Anno Sacerdotale 19 giugno 2009 - 11 giugno 2010

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miriam bolfissimo
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Anno Sacerdotale 19 giugno 2009 - 11 giugno 2010

Messaggio da miriam bolfissimo » gio giu 18, 2009 8:40 am

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Miei carissimi tutti, pace e bene! mentre stiamo per salutare l'Anno Paolino si apre domani, solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, l'Anno Sacerdotale, con i vespri nella basilica di san pietro, presieduti dal santo padre.

Accompagniamo in questo tempo di grazia i nostri sacerdoti, sosteniamoli nella preghiera affidandoli al Sacro di Gesù di cui sono Figli specialissimi e operiamo affinché noi possiamo essere per loro gregge fedele....

Un abbraccissimo, miriam bolfissimo ;)
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Anno Sacerdotale 19 giugno 2009 - 11 giugno 2010

Messaggio da miriam bolfissimo » gio giu 18, 2009 8:47 am


  • L’Anno Sacerdotale
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Cari Sacerdoti,

l’Anno Sacerdotale, indetto dal nostro amato Papa Benedetto XVI, per celebrare il 150º anniversario della morte di S. Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato D’Ars, è alle porte. Lo aprirà il Santo Padre il 19 giugno p.v., festa del Sacro Cuore di Gesù e Giornata Mondiale di preghiera per la santificazione dei sacerdoti. L’annunzio di quest’anno speciale ha avuto una ripercussione mondiale positiva, specialmente tra gli stessi sacerdoti. Tutti vogliamo impegnarci, con determinazione, profondità e fervore, affinché sia un anno ampiamente celebrato in tutto il mondo, nelle diocesi, nelle parrocchie, in ogni comunità locale, con il coinvolgimento caloroso del nostro popolo cattolico, che indubbiamente ama i propri sacerdoti e li vuol vedere felici, santi e gioiosi nel lavoro apostolico quotidiano.

Dovrà essere un anno positivo e propositivo, in cui la Chiesa vuol dire innanzitutto ai sacerdoti, ma anche a tutti i cristiani, alla società mondiale, attraverso i massmedia globali, che è fiera dei suoi sacerdoti, li ama, li venera, li ammira e riconosce con gratitudine il loro lavoro pastorale e la loro testimonianza di vita. Davvero, i sacerdoti sono importanti non solo per ciò che fanno, ma anche per ciò che sono. Al contempo, è vero che alcuni sacerdoti sono talora apparsi coinvolti in problemi gravi e situazioni delittuose. Ovviamente, bisogna continuare ad investigarli, giudicarli debitamente e punirli. Questi casi, però, riguardano una percentuale molto piccola del clero. Nella stragrande maggioranza i sacerdoti sono persone molto degne, dedicate al ministero, uomini di preghiera e di carità pastorale, che investono l’intera esistenza nell’attuazione della propria vocazione e missione, spesso con grandi sacrifici personali, ma sempre con amore autentico verso Gesù Cristo, la Chiesa e il popolo, solidali con i poveri e i sofferenti. Perciò, la Chiesa è fiera dei suoi sacerdoti in tutto il mondo.

Quest’anno sia anche un’occasione per un periodo di intenso approfondimento dell’identità sacerdotale, della teologia del sacerdozio cattolico e del senso straordinario della vocazione e della missione dei sacerdoti nella Chiesa e nella società. Ciò richiederà convegni di studio, giornate di riflessione, esercizi spirituali specifici, conferenze e settimane teologiche nelle nostre facoltà ecclesiastiche, ricerche scientifiche e rispettive pubblicazioni.

Il Santo Padre, nel discorso d’indizione, durante l’Assemblea Plenaria della Congregazione per il Clero, il 16 marzo u.s., disse che con quest’anno speciale si vuole “favorire questa tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro ministero”. Perciò deve essere, in modo molto speciale, un anno di preghiera dei sacerdoti, con i sacerdoti e per i sacerdoti, un anno di rinnovamento della spiritualità del presbiterio e dei singoli presbiteri. In questo contesto, l’Eucaristia si presenta come il centro della spiritualità sacerdotale. L’adorazione eucaristica per la santificazione dei sacerdoti e la maternità spirituale di monache, donne consacrate e laiche verso i singoli presbiteri, come già proposte, qualche tempo fa, dalla Congregazione per il Clero, potrebbero essere sviluppate con sicuri frutti di santificazione.

Sia anche un anno in cui si prendono in esame le condizioni concrete ed il sostentamento materiale in cui vivono i nostri sacerdoti, alle volte obbligati a situazioni di dura povertà.

Sia, al contempo, un anno di celebrazioni religiose e pubbliche, che portino il popolo, le comunità cattoliche locali, a pregare, a meditare, a festeggiare e a prestare il giusto omaggio ai loro sacerdoti. La festa nella comunità ecclesiale è un’espressione molto cordiale, che esprime e nutre la gioia cristiana, una gioia che sgorga dalla certezza che Dio ci ama e con noi festeggia. Sarà un’opportunità per sviluppare la comunione e l’amicizia dei sacerdoti con la comunità loro affidata.

Molti altri aspetti ed iniziative potrebbero essere nominati per arricchire l’Anno Sacerdotale. Qui dovrà intervenire la giusta creatività delle Chiese locali. Perciò, è bene che ogni Conferenza Episcopale, ogni diocesi ed ogni parrocchia e comunità locale stabilisca, al più presto possibile, un vero e proprio programma per quest’anno speciale. Ovviamente, sarà molto importante cominciare l’anno con un avvenimento significativo. Nello stesso giorno dell’apertura dell’Anno Sacerdotale a Roma con il Santo Padre, il 19 giugno, le Chiese locali sono invitate a partecipare, in qualche modo, alla inaugurazione, magari con un atto liturgico specifico e festivo. Coloro che potranno venire a Roma per l’apertura, vengano senz’altro, per manifestare la propria partecipazione a questa felice iniziativa del Papa. Dio, senza dubbio, benedirà questo impegno con grande amore. E la Vergine Maria, Regina del Clero, pregherà per tutti voi, cari sacerdoti.
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Anno Sacerdotale 19 giugno 2009 - 11 giugno 2010

Messaggio da miriam bolfissimo » gio giu 18, 2009 8:48 am


Nell'udienza concessa all'assemblea plenaria della Congregazione per il Clero, lo scorso 16 marzo, il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto uno speciale anno sacerdotale, dalla Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, il prossimo 19 giugno, alla stessa ricorrenza del 2010. La Plenaria del Clero ha avuto come tema: «L'identità missionaria del presbitero nella Chiesa, quale dimensione intrinseca dell'esercizio dei tria munera». E in quel contesto il Papa ha ricordato l'indispensabilità della «tensione verso la perfezione morale, che deve abitare ogni cuore autenticamente sacerdotale. Proprio per favorire questa tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l'efficacia del loro ministero» è stato indetto lo speciale Anno dedicato ai sacerdoti.

L'Anno Paolino, la cui chiusura è prevista per il 29 giungo 2009, passerà così idealmente il testimone all'Anno Sacerdotale, in un provvidenziale cammino all'insegna della continuità e del necessario approfondimento di una delle "urgenze" del nostro tempo: la missione. Nel 150mo anniversario del dies natalis di san Giovanni Maria Vianney, il Curato D'Ars, la Chiesa si stringe attorno ai suoi sacerdoti per riscoprirne la feconda presenza e per ridirne, con cristiana letizia, l'essenziale e ontologicamente distinto compito, all'interno della missione universale che giustamente coinvolge tutti i battezzati.

L'Anno Sacerdotale, come voluto dal Santo Padre, non sarà un anno "riservato ai sacerdoti", ma a tutta la Chiesa; in ogni sua componente, essa sarà chiamata a riscoprire, alla luce della tensione missionaria che le è propria, la grandezza del dono che il Signore ha voluto lasciarle con il ministero sacerdotale. Ha ricordato il Papa: «Se l'intera Chiesa è missionaria e se ogni cristiano, in forza del battesimo e della confermazione, quasi ex officio (cfr. CCC, 1305) riceve il mandato di professare pubblicamente la fede, il sacerdozio ministeriale, anche da questo punto di vista, si distingue ontologicamente, e non solo per grado, dal sacerdozio battesimale, detto anche sacerdozio comune» (Benedetto XVI, Discorso alla Plenaria del Clero, 16 marzo 2009).

La forza della missione nasce unicamente da un cuore rinnovato dall'incontro con Cristo risorto, come accaduto all'apostolo Paolo. Un incontro nel quale il Signore Gesù non sia solo conosciuto entusiasticamente o recepito intellettualisticamente, ma sia realmente esperito come l'imprevedibile e straordinariamente affascinante "risposta" del Padre a tutte le attese del cuore ferito dell'uomo, il quale scorge, nella straordinaria presenza umano-divina del Redentore, l'unica adeguata corrispondenza al proprio io, al proprio umano e misteriosamente infinito bisogno di salvezza.

Il cuore di san Paolo, ferito dalla bellezza di Cristo, cosi come il cuore di pastore di san Giovanni Maria Vianney, che il prossimo 19 giugno sarà traslato nella Basilica papale di San Pietro in Vaticano ed esposto alla venerazione di sacerdoti e fedeli laici, testimoniano con travolgente forza quale sia l'origine della missione ecclesiale.

L'Anno Sacerdotale, celebrato in tutte le diocesi del mondo, dovrà essere una feconda occasione per riscoprire l'identità dei sacri ministri, che affonda proprio nel mandato apostolico le proprie radici e che «spinge i sacerdoti a essere presenti, identificabili e riconoscibili sia per il giudizio di fede, sia per le virtù personali, sia anche per l'abito, negli ambiti della cultura e della carità, da sempre al cuore della missione della Chiesa» (ivi). Nella fedeltà all'ininterrotta tradizione ecclesiale e nell'attento ascolto delle esigenze profonde del cuore dell'uomo, si dovrà rispondere concretamente all'invito biblico — «Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti» (Is 35,3) — per continuare a dire, con verità e convinzione colma di fiducia «agli smarriti di cuore: "Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio"» (Is 35,4). Mostrare Dio al mondo: questo è stato il compito dell'apostolo Paolo, questo il compito e il senso profondo del ministero sacerdotale nella Chiesa per il mondo.

La missione, ben lo sapeva san Paolo, e pienamente lo ha vissuto nel proprio ministero di "partecipazione" alla sostituzione vicaria san Giovanni Maria Vianney, ha come "contenuto" e come "metodo" Cristo stesso e la sua salvifica incarnazione. Ha affermato, a tal proposito, il Santo Padre: «Nel mistero dell'incarnazione del Verbo, nel fatto cioè che Dio si è fatto uomo come noi, sta sia il contenuto che il metodo dell'annuncio cristiano»; in tal senso è urgente, con il contributo della preziosa eredità dell'Anno Paolino e del prossimo Anno Sacerdotale, e con l'approfondimento costante della formazione iniziale e permanente del clero, sottrarsi a ogni tentazione di "discontinuità", riscoprendo la bellezza e l'armonia dell'unica storia sacra e salvifica di Dio con gli uomini, attraverso il suo corpo che è la Chiesa e, in essa, dell'unità del compito sacerdotale e apostolico che, ieri, oggi e sempre, è di annunciare la Parola di verità, celebrare quotidianamente e devotamente l'Eucaristia, in obbedienza al comando del Signore (Lc 22,19), e di amministrare l'inestimabile tesoro di grazia della Divina Misericordia.

La felice e provvidenziale iniziativa del Santo Padre di indire un Anno Sacerdotale trova la più ampia, convinta e generosa adesione innanzitutto della Congregazione per il Clero e, poi dell'intero Episcopato mondiale che vede, anche in questa iniziativa, l'occasione propizia per imprimere realmente nuovo vigore alla più urgente di tutte le missioni: la sollecitudine per le vocazioni sacerdotali.

Sarà, allora, un Anno all'insegna della continuità e dell'approfondimento: continuità del guardare con sempre grato stupore alla chiamata apostolica alla missione e approfondimento nello specificare la missione, con l'obiettivo centrato sul ministero sacerdotale.
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Messaggio da miriam bolfissimo » gio giu 18, 2009 8:51 am


  • Decreto della Penitenzieria Apostolica
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È imminente il giorno in cui si commemoreranno i 150 anni dal pio transito in cielo di San Giovanni Maria Vianney, Curato d'Ars, che quaggiù in terra è stato un mirabile modello di vero Pastore al servizio del gregge di Cristo. Poiché il suo esempio è adatto per incitare i fedeli, e principalmente i sacerdoti, ad imitare le sue virtù, il Sommo Pontefice Benedetto XVI ha stabilito che, per questa occasione, dal 19 giugno 2009 al 19 giugno 2010 sia celebrato in tutta la Chiesa uno speciale Anno Sacerdotale, durante il quale i sacerdoti si rafforzino sempre più nella fedeltà a Cristo con pie meditazioni, sacri esercizi ed altre opportune opere.

Questo sacro periodo avrà inizio con la solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, giornata di santificazione sacerdotale, quando il Sommo Pontefice celebrerà i Vespri al cospetto delle sacre reliquie di San Giovanni Maria Vianney, portate a Roma dall'Ecc.mo Vescovo di Belley-Ars. Sempre il Beatissimo Padre concluderà l'Anno Sacerdotale in piazza San Pietro, alla presenza di sacerdoti provenienti da tutto il mondo, che rinnoveranno la fedeltà a Cristo e il vincolo di fraternità. I sacerdoti si impegnino, con preghiere e buone opere, per ottenere dal Sommo ed Eterno Sacerdote Cristo la grazia di risplendere con la Fede, la Speranza, la Carità e le altre virtù, e mostrino con la condotta di vita, ma anche con l'aspetto esteriore, di essere pienamente dediti al bene spirituale del popolo; ciò che sopra ogni altra cosa la Chiesa ha sempre tenuto a cuore.

Per conseguire al meglio il fine desiderato, gioverà molto il dono delle Sacre Indulgenze, che la Penitenzieria Apostolica, con il presente Decreto emesso in conformità al volere dell'Augusto Pontefice, benignamente elargisce durante l'Anno Sacerdotale:

A.- Ai sacerdoti veramente pentiti, che in qualsiasi giorno devotamente reciteranno almeno le Lodi mattutine o i Vespri davanti al Santissimo Sacramento, esposto alla pubblica adorazione o riposto nel tabernacolo, e, sull'esempio di San Giovanni Maria Vianney, si offriranno con animo pronto e generoso alla celebrazione dei sacramenti, soprattutto della Confessione, viene impartita misericordiosamente in Dio l'Indulgenza plenaria, che potranno anche applicare ai confratelli defunti a modo di suffragio, se, in conformità alle disposizioni vigenti, si accosteranno alla confessione sacramentale e al Convivio eucaristico, e se pregheranno secondo le intenzioni del Sommo Pontefice. Ai sacerdoti viene inoltre concessa l'Indulgenza parziale, anche applicabile ai confratelli defunti, ogni qual volta reciteranno devotamente preghiere debitamente approvate per condurre una vita santa e per adempiere santamente agli uffici a loro affidati.

B.- A tutti i fedeli veramente pentiti che in chiesa o in oratorio, assisteranno devotamente al divino Sacrificio della Messa e offriranno, per i sacerdoti della Chiesa, preghiere a Gesù Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, e qualsiasi opera buona compiuta in quel giorno, affinché li santifichi e li plasmi secondo il Suo Cuore, è concessa l'Indulgenza plenaria, purché abbiano espiato i propri peccati con la penitenza sacramentale ed innalzato preghiere secondo l'intenzione del Sommo Pontefice: nei giorni in cui si apre e si chiude l'Anno Sacerdotale, nel giorno del 150° anniversario del pio transito di San Giovanni Maria Vianney, nel primo giovedì del mese o in qualche altro giorno stabilito dagli Ordinari dei luoghi per l'utilità dei fedeli. Sarà molto opportuno che, nelle chiese cattedrali e parrocchiali, siano gli stessi sacerdoti preposti alla cura pastorale a dirigere pubblicamente questi esercizi di pietà, celebrare la Santa Messa e confessare i fedeli.

Agli anziani, ai malati, e a tutti quelli che per legittimi motivi non possano uscire di casa, con l'animo distaccato da qualsiasi peccato e con l'intenzione di adempiere, non appena possibile, le tre solite condizioni, nella propria casa o là dove l'impedimento li trattiene, verrà ugualmente elargita l'Indulgenza plenaria se, nei giorni sopra determinati, reciteranno preghiere per la santificazione dei sacerdoti, e offriranno con fiducia a Dio per mezzo di Maria, Regina degli Apostoli, le malattie e i disagi della loro vita. È concessa, infine, l'Indulgenza parziale a tutti i fedeli ogni qual volta reciteranno devotamente cinque Padre Nostro, Ave Maria e Gloria, o altra preghiera appositamente approvata, in onore del Sacratissimo Cuore di Gesù, per ottenere che i sacerdoti si conservino in purezza e santità di vita.

Il presente Decreto è valido per tutta la durata dell'Anno Sacerdotale. Nonostante qualsiasi disposizione contraria. Dato in Roma, dalla sede della Penitenzieria Apostolica, il 25 aprile, festa di San Marco Evangelista, anno dell'Incarnazione del Signore 2009.
  • cardinale James Francis Stafford, penitenziere maggiore
    monsignor Gianfranco Giretti ofm conv., reggente
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven giu 19, 2009 11:20 am


  • Il Sacerdozio è l'amore del cuore di Gesù
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Cari fratelli nel Sacerdozio,

nella prossima solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, venerdì 19 giugno 2009 - giornata tradizionalmente dedicata alla preghiera per la santificazione del clero -, ho pensato di indire ufficialmente un "Anno Sacerdotale" in occasione del 150° anniversario del "dies natalis" di Giovanni Maria Vianney, il Santo Patrono di tutti i parroci del mondo. Tale anno, che vuole contribuire a promuovere l'impegno d'interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi, si concluderà nella stessa solennità del 2010.

"Il Sacerdozio è l'amore del cuore di Gesù", soleva dire il Santo Curato d'Ars. Questa toccante espressione ci permette anzitutto di evocare con tenerezza e riconoscenza l'immenso dono che i sacerdoti costituiscono non solo per la Chiesa, ma anche per la stessa umanità. Penso a tutti quei presbiteri che offrono ai fedeli cristiani e al mondo intero l'umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo, cercando di aderire a Lui con i pensieri, la volontà, i sentimenti e lo stile di tutta la propria esistenza. Come non sottolineare le loro fatiche apostoliche, il loro servizio infaticabile e nascosto, la loro carità tendenzialmente universale? E che dire della fedeltà coraggiosa di tanti sacerdoti che, pur tra difficoltà e incomprensioni, restano fedeli alla loro vocazione: quella di "amici di Cristo", da Lui particolarmente chiamati, prescelti e inviati?

Io stesso porto ancora nel cuore il ricordo del primo parroco accanto al quale esercitai il mio ministero di giovane prete: egli mi lasciò l'esempio di una dedizione senza riserve al proprio servizio pastorale, fino a trovare la morte nell'atto stesso in cui portava il viatico a un malato grave. Tornano poi alla mia memoria gli innumerevoli confratelli che ho incontrato e che continuo ad incontrare, anche durante i miei viaggi pastorali nelle diverse nazioni, generosamente impegnati nel quotidiano esercizio del loro ministero sacerdotale. Ma l'espressione usata dal Santo Curato evoca anche la trafittura del Cuore di Cristo e la corona di spine che lo avvolge. Il pensiero va, di conseguenza, alle innumerevoli situazioni di sofferenza in cui molti sacerdoti sono coinvolti, sia perché partecipi dell'esperienza umana del dolore nella molteplicità del suo manifestarsi, sia perché incompresi dagli stessi destinatari del loro ministero: come non ricordare i tanti sacerdoti offesi nella loro dignità, impediti nella loro missione, a volte anche perseguitati fino alla suprema testimonianza del sangue?

Ci sono, purtroppo, anche situazioni, mai abbastanza deplorate, in cui è la Chiesa stessa a soffrire per l'infedeltà di alcuni suoi ministri. È il mondo a trarne allora motivo di scandalo e di rifiuto. Ciò che massimamente può giovare in tali casi alla Chiesa non è tanto la puntigliosa rilevazione delle debolezze dei suoi ministri, quanto una rinnovata e lieta coscienza della grandezza del dono di Dio, concretizzato in splendide figure di generosi Pastori, di Religiosi ardenti di amore per Dio e per le anime, di Direttori spirituali illuminati e pazienti.

A questo proposito, gli insegnamenti e gli esempi di san Giovanni Maria Vianney possono offrire a tutti un significativo punto di riferimento: il Curato d'Ars era umilissimo, ma consapevole, in quanto prete, d'essere un dono immenso per la sua gente: "Un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina". Parlava del sacerdozio come se non riuscisse a capacitarsi della grandezza del dono e del compito affidati ad una creatura umana: "Oh come il prete è grande!... Se egli si comprendesse, morirebbe... Dio gli obbedisce: egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce e si rinchiude in una piccola ostia...". E spiegando ai suoi fedeli l'importanza dei sacramenti diceva: "Tolto il sacramento dell'Ordine, noi non avremmo il Signore. Chi lo ha riposto là in quel tabernacolo? Il sacerdote. Chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita? Il sacerdote. Chi la nutre per darle la forza di compiere il suo pellegrinaggio? Il sacerdote. Chi la preparerà a comparire innanzi a Dio, lavandola per l'ultima volta nel sangue di Gesù Cristo? Il sacerdote, sempre il sacerdote. E se quest'anima viene a morire [per il peccato], chi la risusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora il sacerdote... Dopo Dio, il sacerdote è tutto!... Lui stesso non si capirà bene che in cielo".

