da oltre un secolo interroga, acuitosi a inizio anni ottanta, mentre è vescovo di Patti mons. Carmelo Ferraro, che si confronta con sacerdoti e storici. Forse per eccesso di prudenza le indagini non giungono a termine. Qualcuno sentenzia che non licet.


La cenere riprende vigore. Si infiamma il problema sopito che interpella la coscienza di tanti, fra i quali è il nuovo vescovo. Mons. Ignazio Zambito chiede il parere di religiosi illuminati e di studiosi d’arte. Univoca la risposta: avviare analisi, oltre che storiche, di carattere formale e strutturale. Non è sufficiente interpretare l’icona nel suo abbigliamento. Necessita capirne la composizione. Per mesi si discute sull’opportunità o meno di restauro. Nella Pasqua 1995 mons. Zambito, insieme con il rettore del Santuario, decide per l’intervento.
E’ interessata la Sovrintendenza ai Beni Culturali di Messina che, con la supervisione della dottoressa Caterina Ciolino, dà il placet. Supportata da uno storico dell’arte e da due teologi, una équipe di specialisti prende in consegna nell’ottobre dello stesso anno la Madonna di Tindari, trasferita in un laboratorio nei pressi di Palermo.
Tale équipe, visionando nell’aprile 1995 l’opera sacra, intuisce la singolarità dell’oggetto ed afferma che si è dinanzi a una Madonna seduta in trono, di periodo medioevale, scolpita in un tronco cavo.I primi sondaggi riguardano il manto bleu su cui si registrano cinque strati di colori apposti fra metà ottocento e metà anni quaranta. Altrettante sovrapposizioni cromatiche si riscontrano sui visi della statua.



Qualche settimana dopo, l’intuizione avuta trova conferma: sotto il manto ottocentesco è una struttura lignea, lucente di lacche medievali. La Nigra sum della storia esiste, nascosta dentro la cappa di tela e colla.
Da un’ampia fessura preesistente, sulla parte posteriore del simulacro, appare il blocco ligneo scavato, ricoperto di elementi estranei. Quindi ai lati si constata, eseguiti alcuni tagli, la presenza di un tronetto, mentre sul davanti vengono scoperti, con le decorazioni antiche, rosse, azzurro-verde e rosa, gli abiti scolpiti della madre e del figlio.

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Coperta da piviale di seta bianca, su cui fiorisce un ricamo d’oro, e coronata da diadema con castoni di pietre colorate, si presenta la Madonna di Tindari. La quale tiene in grembo, secondo modulo bizantino, il Bambino vestito con tunicella candida e con sul capo una corona regia.


Aristocratica e popolare immagine, conosciuta in questa forma da quasi due secoli, che evidenzia ad un tempo la cultura e la devozione del popoio siciliano. Neri i volti e le mani di Madre e Figlio, designanti la provenienza non latina. Chiusi gli occhi, immersi in una realtà altra.
Dipinto di rosso scintillante è l’abito della Madonna, trapuntato di stelle porporine. Luccicano d’oro le scarpe. Un giglio d’argento svetta di tra le dita della mano sinistra.
Davanti a questa icona la gente si prostra con fede, contemplando nelle sembianze mediorientali il mistero della Theotokos.Una dicitura, incisa sul basamento della statua, recita: «Nigra sum sedformosa». Ripresa dal Cantico dei Cantici l’espressione significa la bellezza di Maria nel colore brunito del viso.
Si mostra madre e regina la Madonna, che per ben tre volte viene incoronata: nel 1886, nel 1901 e nel 1940. Della prima corona il canonico Reitano afferma che è «di stile imperiale, di ottone, artisticamente lavorata e finemente dcirata». «Va ghissima corona in argento dorato» é la seconda, con pietre ornative e sempre di struttura "imperiale" come ricorda il can. Giordano.