Queste affermazioni, nate dal cuore sacerdotale del santo parroco, possono apparire eccessive. In esse, tuttavia, si rivela l'altissima considerazione in cui egli teneva il sacramento del sacerdozio. Sembrava sopraffatto da uno sconfinato senso di responsabilità: "Se comprendessimo bene che cos'è un prete sulla terra, moriremmo: non di spavento, ma di amore... Senza il prete la morte e la passione di Nostro Signore non servirebbero a niente. È il prete che continua l'opera della Redenzione sulla terra... Che ci gioverebbe una casa piena d'oro se non ci fosse nessuno che ce ne apre la porta? Il prete possiede la chiave dei tesori celesti: è lui che apre la porta; egli è l'economo del buon Dio; l'amministratore dei suoi beni... Lasciate una parrocchia, per vent'anni, senza prete, vi si adoreranno le bestie... Il prete non è prete per sé, lo è per voi".

Era giunto ad Ars, un piccolo villaggio di 230 abitanti, preavvertito dal Vescovo che avrebbe trovato una situazione religiosamente precaria: "Non c'è molto amor di Dio in quella parrocchia; voi ce ne metterete". Era, di conseguenza, pienamente consapevole che doveva andarvi ad incarnare la presenza di Cristo, testimoniandone la tenerezza salvifica: "[Mio Dio], accordatemi la conversione della mia parrocchia; accetto di soffrire tutto quello che vorrete per tutto il tempo della mia vita!", fu con questa preghiera che iniziò la sua missione. Alla conversione della sua parrocchia il Santo Curato si dedicò con tutte le sue energie, ponendo in cima ad ogni suo pensiero la formazione cristiana del popolo a lui affidato.

Cari fratelli nel Sacerdozio, chiediamo al Signore Gesù la grazia di poter apprendere anche noi il metodo pastorale di san Giovanni Maria Vianney! Ciò che per prima cosa dobbiamo imparare è la sua totale identificazione col proprio ministero. In Gesù, Persona e Missione tendono a coincidere: tutta la sua azione salvifica era ed è espressione del suo "Io filiale" che, da tutta l'eternità, sta davanti al Padre in atteggiamento di amorosa sottomissione alla sua volontà. Con umile ma vera analogia, anche il sacerdote deve anelare a questa identificazione. Non si tratta certo di dimenticare che l'efficacia sostanziale del ministero resta indipendente dalla santità del ministro; ma non si può neppure trascurare la straordinaria fruttuosità generata dall'incontro tra la santità oggettiva del ministero e quella soggettiva del ministro. Il Curato d'Ars iniziò subito quest'umile e paziente lavoro di armonizzazione tra la sua vita di ministro e la santità del ministero a lui affidato, decidendo di "abitare" perfino materialmente nella sua chiesa parrocchiale: "Appena arrivato egli scelse la chiesa a sua dimora... Entrava in chiesa prima dell'aurora e non ne usciva che dopo l'Angelus della sera. Là si doveva cercarlo quando si aveva bisogno di lui", si legge nella prima biografia.

L'esagerazione devota del pio agiografo non deve farci trascurare il fatto che il Santo Curato seppe anche "abitare" attivamente in tutto il territorio della sua parrocchia: visitava sistematicamente gli ammalati e le famiglie; organizzava missioni popolari e feste patronali; raccoglieva ed amministrava denaro per le sue opere caritative e missionarie; abbelliva la sua chiesa e la dotava di arredi sacri; si occupava delle orfanelle della "Providence" (un istituto da lui fondato) e delle loro educatrici; si interessava dell'istruzione dei bambini; fondava confraternite e chiamava i laici a collaborare con lui.

Il suo esempio mi induce a evidenziare gli spazi di collaborazione che è doveroso estendere sempre più ai fedeli laici, coi quali i presbiteri formano l'unico popolo sacerdotale e in mezzo ai quali, in virtù del sacerdozio ministeriale, si trovano "per condurre tutti all'unità della carità, amandosi l'un l'altro con la carità fraterna, prevenendosi a vicenda nella deferenza" (Rm 12, 10)". È da ricordare, in questo contesto, il caloroso invito con il quale il Concilio Vaticano II incoraggia i presbiteri a "riconoscere e promuovere sinceramente la dignità dei laici, nonché il loro ruolo specifico nell'ambito della missione della Chiesa... Siano pronti ad ascoltare il parere dei laici, considerando con interesse fraterno le loro aspirazioni e giovandosi della loro esperienza e competenza nei diversi campi dell'attività umana, in modo da poter insieme a loro riconoscere i segni dei tempi".

Ai suoi parrocchiani il Santo Curato insegnava soprattutto con la testimonianza della vita. Dal suo esempio i fedeli imparavano a pregare, sostando volentieri davanti al tabernacolo per una visita a Gesù Eucaristia. "Non c'è bisogno di parlar molto per ben pregare - spiegava loro il Curato -. Si sa che Gesù è là, nel santo tabernacolo: apriamogli il nostro cuore, rallegriamoci della sua santa presenza. È questa la migliore preghiera". Ed esortava: "Venite alla comunione, fratelli miei, venite da Gesù. Venite a vivere di Lui per poter vivere con Lui...". "È vero che non ne siete degni, ma ne avete bisogno!". Tale educazione dei fedeli alla presenza eucaristica e alla comunione acquistava un'efficacia particolarissima, quando i fedeli lo vedevano celebrare il Santo Sacrificio della Messa. Chi vi assisteva diceva che "non era possibile trovare una figura che meglio esprimesse l'adorazione... Contemplava l'Ostia amorosamente". "Tutte le buone opere riunite non equivalgono al sacrificio della Messa, perché quelle sono opere di uomini, mentre la Santa Messa è opera di Dio", diceva. Era convinto che dalla Messa dipendesse tutto il fervore della vita di un prete: "La causa della rilassatezza del sacerdote è che non fa attenzione alla Messa! Mio Dio, come è da compiangere un prete che celebra come se facesse una cosa ordinaria!". Ed aveva preso l'abitudine di offrire sempre, celebrando, anche il sacrificio della propria vita: "Come fa bene un prete ad offrirsi a Dio in sacrificio tutte le mattine!".

Questa immedesimazione personale al Sacrificio della Croce lo conduceva - con un solo movimento interiore - dall'altare al confessionale. I sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli nei riguardi di questo sacramento. Al tempo del Santo Curato, in Francia, la confessione non era né più facile, né più frequente che ai nostri giorni, dato che la tormenta rivoluzionaria aveva soffocato a lungo la pratica religiosa. Ma egli cercò in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai suoi parrocchiani il significato e la bellezza della Penitenza sacramentale, mostrandola come un'esigenza intima della Presenza eucaristica. Seppe così dare il via a un circolo virtuoso. Con le lunghe permanenze in chiesa davanti al tabernacolo fece sì che i fedeli cominciassero ad imitarlo, recandovisi per visitare Gesù, e fossero, al tempo stesso, sicuri di trovarvi il loro parroco, disponibile all'ascolto e al perdono. In seguito, fu la folla crescente dei penitenti, provenienti da tutta la Francia, a trattenerlo nel confessionale fino a 16 ore al giorno. Si diceva allora che Ars era diventata "il grande ospedale delle anime". "La grazia che egli otteneva [per la conversione dei peccatori] era sì forte che essa andava a cercarli senza lasciar loro un momento di tregua!", dice il primo biografo. Il Santo Curato non la pensava diversamente, quando diceva: "Non è il peccatore che ritorna a Dio per domandargli perdono, ma è Dio stesso che corre dietro al peccatore e lo fa tornare a Lui". "Questo buon Salvatore è così colmo d'amore che ci cerca dappertutto".

Tutti noi sacerdoti dovremmo sentire che ci riguardano personalmente quelle parole che egli metteva in bocca a Cristo: "Incaricherò i miei ministri di annunciare ai peccatori che sono sempre pronto a riceverli, che la mia misericordia è infinita". Dal Santo Curato d'Ars noi sacerdoti possiamo imparare non solo un'inesauribile fiducia nel sacramento della Penitenza che ci spinga a rimetterlo al centro delle nostre preoccupazioni pastorali, ma anche il metodo del "dialogo di salvezza" che in esso si deve svolgere. Il Curato d'Ars aveva una maniera diversa di atteggiarsi con i vari penitenti. Chi veniva al suo confessionale attratto da un intimo e umile bisogno del perdono di Dio, trovava in lui l'incoraggiamento ad immergersi nel "torrente della divina misericordia" che trascina via tutto nel suo impeto. E se qualcuno era afflitto al pensiero della propria debolezza e incostanza, timoroso di future ricadute, il Curato gli rivelava il segreto di Dio con un'espressione di toccante bellezza: "Il buon Dio sa tutto. Prima ancora che voi vi confessiate, sa già che peccherete ancora e tuttavia vi perdona. Come è grande l'amore del nostro Dio che si spinge fino a dimenticare volontariamente l'avvenire, pur di perdonarci!". A chi, invece, si accusava in maniera tiepida e quasi indifferente, offriva, attraverso le sue stesse lacrime, la seria e sofferta evidenza di quanto quell'atteggiamento fosse "abominevole": "Piango perché voi non piangete", diceva. "Se almeno il Signore non fosse così buono! Ma è così buono! Bisogna essere barbari a comportarsi così davanti a un Padre così buono!". Faceva nascere il pentimento nel cuore dei tiepidi, costringendoli a vedere, con i propri occhi, la sofferenza di Dio per i peccati quasi "incarnata" nel volto del prete che li confessava. A chi, invece, si presentava già desideroso e capace di una più profonda vita spirituale, spalancava le profondità dell'amore, spiegando l'indicibile bellezza di poter vivere uniti a Dio e alla sua presenza: "Tutto sotto gli occhi di Dio, tutto con Dio, tutto per piacere a Dio... Com'è bello!". E insegnava loro a pregare: "Mio Dio, fammi la grazia di amarti tanto quanto è possibile che io t'ami".

Il Curato d'Ars, nel suo tempo, ha saputo trasformare il cuore e la vita di tante persone, perché è riuscito a far loro percepire l'amore misericordioso del Signore. Urge anche nel nostro tempo un simile annuncio e una simile testimonianza della verità dell'Amore: Deus caritas est (1 Gv 4, 8). Con la Parola e con i Sacramenti del suo Gesù, Giovanni Maria Vianney sapeva edificare il suo popolo, anche se spesso fremeva convinto della sua personale inadeguatezza, al punto da desiderare più volte di sottrarsi alle responsabilità del ministero parrocchiale di cui si sentiva indegno. Tuttavia con esemplare obbedienza restò sempre al suo posto, perché lo divorava la passione apostolica per la salvezza delle anime. Cercava di aderire totalmente alla propria vocazione e missione mediante un'ascesi severa: "La grande sventura per noi parroci - deplorava il Santo - è che l'anima si intorpidisce"; ed intendeva con questo un pericoloso assuefarsi del pastore allo stato di peccato o di indifferenza in cui vivono tante sue pecorelle. Egli teneva a freno il corpo, con veglie e digiuni, per evitare che opponesse resistenze alla sua anima sacerdotale. E non rifuggiva dal mortificare se stesso a bene delle anime che gli erano affidate e per contribuire all'espiazione dei tanti peccati ascoltati in confessione. Spiegava ad un confratello sacerdote: "Vi dirò qual è la mia ricetta: dò ai peccatori una penitenza piccola e il resto lo faccio io al loro posto". Al di là delle concrete penitenze a cui il Curato d'Ars si sottoponeva, resta comunque valido per tutti il nucleo del suo insegnamento: le anime costano il sangue di Gesù e il sacerdote non può dedicarsi alla loro salvezza se rifiuta di partecipare personalmente al "caro prezzo" della redenzione.

Nel mondo di oggi, come nei difficili tempi del Curato d'Ars, occorre che i presbiteri nella loro vita e azione si distinguano per una forte testimonianza evangelica. Ha giustamente osservato Paolo VI: "L'uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni". Perché non nasca un vuoto esistenziale in noi e non sia compromessa l'efficacia del nostro ministero, occorre che ci interroghiamo sempre di nuovo: "Siamo veramente pervasi dalla Parola di Dio? È vero che essa è il nutrimento di cui viviamo, più di quanto lo siano il pane e le cose di questo mondo? La conosciamo davvero? La amiamo? Ci occupiamo interiormente di questa Parola al punto che essa realmente dia un'impronta alla nostra vita e formi il nostro pensiero?". Come Gesù chiamò i Dodici perché stessero con Lui (cfr Mc 3, 14) e solo dopo li mandò a predicare, così anche ai giorni nostri i sacerdoti sono chiamati ad assimilare quel "nuovo stile di vita" che è stato inaugurato dal Signore Gesù ed è stato fatto proprio dagli Apostoli.

Fu proprio l'adesione senza riserve a questo "nuovo stile di vita" che caratterizzò l'impegno ministeriale del Curato d'Ars. Il Papa Giovanni XXIII nella Lettera enciclica Sacerdotii nostri primordia, pubblicata nel 1959, primo centenario della morte di san Giovanni Maria Vianney, ne presentava la fisionomia ascetica con particolare riferimento al tema dei "tre consigli evangelici", giudicati necessari anche per i presbiteri: "Se, per raggiungere questa santità di vita, la pratica dei consigli evangelici non è imposta al sacerdote in virtù dello stato clericale, essa si presenta nondimeno a lui, come a tutti i discepoli del Signore, come la via regolare della santificazione cristiana". Il Curato d'Ars seppe vivere i "consigli evangelici" nelle modalità adatte alla sua condizione di presbitero.

La sua povertà, infatti, non fu quella di un religioso o di un monaco, ma quella richiesta ad un prete: pur maneggiando molto denaro (dato che i pellegrini più facoltosi non mancavano di interessarsi alle sue opere di carità), egli sapeva che tutto era donato alla sua chiesa, ai suoi poveri, ai suoi orfanelli, alle ragazze della sua "Providence", alle sue famiglie più disagiate. Perciò egli "era ricco per dare agli altri ed era molto povero per se stesso". Spiegava: "Il mio segreto è semplice: dare tutto e non conservare niente". Quando si trovava con le mani vuote, ai poveri che si rivolgevano a lui diceva contento: "Oggi sono povero come voi, sono uno dei vostri". Così, alla fine della vita, poté affermare con assoluta serenità: "Non ho più niente. Il buon Dio ora può chiamarmi quando vuole!".

Anche la sua castità era quella richiesta a un prete per il suo ministero. Si può dire che era la castità conveniente a chi deve toccare abitualmente l'Eucaristia e abitualmente la guarda con tutto il trasporto del cuore e con lo stesso trasporto la dona ai suoi fedeli. Dicevano di lui che "la castità brillava nel suo sguardo", e i fedeli se ne accorgevano quando egli si volgeva a guardare il tabernacolo con gli occhi di un innamorato.

Anche l'obbedienza di san Giovanni Maria Vianney fu tutta incarnata nella sofferta adesione alle quotidiane esigenze del suo ministero. È noto quanto egli fosse tormentato dal pensiero della propria inadeguatezza al ministero parrocchiale e dal desiderio di fuggire "a piangere la sua povera vita, in solitudine". Solo l'obbedienza e la passione per le anime riuscivano a convincerlo a restare al suo posto. A se stesso e ai suoi fedeli spiegava: "Non ci sono due maniere buone di servire Dio. Ce n'è una sola: servirlo come lui vuole essere servito". La regola d'oro per una vita obbediente gli sembrava questa: "Fare solo ciò che può essere offerto al buon Dio".

Nel contesto della spiritualità alimentata dalla pratica dei consigli evangelici, mi è caro rivolgere ai sacerdoti, in quest'Anno a loro dedicato, un particolare invito a saper cogliere la nuova primavera che lo Spirito sta suscitando ai giorni nostri nella Chiesa, non per ultimo attraverso i Movimenti ecclesiali e le nuove Comunità. "Lo Spirito nei suoi doni è multiforme... Egli soffia dove vuole. Lo fa in modo inaspettato, in luoghi inaspettati e in forme prima non immaginate... ma ci dimostra anche che Egli opera in vista dell'unico Corpo e nell'unità dell'unico Corpo". A questo proposito, vale l'indicazione del Decreto Presbyterorum ordinis: "Sapendo discernere quali spiriti abbiano origine da Dio, (i presbiteri) devono scoprire con senso di fede i carismi, sia umili che eccelsi, che sotto molteplici forme sono concessi ai laici, devono ammetterli con gioia e fomentarli con diligenza". Tali doni che spingono non pochi a una vita spirituale più elevata, possono giovare non solo per i fedeli laici ma per gli stessi ministri. Dalla comunione tra ministri ordinati e carismi, infatti, può scaturire "un valido impulso per un rinnovato impegno della Chiesa nell'annuncio e nella testimonianza del Vangelo della speranza e della carità in ogni angolo del mondo".

Vorrei inoltre aggiungere, sulla scorta dell'Esortazione apostolica Pastores dabo vobis del Papa Giovanni Paolo II, che il ministero ordinato ha una radicale "forma comunitaria" e può essere assolto solo nella comunione dei presbiteri con il loro Vescovo. Occorre che questa comunione fra i sacerdoti e col proprio Vescovo, basata sul sacramento dell'Ordine e manifestata nella concelebrazione eucaristica, si traduca nelle diverse forme concrete di una fraternità sacerdotale effettiva ed affettiva. Solo così i sacerdoti sapranno vivere in pienezza il dono del celibato e saranno capaci di far fiorire comunità cristiane nelle quali si ripetano i prodigi della prima predicazione del Vangelo.

L'Anno Paolino che volge al termine orienta il nostro pensiero anche verso l'Apostolo delle genti, nel quale rifulge davanti ai nostri occhi uno splendido modello di sacerdote, totalmente "donato" al suo ministero. "L'amore del Cristo ci possiede - egli scriveva - e noi sappiamo bene che uno è morto per tutti, dunque tutti sono morti" (2 Cor 5, 14). Ed aggiungeva: "Egli è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risorto per loro" (2 Cor 5, 15). Quale programma migliore potrebbe essere proposto ad un sacerdote impegnato ad avanzare sulla strada della perfezione cristiana?

Cari sacerdoti, la celebrazione del 150° anniversario della morte di san Giovanni Maria Vianney (1859) segue immediatamente le celebrazioni appena concluse del 150° anniversario delle apparizioni di Lourdes (1858). Già nel 1959 il beato Papa Giovanni XXIII aveva osservato: "Poco prima che il Curato d'Ars concludesse la sua lunga carriera piena di meriti, la Vergine Immacolata era apparsa, in un'altra regione di Francia, ad una fanciulla umile e pura, per trasmetterle un messaggio di preghiera e di penitenza, di cui è ben nota, da un secolo, l'immensa risonanza spirituale. In realtà la vita del santo sacerdote, di cui celebriamo il ricordo, era in anticipo un'illustrazione vivente delle grandi verità soprannaturali insegnate alla veggente di Massabielle. Egli stesso aveva per l'Immacolata Concezione della Santissima Vergine una vivissima devozione, lui che nel 1836 aveva consacrato la sua parrocchia a Maria concepita senza peccato, e doveva accogliere con tanta fede e gioia la definizione dogmatica del 1854". Il Santo Curato ricordava sempre ai suoi fedeli che "Gesù Cristo dopo averci dato tutto quello che ci poteva dare, vuole ancora farci eredi di quanto egli ha di più prezioso, vale a dire della sua Santa Madre".

Alla Vergine Santissima affido questo Anno Sacerdotale, chiedendole di suscitare nell'animo di ogni presbitero un generoso rilancio di quegli ideali di totale donazione a Cristo ed alla Chiesa che ispirarono il pensiero e l'azione del Santo Curato d'Ars. Con la sua fervente vita di preghiera e il suo appassionato amore a Gesù crocifisso Giovanni Maria Vianney alimentò la sua quotidiana donazione senza riserve a Dio e alla Chiesa. Possa il suo esempio suscitare nei sacerdoti quella testimonianza di unità con il Vescovo, tra loro e con i laici che è, oggi come sempre, tanto necessaria. Nonostante il male che vi è nel mondo, risuona sempre attuale la parola di Cristo ai suoi Apostoli nel Cenacolo: "Nel mondo avrete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo" (Gv 16, 33). La fede nel Maestro divino ci dà la forza per guardare con fiducia al futuro. Cari sacerdoti, Cristo conta su di voi. Sull'esempio del Santo Curato d'Ars, lasciatevi conquistare da Lui e sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace!
  • Con la mia benedizione.
    Dal Vaticano, 16 giugno 2009, Benedetto PP XVI
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Anno Sacerdotale 19 giugno 2009 - 11 giugno 2010

Messaggio da miriam bolfissimo » lun giu 22, 2009 2:40 pm


  • Omelia del Santo Padre Benedetto XVI all'apertura dell’Anno Sacerdotale
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Cari fratelli e sorelle,

nell'antifona al Magnificat tra poco canteremo: "Il Signore ci ha accolti nel suo cuore - Suscepit nos Dominus in sinum et cor suum". Nell'Antico Testamento si parla 26 volte del cuore di Dio, considerato come l'organo della sua volontà: rispetto al cuore di Dio l'uomo viene giudicato. A causa del dolore che il suo cuore prova per i peccati dell'uomo, Iddio decide il diluvio, ma poi si commuove dinanzi alla debolezza umana e perdona. C'è poi un passo veterotestamentario nel quale il tema del cuore di Dio si trova espresso in modo assolutamente chiaro: è nel capitolo 11 del libro del profeta Osea, dove i primi versetti descrivono la dimensione dell'amore con cui il Signore si è rivolto ad Israele all'alba della sua storia: "Quando Israele era fanciullo, io l'ho amato e dall'Egitto ho chiamato mio figlio" (v. 1). In verità, all'instancabile predilezione divina, Israele risponde con indifferenza e addirittura con ingratitudine. "Più li chiamavo - è costretto a constatare il Signore -, più si allontanavano da me" (v. 2). Tuttavia Egli mai abbandona Israele nelle mani dei nemici, perché "il mio cuore - osserva il Creatore dell'universo - si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione" (v. 8).

Il cuore di Dio freme di compassione! Nell'odierna solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, la Chiesa offre alla nostra contemplazione questo mistero, il mistero del cuore di un Dio che si commuove e riversa tutto il suo amore sull'umanità. Un amore misterioso, che nei testi del Nuovo Testamento ci viene rivelato come incommensurabile passione di Dio per l'uomo. Egli non si arrende dinanzi all'ingratitudine e nemmeno davanti al rifiuto del popolo che si è scelto; anzi, con infinita misericordia, invia nel mondo l'Unigenito suo Figlio perché prenda su di sé il destino dell'amore distrutto; perché, sconfiggendo il potere del male e della morte, possa restituire dignità di figli agli esseri umani resi schiavi dal peccato. Tutto questo a caro prezzo: il Figlio Unigenito del Padre si immola sulla croce: "Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine" (cfr. Gv 13, 1). Simbolo di tale amore che va oltre la morte è il suo fianco squarciato da una lancia. A tale riguardo, il testimone oculare, l'apostolo Giovanni, afferma: "Uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue ed acqua" (cfr. Gv 19, 34).

Cari fratelli e sorelle, grazie perché, rispondendo al mio invito, siete venuti numerosi a questa celebrazione con cui entriamo nell'Anno Sacerdotale. Saluto i Signori Cardinali e i Vescovi, in particolare il Cardinale Prefetto e il Segretario della Congregazione per il Clero con i loro collaboratori, ed il Vescovo di Ars. Saluto i sacerdoti e i seminaristi dei vari seminari e collegi di Roma; i religiosi e le religiose e tutti i fedeli. Un saluto speciale rivolgo a Sua Beatitudine Ignace Youssef Younan, Patriarca di Antiochia dei Siri, venuto a Roma per incontrarmi e significare pubblicamente l'"ecclesiastica communio" che gli ho concesso.

Cari fratelli e sorelle, fermiamoci insieme a contemplare il Cuore trafitto del Crocifisso. Abbiamo ascoltato ancora una volta, poco fa, nella breve lettura tratta dalla Lettera di san Paolo agli Efesini, che "Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatti rivivere con Cristo... Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli, in Cristo Gesù" (Ef 2, 4-6). Essere in Cristo Gesù è già sedere nei cieli. Nel Cuore di Gesù è espresso il nucleo essenziale del cristianesimo; in Cristo ci è stata rivelata e donata tutta la novità rivoluzionaria del Vangelo: l'Amore che ci salva e ci fa vivere già nell'eternità di Dio. Scrive l'evangelista Giovanni: "Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio Unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna" (3, 16). Il suo Cuore divino chiama allora il nostro cuore; ci invita ad uscire da noi stessi, ad abbandonare le nostre sicurezze umane per fidarci di Lui e, seguendo il suo esempio, a fare di noi stessi un dono di amore senza riserve.

Se è vero che l'invito di Gesù a "rimanere nel suo amore" (cfr. Gv 15, 9) è per ogni battezzato, nella festa del Sacro Cuore di Gesù, Giornata di santificazione sacerdotale, tale invito risuona con maggiore forza per noi sacerdoti, in particolare questa sera, solenne inizio dell'Anno Sacerdotale, da me voluto in occasione del 150° anniversario della morte del Santo Curato d'Ars. Mi viene subito alla mente una sua bella e commovente affermazione, riportata nel Catechismo della Chiesa Cattolica: "Il sacerdozio è l'amore del Cuore di Gesù" (n. 1589). Come non ricordare con commozione che direttamente da questo Cuore è scaturito il dono del nostro ministero sacerdotale? Come dimenticare che noi presbiteri siamo stati consacrati per servire, umilmente e autorevolmente, il sacerdozio comune dei fedeli? La nostra è una missione indispensabile per la Chiesa e per il mondo, che domanda fedeltà piena a Cristo ed incessante unione con Lui; questo rimanere nel suo amore esige cioè che tendiamo costantemente alla santità, a questo rimanere come ha fatto san Giovanni Maria Vianney.

Nella Lettera a voi indirizzata per questo speciale anno giubilare, cari fratelli sacerdoti, ho voluto porre in luce alcuni aspetti qualificanti del nostro ministero, facendo riferimento all'esempio e all'insegnamento del Santo Curato di Ars, modello e protettore di tutti noi sacerdoti, e in particolare dei parroci. Che questo mio scritto vi sia di aiuto e di incoraggiamento a fare di questo anno un'occasione propizia per crescere nell'intimità con Gesù, che conta su di noi, suoi ministri, per diffondere e consolidare il suo Regno, per diffondere il suo amore, la sua verità. E pertanto, "sull'esempio del Santo Curato d'Ars - così concludevo la mia Lettera - lasciatevi conquistare da Lui e sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace".

Lasciarsi conquistare pienamente da Cristo! Questo è stato lo scopo di tutta la vita di san Paolo, al quale abbiamo rivolto la nostra attenzione durante l'Anno Paolino che si avvia ormai verso la sua conclusione; questa è stata la meta di tutto il ministero del Santo Curato d'Ars, che invocheremo particolarmente durante l'Anno Sacerdotale; questo sia anche l'obiettivo principale di ognuno di noi. Per essere ministri al servizio del Vangelo, è certamente utile e necessario lo studio con una accurata e permanente formazione teologica e pastorale, ma è ancor più necessaria quella "scienza dell'amore" che si apprende solo nel "cuore a cuore" con Cristo. È Lui infatti a chiamarci per spezzare il pane del suo amore, per rimettere i peccati e per guidare il gregge in nome suo. Proprio per questo non dobbiamo mai allontanarci dalla sorgente dell'Amore che è il suo Cuore trafitto sulla croce.

Solo così saremo in grado di cooperare efficacemente al misterioso "disegno del Padre" che consiste nel "fare di Cristo il cuore del mondo"! Disegno che si realizza nella storia, man mano che Gesù diviene il Cuore dei cuori umani, iniziando da coloro che sono chiamati a stargli più vicini, i sacerdoti appunto. Ci richiamano a questo costante impegno le "promesse sacerdotali", che abbiamo pronunciato il giorno della nostra Ordinazione e che rinnoviamo ogni anno, il Giovedì Santo, nella Messa Crismale. Perfino le nostre carenze, i nostri limiti e debolezze devono ricondurci al Cuore di Gesù. Se infatti è vero che i peccatori, contemplandoLo, devono apprendere da Lui il necessario "dolore dei peccati" che li riconduca al Padre, questo vale ancor più per i sacri ministri. Come dimenticare, in proposito, che nulla fa soffrire tanto la Chiesa, Corpo di Cristo, quanto i peccati dei suoi pastori, soprattutto di quelli che si tramutano in "ladri delle pecore" (Gv 10, 1ss), o perché le deviano con le loro private dottrine, o perché le stringono con lacci di peccato e di morte? Anche per noi, cari sacerdoti, vale il richiamo alla conversione e al ricorso alla Divina Misericordia, e ugualmente dobbiamo rivolgere con umiltà l'accorata e incessante domanda al Cuore di Gesù perché ci preservi dal terribile rischio di danneggiare coloro che siamo tenuti a salvare.

Poc'anzi ho potuto venerare, nella Cappella del Coro, la reliquia del Santo Curato d'Ars: il suo cuore. Un cuore infiammato di amore divino, che si commuoveva al pensiero della dignità del prete e parlava ai fedeli con accenti toccanti e sublimi, affermando che "dopo Dio, il sacerdote è tutto!... Lui stesso non si capirà bene che in cielo" (cfr. Lettera per l'Anno Sacerdotale, p. 2). Coltiviamo, cari fratelli, questa stessa commozione, sia per adempiere il nostro ministero con generosità e dedizione, sia per custodire nell'anima un vero "timore di Dio": il timore di poter privare di tanto bene, per nostra negligenza o colpa, le anime che ci sono affidate, o di poterle - Dio non voglia! - danneggiare. La Chiesa ha bisogno di sacerdoti santi; di ministri che aiutino i fedeli a sperimentare l'amore misericordioso del Signore e ne siano convinti testimoni. Nell'adorazione eucaristica, che seguirà la celebrazione dei Vespri, chiederemo al Signore che infiammi il cuore di ogni presbitero di quella "carità pastorale" capace di assimilare il suo personale "io" a quello di Gesù Sacerdote, così da poterlo imitare nella più completa auto-donazione. Ci ottenga questa grazia la Vergine Maria, della quale domani contempleremo con viva fede il Cuore Immacolato. Per Lei il Santo Curato d'Ars nutriva una filiale devozione, tanto che nel 1836, in anticipo sulla proclamazione del Dogma dell'Immacolata Concezione, aveva già consacrato la sua parrocchia a Maria "concepita senza peccato". E mantenne l'abitudine di rinnovare spesso quest'offerta della parrocchia alla Santa Vergine, insegnando ai fedeli che "bastava rivolgersi a lei per essere esauditi", per il semplice motivo che ella "desidera soprattutto di vederci felici". Ci accompagni la Vergine Santa, nostra Madre, nell'Anno Sacerdotale che oggi iniziamo, perché possiamo essere guide salde e illuminate per i fedeli che il Signore affida alle nostre cure pastorali. Amen!
  • Basilica Vaticana, venerdì 19 giugno 2009, Benedetto PP XVI
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Siamo nell'anno sacerdotale

Messaggio da Don Armando Maria » mar giu 23, 2009 10:35 am

Ave Maria! Ieri sera sono stato nella parrocchia di San Giovanni Maria Vianney, che si trova a Borghesiana, vicino Roma. Eravamo in tanti sacerdoti alla concelebrazione. Presiedeva L'Arcivescovo Mons Luigi Moretti, Vicegerente della Diocesi di Roma. Era presente anche il nuovo Vescono del Settore est di Roma, che è stato da poco nominato dal Papa. E' stata una bellissima celebrazione, voluta proprio per inaugurare, nella nostra zona pastorale, l'anno sacerdotale. Per l'occasione è stata portata in questa chiesa, da Ars, il cuore di S. Gionanni Vianney, che emanava tanta pace. In questo anno di grazia siamo chiamati tutti a pregare in modo speciale per i sacerdoti affinché viviamo tutti da santi, così che anche il popolo di Dio vivrà in santità. Che la Santa Vergine, Madre del Sommo Sacerdote e di tutti i sacerdoti, interceda per noi assieme al Santo Curato D'Ars e anche assieme a San Padre Pio. Pace e gioia!
Gesù e la Mamma Celeste vi amano assai e vi benedicono; e anche io, nel loro Santissimo Amore vi voglio bene e vi benedico per intercessione del Cuore Immacolato di Maria: nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Don Armando Maria

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Messaggio da miriam bolfissimo » gio giu 25, 2009 8:44 am

Mio carissimo don armando, pace e bene! in qs tempo prezioso la stringerò con particolare cura al mio piccolo cuore, soprattutto ogni giovedì, giorno dedicato in modo speciale alla preghiera per le vocazioni sacerdotali e la santificazione dei sacerdoti, con la gioia di essere nel suo grande cuore e nelle sue preghiera :)
  • Cuore Divino di Gesù,
    io ti offro per mezzo del Cuore immacolato di Maria,
    Madre della Chiesa, in unione al sacrificio eucaristico,
    le preghiere e le azioni, le gioie e le sofferenze
    di questo mio giorno:
    in riparazione dei peccati e per la santificazione di tutti i sacerdoti,
    in particolare il Tuo servo specialissimo don Armando Maria,
    nella grazia dello Spirito Santo, a gloria del Divin Padre. Amen
Con tutto il mio piccolo cuore, miriam bolfissimo ;)
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Anno Sacerdotale 19 giugno 2009 - 11 giugno 2010

Messaggio da miriam bolfissimo » gio giu 25, 2009 8:54 am


  • Udienza generale del Santo Padre Benedetto XVI
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Cari fratelli e sorelle,

venerdì scorso 19 giugno, Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù e Giornata tradizionalmente dedicata alla preghiera per la santificazione dei sacerdoti, ho avuto la gioia d’inaugurare l’Anno Sacerdotale, indetto in occasione del centocinquantesimo anniversario della “nascita al Cielo” del Curato d’Ars, san Giovanni Battista Maria Vianney. Ed entrando nella Basilica Vaticana per la celebrazione dei Vespri, quasi come primo gesto simbolico, mi sono fermato nella Cappella del Coro per venerare la reliquia di questo santo Pastore d’anime: il suo cuore. Perché un Anno Sacerdotale? Perché proprio nel ricordo del santo Curato d’Ars, che apparentemente non ha compiuto nulla di straordinario?

La Provvidenza divina ha fatto sì che la sua figura venisse accostata a quella di san Paolo. Mentre infatti si va concludendo l’Anno Paolino, dedicato all’Apostolo delle genti, modello di straordinario evangelizzatore che ha compiuto diversi viaggi missionari per diffondere il Vangelo, questo nuovo anno giubilare ci invita a guardare ad un povero contadino diventato umile parroco, che ha consumato il suo servizio pastorale in un piccolo villaggio. Se i due Santi differiscono molto per i percorsi di vita che li hanno caratterizzati – l’uno è passato di regione in regione per annunciare il Vangelo, l’altro ha accolto migliaia e migliaia di fedeli sempre restando nella sua piccola parrocchia -, c’è però qualcosa di fondamentale che li accomuna: ed è la loro identificazione totale col proprio ministero, la loro comunione con Cristo che faceva dire a san Paolo: “ Sono stato crocifisso con Cristo. Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20). E san Giovanni Maria Vianney amava ripetere: “Se avessimo fede, vedremmo Dio nascosto nel sacerdote come una luce dietro il vetro, come il vino mescolato all’acqua”. Scopo di questo Anno Sacerdotale come ho scritto nella lettera inviata ai sacerdoti per tale occasione - è pertanto favorire la tensione di ogni presbitero “verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del suo ministero”, e aiutare innanzitutto i sacerdoti, e con essi l’intero Popolo di Dio, a riscoprire e rinvigorire la coscienza dello straordinario ed indispensabile dono di Grazia che il ministero ordinato rappresenta per chi lo ha ricevuto, per la Chiesa intera e per il mondo, che senza la presenza reale di Cristo sarebbe perduto.

Indubbiamente sono mutate le condizioni storiche e sociali nelle quali ebbe a trovarsi il Curato d’Ars ed è giusto domandarsi come possano i sacerdoti imitarlo nella immedesimazione col proprio ministero nelle attuali società globalizzate. In un mondo in cui la visione comune della vita comprende sempre meno il sacro, al posto del quale, la “funzionalità” diviene l’unica decisiva categoria, la concezione cattolica del sacerdozio potrebbe rischiare di perdere la sua naturale considerazione, talora anche all’interno della coscienza ecclesiale. Non di rado, sia negli ambienti teologici, come pure nella concreta prassi pastorale e di formazione del clero, si confrontano, e talora si oppongono, due differenti concezioni del sacerdozio. Rilevavo in proposito alcuni anni or sono che esistono “da una parte una concezione sociale-funzionale che definisce l’essenza del sacerdozio con il concetto di ‘servizio’: il servizio alla comunità, nell’espletamento di una funzione… Dall’altra parte, vi è la concezione sacramentale-ontologica, che naturalmente non nega il carattere di servizio del sacerdozio, lo vede però ancorato all’essere del ministro e ritiene che questo essere è determinato da un dono concesso dal Signore attraverso la mediazione della Chiesa, il cui nome è sacramento” (J. Ratzinger, Ministero e vita del Sacerdote, in Elementi di Teologia fondamentale. Saggio su fede e ministero, Brescia 2005, p. 165). Anche lo slittamento terminologico dalla parola “sacerdozio” a quelle di “servizio, ministero, incarico”, è segno di tale differente concezione. Alla prima, poi, quella ontologico-sacramentale, è legato il primato dell’Eucaristia, nel binomio “sacerdozio-sacrificio”, mentre alla seconda corrisponderebbe il primato della parola e del servizio dell’annuncio.

A ben vedere, non si tratta di due concezioni contrapposte, e la tensione che pur esiste tra di esse va risolta dall’interno. Così il Decreto Presbyterorum ordinis del Concilio Vaticano II afferma: “È proprio per mezzo dell'annuncio apostolico del Vangelo che il popolo di Dio viene convocato e adunato, in modo che tutti… possano offrire se stessi come «ostia viva, santa, accettabile da Dio» (Rm 12,1), ed è proprio attraverso il ministero dei presbiteri che il sacrificio spirituale dei fedeli viene reso perfetto nell'unione al sacrificio di Cristo, unico mediatore. Questo sacrificio, infatti, per mano dei presbiteri e in nome di tutta la Chiesa, viene offerto nell'Eucaristia in modo incruento e sacramentale, fino al giorno della venuta del Signore” (n. 2).

Ci chiediamo allora: “Che cosa significa propriamente, per i sacerdoti, evangelizzare? In che consiste il cosiddetto primato dell’annuncio”?. Gesù parla dell’annuncio del Regno di Dio come del vero scopo della sua venuta nel mondo e il suo annuncio non è solo un “discorso”. Include, nel medesimo tempo, il suo stesso agire: i segni e i miracoli che compie indicano che il Regno viene nel mondo come realtà presente, che coincide ultimamente con la sua stessa persona. In questo senso, è doveroso ricordare che, anche nel primato dell’annuncio, parola e segno sono indivisibili. La predicazione cristiana non proclama “parole”, ma la Parola, e l’annuncio coincide con la persona stessa di Cristo, ontologicamente aperta alla relazione con il Padre ed obbediente alla sua volontà. Quindi, un autentico servizio alla Parola richiede da parte del sacerdote che tenda ad una approfondita abnegazione di sé, sino a dire con l’Apostolo: “non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me”. Il presbitero non può considerarsi “padrone” della parola, ma servo. Egli non è la parola, ma, come proclamava Giovanni il Battista, del quale celebriamo proprio oggi la Natività, è “voce” della Parola: “ Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri ” (Mc 1,3).

Ora, essere “voce” della Parola, non costituisce per il sacerdote un mero aspetto funzionale. Al contrario presuppone un sostanziale “perdersi” in Cristo, partecipando al suo mistero di morte e di risurrezione con tutto il proprio io: intelligenza, libertà, volontà e offerta dei propri corpi, come sacrificio vivente (cfr Rm 12,1-2). Solo la partecipazione al sacrificio di Cristo, alla sua chènosi, rende autentico l’annuncio! E questo è il cammino che deve percorrere con Cristo per giungere a dire al Padre insieme con Lui: si compia “non ciò che io voglio, ma ciò che tu vuoi” (Mc 14,36). L’annuncio, allora, comporta sempre anche il sacrificio di sé, condizione perché l’annuncio sia autentico ed efficace.

Alter Christus, il sacerdote è profondamente unito al Verbo del Padre, che incarnandosi ha preso la forma di servo, è divenuto servo (cfr Fil 2,5-11). Il sacerdote é servo di Cristo, nel senso che la sua esistenza, configurata a Cristo ontologicamente, assume un carattere essenzialmente relazionale: egli è in Cristo, per Cristo e con Cristo al servizio degli uomini. Proprio perché appartiene a Cristo, il presbitero è radicalmente al servizio degli uomini: è ministro della loro salvezza, della loro felicità, della loro autentica liberazione, maturando, in questa progressiva assunzione della volontà del Cristo, nella preghiera, nello “stare cuore a cuore” con Lui. È questa allora la condizione imprescindibile di ogni annuncio, che comporta la partecipazione all’offerta sacramentale dell’Eucaristia e la docile obbedienza alla Chiesa.

Il santo Curato d’Ars ripeteva spesso con le lacrime agli occhi: “Come è spaventoso essere prete!”. Ed aggiungeva: “Come è da compiangere un prete quando celebra la Messa come un fatto ordinario! Com’è sventurato un prete senza vita interiore!”. Possa l’Anno Sacerdotale condurre tutti i sacerdoti ad immedesimarsi totalmente con Gesù crocifisso e risorto, perché, ad imitazione di san Giovanni Battista, siano pronti a “diminuire” perché Lui cresca; perché, seguendo l’esempio del Curato d’Ars, avvertano in maniera costante e profonda la responsabilità della loro missione, che è segno e presenza dell’infinita misericordia di Dio. Affidiamo alla Madonna, Madre della Chiesa, l’Anno Sacerdotale appena iniziato e tutti i sacerdoti del mondo.
  • Piazza San Pietro, mercoledì 24 giugno 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Anno Sacerdotale 19 giugno 2009 - 11 giugno 2010

Messaggio da miriam bolfissimo » ven lug 03, 2009 3:10 pm


  • Udienza generale del Santo Padre Benedetto XVI
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Cari fratelli e sorelle,

con la celebrazione dei Primi Vespri della solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo nella Basilica di san Paolo fuori le Mura si è chiuso, come sapete, il 28 giugno, l’Anno Paolino, a ricordo del secondo millennio della nascita dell’Apostolo delle genti. Rendiamo grazie al Signore per i frutti spirituali, che questa importante iniziativa ha apportato in tante comunità cristiane. Quale preziosa eredità dell’Anno Paolino, possiamo raccogliere l’invito dell’Apostolo ad approfondire la conoscenza del mistero di Cristo, perché sia Lui il cuore e il centro della nostra esistenza personale e comunitaria. E’ questa infatti la condizione indispensabile per un vero rinnovamento spirituale ed ecclesiale. Come ebbi a sottolineare già durante la prima Celebrazione eucaristica nella Cappella Sistina dopo la mia elezione a successore dell’apostolo Pietro, è proprio dalla piena comunione con Cristo che "scaturisce ogni altro elemento della vita della Chiesa, in primo luogo la comunione tra tutti i fedeli, l’impegno di annuncio e di testimonianza del Vangelo, l’ardore della carità verso tutti, specialmente verso i poveri e i piccoli" (cfr Insegnamenti, I, 2005, pp. 8-13). Ciò vale in primo luogo per i sacerdoti. Per questo, ringraziamo la Provvidenza di Dio che ci offre la possibilità adesso di celebrare l’Anno Sacerdotale. Auspico di cuore che esso costituisca per ogni sacerdote un’opportunità di rinnovamento interiore e, conseguentemente, di saldo rinvigorimento nell’impegno per la propria missione.