Ha ridondanze barocche la terza tutta in oro, adorna di pietre e di volute che si spingono in alto per tenere un piccolo mondo sovrastato da una croce.
Questa sacra effigie porta sino ad ora nel cuore il pellegrino di Tindari.Benché lungo il deambulatorio dell’abside, nel nuovo Santuario, questa immagine sfolgorante di bleu e di rosso, sia raffigurata come l’antica icona della Madonna di Tindari, pochi in realtà la conoscono. Si tratta, come si evince dai lineamenti, della Nigra sum, che abitualmente è ricoperta dal mantello liturgico e dalla corona regale.
Fin dai primi dell’ottocento la Madonna è ricordata con veste rossa e mantello bleu che scende direttamente da sotto il copricapo, avvolgendo le spalle e l’intera persona e inglobando il trono. Il Bambino porta l’abito bleu e un’ampia stola rossa. La Madre stringe con la sinistra a sè il figlio posto sulle ginocchia, con la destra sorregge un giglio. Gesù ha la mano sinistra poggiata su quella materna, la destra è in atto di benedire.
Colpisce il copricapo della Vergine, simile a un turbante regale di color porporina e così pure la struttura volumetrica per il nero di volti e mani e per il rosso e il bleu delle vesti filettate d’oro e decorate di stelle. Composizione che rimanda a tipologie bizantine e copte. Un’opera che mostra poche relazioni con il mondo occidentale.
Parecchi storici che si sono interessati al simulacro non danno precise notizie sull’origine e sulla struttura. Il Caietano, nel 1657, parlando del tempio di Tindari dice che vi si trova «antiquissimum Virginis simulacrum». Nel 1737 mons. Bonanni dichiara che a Tindari «Extat simulacrum Deiparae Matris, quod coelitus demissum pia fidelium credulitas tenet, et docet vetustissima et immemorabilis traditio». Nel 1774 mons. Pisano scrive del «Simulacrum Beatae Mariae Virginis sub titulo Tyndaride, vetustate insigne».
L’arrivo della statua a Tindari è avvolto da un’alone di pie cronache, rispondenti a forme letterarie diffuse in varie regioni meridionali. Ottavio Caietano narra con evocazione immaginifica: «Un tempo (non è noto quando) varcava per il mar Tirreno un naviglio, nel quale fra l’altre mercantie, era la statua di che ragioniamo, e costeggiava, in cielo sereno, quei lidi dell’isola vicini al Tindaro, ed ecco, fuori da ogni aspettazione, s ‘arrestò; e quantunque gli soffiassero prosperissitni venti, non poté in verun modo andare più oltre...».
Ricco di particolari è il racconto del ritrovamento della Madonna e del suo insediamento sulla sommità del colle, dove esiste un tempio, «unico avanzo della città di Tindaro».
L’abate Spitaleri nel 1751 accenna all’ «immagine miracolosissima di Maria Santissima con stupendo portento venuta dall ‘Africa», per aggiungere subito dopo, «che in effetto è negrissima».
Di recente, nel 1949, il vescovo Ficarra, umanista e storico, che non si lascia suggestionare da immaginazioni preferisce asserire: «possiamo solo pensare che la venerata icona sia stata portata dall’Oriente», quindi che, «è assai antica e di stile bizantino», ipotizzando il tempo del suo arrivo: o in epoca iconoclasta o meglio «durante il periodo delle crociate, quando le galee delle nostre Repubbliche veleggiavano di continuo verso il mondo orientale e il rito greco fiorì a lungo nella nostra Sicilia».
Diffusa è la convinzione che il simulacro della Madonna sia un assemblaggio di legni e stoffe e che siano originali solo alcune parti.
Confrontando la Nigra sum con la Madonna di Montserrat, nera anche essa, Rosario Giordano nel suo volume, edito nel 1987, asserisce che l’immagine mariana spagnola «è una bella scultura del XII secolo.., dorata e policromata... tutta scolpita in legno» subito aggiungendo che della Madonna siciliana «sono scolpiti soltanto il volto, le mani e il Bambino, il resto della statua è costituito di legno informe, sicuramente sostituito nel tempo e le modanature delle immagini sono eseguite attraverso un canovaccio reso rigido da stucco che copre il legno».