Come durante l’Anno Paolino nostro riferimento costante è stato san Paolo, così nei prossimi mesi guarderemo in primo luogo a san Giovanni Maria Vianney, il santo Curato d’Ars, ricordandone il 150° anniversario della morte. Nella lettera che per questa occasione ho scritto ai sacerdoti, ho voluto sottolineare quel che maggiormente risplende nell’esistenza di questo umile ministro dell’altare: "la sua totale identificazione col proprio ministero". Egli amava dire che "un buon pastore, un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare ad una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina". E, quasi non riuscendo a capacitarsi della grandezza del dono e del compito affidati ad una povera creatura umana, sospirava: "Oh come il prete è grande!... Se egli si comprendesse, morirebbe... Dio gli obbedisce: egli pronuncia due parole e Nostro Signore scende dal cielo alla sua voce e si rinchiude in una piccola ostia".

In verità, proprio considerando il binomio "identità-missione", ciascun sacerdote può meglio avvertire la necessità di quella progressiva immedesimazione con Cristo che gli garantisce la fedeltà e la fecondità della testimonianza evangelica. Lo stesso titolo dell’Anno Sacerdotale – Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote - evidenzia che il dono della grazia divina precede ogni possibile umana risposta e realizzazione pastorale, e così, nella vita del sacerdote, annuncio missionario e culto non sono mai separabili, come non vanno mai separati identità ontologico-sacramentale e missione evangelizzatrice. Del resto il fine della missione di ogni presbitero, potremmo dire, è "cultuale": perché tutti gli uomini possano offrirsi a Dio come ostia viva, santa e a lui gradita (cfr Rm 12,1), che nella creazione stessa, negli uomini diventa culto, lode del Creatore, ricevendone quella carità che sono chiamati a dispensare abbondantemente gli uni agli altri. Lo avvertivano chiaramente negli inizi del cristianesimo. San Giovanni Crisostomo diceva, ad esempio, che il sacramento dell’altare e il "sacramento del fratello" o, come dice "sacramento del povero" costituiscono due aspetti dello stesso mi stero. L’amore per il prossimo, l’attenzione alla giustizia e ai poveri non sono soltanto temi di una morale sociale, quanto piuttosto espressione di una concezione sacramentale della moralità cristiana, perché, attraverso il ministero dei presbiteri, si compie il sacrificio spirituale di tutti i fedeli, in unione con quello di Cristo, unico Mediatore: sacrificio che i presbiteri offrono in modo incruento e sacramentale in attesa della nuova venuta del Signore. Questa è la principale dimensione, essenzialmente missionaria e dinamica, dell’identità e del ministero sacerdotale: attraverso l’annuncio del Vangelo essi generano la fede in coloro che ancora non credono, perché possano unire al sacrificio di Cristo il loro sacrificio, che si traduce in amore per Dio e per il prossimo.

Cari fratelli e sorelle, a fronte di tante incertezze e stanchezze anche nell’esercizio del ministero sacerdotale, è urgente il recupero di un giudizio chiaro ed inequivocabile sul primato assoluto della grazia divina, ricordando quanto scrive san Tommaso d’Aquino: "Il più piccolo dono della grazia supera il bene naturale di tutto l’universo" (Summa Theologiae, I-II, q. 113, a. 9, ad 2). La missione di ogni singolo presbitero dipenderà, pertanto, anche e soprattutto dalla consapevolezza della realtà sacramentale del suo "nuovo essere". Dalla certezza della propria identità, non artificialmente costruita ma gratuitamente e divinamente donata ed accolta, dipende il sempre rinnovato entusiasmo del sacerdote per la missione. Anche per i presbiteri vale quanto ho scritto nell’Enciclica Deus caritas est: "All'inizio dell'essere cristiano non c'è una decisione etica o una grande idea, bensì l'incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva" (n. 1).

Avendo ricevuto un così straordinario dono di grazia con la loro "consacrazione", i presbiteri diventano testimoni permanenti del loro incontro con Cristo. Partendo proprio da questa interiore consapevolezza, essi possono svolgere appieno la loro "missione", mediante l'annuncio della Parola e l'amministrazione dei Sacramenti. Dopo il Concilio Vaticano II, si è prodotta qua e là l'impressione che nella missione dei sacerdoti in questo nostro tempo, ci fosse qualcosa di più urgente; alcuni pensavano che si dovesse in primo luogo costruire una diversa società. La pagina evangelica, che abbiamo ascoltata all’inizio, sta invece a richiamare i due elementi essenziali del ministero sacerdotale. Gesù invia, in quel tempo ed oggi, gli Apostoli ad annunciare il Vangelo e dà ad essi il potere di cacciare gli spiriti cattivi. "Annuncio" e "potere", cioè "parola" e "sacramento" sono pertanto le due fondamentali colonne del servizio sacerdotale, al di là delle sue possibili molteplici configurazioni.

Quando non si tiene conto del "dittico" consacrazione-missione, diventa veramente difficile comprendere l’identità del presbitero e del suo ministero nella Chiesa. Chi è infatti il presbitero, se non un uomo convertito e rinnovato dallo Spirito, che vive del rapporto personale con Cristo, facendone costantemente propri i criteri evangelici? Chi è il presbitero se non un uomo di unità e di verità, consapevole dei propri limiti e, nel contempo, della straordinaria grandezza della vocazione ricevuta, quella cioè di concorrere a dilatare il Regno di Dio fino agli estremi confini della terra? Sì! Il sacerdote è un uomo tutto del Signore, poiché è Dio stesso a chiamarlo ed a costituirlo nel suo servizio apostolico. E proprio essendo tutto del Signore, è tutto degli uomini, per gli uomini. Durante questo Anno Sacerdotale, che si protrarrà fino alla prossima solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, preghiamo per tutti i sacerdoti. Si moltiplichino nelle diocesi, nelle parrocchie, nelle comunità religiose specialmente quelle monastiche, nelle associazioni e nei movimenti, nelle varie aggregazioni pastorali presenti in tutto il mondo, iniziative di preghiera e, in particolare, di adorazione eucaristica, per la santificazione del clero e le vocazioni sacerdotali, rispondendo all’invito di Gesù a pregare "il Signore della messe perché mandi operai nella sua messe" (Mt 9,38). La preghiera è il primo impegno, la vera via di santificazione dei sacerdoti, e l’anima dell’autentica "pastorale vocazionale". La scarsità numerica di ordinazioni sacerdotali in taluni Paesi non solo non deve scoraggiare, ma deve spingere a moltiplicare gli spazi di silenzio e di ascolto della Parola, a curare meglio la direzione spirituale e il sacramento della confessione, perché la voce di Dio, che sempre continua a chiamare e a confermare, possa essere ascoltata e prontamente seguita da tanti giovani. Chi prega non ha paura; chi prega non è mai solo; chi prega si salva! Modello di un’esistenza fatta preghiera è senz’altro san Giovanni Maria Vianney. Maria, la Madre della Chiesa, aiuti tutti sacerdoti a seguirne l’esempio per essere, come lui, testimoni di Cristo e apostoli del Vangelo.
  • Piazza San Pietro, mercoledì 1 luglio 2009
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Anno Sacerdotale 19 giugno 2009 - 11 giugno 2010

Messaggio da miriam bolfissimo » mer lug 15, 2009 9:38 am


  • Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato d'Ars
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Ars, il piccolo borgo di un grande santo

La casa natale è ancora lì. Una grossa casa solida e goffa in mezzo al borgo di Dardilly, oggi alle soglie dell'hinterland di Lione. Matthieu Vianney, agricoltore, dodici ettari di terra, e sua moglie Marie crebbero qui i loro sette figli. Giovanni Maria, nato l'8 maggio 1786, era il quarto. Nella Francia attorno alla sua infanzia sobbolle e poi esonda il furore della Rivoluzione. Ma a Dardilly casa Vianney regge l'urto: si lavora, tutti, e anche Giovanni fa il pastore, ma il pane non manca, e ce n'è anche per gli sbandati e gli orfani di quegli anni tragici. È una casa aperta alla carità. Se bussano alla porta, la madre Marie li fa sedere a tavola. Giovanni, bambino, impara.

La casa dunque c'è ancora, quasi sfiorata dall'autostrada Parigi-Lione. Con il suo tavolo grande, attorno a cui ci si sedeva in tanti e si mangiava solo dopo la preghiera. Una Francia antica come una quercia rivive in queste stanze, sulla quale anche l'uragano della Rivoluzione non ha potuto molto. Il futuro curato d'Ars riceve la prima comunione clandestinamente, in un granaio, da un prete 'refrattario', che cioè non ha giurato in 'odio alla Monarchia' al Direttorio. I Vianney imparano a riconoscere e seguire i preti fedeli al Papa, ad andare a Messa in sperdute cascine in mezzo alla campagna, di notte: per restare nella Chiesa di Roma. Giovanni impara in quelle notti da pellegrini che la fede è cosa così importante da rischiarci tutto, anche la vita.

C'è anche un abbecedario, tra le vecchie cose della casa. Ma Giovanni Maria non deve averlo usato molto. A 17 anni, stando dietro alle pecore, era ancora analfabeta. Proprio a quella età scopre di voler essere prete, e pare assurdo: come imparerà il latino un analfabeta? Ma uno zio caldeggia con passione quella speranza. Don Carlo Balley, abate di Ecully, ascolta in canonica l'audace pretesa del ragazzo di campagna. Che parla male perfino il francese. E tuttavia l'abate intuisce che uomo ha davanti: «Questo lo terrò con me, lo farò studiare io». Ecully oggi è già periferia di Lione. In città rimane il seminario che rimandò a casa Vianney, per via del suo disastroso latino. («La pietra scartata dal costruttore...», ti riecheggia nell'orizzonte di questa ex campagna urbanizzata e incementata). Il ragazzo Vianney si incamminò per queste terre, per andare al santuario di Lalovesc a implorare la grazia di imparare il latino. Poi, Napoleone chiama. 1809, alle armi contro la Spagna. Vianney parte e subito si ammala.

Forse per l'ansia di dovere, lui cattolico fedele a Pio VII, combattere per l'Imperatore? A chi obbedire? Il ragazzo diserta. Muore la madre, amatissima, e lui non le è accanto, nascosto nei boschi. Il padre osteggia la vocazione: c'è bisogno di braccia nei campi, non di preti. Ma Giovanni è ostinato. Agosto 1815, dopo Waterloo il lionese è invaso dagli austriaci. Un ragazzetto magro riesce a passare fra le truppe minacciose. Vianney va a Grenoble, a farsi ordinare. E oggi l'eco di quelle battaglie e dei cannoni è così infinitamente lontano tra le distese di campi e gli autogrill e i centri commerciali. Gli svincoli dell'autostrada si incrociano con la ferrovia. Sepolte le carrarecce polverose su cui Giovanni da Ecully, primo incarico, va ad Ars, trenta chilometri più a nord, nell'Ain. Chiamano quella zona 'la Siberia' della diocesi, melmosa e sterile com'è nei suoi acquitrini. Ars, poi, è un grappolo di case con 230 abitanti – dieci famiglie, di quelle grandi di allora. L'ultima parrocchia dell'Ain – i cui cristiani, a detta del vescovo, non son granché di chiesa.

Il giovane Vianney arriva, e si inginocchia sulla terra. La bacia. Prega. Prega Dio, che lo aiuti a convertire la gente che gli è stata affidata. È un gesto devoto da contadino, da uomo che sa che la terra, anche se sembra morta, è gravida di semi. Nel 1947, centotrent'anni dopo, uno sconosciuto giovane prete passerà da Ars, e resterà affascinato dalla memoria di quel bacio alla terra. Lo rifarà, quel gesto, nell'entrare nella sua prima parrocchia, a Niegowice, in Polonia. Il giovane prete di chiama Karol e tornerà ad Ars, un giorno, da Papa.

Cerchi di immaginarti: cosa trovava un uomo che arrivasse a Ars-sur-Formans nel 1818? Forse, un paesaggio non così profondamente diverso da oggi. Singolarmente Ars è rimasta Francia rurale, campagna profonda. Dall'autostrada è difficile trovarla. Strade strette, infangate dalle tracce dei trattori. Distese infinite di colline appena ondulate. Qui e là, isolati, campanili aguzzi di piccolissime chiese. Ancora oggi, a cinquecento metri dal santuario trovi le pecore. Strano posto: come un'isola salva, a tre chilometri dalla linea del Tgv che passa veloce con un tuono sordo.

La canonica è rimasta tale e quale. Piccola, bassa, con le pareti, dentro, di pietra; e in questo inizio di primavera piovoso senti bene come doveva fare freddo tra queste mura, e come l'umidità delle campagne paludose doveva assediare la casa del curato, stretta accanto alla chiesa. Nella canonica c'è il focolare, nero di fumo, e le ciotole di porcellana sulla credenza. Una vecchia tonaca malamente ricucita. Un messale: «Agnus Dei, qui tollis peccata mundi». C'è soprattutto il vento, che s'infila in spifferi da ogni parte. È il mistero del tempo, che porta via gli uomini, e lascia intatte le cose. Con qualche eccezione, però. Del curato d'Ars si ricordano 400 mila pellegrini ogni anno. Vengono fin qui, per queste strade mal segnalate, pregano nella basilica costruita a ridosso della vecchia chiesa. Quest'anno è di Giubileo. Confessione, comunione, e poi chi passa da una piccola porta ottiene l'Indulgenza. Oggi c'è un gruppetto di veneti, ne riconosci la cadenza dolce. Varcano la piccola porta , ne accarezzano con una mano il legno scuro.

Quella porta ha una storia. La fece aprire il parroco, al lato dell'ingresso principale, per i fedeli che volessero entrare in chiesa senza dare nell'occhio. Dentro, subito, c'è un confessionale. Grande. Scuro. Era quello per i penitenti nascosti, quelli che non venivano in chiesa da anni. Il confessionale dei grandi peccati. È ancora lì, col suo gradino di legno liscio, consunto dalle ginocchia e dal tempo. Poco lontano, una fila di stampelle di legno, ex voto di gente che, perdonata, è guarita. Stan verticali come soldati in fila, sotto alle centinaia di 'merci', 'grazie', di sconosciuti grati d'essere guariti, o d'essere ritornati dalla guerra.

Com'era il giovane prete mandato ad Ars, fra i villani, nell'ultima parrocchia dell'Ain? Un primo segno colpisce i parrocchiani. Quando si alzano per mungere, alle quattro del mattino, la luce della candela in canonica è già accesa. Il curato prega. Si alza prima dei bovari, per pregare. La meraviglia corre di bocca in bocca fra le stalle: un prete che prega di notte, qui non l'avevano visto mai. Ti immagini lo stupore, nelle notti rigide dell'Ain, nel freddo di prima dell'alba che d'inverno morde la faccia e le mani. Ci si alza, giusto perché le vacche muggiscono. Quell'uomo invece si alza per pregare, a quest'ora. Sussurrano: «Non deve essere uno come gli altri». Piccolo, un metro e 58 di statura, magro, infaticabile nella sua tonaca svolazzante.

Vianney è un uragano che investe la parrocchietta di provincia. Le campagne pullulano in quegli anni di povera gente scampata ai massacri della Rivoluzione, e soprattutto di orfani. Marie Vianney apriva la porta a tutti. Suo figlio istintivamente fa altrettanto. Apre una scuola, e poi una casa per orfane. Sibilano le comari: quelle fanciulle sperdute, non sono tutte stinchi di santo. Non importa: la Casa della Provvidenza si apre per tutte. Sfama, anche, quando nella dispensa non c'è niente. Come è possibile? Le inservienti mormorano sbalordite: quella madia era vuota stamattina, come ne è venuto fuori tanto pane? Il curato tace e continua a pregare, all'alba. Le voci si allargano, si ingrossano come un torrente dopo un temporale. Una gran folla di pellegrini comincia a incamminarsi verso Ars, l''ultima parrocchia' dell'Ain.

Il Curato d'Ars fratello dei parroci

Miserieux, Savigneux, Villeneuve, Rancé. Sono una galassia sulla mappa del Dombes i piccoli paesi attorno ad Ars. Vicinissimi oggi, in automobile, ma, a piedi come un tempo, lontani ore di cammino. Dal 1820 i registri delle parrocchie di questi villaggi portano spesso la firma di Vianney in calce a un battesimo, a un matrimonio, a un funerale. Il giovane curato d'Ars sostituiva i colleghi vecchi, o malati. E ti immagini, per queste stradine sinuose fra le colline, don Jean-Marie in cammino, sotto il sole o la pioggia. Solo, con la sua tonaca rammendata e il grande cappellaccio nero. Piccolo di statura ma agile, il passo energico, le scarpe grosse, da contadino – che oggi se ne stanno posate per sempre sul pavimento della canonica, accanto al letto.

Campagna profonda l'Ain dell'Ottocento, con i suoi abitanti contadini che malvolentieri sospendono la mietitura, la domenica, per andare a Messa. Nei primi anni Vianney è un prete generoso ma severo, ancora impregnato del giansenismo del suo maestro, l'abate di Ecully. La prospettiva dell'inferno lo atterrisce, teme per la salvezza sua e dei parrocchiani. Dirà poi d'avere vissuto, in quei primi anni ad Ars, paure interiori terribili. Tuona nelle omelie il curato, dal pulpito della sua piccola chiesa. Con gli anni e con l'esperienza di uomini e di anime, il suo orizzonte interiore si rasserena, nelle certezza della misericordia di Dio («Fa più in fretta Dio a salvare un peccatore che una madre a strappare dal fuoco il figlio che ci è caduto dentro», dirà un giorno).

In quei primi tempi talvolta a notte fonda colpi fragorosi battono alla porta della canonica, come di un visitatore furioso. Dei parrocchiani, chiamati dal curato, sentono a loro volta quel baccano, e la sera dopo si rifiutano di tornare. Ma dopo una notte di fracasso, una mattina sulla neve non c'è traccia di passi. Da quel giorno il curato decide di non preoccuparsi. Sembra trovare normale che il nemico si accanisca contro la sua porta. Gli basta il rosario, per difendersi.

Scorre come su due binari paralleli la vita in canonica. Da un lato Vianney si dona anima e corpo alla parrocchia, al catechismo dei bambini che strappa a fatica dai campi, alla scuola e alla carità per gli orfani. Dall'altro possiede una fortissima vita interiore, alimentata dalle ore notturne di preghiera. Ma in questa seconda prospettiva la vita di Vianney non è riducibile a un'agiografia lieta, alla fiaba semplice di un santo prete di campagna. Si porta addosso un silenzioso tormento quest'uomo, come una misteriosa ferita. Ne parla ben poco. Confesserà, un giorno: «La mia tentazione è la disperazione». Di tutte, la più terribile. Possibile, quel prete così amato, e la cui fama si va allargando per la misericordia con cui tratta ogni sconosciuto in confessionale – mentre già si comincia a mormorare che è un santo?

Possibile. Proprio questa ferita nascosta lo spinge a pregare così intensamente, come un naufrago che s'aggrappi a un legno. Il poeta Charles Peguy, francese come lui, cent'anni dopo scriverà che proprio le peggiori miserie sono i punti vulnerabili della corazza dell'uomo, attraverso cui la grazia può penetrare. Il curato pare istintivamente sapere che la sua debolezza è la sua forza. Dirà, quando la sua santità sarà ormai evidente: «Se nella diocesi ci fosse stato uno più miserabile di me, Dio avrebbe scelto lui». Buio intenso e luce piena si alternano dunque nelle notti di questa canonica che sembra, con le sue travi a vista, un granaio riattato. La percorri, in una mattina feriale in cui non c'è nessuno, in silenzio. Suonano i passi sulla pietra nuda, come dovevano risuonare quelli del curato. Guardi il vecchio portone col catenaccio arrugginito: chi batteva quei colpi rabbiosi, la notte? Un crocifisso scuro nella camera da letto, come il centro, e il padrone della casa. Chissà quanto, in quei 41 anni, è stato fissato, è stato implorato.

La vita ad Ars non è un giardino di rose. Gelosie, calunnie, e moti di anticlericali che in gruppo assediano la canonica e ingiungono al parroco di andarsene. La memoria delle persecuzioni della Rivoluzione è ben viva in Vianney, che andava a Messa, bambino, nella clandestinità. Che la storia si ripeta? E tuttavia accanto a queste spine avanza e abbonda una evidente, incoercibile grazia. Che parte, sembra, da quel confessionale dove il curato passa sempre più tempo, da prima dell'alba, fino agli ultimi anni in cui arriverà a starci 17 ore al giorno, in un estenuato ministero di misericordia. Vianney ha un carisma di profezia, sembra leggere nell'anima. I reticenti, i bugiardi vengono svelati da uno sguardo, che tuttavia è di perdono. Tornano a casa sbalorditi, e raccontano. Altri, sempre di più, a centinaia, a migliaia vogliono inginocchiarsi davanti al curato d'Ars. Diventerà un assedio, con trentamila pellegrini ogni anno in quel villaggio da nulla. Viene in mente Padre Pio. «Il carisma della profezia è analogo, – dice il rettore del Santuario, padre Philippe Nault – la differenza è che Vianney era prima di tutto un parroco, un parroco al cento per cento, sempre di corsa fra i malati e il catechismo dei bambini. Per questo tanti sacerdoti lo considerano, prima che un santo, un fratello, e vengono qui in diecimila, ogni anno». E il registro nella cappella della reliquia del cuore del curato porta le firme di preti dall'Ucraina, dalle Filippine, dal Vietnam. In pellegrinaggio da un fratello. Fratello povero e travagliato, ma orgoglioso della sua veste: «Se incontrassi un angelo insieme a un prete, saluterei prima il prete, perché il prete prende il posto di Cristo».

Luce ad Ars, luce e ancora frange di buio, come nel cielo che schiarisce dopo un temporale. A tratti Vianney è tormentato dalla percezione della sua miseria, della sua indegnità, oltre che sopraffatto dalla fatica. Vuole fuggire, scappare, sogna la cella di un convento. La pace. Solo, con Dio. Una notte scappa davvero, torna a casa sua, a Dardilly. Tempo 24 ore e i pellegrini assediano anche quel paese. Il curato ritorna. Fuggirà – tormentato dalla sua ferita interiore - tre volte. L'ultima, nel 1853, i parrocchiani suoneranno le campane a distesa, come per un incendio, per dare l'allarme; e a trattenerlo ci sarà un picchetto di contadini robusti, che lo supplicano: «Padre, resti con noi».

Intanto anche la salute, sfidata da digiuni e penitenze e da quel suo pregare e confessare con l'ardore di un fabbro che batte sull'incudine, cede. Cade seriamente malato, lo danno per perduto. I medici accorrono a consulto attorno al suo capezzale. Lui, sfinito, mormora: «Sto combattendo un grande combattimento». Contro che cosa, gli chiedono. «Contro quattro medici. Se ne arriva un altro, sono morto», e gli sfugge un sorriso. Si riprende. Arriverà a 73 anni. Magro, sdentato, continua a fare catechismo, con i ragazzi che gli si siedono vicini, perché il fiato è ormai poco. E sempre ore e ore in confessionale. Soffrendo, perché tante miserie, tanto concentrato di miserie gli massacra l'anima. Sembra che ritrovi energia nel celebrare la Messa. Si illumina, alla consacrazione. «Aveva un dono, – dice il rettore Nault – quello di riconoscere Cristo presente, vivo, nell'ostia. Diceva raggiante: 'Lui è qui'. E c'era gente che solo a guardarlo celebrare si convertiva». Ripeteva: «Noi lo vedremo! Vi rendete conto? Lo vedremo per davvero! Faccia a faccia!».

Come nella promessa di Paolo nella lettera ai Corinzi. Ora vediamo oscuramente, ma un giorno lo vedremo faccia a faccia. Ars, rimasta piccola nel grembo di terra dell'Ain, con i suoi greggi e il faticoso procedere dei trattori nei campi grevi di pioggia, è enigma e promessa: ora vediamo oscuramente, ma un giorno vedremo. Come un seme gettato nella terra profonda.

Giovanni Maria Vianney entra in agonia alla fine di luglio del 1859. Giorni caldissimi. L'afa grava sulla canonica, mozza il respiro al moribondo. I parrocchiani, per dargli sollievo, coprono il tetto di teli e li annaffiano con una catena di secchi d'acqua che corre di mano in mano, come si fa per gli incendi. Una catena di mani perché il curato non muoia, come in quella notte, in cui in tanti gli si pararono davanti, quasi ordinando: «Resti qui». Ma è giunta l'ora: il 4 agosto muore, prima dell'alba. Una interminabile processione stringe e abbraccia il grappolo di case di Ars.

Prima della canonizzazione , nel 1925, è già santo a furor di popolo. 150 anni dopo, la processione continua. 400 mila pellegrini ogni anno. Di cui moltissimi preti, e parroci. Vanno a trovare un fratello. Un prete tanto amato dalla sua gente che per riacchiapparlo, una notte, suonarono le campane a distesa. Il che non era mai accaduto prima. Accadde, misteriosi disegni della Provvidenza, per Jean-Marie, a 17 anni pastore e analfabeta, poi scartato dal seminario, perché non imparava il latino. Accadde ad Ars, l'«ultima parrocchia dell'Ain». Illuminata, disse Giovanni Paolo II, «da un particolare fulgore».
  • Marina Corradi
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mer lug 15, 2009 10:40 am


  • Il Curato d'Ars ovvero il curato dell'Arte
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Jean-Marie-Baptiste Vianney non è soltanto un modello di fedeltà eroica al sacerdozio e di devozione cristiana per pii fedeli: il mistero della sua vita, le sue dure penitenze e le lotte col demonio hanno intrigato in due secoli decine di romanzieri, nemmeno tutti credenti.

Rivisitato in chiave agiografica in una valanga di libri che a partire dai «grandi vecchi» come l'abbé Alfred Monnin – suo commensale – o monsignor François Trochu arriva ai nostri giorni, il racconto della vita di Jean-Marie-Baptiste Vianney, nel corso del tempo, non ha solo consumato gli occhi di torme di devoti, generazioni di seminaristi, donne pie, ma ha suscitato anche pagine di buona letteratura. Talvolta nate dalla penna di autori celebri, talvolta da quella di nomi dimenticati magari per ragioni politiche, non per giudizi sulla qualità delle loro opere.

Il primo può essere il caso di Henri Ghéon che nei tre volumi del suo Les jeux de l'enfer et du ciel edito da Flammarion nel 1929 vede come personaggio onnipresente della narrazione proprio il santo curato che il gruppo di curiosi descritto raggiunge ad Ars. Il secondo è di certo il caso di Jean de La Varende, uno dei maggiori novellisti francesi del XX secolo che tra gli oltre 200 titoli annovera anche Le Curé d'Ars et sa passion apparso con i tipi di Bloud et Gay nel 1958 (alla vigilia del centenario della morte del santo curato), oppure – sulla stessa onda – il caso di un altro scrittore cattolico tradizionalista come Michel de Saint Pierre, una vita dedicata alla letteratura, autore dentro un'abbondante bibliografia anche della Vie prodigieuse du Curé d'Ars, uscita nel 1961 dall'editore Gallimard. Di un certo valore anche le pagine tessute da Daniel Pézeril, già cappellano del Centro cattolico degli intellettuali, già vescovo ausiliare di Parigi, nel suo Pauvre et Saint Curé d'Ars, tradotto in Italia dalla Morcelliana nel 1960.

E proprio l'amicizia di Pézeril con Georges Bernanos (che accompagnò sino alla morte) ci porta alla presenza di don Vianney nella stessa opera bernanosiana: dal Diario di un parroco di campagna dove troviamo una sorta di « secondo Curato d'Ars» nel prete protagonista del romanzo Sotto il sole di Satana. Come dimenticare poi il filosofo e critico Ernst Hello che dedica l'ultimo capitolo del suo libro Le siècle al celebre sacerdote? Che dire poi del medaglione del prolifico Bruce Marshall nel suo Saints for Now, edito da Clare Boothe Luce nel 1952?

E oggi? A voi il giudizio sul critico e saggista Rémy Soulié per Le Curé d'Ars (Pygmalion, 2003), o sul giornalista scrittore JeanJacques Antier per La vie du curé d'Ars (Perrin 2000), oppure ancora sulla biografia spirituale scritta dal noto poeta francese Jean Follain (Grand Prix de poésie de l'Académie Française) nel 1970, recentemente tradotta come Curato d'Ars. Quando un uomo semplice confonde i sapienti (San Paolo 2008).

Se poi state attenti, ecco il nostro affacciarsi ospite su pagine dove non lo si attenderebbe (ma a torto); è il caso del dramma metafisico Adesso viene la notte di Ferruccio Parazzoli (Mondadori) che ha come baricentro la lotta di Paolo VI col demonio nei momenti del sequestro Moro, ma anche il diabolico degrado del nostro tempo («Giovanni Maria Vianney, il curato d'Ars. Sono passati duecento anni, eppure mi sembra ieri. Fu molto divertente, anche se alla fine rimasi con un palmo di naso. Ma questa volta non sarà così. I tempi sono cambiati. Basta guardarsi attorno… »).

L'elenco potrebbe continuare dando conto di rapidi richiami in opere celebri come il romanzo Leila di Antonio Fogazzaro («Paragonò, con trepide riserve, suo cognato al Curato d'Ars e don Emanuele a sant'Alfonso. Lelia non intese una sola di tante parole...»); o come Bouvard e Pécuchet di Gustave Flaubert («Un anello al mignolo racchiudeva alcuni capelli del Curato d'Ars…) e via dicendo (bellissime le pennellate di don Giuseppe De Luca nell'Annuario del Parroco che dice di lui: «Faceva parere Lamartine e Lacordaire due poveri strumenti »).

Ma preferiamo chiudere con un rimando a Cristina Campo dedicato al prete tanto amato da Simone Weil. Si legge in una sua lettera a Margherita Pieracci Harwell vergata domenica in palmis 1966 (edita nell'epistolario Lettere a Mita pubblicato da Adelphi): «L'altra sera ho preso in mano i Taccuini del dottor Cechov, un libro che fino a due anni fa era la mia delizia, e dopo 10 minuti l'ho riposato. Una volgarità impalpabile, sottile, la volgarità del laico, dell'incredulo, evaporava da certe piccole osservazioni di quell'uomo per tanti versi adorabile. Così, per rallegrarmi senza la minima ombra di noia ( la volgarità è veramente di una noia desertica), ripresi una grande biografia del Curato d'Ars. Si muore di paura, a leggerla, ma di noia – oh di noia no certo. È il solito caso del Santo deformato dalla demoniaca perversità del secolo in bravo piccolo parroco di villaggio, tutto nature, ignorante quanto basta e santamente puerile. Mentre si tratta di una terribile aquila che ti rapisce nel suo forte becco ad altezze spaventose e poi, come l'uccello Roc che trasportava Sindbad, ti lascia cadere con la massima indifferenza; e peggio per te se non sai volare. Non mi stupisce che Simone lo amasse tanto».
  • Marco Roncalli
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » sab lug 25, 2009 8:02 am

  • Immagine Preghiera per l'Anno Sacerdotale
  • Signore Gesù,
    Tu hai voluto donare alla Chiesa, attraverso San Giovanni Maria Vianney,
    un'immagine viva di Te, ed una personificazione della Tua carità pastorale.

    Aiutaci, in sua compagnia ed assistiti dal suo esempio, a vivere bene quest'Anno Sacerdotale.

    Fa' che possiamo imparare dal Santo Curato d'Ars il modo di trovare la nostra gioia
    restando a lungo in adorazione davanti al Santissimo Sacramento;
    come la Tua Parola che ci guida sia semplice e quotidiana;
    con quale tenerezza il Tuo Amore accolga i peccatori pentiti;
    quanto sia consolante l'abbandono fiducioso alla Tua Santissima Madre Immacolata;
    quanto sia necessario lottare con vigilanza contro il Maligno.

    Fa', o Signore Gesù, che i nostri giovani possano apprendere dall'esempio del Santo Curato d'Ars,
    quanto sia necessario, umile e glorioso il ministero sacerdotale
    che Tu vuoi affidare a quelli che si aprono alla Tua chiamata.

    Fa' che nelle nostre comunità – come ad Ars a quel tempo – ugualmente
    si realizzino quelle meraviglie di grazia che Tu compi
    quando un sacerdote sa "mettere l'amore nella sua parrocchia".

    Fa' che le nostre famiglie cristiane si sentano parte della Chiesa
    – dove possono sempre ritrovare i Tuoi ministri –
    e sappiano rendere le loro case belle come una chiesa.

    Fa' che la carità dei nostri Pastori nutra ed infiammi la carità di tutti i fedeli,
    affinché tutte le vocazioni e tutti i carismi donati dal Tuo Santo Spirito
    possano essere accolti e valorizzati.

    Ma soprattutto, o Signore Gesù, concedici l'ardore e la verità del cuore
    perché noi possiamo rivolgerci al Tuo Padre Celeste,
    facendo nostre le stesse parole che San Giovanni Maria Vianney utilizzava quando si rivolgeva a Lui:

    "Vi amo mio Dio, e il mio unico desiderio è di amarVi fino all'ultimo respiro della mia vita.
    Vi amo, o Dio infinitamente amabile, e desidero ardentemente di morire amandovi,
    piuttosto che vivere un solo istante senza amarVi.
    Vi amo Signore, e la sola grazia che Vi chiedo è di amarVi in eterno.
    Mio Dio, se la mia lingua non può ripetere sempre che io Vi amo,
    desidero che il mio cuore Ve lo ripeta ad ogni mio respiro.
    Vi amo, o mio Divin Salvatore, perché siete stato crocifisso per me;
    e perché Voi mi tenete crocifisso quaggiù per Voi.
    Mio Dio, fatemi la grazia di morire nel amandoVi e sentendo che io Vi amo". Amen
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mer set 02, 2009 5:22 pm


  • Gesù disse: “Non sono venuto per giudicare il mondo, ma per salvarlo” (Gv 12,47).
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Cari Presbiteri,

l’attuale cultura occidentale dominante, sempre più diffusa in tutto il mondo, attraverso i media globalizzati e la mobilità umana, anche nei paesi di altra cultura, presenta nuove sfide, non poco impegnative, per l’evangelizzazione. Trattasi di una cultura segnata profondamente da un relativismo che rifiuta ogni affermazione di una verità assoluta e trascendente e perciò rovina anche i fondamenti della morale e si chiude alla religione. Così, viene persa la passione per la verità, relegata a “passione inutile”. D’altra parte, Gesù Cristo si presenta come la Verità, il Logos universale, la Ragione che illumina e spiega tutto ciò che esiste. Il relativismo viene, poi, accompagnato da un soggettivismo individualista, che pone al centro di tutto il proprio ego. Alla fine, si arriva al nichilismo, secondo il quale non c’è niente e nessuno per cui vale la pena investire la propria intera vita e di conseguenza la vita non ha un vero senso. Tuttavia, bisogna riconoscere che l’attuale cultura dominante, post-moderna, porta con sé un grande e vero progresso scientifico e tecnologico, che affascina l’essere umano, anzitutto i giovani. L’uso di questo progresso, purtroppo, non ha sempre come scopo principale il bene dell’uomo e di tutti gli uomini. Ad esso manca un umanesimo integrale, che potrebbe dargli il suo vero senso e finalità. Potremmo parlare ancora di altri aspetti di questa cultura: consumismo, libertinaggio, cultura dello spettacolo e del corpo. Non si può non rilevare che tutto ciò produce un laicismo, che non vuole la religione, fa di tutto per indebolirla o, almeno, relegarla nella vita particolare delle persone.

Questa cultura produce una scristianizzazione, perfin troppo visibile, nella maggioranza dei paesi cristiani, in special modo nell’Occidente. Il numero delle vocazioni sacerdotali è calato. È diminuito anche il numero dei presbiteri, sia a causa della mancanza di vocazioni sia per l’influsso dell’ambiente culturale in cui vivono. Tutto ciò potrebbe condurre alla tentazione di un pessimismo scoraggiante, che condanna il mondo attuale e ci indurrebbe a ritirarci sulla difensiva, nelle trincee della resistenza.

Gesù Cristo, invece, afferma: “Non sono venuto per giudicare il mondo, ma per salvarlo” (Gv 12,47). Non possiamo né scoraggiarci né avere paura della società attuale né semplicemente condannarla. Bisogna salvarla! Ogni cultura umana, anche l’attuale, può essere evangelizzata. In ogni cultura ci sono “semina Verbi”, come aperture al Vangelo. Sicuramente anche nella nostra cultura attuale. Senza dubbio, anche i cosiddetti “post-cristiani” potrebbero essere toccati e riaprirsi, se fossero portati ad un vero incontro personale e comunitario con la persona di Gesù Cristo vivo. In un tale incontro, ogni persona umana di buona volontà può essere raggiunta da Lui. Egli ama tutti e bussa alla porta di tutti, perché vuole salvare tutti, senza eccezione. Egli è la Via, la Verità e la Vita, per tutti. È l’unico mediatore tra Dio e gli uomini.

Carissimi Presbiteri, noi, pastori, siamo chiamati oggi, con urgenza, alla missione, sia “ad gentes”, sia nelle regioni dei paesi cristiani, dove tantissimi battezzati si sono allontanati dalla partecipazione nelle nostre comunità o, addirittura, hanno perso la fede. Non possiamo aver paura né restare quieti a casa nostra. Il Signore ha detto ai suoi discepoli: “Perché avete paura, uomini di poca fede?”(Mt 8,26). “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me” (Gv 14,1). “Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa” (Mt 5,15). “Andate, dunque, in tutto il mondo e predicate il Vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20).

Non lanceremo il seme della Parola di Dio soltanto dalla finestra della nostra casa parrocchiale, ma usciremo nel campo aperto della nostra società, a cominciare dai poveri, raggiungendo anche tutti i livelli ed istituzioni della società. Andremo a visitare le famiglie, tutte le persone, anzitutto i battezzati che si sono allontanati. Il nostro popolo vuol sentire la vicinanza della sua Chiesa. Lo faremo, andando verso la società attuale, con gioia ed entusiasmo, sicuri della presenza del Signore con noi nella missione e sicuri che Lui busserà alle porte dei cuori ai quali Lo annunzieremo.
  • Cardinale Cláudio Hummes, Arcivescovo Emerito di São Paulo, Prefetto della Congregazione per il Clero
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Messaggio da miriam bolfissimo » mer set 02, 2009 5:23 pm


  • La santità è sempre attuale
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Cari Confratelli nel Sacerdozio,

nella fausta ricorrenza del 150mo Anniversario della nascita al Cielo di San Giovanni Battista Maria Vianney (4 agosto 1859 - 2009), mi è caro rivolgere a ciascuno un rinnovato augurio di buon Anno Sacerdotale!
Il Curato d’Ars si staglia davanti a noi come eccelsa figura di sacerdotale santità, vissuta non nella particolare straordinarietà delle opere, ma nella quotidiana fedeltà nell’esercizio del ministero; divenuto modello e “faro” per la Francia d’inizio Ottocento e per la Chiesa tutta, di ogni tempo e luogo, Egli è, per ciascuno di noi, fonte di consolazione e di speranza, anche in mezzo a talune “stanchezze” che possono toccare il nostro sacerdozio.
La sua totale dedizione è stimolo alla nostra gioiosa donazione a Cristo ed ai fratelli, perché il ministero sia sempre eco luminosa di quella consacrazione dalla quale deriva lo stesso mandato apostolico e, in esso, ogni fecondità pastorale!
Il suo amore a Cristo, carico anche di umanissima e sincera affezione, sia per noi incoraggiamento ad “innamorarci” sempre più profondamente del “nostro Gesù”: sia Lui lo sguardo che cerchiamo al mattino, la consolazione che ci accompagna alla sera, la memoria e la compagnia di ogni respiro della giornata. Vivere, sull’esempio di San Giovanni Maria Vianney, come innamorati del Signore, significa riuscire a tenere sempre alta la tensione missionaria, divenendo progressivamente ma realmente, immagini viventi del Buon Pastore e di colui che proclama al mondo: “Ecco l’Agnello di Dio”.
Il reale “rapimento” spirituale del Curato d’Ars durante la celebrazione della Santa Messa sia per ciascuno di noi esplicito invito ad avere sempre piena consapevolezza del grande dono che è stato affidato alle nostre persone: dono che ci fa cantare con sant’Ambrogio: «…E noi, elevati a tale dignità da consacrare il corpo ed il sangue di Nostro Signore Gesù Cristo, tutto possiamo sperare dalla Tua Misericordia!».
La sua eroica dedizione al confessionale, nutrita di reale spirito espiatorio ed alimentata dalla consapevolezza di essere chiamato a partecipare della “sostituzione vicaria” dell’unico Sommo Sacerdote, ci sproni a riscoprire la bellezza e la necessità, anche per noi Sacerdoti, della celebrazione del Sacramento della Riconciliazione. Esso è, ben lo sappiamo, un luogo di reale contemplazione delle opere meravigliose di Dio nelle anime che Egli delicatamente affascina, conduce e converte; privarsi di un tale “meraviglioso spettacolo” è un’irreparabile ed ingiusta privazione, oltre che per i fedeli, anche per il proprio ministero che si nutre dello stupore che nasce per ogni miracolo della libertà umana che dice “sì!” a Dio!
Infine l’amore filiale e carico di commoventi attenzioni del Santo Curato d’Ars per la Beata Vergine Maria, alla quale non esitò a consacrare se stesso e tutta la sua Parrocchia, ci sia di stimolo, in questo Anno Sacerdotale e sempre, per lasciar risuonare nel nostro cuore di padri, quasi con ostinata fedeltà, l’eccomi di Maria: il suo “per tutto” e “per sempre” che costituiscono l’unica reale misura della nostra sacerdotale esistenza.
Buona festa di San Giovanni Maria Vianney!
  • Mauro Piacenza, Arciv. tit. di Vittoriana, Segretario della Congregazione per il Clero
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 04, 2009 1:42 pm


  • Udienza generale del Santo Padre Benedetto XVI
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Cari fratelli e sorelle,

nell’odierna catechesi vorrei ripercorrere brevemente l’esistenza del Santo Curato d’Ars sottolineandone alcuni tratti, che possono essere di esempio anche per i sacerdoti di questa nostra epoca, certamente diversa da quella in cui egli visse, ma segnata, per molti versi, dalle stesse sfide fondamentali umane e spirituali. Proprio ieri si sono compiuti 150 anni dalla sua nascita al Cielo: erano infatti le due del mattino del 4 agosto 1859, quando san Giovanni Battista Maria Vianney, terminato il corso della sua esistenza terrena, andò incontro al Padre celeste per ricevere in eredità il regno preparato fin dalla creazione del mondo per coloro che fedelmente seguono i suoi insegnamenti (cfr Mt 25,34). Quale grande festa deve esserci stata in Paradiso all’ingresso di un così zelante pastore! Quale accoglienza deve avergli riservata la moltitudine dei figli riconciliati con il Padre, per mezzo dalla sua opera di parroco e confessore! Ho voluto prendere spunto da questo anniversario per indire l’Anno Sacerdotale, che, com’è noto, ha per tema Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote. Dipende dalla santità la credibilità della testimonianza e, in definitiva, l’efficacia stessa della missione di ogni sacerdote.

Giovanni Maria Vianney nacque nel piccolo borgo di Dardilly l’8 maggio del 1786, da una famiglia contadina, povera di beni materiali, ma ricca di umanità e di fede. Battezzato, com’era buon uso all’epoca, lo stesso giorno della nascita, consacrò gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza ai lavori nei campi e al pascolo degli animali, tanto che, all’età di diciassette anni, era ancora analfabeta. Conosceva però a memoria le preghiere insegnategli dalla pia madre e si nutriva del senso religioso che si respirava in casa. I biografi narrano che, fin dalla prima giovinezza, egli cercò di conformarsi alla divina volontà anche nelle mansioni più umili. Nutriva in animo il desiderio di divenire sacerdote, ma non gli fu facile assecondarlo. Giunse infatti all’Ordinazione presbiterale dopo non poche traversie ed incomprensioni, grazie all’aiuto di sapienti sacerdoti, che non si fermarono a considerare i suoi limiti umani, ma seppero guardare oltre, intuendo l’orizzonte di santità che si profilava in quel giovane veramente singolare. Così, il 23 giugno 1815, fu ordinato diacono e, il 13 agosto seguente, sacerdote. Finalmente all’età di 29 anni, dopo molte incertezze, non pochi insuccessi e tante lacrime, poté salire l’altare del Signore e realizzare il sogno della sua vita.