[font=Geneva]<center>La Festa della Madonna



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Forse non tutti sanno che la solennità della Madonna del Tindari l’otto settembre, corrisponde nel calendario della Chiesa alla festa del Natale di Maria. Tale data, strettamente connessa a quella dell’Immacolato Concepimento della Vergine l’otto dicembre, anticipa per certi versi il Natale di Gesù. Maria, infatti, nasce per dare alla luce il Figlio di Dio; la sua esistenza è talmente congiunta a quella di Cristo che anche la sua nascita diventa una preparazione dell’Incarnazione del Verbo. Nel celebrare Maria, la Chiesa contempla, così, l’arrivo di un’era nuova, il compimento della pienezza del tempo auroralmente inaugurato dal Natale della Vergine.

L’antica tradizione tindaritana, saldando la festa della Nascita di Maria con quella della locale solennità della Madonna bruna, ha forse voluto conferire a questa ricorrenza un tono specifico. La fede, infatti, contempla in Maria nascente la mistica aurora che precede il Sole di giustizia, parimenti l’esigua comunità cristiana di Tindari, ha salutato l’arrivo fortuito dell’icona mariana, come l’inizio di una nuova fioritura della fede nelle sue contrade, già funestate da incursioni di infedeli e calamità naturali. Festeggiando Maria nel dì della sua nascita, i cristiani d’allora hanno certamente celebrato la rinascita della loro comunità, che grazie alla Vergine, riprendeva vigore, come al tempo in cui era persino governata da un suo Vescovo e costituita in Chiesa locale.

L ’annuale festa della Madonna del Tindari racchiude, dunque, la ricchezza di questi elementi d’ordine storico; infatti, dopo qualche secolo dalla ripresa del culto mariano sul colle del Tindari, venne canonicamente eretta a sede vescovile la vicina città di Patti. L’arrivo di Maria ha, così, predisposto e forse anche motivato la rinascita della Chiesa diocesana, allo stesso modo in cui la fede di Maria ha anticipato la vita della Chiesa, costituita da Cristo sul Calvario e nella Pentecoste.

In tal senso, la solennità della Madonna di Tindari può considerarsi come una annuale rinascita, un periodo di rinnovamento per le popolazioni che da diverse parti della Sicilia e d’Italia, accorrono presso la bruna Madonnina. Benché tale ricorrenza cada alle porte dell’autunno, essa costituisce, invece, una nuova primavera per il credente che con fede si accosta a Cristo per mezzo di Maria. Ogni anno, infatti, pur se cambiano i tempi, le forme e le persone, rimane centrale nella festa mariana, un elemento fondamentale costituito dalla celebrazione continua del Sacramento della Riconciliazione. Sono così tanti i pellegrini che si accostano a questa sorgente di vita nuova, da poter affermare che la vera festa di Maria si svolge principalmente nella cappella delle Confessioni. In questo luogo, la festa della Madonna assume i connotati del silenzio e della grazia, che attraverso il ministero dei sacerdoti residenti a Tindari e di quelli invitati, si riversa copiosa nell’anima del penitente. Diventa in tal modo significativo l’atteggiamento del pellegrino che, lasciati i mosaici, gli affreschi e gli stucchi del nuovo Santuario, si dirige verso l’altare della Madonna, per essere da Lei introdotto in un ambiente molto sobrio, ove gli occhi lasciano il luccichio dei colori per concentrarsi verso l’intimo dell’anima, disposta così all’incontro salvifico col Signore.

Non si tratta certo di fare l’elogio di una stanza, fornita recentemente di nuove e più adatte sedi per l’ascolto delle confessioni, ma di contemplare il mistero della misericordia divina che raggiunge i suoi figli, facendoli rinascere a vita nuova, dando loro speranza, ricompensandoli di fiducia, proprio nella casa e nella festa di Colei che nascendo ha reso possibile l’inaugurazione dei tempi nuovi.