Il Santo Curato d’Ars manifestò sempre un’altissima considerazione del dono ricevuto. Affermava: “Oh! Che cosa grande è il Sacerdozio! Non lo si capirà bene che in Cielo… se lo si comprendesse sulla terra, si morirebbe, non di spavento ma di amore!” (Abbé Monnin, Esprit du Curé d’Ars, p. 113). Inoltre, da fanciullo aveva confidato alla madre: “Se fossi prete, vorrei conquistare molte anime” (Abbé Monnin, Procès de l’ordinaire, p. 1064). E così fu. Nel servizio pastorale, tanto semplice quanto straordinariamente fecondo, questo anonimo parroco di uno sperduto villaggio del sud della Francia riuscì talmente ad immedesimarsi col proprio ministero, da divenire, anche in maniera visibilmente ed universalmente riconoscibile, alter Christus, immagine del Buon Pastore, che, a differenza del mercenario, dà la vita per le proprie pecore (cfr Gv 10,11). Sull’esempio del Buon Pastore, egli ha dato la vita nei decenni del suo servizio sacerdotale. La sua esistenza fu una catechesi vivente, che acquistava un’efficacia particolarissima quando la gente lo vedeva celebrare la Messa, sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere molte ore nel confessionale.

Centro di tutta la sua vita era dunque l’Eucaristia, che celebrava ed adorava con devozione e rispetto. Altra caratteristica fondamentale di questa straordinaria figura sacerdotale era l’assiduo ministero delle confessioni. Riconosceva nella pratica del sacramento della penitenza il logico e naturale compimento dell’apostolato sacerdotale, in obbedienza al mandato di Cristo: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (cfr Gv 20,23). San Giovanni Maria Vianney si distinse pertanto come ottimo e instancabile confessore e maestro spirituale. Passando “con un solo movimento interiore, dall’altare al confessionale”, dove trascorreva gran parte della giornata, cercava in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai parrocchiani il significato e la bellezza della penitenza sacramentale, mostrandola come un’esigenza intima della Presenza eucaristica (cfr Lettera ai sacerdoti per l’Anno Sacerdotale).

I metodi pastorali di san Giovanni Maria Vianney potrebbero apparire poco adatti alle attuali condizioni sociali e culturali. Come potrebbe infatti imitarlo un sacerdote oggi, in un mondo tanto cambiato? Se è vero che mutano i tempi e molti carismi sono tipici della persona, quindi irripetibili, c’è però uno stile di vita e un anelito di fondo che tutti siamo chiamati a coltivare. A ben vedere, ciò che ha reso santo il Curato d’Ars è stata la sua umile fedeltà alla missione a cui Iddio lo aveva chiamato; è stato il suo costante abbandono, colmo di fiducia, nelle mani della Provvidenza divina. Egli riuscì a toccare il cuore della gente non in forza delle proprie doti umane, né facendo leva esclusivamente su un pur lodevole impegno della volontà; conquistò le anime, anche le più refrattarie, comunicando loro ciò che intimamente viveva, e cioè la sua amicizia con Cristo. Fu “innamorato” di Cristo, e il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto, che è divenuto amore per il gregge di Cristo, i cristiani e per tutte le persone che cercano Dio. La sua testimonianza ci ricorda, cari fratelli e sorelle, che per ciascun battezzato, e ancor più per il sacerdote, l’Eucaristia “non è semplicemente un evento con due protagonisti, un dialogo tra Dio e me. La Comunione eucaristica tende ad una trasformazione totale della propria vita. Con forza spalanca l’intero io dell’uomo e crea un nuovo noi” (Joseph Ratzinger, La Comunione nella Chiesa, p. 80).

Lungi allora dal ridurre la figura di san Giovanni Maria Vianney a un esempio, sia pure ammirevole, della spiritualità devozionale ottocentesca, è necessario al contrario cogliere la forza profetica che contrassegna la sua personalità umana e sacerdotale di altissima attualità. Nella Francia post-rivoluzionaria che sperimentava una sorta di “dittatura del razionalismo” volta a cancellare la presenza stessa dei sacerdoti e della Chiesa nella società, egli visse, prima - negli anni della giovinezza - un’eroica clandestinità percorrendo chilometri nella notte per partecipare alla Santa Messa. Poi - da sacerdote – si contraddistinse per una singolare e feconda creatività pastorale, atta a mostrare che il razionalismo, allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni dell’uomo e quindi, in definitiva, non vivibile.

Cari fratelli e sorelle, a 150 anni dalla morte del Santo Curato d’Ars, le sfide della società odierna non sono meno impegnative, anzi forse, si sono fatte più complesse. Se allora c’era la “dittatura del razionalismo”, all’epoca attuale si registra in molti ambienti una sorta di “dittatura del relativismo”. Entrambe appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di usare a pieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l’essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo. Oggi però, come allora, l’uomo “mendicante di significato e compimento” va alla continua ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi.

Avevano ben presente questa “sete di verità”, che arde nel cuore di ogni uomo, i Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II quando affermarono che spetta ai sacerdoti, “quali educatori della fede”, formare “un’autentica comunità cristiana” capace di aprire “a tutti gli uomini la strada che conduce a Cristo” e di esercitare “una vera azione materna” nei loro confronti, indicando o agevolando a che non crede “il cammino che porta a Cristo e alla sua Chiesa”, e costituendo per chi già crede “stimolo, alimento e sostegno per la lotta spirituale” (cfr Presbyterorum ordinis, 6). L’insegnamento che a questo proposito continua a trasmetterci il Santo Curato d’Ars é che, alla base di tale impegno pastorale, il sacerdote deve porre un’intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno. Solo se innamorato di Cristo, il sacerdote potrà insegnare a tutti questa unione, questa amicizia intima con il divino Maestro, potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore. Solo così, di conseguenza, potrà infondere entusiasmo e vitalità spirituale alle comunità che il Signore gli affida. Preghiamo perché, per intercessione di san Giovanni Maria Vianney, Iddio faccia dono alla sua Chiesa di santi sacerdoti, e perché cresca nei fedeli il desiderio di sostenere e coadiuvare il loro ministero. Affidiamo questa intenzione a Maria, che proprio oggi invochiamo come Madonna della Neve.
  • Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, mercoledì 5 agosto 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 04, 2009 1:43 pm


  • Lettera ai Diaconi permanenti
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Cari Diaconi permanenti,

sempre di più la Chiesa scopre l’inestimabile ricchezza del diaconato permanente. Quando i Vescovi vengono alla Congregazione per il Clero, in occasione delle visite “ad limina”, il tema del diaconato, tra gli altri, viene di solito commentato e i Prelati sono generalmente assai contenti e pieni di speranza riguardo a voi, Diaconi permanenti. Ciò colma noi tutti di gioia. La Chiesa vi ringrazia e riconosce la vostra dedizione e il vostro qualificato lavoro ministeriale. Al contempo, vuole incoraggiarvi sulla strada della santificazione personale, della vita di preghiera e della spiritualità diaconale. A voi si può egualmente applicare ciò che il Papa ha detto ai Sacerdoti, per l’Anno Sacerdotale, ossia: bisogna “favorire questa tensione dei Sacerdoti verso la perfezione spirituale, dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro ministero” (disc. del 16.3.09).

Oggi, nella festa di san Lorenzo, diacono e martire, vorrei invitarvi a due riflessioni. Una sul vostro ministero della Parola e l’altra sul vostro ministero della Carità.

Ricordiamo ancora con gratitudine il Sinodo sulla Parola di Dio, celebrato l’ottobre dell’anno scorso. Noi, ministri ordinati, abbiamo ricevuto dal Signore, attraverso la mediazione della Chiesa, l’incarico di predicare la Parola di Dio sino ai confini della terra, annunciando la persona di Gesù Cristo, morto e risorto, la Sua parola e il Suo Regno, ad ogni creatura. Questa Parola, come afferma il Messaggio finale del Sinodo, ha una Sua voce, la Rivelazione, un Suo volto, Gesù Cristo, e una Sua strada, la Missione. Conoscere la Rivelazione, aderire incondizionatamente a Gesù Cristo, come un discepolo affascinato ed innamorato, partire da Gesù e con Lui per la Missione, ecco ciò che ci si aspetta, decisamente e in un modo del tutto senza riserve, da un Diacono permanente. Dal buon discepolo nasce il buon missionario.

Il ministero della Parola, che, in modo speciale per i Diaconi, ha in santo Stefano, diacono e martire, un grande modello, richiede dai ministri ordinati un sforzo costante per studiarLa e farLa propria, nello stesso tempo in cui La si proclama agli altri. La meditazione, al modo della “lectio divina”, ossia, di lettura orante, è una via oggi sempre più percorsa e consigliata per capire, fare propria e vivere la Parola di Dio. Allo stesso tempo, la formazione intellettuale, teologica e pastorale è una sfida che dura tutta la vita. Un qualificato e aggiornato ministero della Parola dipende molto da questa formazione approfondita.

Siamo anche in attesa, in un futuro prossimo, del documento del Santo Padre sulle conclusioni del citato Sinodo. Esso dovrà essere accolto con apertura di cuore e con un impegno successivo di approfondimento.

La seconda riflessione riguarda il ministero della Carità, prendendo come grande modello san Lorenzo, diacono e martire. Il diaconato ha le sue radici nell’organizzazione ecclesiale della carità, nella Chiesa primitiva. A Roma, nel sec. III, periodo delle grandi persecuzioni dei cristiani, appare la figura straordinaria di san Lorenzo, arcidiacono del Papa san Sisto II e suo fiduciario nell’amministrazione dei beni della comunità. Di san Lorenzo dice il nostro amato Papa Benedetto XVI: “La sua sollecitudine per i poveri, il generoso servizio che rese alla Chiesa di Roma nel settore dell’assistenza e della carità, la fedeltà al Papa, da lui spinta al punto di volerlo seguire nella prova suprema del martirio e l’eroica testimonianza del sangue, resa solo pochi giorni dopo, sono fatti universalmente noti” (omelia nella Basilica di san Lorenzo, il 30.11.08). Di san Lorenzo è nota anche l’affermazione: “La ricchezza della Chiesa sono i poveri”. Ad essi egli assisteva con grande generosità. Ecco un esempio ancora attuale per i Diaconi permanenti. I poveri li dobbiamo amare in modo preferenziale, come Gesù Cristo. Essere solidali con loro. Cercare di costruire una società giusta, fraterna, pacifica. La recente lettera enciclica di Benedetto XVI, “Caritas in Veritate” (La carità nella verità), sia la nostra guida aggiornata. In tale enciclica il Santo Padre afferma come fondamentale principio: “La carità è la via maestra della dottrina sociale della Chiesa” (n.2). I Diaconi s’identificano in modo molto speciale con la carità. I poveri sono uno dei loro ambienti quotidiani e oggetto della loro sollecitudine instancabile. Non si capirebbe un Diacono che non si coinvolgesse in prima persona nella carità e nella solidarietà verso i poveri, che oggi di nuovo si moltiplicano.

Carissimi Diaconi permanenti, Dio vi benedica con tutto il suo amore e vi faccia felici nella vostra vocazione e missione! Alle spose e ai figli di coloro che, tra voi, sono sposati, saluto con rispetto e ammirazione. A loro la Chiesa ringrazia per l’appoggio e per la multiforme collaborazione che prestano ai rispettivi sposi e padri nel ministero diaconale. Inoltre, l’Anno Sacerdotale ci invita a manifestare il nostro apprezzamento ai carissimi preti e a pregare con loro e per loro!
  • Cardinale Cláudio Hummes, Arcivescovo Emerito di São Paulo, Prefetto della Congregazione per il Clero
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 04, 2009 1:46 pm


  • Udienza generale del Santo Padre Benedetto XVI
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Cari fratelli e sorelle,

è imminente la celebrazione della solennità dell'Assunzione della Beata Vergine, sabato prossimo, e siamo nel contesto dell'Anno Sacerdotale; così vorrei parlare del nesso tra la Madonna e il sacerdozio. È un nesso profondamente radicato nel mistero dell'Incarnazione. Quando Dio decise di farsi uomo nel suo Figlio, aveva bisogno del «sì» libero di una sua creatura. Dio non agisce contro la nostra libertà. E succede una cosa veramente straordinaria: Dio si fa dipendente dalla libertà, dal «sì» di una sua creatura; aspetta questo «sì». San Bernardo di Chiaravalle, in una delle sue omelie, ha spiegato in modo drammatico questo momento decisivo della storia universale, dove il cielo, la terra e Dio stesso aspettano cosa dirà questa creatura.

Il «sì» di Maria è quindi la porta attraverso la quale Dio è potuto entrare nel mondo, farsi uomo. Così Maria è realmente e profondamente coinvolta nel mistero dell'Incarnazione, della nostra salvezza. E l'Incarnazione, il farsi uomo del Figlio, era dall'inizio finalizzata al dono di sé; al donarsi con molto amore nella Croce, per farsi pane per la vita del mondo. Così sacrificio, sacerdozio e Incarnazione vanno insieme e Maria sta nel centro di questo mistero.

Andiamo adesso alla Croce. Gesù, prima di morire, vede sotto la Croce la Madre; e vede il figlio diletto e questo figlio diletto certamente è una persona, un individuo molto importante, ma è di più: è un esempio, una prefigurazione di tutti i discepoli amati, di tutte le persone chiamate dal Signore per essere «discepolo amato» e, di conseguenza, in modo particolare anche dei sacerdoti. Gesù dice a Maria: «Madre ecco tuo figlio» (Gv 19, 26). È una specie di testamento: affida sua Madre alla cura del figlio, del discepolo. Ma dice anche al discepolo: «Ecco tua madre» (Gv 19, 27). Il Vangelo ci dice che da questo momento san Giovanni, il figlio prediletto, prese la madre Maria «nella propria casa». Così è nella traduzione italiana; ma il testo greco è molto più profondo, molto più ricco. Potremmo tradurlo: prese Maria nell'intimo della sua vita, del suo essere, «eis tà ìdia», nella profondità del suo essere. Prendere con sé Maria, significa introdurla nel dinamismo dell’intera propria esistenza – non è una cosa esteriore - e in tutto ciò che costituisce l’orizzonte del proprio apostolato. Mi sembra si comprenda pertanto come il peculiare rapporto di maternità esistente tra Maria e i presbiteri costituisca la fonte primaria, il motivo fondamentale della predilezione che nutre per ciascuno di loro. Maria li predilige infatti per due ragioni: perché sono più simili a Gesù, amore supremo del suo cuore, e perché anch’essi, come Lei, sono impegnati nella missione di proclamare, testimoniare e dare Cristo al mondo. Per la propria identificazione e conformazione sacramentale a Gesù, Figlio di Dio e Figlio di Maria, ogni sacerdote può e deve sentirsi veramente figlio prediletto di questa altissima ed umilissima Madre.

Il Concilio Vaticano II invita i sacerdoti a guardare a Maria come al modello perfetto della propria esistenza, invocandola “Madre del sommo ed eterno Sacerdote, Regina degli Apostoli, Ausilio dei presbiteri nel loro ministero”. E i presbiteri – prosegue il Concilio – “devono quindi venerarla ed amarla con devozione e culto filiale” (cfr. Presbyterorum ordinis, 18). Il Santo Curato d'Ars, al quale pensiamo particolarmente in quest’anno, amava ripetere: «Gesù Cristo, dopo averci dato tutto quello che ci poteva dare, vuole ancora farci eredi di quanto egli ha di più prezioso, vale a dire la sua Santa Madre» (B. Nodet, Il pensiero e l’anima del Curato d’Ars, Torino 1967, p. 305). Questo vale per ogni cristiano, per tutti noi, ma in modo speciale per i sacerdoti. Cari fratelli e sorelle, preghiamo perché Maria renda tutti i sacerdoti, in tutti i problemi del mondo d’oggi, conformi all’immagine del suo Figlio Gesù, dispensatori del tesoro inestimabile del suo amore di Pastore buono. Maria, Madre dei sacerdoti, prega per noi!
  • Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, mercoledì 12 agosto 2009
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 04, 2009 1:49 pm


  • Udienza generale del Santo Padre Benedetto XVI
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Cari fratelli e sorelle!

ricorre oggi la memoria liturgica di san Giovanni Eudes, apostolo infaticabile della devozione ai Sacri Cuori di Gesù e Maria, vissuto in Francia nel secolo XVII, un secolo segnato da contrapposti fenomeni religiosi e anche da gravi problemi politici. E’ il tempo della guerra dei Trent’anni, che ha devastato non solo gran parte del Centro Europa, ma ha devastato anche le anime. Mentre si andava diffondendo il disprezzo per la fede cristiana da parte di alcune correnti di pensiero allora dominanti, lo Spirito Santo suscitava un rinnovamento spirituale pieno di fervore, con personalità di alto rilievo come il de Bérulle, san Vincenzo de Paoli, san Luigi M. Grignon de Montfort e san Giovanni Eudes. Questa grande “scuola francese” di santità ebbe tra i suoi frutti anche san Giovanni Maria Vianney. Per un misterioso disegno della Provvidenza, il mio venerato predecessore Pio XI proclamò santi insieme, il 31 maggio 1925, Giovanni Eudes e il Curato d’Ars, offrendo alla Chiesa e al mondo intero due straordinari esempi di santità sacerdotale.

Nel contesto dell’Anno Sacerdotale, mi è caro soffermarmi a sottolineare lo zelo apostolico di san Giovanni Eudes, particolarmente rivolto alla formazione del clero diocesano. I santi sono la vera interpretazione della Sacra Scrittura. I santi hanno verificato, nell'esperienza della vita, la verità del Vangelo; così ci introducono nel conoscere e capire il Vangelo. Il Concilio di Trento, nel 1563, aveva emanato norme per l'erezione dei seminari diocesani e per la formazione dei sacerdoti, in quanto il Concilio era ben consapevole che tutta la crisi della riforma era anche condizionata da un'insufficiente formazione dei sacerdoti, che non erano preparati per il sacerdozio in modo giusto, intellettualmente e spiritualmente, nel cuore e nell'anima. Questo nel 1563; ma siccome l'applicazione e la realizzazione delle norme tardavano sia in Germania, sia in Francia, san Giovanni Eudes vide le conseguenze di questa mancanza. Mosso dalla lucida consapevolezza del grave bisogno di aiuto spirituale, in cui versavano le anime proprio a causa anche dell’inadeguatezza di gran parte del clero, il santo, che era un parroco, istituì una Congregazione dedita in maniera specifica alla formazione dei sacerdoti. Nella città universitaria di Caen fondò il suo primo seminario, esperienza quanto mai apprezzata, che ben presto si allargò ad altre diocesi. Il cammino di santità, da lui percorso e proposto ai suoi discepoli, aveva come fondamento una solida fiducia nell’amore che Dio ha rivelato all’umanità nel Cuore sacerdotale di Cristo e nel Cuore materno di Maria. In quel tempo di crudeltà, di perdita di interiorità, egli si rivolse al cuore, per dire al cuore una parola dei Salmi molto ben interpretata da sant'Agostino. Voleva richiamare le persone, gli uomini e soprattutto i futuri sacerdoti al cuore, mostrando il cuore sacerdotale di Cristo e il cuore materno di Maria. Di questo amore del cuore di Cristo e di Maria ogni sacerdote deve essere testimone e apostolo. E qui arriviamo al nostro tempo.

Anche oggi si avverte la necessità che i sacerdoti testimonino l’infinita misericordia di Dio con una vita tutta “conquistata” dal Cristo, ed apprendano questo fin dagli anni della loro preparazione nei seminari. Papa Giovanni Paolo II, dopo il Sinodo del 1990, ha emanato l’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis nella quale riprende e aggiorna le norme del Concilio di Trento e sottolinea soprattutto la necessaria continuità tra il momento iniziale e quello permanente della formazione; questo per lui, per noi è un vero punto di partenza per un’autentica riforma della vita e dell’apostolato dei sacerdoti, ed è anche il punto nodale affinché la “nuova evangelizzazione” non sia semplicemente solo uno slogan attraente, ma si traduca in realtà. Le fondamenta poste nella formazione seminaristica, costituiscono quell’insostituibile “humus spirituale” nel quale “imparare Cristo”, lasciandosi progressivamente configurare a Lui, unico Sommo Sacerdote e Buon Pastore. Il tempo del Seminario va visto pertanto come l’attualizzazione del momento in cui il Signore Gesù, dopo aver chiamato gli apostoli e prima di mandarli a predicare, chiede loro di stare con Lui (cfr. Mc 3,14). Quando san Marco racconta la vocazione dei dodici apostoli, ci dice che Gesù aveva un duplice scopo: il primo era che stessero con Lui, il secondo che fossero mandati a predicare. Ma andando sempre con Lui, realmente annunciano Cristo e portano la realtà del Vangelo al mondo.