Il tempo a Tindari è sempre nuovo: nei volti di quanti si avvicendano presso il trono della Madonna; nel proposito di chi si ritorna a casa col desiderio di una sincera conversione; nel gesto di gratitudine di chi ha scoperto una vocazione, individuato un cammino, intravisto una svolta; nel canto di chi è stato esaudito; nelle lacrime di chi ancora anela e sospira. Il tempo a Tindari è sempre nuovo ma pare fermarsi nei dì della festa, allorché il pellegrino, dopo un itinerario faticoso, giunge a fissare i propri occhi sul volto dolce, austero e sereno della Vergine bruna; qui il tempo si interrompe, perché inizia il dialogo, lo sfogo, la preghiera, la contemplazione. Tindari è come il Tabor: chi ne guadagna la vetta, non vuol più lasciarlo.

Ma ogni festa a Tindari ha un suo colore originale, non è mai uguale a se stessa, benché alcune forme ne costituiscano ormai i pilastri principali. Uno di essi è, infatti, la celebrazione dei sette martedì che sin dal 23 luglio, in Santuario e nelle Parrocchie, stabiliscono una forma di pellegrinaggio spirituale verso Maria. Tale preparazione remota è anche accompagnata dall’iniziativa dell’Estate Mariana che lungo tutto il periodo estivo raduna ogni sera diversi gruppi di pellegrini e di residenti nel giardino dell’Immacolata per un momento di preghiera e di meditazione con Maria. Infine, la novena alla Madonna, predicata quest’anno dal giovane Don Emanuele Di Santo dal 30 agosto al 7 settembre, contribuisce a preparare i devoti della Madonna alla celebrazione fruttuosa della sua Natività, offrendo per nove giorni un tempo di riflessione e preghiera.

Un pellegrinaggio ormai abituale, è quello dei Sacerdoti della Diocesi di Patti, celebrato quest’anno il 30 agosto. Promosso ed istituito dal nostro Vescovo, Mons. Ignazio Zambito, esso è divenuto l’annuale appuntamento, grazie al quale i Presbiteri, alla presenza di Maria, inaugurano l’anno pastorale, affidando alla prima Credente, ogni loro iniziativa ed attività, per l’annuncio del Regno di Dio e il servizio della fede. Il giorno successivo, sono convenuti a Tindari da diverse località della Diocesi, numerosi gruppi di ammalati, per trascorrere una giornata con Maria. Il silenzio e il raccoglimento, la devozione e la fraternità, vissuti in tale circostanza, hanno reso testimonianza della fede sincera di questi fratelli che a Maria hanno presentato le loro sofferenze, offrendole a Cristo, la cui croce illumina ogni dolore e tribolazione.

Infine, i due giorni consacrati alla festa di Maria, il sette e l’otto settembre, hanno visto, come ogni anno, una lunga teoria di pellegrini accorsi al Santuario per venerare la Vergine bruna e seguirla in processione, la sera della vigilia, dalla piazza della Casa della Vita ove il nostro Vescovo introduceva la preghiera con la tradizionale supplica, sino a Tindari, sotto una pioggia insistente che non è riuscita a scoraggiare le migliaia di fedeli che hanno accompagnato Maria, coi canti e le preghiere. Il giorno successivo Mons. Zambito ha presieduto nella mattinata la solenne Concelebrazione, durante la quale ha benedetto la nuova lampada votiva, offerta quest’anno alla Madonna dal Comune di Tortorici.

E come ogni anno, la festa giunge a conclusione, ma la luce di Maria non cessa di brillare nella Chiesa. A Lei, concludendo, affidiamo i suoi devoti e tutti i lettori del nostro Bollettino sparsi nel mondo, perché la luce della loro fede risplenda davanti agli uomini e sia resa gloria al Padre che è nei cieli.


tutto il materiale fotografico e scritto e' di pertinenza degli autori raccolto nei loro siti.

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