Durante questo Anno Sacerdotale vi invito a pregare, cari fratelli e sorelle, per i sacerdoti e per quanti si preparano a ricevere il dono straordinario del Sacerdozio ministeriale. A tutti rivolgo, e così concludo, l’esortazione di san Giovanni Eudes, che dice così ai sacerdoti: “Donatevi a Gesù, per entrare nell’immensità del suo grande Cuore, che contiene il Cuore della sua Santa Madre e di tutti i santi, e per perdervi in questo abisso di amore, di carità, di misericordia, di umiltà, di purezza, di pazienza, di sottomissione e di santità” (Coeur admirable, III, 2).
  • Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo, mercoledì 19 agosto 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 11, 2009 1:50 pm

  • O Gesù, sommo ed eterno sacerdote
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O Gesù, sommo ed eterno sacerdote,
custodisci ogni sacerdote dentro il Tuo Sacro Cuore.
Conserva immacolate le sue mani unte
che toccano ogni giorno il Tuo Sacro Corpo.
Custodisci pure le sue labbra
arrossate dal Tuo Prezioso Sangue.
Mantieni puro e celeste il suo cuore segnato
dal Tuo sublime carattere sacerdotale.
Fa che cresca nella fedeltà e nell'amore per Te
e preservalo dal contagio del mondo.
Col potere di trasformare il pane e il vino
donagli anche quello di trasformare i cuori.
Benedici e rendi fruttuose le sue fatiche
e dagli un giorno la corona della vita eterna. Amen
  • Santa Teresa di Gesù Bambino
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 11, 2009 1:55 pm


  • Dall'Anno Paolino all'Anno Sacerdotale: il filo rosso della missione
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Nell'udienza concessa all'assemblea plenaria della Congregazione per il Clero, lo scorso 16 marzo, il Santo Padre Benedetto XVI ha indetto uno speciale anno sacerdotale, dalla Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, il prossimo 19 giugno, alla stessa ricorrenza del 2010. La Plenaria del Clero ha avuto come tema: «L'identità missionaria del presbitero nella Chiesa, quale dimensione intrinseca dell'esercizio dei tria munera». E in quel contesto il Papa ha ricordato l'indispensabilità della «tensione verso la perfezione morale, che deve abitare ogni cuore autenticamente sacerdotale. Proprio per favorire questa tensione dei sacerdoti verso la perfezione spirituale dalla quale soprattutto dipende l'efficacia del loro ministero» è stato indetto lo speciale Anno dedicato ai sacerdoti.

L'Anno Paolino, terminato il 29 giungo 2009, ha passato cosi idealmente il testimone all'Anno Sacerdotale, in un provvidenziale cammino all'insegna della continuità e del necessario approfondimento di una delle "urgenze" del nostro tempo: la missione. Nel 150° anniversario del dies natalis di san Giovanni Maria Vianney, il Curato D'Ars, la Chiesa si stringe attorno ai suoi sacerdoti per riscoprirne la feconda presenza e per ridirne, con cristiana letizia, l'essenziale e ontologicamente distinto compito, all'interno della missione universale che giustamente coinvolge tutti i battezzati. L'Anno Sacerdotale, come voluto dal Santo Padre, non sarà un anno "riservato ai sacerdoti", ma a tutta la Chiesa; in ogni sua componente, essa sarà chiamata a riscoprire, alla luce della tensione missionaria che le è propria, la grandezza del dono che il Signore ha voluto lasciarle con il ministero sacerdotale.

Ha ricordato il Papa: «Se l'intera Chiesa è missionaria e se ogni cristiano, in forza del battesimo e della confermazione, quasi ex officio (cfr. CCC, 1305) riceve il mandato di professare pubblicamente la fede, il sacerdozio ministeriale, anche da questo punto di vista, si distingue ontologicamente, e non solo per grado, dal sacerdozio battesimale, detto anche sacerdozio comune» (Benedetto XVI, Discorso alla Plenaria del Clero, 16 marzo 2009).

La forza della missione nasce unicamente da un cuore rinnovato dall'incontro con Cristo risorto, come accaduto all'apostolo Paolo. Un incontro nel quale il Signore Gesù non sia solo conosciuto entusiasticamente o recepito intellettualisticamente, ma sia realmente esperito come l'imprevedibile e straordinariamente affascinante "risposta" del Padre a tutte le attese del cuore ferito dell'uomo, il quale scorge, nella straordinaria presenza umano-divina del Redentore, l'unica adeguata corrispondenza al proprio io, al proprio umano e misteriosamente infinito bisogno di salvezza.

Il cuore di san Paolo, ferito dalla bellezza di Cristo, così come il cuore di pastore di san Giovanni Maria Vianney, che il prossimo 19 giugno sarà traslato nella Basilica papale di San Pietro in Vaticano ed esposto alla venerazione di sacerdoti e fedeli laici, testimoniano con travolgente forza quale sia l'origine della missione ecclesiale. L'Anno Sacerdotale, celebrato in tutte le diocesi del mondo, dovrà essere una feconda occasione per riscoprire l'identità dei sacri ministri, che affonda proprio nel mandato apostolico le proprie radici e che «spinge i sacerdoti a essere presenti, identificabili e riconoscibili sia per il giudizio di fede, sia per le virtù personali, sia anche per l'abito, negli ambiti della cultura e della carità, da sempre al cuore della missione della Chiesa» (ivi). Nella fedeltà all'ininterrotta tradizione ecclesiale e nell'attento ascolto delle esigenze profonde del cuore dell'uomo, si dovrà rispondere concretamente all'invito biblico - «Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti» (Is 35,3) - per continuare a dire, con verità e convinzione colma di fiducia «agli smarriti di cuore: "Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio"» (Is 35,4). Mostrare Dio al mondo: questo è stato il compito dell'apostolo Paolo, questo il compito e il senso profondo del ministero sacerdotale nella Chiesa per il mondo.

La missione, ben lo sapeva san Paolo, e pienamente lo ha vissuto nel proprio ministero di "partecipazione" alla sostituzione vicaria san Giovanni Maria Vianney, ha come "contenuto" e come "metodo" Cristo stesso e la sua salvifica incarnazione. Ha affermato, a tal proposito, il Santo Padre: «Nel mistero dell'incarnazione del Verbo, nel fatto cioè che Dio si è fatto uomo come noi, sta sia il contenuto che il metodo dell'annuncio cristiano»; in tal senso è urgente, con il contributo della preziosa eredità dell'Anno Paolino e del prossimo Anno Sacerdotale, e con l'approfondimento costante della formazione iniziale e permanente del clero, sottrarsi a ogni tentazione di "discontinuità", riscoprendo la bellezza e l'armonia dell'unica storia sacra e salvifica di Dio con gli uomini, attraverso il suo corpo che è la Chiesa e, in essa, dell'unità del compito sacerdotale e apostolico che, ieri, oggi e sempre, è di annunciare la Parola di verità, celebrare quotidianamente e devotamente l'Eucaristia, in obbedienza al comando del Signore (Lc 22,19), e di amministrare l'inestimabile tesoro di grazia della Divina Misericordia.

La felice e provvidenziale iniziativa del Santo Padre di indire un Anno Sacerdotale trova la più ampia, convinta e generosa adesione innanzitutto della Congregazione per il Clero e, poi, dell'intero Episcopato mondiale che vede, anche in questa iniziativa, l'occasione propizia per imprimere realmente nuovo vigore alla più urgente di tutte le missioni: la sollecitudine per le vocazioni sacerdotali. Sarà, allora, un Anno all'insegna della continuità e dell'approfondimento: continuità del guardare con sempre grato stupore alla chiamata apostolica alla missione e approfondimento nello specificare la missione, con l'obiettivo centrato sul ministero sacerdotale.
  • Mauro Piacenza, Segretario della Congregazione per il Clero
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven set 18, 2009 5:07 pm


  • Volete compiere in maniera degna e saggia il ministero della parola, nell’annuncio del Vangelo e conservando l’ortodossia nella esposizione della fede?
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Carissimi Confratelli nel Sacerdozio,
la «Nuova evangelizzazione» convoca ciascuno ad un impegno, sempre rinnovato, di apostolato ed annuncio. Il mandato del Signore agli Apostoli è, in tal senso, esplicito ed inequivocabile: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo» (Mc 16,15-16a). L’impegno assunto durante l’ordinazione sacerdotale è esattamente quello di “compiere il ministero della parola”, cioè spendere l’intera esistenza nell’annuncio di Gesù Cristo, Verbo incarnato, morto e Risorto, unica autentica risposta alle esigenze del cuore umano.

La sollecitudine nel “servizio della parola” non può essere semplicemente di alcuni sacerdoti, particolarmente sensibili a tale dimensione. Essa è caratteristica propria ed irrinunciabile dello stesso ministero presbiterale, costituendo parte essenziale di quel munus docendi, ricevuto dallo Spirito nel sacramento dell’Ordine.

Il rito prevede l’impegno a compiere tale servizio in maniera “degna” e “saggia”. La dignità rimanda immediatamente all’oggetto dell’annuncio: Gesù Cristo Salvatore. Nessun presbitero annuncia se stesso o proprie idee, né interpretazioni personalistiche o soggettive dell’unico eterno Vangelo. Siamo chiamati a riconoscere la suprema “dignità” di Colui del Quale siamo stati resi portatori e, per conseguenza, a compiere in maniera “degna” tale servizio. Tale coscienza non può non tradursi nell’impegno ad un approfondimento costante delle Sacre Scritture, «Parola di Dio in quanto […] messa per iscritto sotto l’ispirazione dello Spirito Divino» (Dei Verbum, 9); approfondimento certamente esegetico-teologico, ma soprattutto spirituale. La vera conoscenza delle Scritture è quella del cuore, che nasce dalla quotidiana intimità con esse, dalla Lectio divina, compiuta nell’alveo della grande Tradizione dei Padri, dalla meditazione profonda che, gradualmente ma efficacemente, conforma l’anima al Vengelo, trasformando ciascun sacerdote in un “vangelo vivente”. Ben sappiamo che «Il Vangelo non è solo parola, Cristo stesso è il Vangelo» (Benedetto XVI, Omelia, 12/09/09) ed a Lui siamo chiamati a conformarci, anche attraverso l’esercizio del ministero dell’annuncio.

Accanto alla dignità di tale servizio, la sacra Liturgia ne indica la “saggezza” come caratteristica. Questa presuppone la prudenza e la capacità di guardare alla realtà, tendenzialmente, secondo la totalità dei suoi fattori, non assolutizzando alcun punto di vista umano, ma sempre riferendo tutto all’Unico Assoluto che è Dio. Una predicazione saggia tiene conto innanzitutto delle reali esigenze di coloro ai quali si rivolge, mai imponendo arbitrarie ed insufficienti interpretazioni, ma favorendo sempre l’unica cosa davvero necessaria: il reale incontro con Dio dei fratelli affidati alle nostre cure. La saggezza è capace di distinguere circostanze, tempi e modi, è umile e non fa ergere l’annunciatore al di sopra di Colui che deve annunciare e nemmeno al di sopra della Chiesa che, da duemila anni, custodisce vivente il Vangelo. Infine, compiere in maniera saggia il “ministero della parola” significa essere sempre lucidamente consapevoli dell’opera di Dio in ogni annuncio: è lui che prepara i cuori, è lui che incontra gli uomini, è lui che fa germogliare i fiori di conversione e maturare i frutti di carità. L’Unico “relativismo” ammesso è quello verso se stessi: dobbiamo essere, come predicatori, totalmente “relativi a Dio”!

Scopriremo, in tal modo, l’efficacia e la bellezza del ministero a noi affidato attraverso l’annuncio della Parola, avvertiremo quell’intima compagnia del Signore, che ama chi dona con gioia e non lascia mai solo il suo servo, contempleremo, commossi, i frutti che Lui permetterà ed avvertiremo la Sua compagnia anche nel momento della Croce.
  • Mauro Piacenza, Segretario della Congregazione per il Clero
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 09, 2009 3:52 pm


  • Il Sacerdote: Servo, Liturgo e Testimone
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Da qualche mese siamo entrati nell'Anno dedicato ad approfondire la figura e la spiritualità del sacerdote, inteso nella sua accezione di ministero ordinato. Il rischio di cadere in facili schematizzazioni è in agguato se non si tiene nel dovuto conto l'intera pro-esistenza del sacerdote chiamato a servire i fratelli nella piena fedeltà all'unico Cristo (cfr. Mt 23,8.10). La pro-esistenza ha il significato di una vita completamente spesa per gli altri. Tale atteggiamento nasce dall'assenza di ogni autoreferenzialità per "essere-per-gli-altri". Un parroco che si spende incondizionatamente per la gente diviene testimone credibile dell'amore di Dio. Solo l'amore è infatti credibile. I fedeli non vogliono vedere un parroco arroccato nel mondo dei suoi affari, ma desiderano incontrare un uomo che si sporca le mani conquistando i cuori delle persone.

Il sacerdote è chiamato a ricalcare in tutto le orme (cfr. 1 Pt 2,21) di Colui che per noi si è fatto povero (cfr. 2Cor 8,9); egli è pertanto immagine del Cristo, servus caritatis: «Il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20,28; Me 10,45). Il servizio del sacerdote si pone nel dinamismo di spoliazione delle proprie vedute personali per portare gli uomini all'incontro con Colui che si è spogliato delle prerogative divine: «Come dimenticare, in proposito, che nulla fa soffrire tanto la Chiesa, Corpo di Cristo, quanto i peccati dei suoi pastori, soprattutto di quelli che si tramutano in "ladri delle pecore" (Gv 10,1 ss.), o perché le deviano con le loro private dottrine, o perché le stringono con lacci di peccato e di morte? Anche per noi, cari sacerdoti, vale il richiamo alla conversione e al ricorso alla Divina Misericordia, e ugualmente dobbiamo rivolgere con umiltà l'accorata e incessante domanda al Cuore di Gesù perché ci preservi dal terribile rischio di danneggiare coloro che siamo tenuti a salvare» (Benedetto XVI).
  • Come il Servo del Signore
Gesù Cristo, Colui che si è abbassato fino in fondo alla condizione umana, è il Servo che si è seduto a mensa con l'uomo peccatore chiamato alla riconciliazione con il Padre. Nel gesto della lavanda dei piedi il Cristo, Servo di Jhwh, si china davanti all'uomo annunciando quel sacrificio redentivo che si sarebbe consumato sul legno della Croce. Sembra quasi che con tale comportamento Gesù metta in atto le sue stesse parole: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Le 12,37). Egli, il Grande, si è fatto servitore (cfr. Me 10,43). Cristo si è lasciato consumare nel torchio della storia per ricondurre l'uomo a riconoscere il volto d'amore di un Dio che non ha avuto paura di divenire nostro compagno di viaggio. Cristo è il Servo che, posto come fondamento dell'intero edificio, sostiene ogni realtà.

Il Crocifisso morto per noi è il culmine più alto di una vita spesa per gli altri e noi, come sottolinea san Paolo, siamo chiamati a farci imitatori di Cristo (cfr. Fil 2,5-8). È il Figlio stesso che liberamente si dona e per amore. Si tratta di un atto di totale abbandono nelle mani di Colui che lo avrebbe risuscitato dai morti. Cristo ha caratterizzato tutta la sua esistenza terrena come un dono costante per gli altri, come un vivere totalmente per gli altri, in vista di una comunione che vuole stabilire con essi. Il sacerdote, lasciandosi vivificare dalla diakonia, si comprende realmente come immagine del Cristo se segue le orme del suo Maestro, unico Capo della Chiesa. Noi siamo membra ed organi molto diversi gli uni dagli altri. Ciascuno è importante nel luogo in cui si trova come rilevanti sono gli altri nel loro luogo.

Il presbitero deve correre verso l'identificazione con Cristo perché la sua esistenza non gli appartiene, ma egli è di Cristo come Cristo di Dio (cfr. ICor 3,23). La gente vuole vedere un prete che, nell'umiltà, sa trattare con tutti. Egli deve porsi a servizio dell'intera parrocchia e comunità: dai bambini fino a quelli che stanno lontani. Nessuno deve essere escluso. Spesso il parroco si imbatte in situazioni difficili: il prete è chiamato a farsi carico delle sofferenze delle persone che incontra, portando quella consolazione che solo Cristo può dare.
  • Profondo nella liturgia, aperto nella testimonianza
Cristo, sommo Sacerdote, è il Liturgo sempre vivente che il sacerdote è esortato a imitare. Pur restando vero che il Signore Risorto per realizzare nel nostro tempo la sua opera perenne di salvezza, si fa sempre presente nella sua Chiesa ed in modo speciale nelle azioni liturgiche (praesens semper adest et operatur), tuttavia non dobbiamo dimenticare che la vera liturgia è quella che Egli celebra quale nostro Sommo Sacerdote «sempre vivente» in una perenne intercessione presso il Padre in nostro favore (Eb 7,25; Rm 8,34). Vedere un sacerdote che celebra bene e con profonda devozione è per i fedeli un efficace segno che suscita stima, rispetto e adesione. Una liturgia vissuta fa comprendere al popolo che colui che presiede si lascia cogliere da quell'unico Mistero d'amore che è venuto a salvarci.

Il sacerdote deve essere la testimonianza del Testimone per eccellenza. La testimonianza del sacerdote, per essere credibile, deve radicarsi nella testimonianza della Chiesa. La propria libertà si radica nel servizio della testimonianza che la Chiesa deve offrire al mondo annunciando il Risorto: è solo Lui il Signore (cfr. 2Tm 1,8). Essa è chiamata ad essere testimonianza tangibile del Cristo venuto nel mondo a rendere testimonianza alla verità (cfr. Gv 18,37).

Il sacerdote ha il ruolo di essere luce, sale e lievito nel cuore dell'umanità. Il sacerdote è chiamato a farsi eucarestia e parola, spezzando la propria vita per coloro a cui è inviato. Ci troviamo di fronte alla piena e concreta realizzazione della promessa di Cristo: «Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20). Da parte dei fedeli c'è il richiamo pressante che invita i sacerdoti a ricuperare la vita interiore. Il cuore del consacrato deve essere un cuore sacerdotale. Sempre, senza interruzioni. I fedeli intuiscono il profondo ruolo della missione sacerdotale soprattutto quando sono gli stessi ministri a offrirla integra e attraente, capace di interessare e suscitare simpatia.

La perfetta configurazione del sacerdote a Cristo Sacerdote genera la santità di vita del consacrato, il quale non ha bisogno di ostentarla, perché sono gli stessi fedeli a cogliere nel loro pastore questa dinamica di fedeltà a Dio e agli uomini nell'essere sacerdote. La perfetta configurazione dell'apostolo Paolo a Cristo Sacerdote deve permettere al sacerdote di affermare: «Non vivo più io, ma Cristo vive in me» (Gai 2,20). Allora il sacerdote è realmente alter Christus.
  • Michele Delle Foglie
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 09, 2009 3:58 pm


  • Dall’omelia del 21 settembre 2009 in occasione del convegno dei Vescovi novelli di tutto il mondo riuniti in Roma
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Cari vescovi novelli,

siamo nell’Anno Sacerdotale. I presbiteri anche loro, come ministri ordinati e principali collaboratori del rispettivo vescovo, sono sacramentalmente collegati alla missione apostolica. Quest’anno speciale è stato indetto dal Santo Padre in favore dei presbiteri, a motivo della loro insostituibilità e importanza nella Chiesa. Come tali, hanno oggi una particolare necessità di sostegno e di rinnovamento spirituale e pastorale. Perciò, vorrei proporvi fraternamente di essere molto vicini ai vostri presbiteri, di pregare con loro e per loro. Il Santo Padre desidera, con molta premura di cuore, che quest’Anno Sacerdotale sia ben ricevuto e ben realizzato dai vescovi nelle loro diocesi.

I nostri presbiteri hanno bisogno di essere amati e sostenuti nella loro vocazione e missione, anzitutto dal loro proprio vescovo e dalla loro comunità. Vogliono essere riconosciuti per ciò che sono e per ciò che fanno. Hanno anche bisogno d’essere aiutati ed orientati per rinnovare nei loro cuori la vera identità del sacerdozio e il vero senso del celibato. In questo contesto, sarà decisivo rinnovare e rinvigorire la loro spiritualità presbiterale, che ha il suo fondamento nell’essere veri e incondizionati discepoli di Gesù Cristo, che li ha configurati a Sé, Capo e Pastore della Chiesa.

Per questo discepolato, così determinante nella loro vita, serve tantissimo ai presbiteri l’ascolto e la lettura orante della Parola di Dio, la celebrazione quotidiana dell’Eucaristia, la ricezione frequente del Sacramento della Confessione, la recita della Liturgia delle Ore, la visita frequente al Santissimo Sacramento, la recita del rosario ed altri mezzi di arricchimento spirituale e d’incontro e d’intimità personale con Gesù Cristo. Molto importanti sono anche gli Esercizi Spirituali annuali e la formazione permanente.

Inoltre, bisogna suscitare la coscienza missionaria dei presbiteri. La Chiesa sa che c’è un’urgenza missionaria in tutto il mondo, non soltanto “ad gentes”, ma anche all’interno dello stesso gregge della Chiesa già stabilita da secoli nei paesi del mondo cristiano. Bisogna promuovere nelle nostre diocesi e nelle nostre parrocchie un vero slancio missionario. Tutti i nostri paesi sono diventati terra di missione, in senso stretto.

Bisogna accendere nei nostri presbiteri e in noi stessi un nuovo fuoco, una nuova passione per alzarci ed andare incontro alle persone, lì dove vivono e lavorano, per portare loro di nuovo il Kerigma, il primo annuncio della persona di Gesù Cristo, morto e risorto, e del suo Regno, per condurle ad un incontro personale e poi comunitario con il Signore. Benedetto XVI, il nostro amato papa, riferendosi alla situazione nei nostri paesi di secolare tradizione cristiana, ha detto: “Dovremmo riflettere seriamente sul modo in cui oggi possiamo realizzare una vera evangelizzazione, non solo un nuova evangelizzazione, ma spesso una vera e propria prima evangelizzazione. […].

Non è sufficiente che noi cerchiamo di conservare il gregge esistente” (disc. ai vescovi tedeschi, 21.8.05), ma abbiamo bisogno di una vera missione. Non basta accogliere le persone che vengono da noi, nella parrocchia o nella casa canonica. Bisogna urgentemente alzarsi e andare in cerca, anzitutto, dei tantissimi battezzati che si sono allontanati dalla partecipazione alla vita delle nostre comunità, e poi anche di tutti coloro che poco o niente conoscono di Gesù Cristo. La missione ha sempre rinnovato la Chiesa. Lo stesso accade anche per i presbiteri, quando vanno in missione. Ecco, allora tutto un programma da sviluppare in quest’Anno Sacerdotale.
  • Cardinale Cláudio Hummes, Arcivescovo Emerito di São Paulo, Prefetto della Congregazione per il Clero
      • Io voglio amare soltanto per Te tutto quello che amo... (santa Teresa di Lisieaux)[/list:u][/list:u][/list:u]

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Messaggio da miriam bolfissimo » mer ott 14, 2009 9:48 am


  • Udienza generale del Santo Padre Benedetto XVI
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Cari fratelli e sorelle!

Dopodomani, 9 ottobre, si compiranno 400 anni dalla morte di san Giovanni Leonardi, fondatore dell’Ordine religioso dei Chierici Regolari della Madre di Dio, canonizzato il 17 aprile del 1938 ed eletto Patrono dei farmacisti in data 8 agosto 2006. Egli è anche ricordato per il grande anelito missionario. Insieme a Mons. Juan Bautista Vives e al gesuita Martin de Funes progettò e contribuì all’istituzione di una specifica Congregazione della Santa Sede per le missioni, quella di Propaganda Fide, e alla futura nascita del Collegio Urbano di Propaganda Fide, che nel corso dei secoli ha forgiato migliaia di sacerdoti, molti di essi martiri, per evangelizzare i popoli. Si tratta, pertanto, di una luminosa figura di sacerdote, che mi piace additare come esempio a tutti i presbiteri in questo Anno Sacerdotale. Morì nel 1609 per un’influenza contratta mentre stava prodigandosi nella cura di quanti, nel quartiere romano di Campitelli, erano stati colpiti dall’epidemia.

Giovanni Leonardi nacque nel 1541 a Diecimo in provincia di Lucca. Ultimo di sette fratelli, ebbe un’adolescenza scandita dai ritmi di fede vissuti in un nucleo familiare sano e laborioso, oltre che dall’assidua frequentazione di una bottega di aromi e di medicamenti del suo paese natale. A 17 anni il padre lo iscrisse ad un regolare corso di spezieria a Lucca, allo scopo di farne un futuro farmacista, anzi uno speziale, come allora si diceva. Per circa un decennio il giovane Giovanni Leonardi ne fu vigile e diligente frequentatore, ma quando, secondo le norme previste dall’antica Repubblica di Lucca, acquisì il riconoscimento ufficiale che lo avrebbe autorizzato ad aprire una sua spezieria, egli cominciò a pensare se non fosse giunto il momento di realizzare un progetto che da sempre aveva in cuore. Dopo matura riflessione decise di avviarsi al sacerdozio. E così, lasciata la bottega dello speziale, ed acquisita un’adeguata formazione teologica, fu ordinato sacerdote e il giorno dell’Epifania del 1572 celebrò la prima Messa. Tuttavia non abbandonò la passione per la farmacopea, perché sentiva che la mediazione professionale di farmacista gli avrebbe permesso di realizzare appieno la sua vocazione, quella di trasmettere agli uomini, mediante una vita santa, “la medicina di Dio”, che è Gesù Cristo crocifisso e risorto, “misura di tutte le cose”.

Animato dalla convinzione che di tale medicina necessitano tutti gli esseri umani più di ogni altra cosa, san Giovanni Leonardi cercò di fare dell’incontro personale con Gesù Cristo la ragione fondamentale della propria esistenza. “È necessario ricominciare da Cristo”, amava ripetere molto spesso. Il primato di Cristo su tutto divenne per lui il concreto criterio di giudizio e di azione e il principio generatore della sua attività sacerdotale, che esercitò mentre era in atto un vasto e diffuso movimento di rinnovamento spirituale nella Chiesa, grazie alla fioritura di nuovi Istituti religiosi e alla testimonianza luminosa di santi come Carlo Borromeo, Filippo Neri, Ignazio di Loyola, Giuseppe Calasanzio, Camillo de Lellis, Luigi Gonzaga. Con entusiasmo si dedicò all’apostolato tra i ragazzi mediante la Compagnia della Dottrina Cristiana, riunendo intorno a sé un gruppo di giovani con i quali, il primo settembre 1574, fondò la Congregazione dei Preti riformati della Beata Vergine, successivamente chiamato Ordine dei Chierici Regolari della Madre di Dio. Ai suoi discepoli raccomandava di avere “avanti gli occhi della mente solo l’onore, il servizio e la gloria di Cristo Gesù Crocifisso”, e, da buon farmacista abituato a dosare le pozioni grazie a un preciso riferimento, aggiungeva: “Un poco più levate i vostri cuori a Dio e con Lui misurate le cose”.

Mosso da zelo apostolico, nel maggio del 1605, inviò al Papa Paolo V appena eletto un Memoriale nel quale suggeriva i criteri di un autentico rinnovamento nella Chiesa. Osservando come sia “necessario che coloro che aspirano alla riforma dei costumi degli uomini cerchino specialmente, e per prima cosa, la gloria di Dio”, aggiungeva che essi devono risplendere “per l'integrità della vita e l'eccellenza dei costumi, così, più che costringere, attireranno dolcemente alla riforma”. Osservava inoltre che “chi vuole operare una seria riforma religiosa e morale deve fare anzitutto, come un buon medico, un'attenta diagnosi dei mali che travagliano la Chiesa per poter così essere in grado di prescrivere per ciascuno di essi il rimedio più appropriato”. E notava che “il rinnovamento della Chiesa deve verificarsi parimenti nei capi e nei dipendenti, in alto e in basso. Deve cominciare da chi comanda ed estendersi ai sudditi”. Fu per questo che, mentre sollecitava il Papa a promuovere una “riforma universale della Chiesa”, si preoccupava della formazione cristiana del popolo e specialmente dei fanciulli, da educare “fin dai primi anni… nella purezza della fede cristiana e nei santi costumi”.

Cari fratelli e sorelle, la luminosa figura di questo Santo invita i sacerdoti in primo luogo, e tutti i cristiani, a tendere costantemente alla “misura alta della vita cristiana” che è la santità, ciascuno naturalmente secondo il proprio stato. Soltanto infatti dalla fedeltà a Cristo può scaturire l’autentico rinnovamento ecclesiale. In quegli anni, nel passaggio culturale e sociale tra il secolo XVI e il secolo XVII, cominciarono a delinearsi le premesse della futura cultura contemporanea, caratterizzata da una indebita scissione tra fede e ragione, che ha prodotto tra i suoi effetti negativi la marginalizzazione di Dio, con l’illusione di una possibile e totale autonomia dell’uomo il quale sceglie di vivere “come se Dio non ci fosse”. E’ la crisi del pensiero moderno, che più volte ho avuto modo di evidenziare e che approda spesso in forme di relativismo. Giovanni Leonardi intuì quale fosse la vera medicina per questi mali spirituali e la sintetizzò nell’espressione: “Cristo innanzitutto”, Cristo al centro del cuore, al centro della storia e del cosmo. E di Cristo – affermava con forza – l’umanità ha estremo bisogno, perché Lui è la nostra “misura”. Non c’è ambiente che non possa essere toccato dalla sua forza; non c’è male che non trovi in Lui rimedio, non c’è problema che in Lui non si risolva. “O Cristo o niente”! Ecco la sua ricetta per ogni tipo di riforma spirituale e sociale.

C’è un altro aspetto della spiritualità di san Giovanni Leonardi che mi piace sottolineare. In più circostanze ebbe a ribadire che l’incontro vivo con Cristo si realizza nella sua Chiesa, santa ma fragile, radicata nella storia e nel suo divenire a volte oscuro, dove grano e zizzania crescono insieme (cfr Mt 13,30), ma tuttavia sempre Sacramento di salvezza. Avendo lucida consapevolezza che la Chiesa è il campo di Dio (cfr Mt 13,24), non si scandalizzò delle sue umane debolezze. Per contrastare la zizzania scelse di essere buon grano: decise, cioè, di amare Cristo nella Chiesa e di contribuire a renderla sempre più segno trasparente di Lui. Con grande realismo vide la Chiesa, la sua fragilità umana, ma anche il suo essere “campo di Dio”, lo strumento di Dio per la salvezza dell’umanità. Non solo. Per amore di Cristo lavorò alacremente per purificare la Chiesa, per renderla più bella e santa. Capì che ogni riforma va fatta dentro la Chiesa e mai contro la Chiesa. In questo, san Giovanni Leonardi è stato veramente straordinario e il suo esempio resta sempre attuale. Ogni riforma interessa certamente le strutture, ma in primo luogo deve incidere nel cuore dei credenti. Soltanto i santi, uomini e donne che si lasciano guidare dallo Spirito divino, pronti a compiere scelte radicali e coraggiose alla luce del Vangelo, rinnovano la Chiesa e contribuiscono, in maniera determinante, a costruire un mondo migliore.

Cari fratelli e sorelle, l’esistenza di san Giovanni Leonardi fu sempre illuminata dallo splendore del “Volto Santo” di Gesù, custodito e venerato nella Chiesa cattedrale di Lucca, diventato il simbolo eloquente e la sintesi indiscussa della fede che lo animava. Conquistato da Cristo come l’apostolo Paolo, egli additò ai suoi discepoli, e continua ad additare a tutti noi, l’ideale cristocentrico per il quale “bisogna denudarsi di ogni proprio interesse e solo il servizio di Dio riguardare”, avendo “avanti gli occhi della mente solo l’onore, il servizio e la gloria di Cristo Gesù Crocifisso”. Accanto al volto di Cristo, fissò lo sguardo sul volto materno di Maria. Colei che elesse Patrona del suo Ordine, fu per lui maestra, sorella, madre, ed egli sperimentò la sua costante protezione. L’esempio e l’intercessione di questo “affascinante uomo di Dio” siano, particolarmente in questo Anno Sacerdotale, richiamo e incoraggiamento per i sacerdoti e per tutti i cristiani a vivere con passione ed entusiasmo la propria vocazione.
  • Piazza San Pietro, mercoledì 7 ottobre 2009
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven ott 16, 2009 10:53 am


  • Volete essere uniti sempre più strettamente a Cristo Sommo Sacerdote, che come vittima pura si è offerto al Padre, consacrando anche voi stessi a Dio per la salvezza di tutti gli uomini?
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Carissimi Confratelli nel Sacerdozio,
l’unica ragione della nostra vita e del nostro ministero è Gesù di Nazareth, Signore e Cristo! L’esistenza dei Sacerdoti ha in Lui, e solo in Lui, la propria origine, il proprio fine e, nel tempo, l’intero proprio svolgersi. Il rapporto intimo e personale con Gesù Risorto, vivo e presente, è realmente l’unica esperienza che possa spingere un uomo a donare totalmente se stesso a Dio, per i fratelli.

Noi ben sappiamo, carissimi, come il Signore ci abbia sedotto, come il suo fascino sia stato per ciascuno di noi irresistibile, come afferma il profeta: «Mi hai sedotto, Signore ed io mi sono lasciato sedurre, hai fatto forza ed hai prevalso» (Ger 20,7). Questo fascino, come ogni cosa davvero preziosa, ha continuamente bisogno di essere difeso, custodito, protetto ed alimentato, perché non si perda o, forse peggio, non divenga uno sbiadito ricordo, insufficiente a reggere l’urto, spesso aggressivo, della realtà del mondo! L’intimità divina, origine di ogni apostolato, è il segreto per custodire permanentemente il fascino di Cristo!

Siamo Sacerdoti, prima che per ogni altra, anche buona, ragione, per essere «strettamente uniti a Cristo Sommo Sacerdote», uniti a Colui che è la nostra unica salvezza, l’Amato del nostro cuore, la Roccia su cui costruiamo ciascun attimo del nostro ministero, Colui che ci è più intimo di noi stessi e che più di tutto desideriamo. Cristo Sommo Sacerdote, ci “attira” dentro di sé. Questa unione a Lui, che è il Sacramento dell’Ordine, comporta la partecipazione alla Sua offerta: «L’unirsi a Cristo suppone la rinuncia. Comporta che non vogliamo imporre la nostra strada e la nostra volontà; che non desideriamo diventare questo o quest’altro, ma ci abbandoniamo a Lui, ovunque e in qualunque modo Egli voglia servirsi di noi» (Benedetto XVI, omelia, Santa Messa Crismale, 9/04/2009). L’espressione, «essere uniti», ci ricorda che tutto ciò non è opera nostra, frutto di un nostro sforzo volontario, ma opera della Grazia in noi: è lo Spirito che ci configura ontologicamente a Cristo Sacerdote e ci dona la forza di perseverare, sino alla fine, in questa partecipazione alla vita e perciò all’opera divina. La «vittima pura», poi, che è Cristo Signore, richiama ciascuno all’insostituibile valore del celibato, che implica la perfetta continenza per il Regno dei Cieli e quella purezza che rende “gradita a Dio” la nostra offerta in favore degli uomini.

L’intimità con Gesù Cristo e la protezione della Beata Vergine Maria, la “tutta bella” e la “tutta pura”, ci sostengano nel quotidiano cammino di partecipazione a quell’Opera di un Altro, nella quale consiste il ministero sacerdotale, sapendo che, tale partecipazione, è portatrice di salvezza innanzitutto per noi che la viviamo: Cristo è, in tal senso, la nostra vita!
  • Mauro Piacenza, Segretario della Congregazione per il Clero
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven nov 20, 2009 10:53 am


  • Prometti a me e ai miei successori filiale rispetto ed obbedienza?
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Carissimi Confratelli nel Sacerdozio,
pur non essendo vincolati da Solenne Voto di obbedienza, gli ordinandi pronunciano la “promessa” di “filiale rispetto ed obbedienza” nei confronti del proprio Ordinario e dei suoi Successori. Se è differente lo statuto teologico tra un Voto ed una promessa, identico è l’impegno morale totalizzante e definitivo, identica l’offerta della propria volontà alla volontà di un Altro: alla volontà Divina, ecclesialmente mediata.

In un tempo come il nostro, intriso di relativismo e di democraticismo, di vari autonomismi e libertarismi, alla mentalità corrente pare sempre più incomprensibile una tale promessa di obbedienza. Non di rado è concepita come una diminutio della dignità e della libertà umane, come un perseverare in forme obsolete, tipiche di una società incapace di autentica emancipazione.

Noi che viviamo l’obbedienza autentica, ben sappiamo che non è così. Mai l’obbedienza, nella Chiesa, è contraria alla dignità ed al rispetto della persona, mai deve essere concepita come una sottrazione di responsabilità o come una alienazione.

Il Rito utilizza un aggettivo fondamentale per la giusta comprensione di tale promessa; definisce l’obbedienza solo dopo aver inserito il “rispetto” e questo è aggettivato come “filiale”. Ora il termine: “figlio”, in ogni lingua, è un nome relativo, che implica, appunto, la relazione tra un padre ed un figlio. Proprio in questo contesto relazionale deve essere compresa l’obbedienza che abbiamo promesso. Un contesto nel quale il padre è chiamato ad essere padre davvero, ed il figlio a riconoscere la propria figliolanza e la bellezza della paternità che gli è donata. Come accade nella legge di natura, nessuno sceglie il proprio padre e, d’altro canto, nessuno sceglie i propri figli. Dunque siamo tutti chiamati, padri e figli, ad avere gli uni per gli altri uno sguardo soprannaturale, di grande misericordia reciproca e di grande rispetto, cioè capacità di guardare all’altro, tenendo sempre presente il Mistero buono, che lo ha generato e che sempre, ultimamente, lo costituisce. Il rispetto è, in definitiva, semplicemente questo: guardare qualcuno, tenendo presente un Altro!

Solo in un contesto di “filiale rispetto” è possibile un’autentica obbedienza, che non sia appena formale, mera esecuzione di ordini, ma sia appassionata, intera, attenta, che possa davvero portare frutti di conversione e di “vita nuova” in chi la vive.

La promessa è all’Ordinario del tempo dell’Ordinazione e ai suoi “Successori”, perché la Chiesa rifugge sempre dagli eccessivi personalismi: ha al centro la persona, ma non i soggettivismi che slegano dalla forza e dalla bellezza, storica e teologica, dell’Istituzione. Anche nell’Istituzione, che è di origine divina, dimora lo Spirito. L’istituzione è, per sua natura, carismatica e dunque essere liberamente legati ad essa, nel tempo (Successori) significa poter “rimanere nella verità”, permanere in Lui, presente ed operante nel suo vivo corpo che è la Chiesa, nella bellezza della continuità del tempo, dei secoli, che ci lega inscindibilmente a Cristo ed agli Apostoli.

Domandiamo all’Ancella del Signore, l’obbediente per eccellenza, a Colei che, anche nella fatica, ha cantato il suo: “Eccomi, avvenga di me secondo la tua parola”, la grazia di un’obbedienza filiale, piena, lieta e pronta; un’obbedienza che ci liberi da ogni protagonismo e possa mostrare al mondo che è davvero possibile donare tutto a Cristo ed essere pienamente realizzati ed autenticamente uomini.
  • Mauro Piacenza, Segretario della Congregazione per il Clero
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven nov 20, 2009 11:07 am


  • Il prete e la tentazione del protagonismo
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L'efficacia del ministero, garantita, nei suoi aspetti essenziali, dalla grazia divina, descritta nell'ex opere operato di tomista memoria, è affidata anche, misteriosamente e nel contempo in modo affascinante, alla libertà del singolo sacerdote e al percorso di progressiva conformazione esistenziale a Cristo, unico sommo sacerdote, che ha inizio con il sacramento dell'ordine e prosegue per tutto il tempo dell'esistenza terrena. In tal senso, ciascun sacerdote è, per eccellenza, uomo della comunicazione: della comunicazione con Dio e della comunicazione di Dio ai fratelli, a lui affidati nella sollecitudine del ministero.

Come ricorda la Lettera agli Ebrei (5, 1-2), il sacerdote è un uomo totalmente relativo a Dio, dell'unico "relativismo" di cui sia possibile gloriarsi! È un uomo costituito dalla Misericordia divina in una precisa funzione rappresentativa di Cristo stesso: è alter Christus, come c'insegna la migliore tradizione ecclesiale. In tal senso egli è, indipendentemente anche dalle personali doti di comunicatore, sacramentalmente costituito in comunicazione rappresentativa di Cristo stesso: il sacerdote e il sacerdozio non sono autosufficienti o indipendenti da Cristo e, quando - Dio non voglia! - lo divenissero, perderebbero la propria stessa forza missionaria, riducendosi a mere realtà umane, incapaci, per conseguenza di comunicare e rappresentare il Mistero. Lo stesso esercizio dei Tria munera sacerdotali è eminentemente un atto di comunicazione. Non mi riferisco solo al munus docendi, che lo è in modo più diretto e immediato nella predicazione e nella catechesi, ma anche al munus sanctificandi, in quella straordinaria forma di celeste comunicazione che è la divina liturgia, che obbedisce a precise regole comunicative proprie, mai disponibili a personali manipolazioni o aggiustamenti, e al munus regendi, per mezzo del quale i sacerdoti sono chiamati a comunicare la sollecitudine di Cristo Capo, Buon Pastore, che pasce, attraverso i suoi ministri, il gregge, per condurlo al Padre.

La comprensione e, dove necessario, la ri-comprensione della sostanziale natura ontologico-rappresentativa del sacerdozio ministeriale, distinto essenzialmente da quello battesimale, costituisce oggi un'autentica priorità per il clero, sia nella formazione iniziale, sia in quella permanente. Insegna a tal riguardo il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1581: "Questo sacramento configura a Cristo in forza di una grazia speciale dello Spirito Santo, allo scopo di servire da strumento di Cristo per la sua Chiesa. Per mezzo dell'ordinazione si viene abilitati ad agire come rappresentanti di Cristo, Capo della Chiesa, nella sua triplice funzione di sacerdote, profeta e re".

La prima e più efficace condizione perché ciascun sacerdote assuma consapevolmente la responsabilità della comunicazione che pone in essere, è determinata dalla comprensione della propria autentica e profonda identità, sacramentalmente e definitivamente determinata, non disponibile e, proprio per questo, oggettiva comunicazione del divino. Lo stesso Santo Padre, nel mettere in luce il nucleo essenziale della spiritualità di san Giovanni Maria Vianney, nel cui 150° anniversario celebriamo l'Anno sacerdotale, lo ha individuato nella "totale immedesimazione con il proprio ministero". Proprio tale immedesimazione è condizione imprescindibile d'ogni efficace comunicazione.

La seconda suggestione, che mi pare urgente offrire, riguarda l'indebito, e non di rado perfino davvero imbarazzante, proliferare dei "preti-star", presenti in molti organi d'informazione, soprattutto in televisione, senza alcun permesso dell'ordinario e senza possibilità di reale controllo da parte della legittima autorità ecclesiastica.

Se da un lato sarebbe onestamente auspicabile, in tale ambito, un'opportuna riflessione sul servizio di "sorveglianza" degli ordinari - non si tratterebbe di un soffocante regime "poliziesco", ma di senso di responsabilità e di carità pastorale verso tutti, credenti e non - dall'altro ferisce non poco la constatazione di come spesso, se non nella maggioranza dei casi, certi sacerdoti, e persino alcuni religiosi, si discostino, anche palesemente, dalla comune dottrina, e non solo in ambito morale, ma anche de fide. È il segno d'uno smarrimento della propria coscienza identitaria, che determina, non di rado, disorientamento nei fedeli laici e nei comuni ascoltatori, i quali sono posti davanti alla differenza, talora clamorosa, tra la dottrina ufficiale della Chiesa e quanto comunicato - aggiungerei "inopportunamente!" - dai sedicenti preti-star.

Sappiamo bene come il mondo, nel senso giovanneo - e in tal senso non pochi media svolgono pienamente questo compito - abbia sempre cercato di travisare la verità, di disorientare e, soprattutto, di nascondere la poderosa unità della dottrina cattolica, sia intesa in se stessa, come compiuto sistema di comprensione del reale che ha in Dio stesso la propria origine soprannaturale, sia rispetto alla reale unità del Corpo ecclesiale che, ben lo sappiamo, è seme fecondo d'efficace testimonianza, all'insegna della preghiera sacerdotale: Ut unum sint.

Ora è quanto mai importante evitare il proliferare di quello che non ho timore di definire un vero e proprio far west comunicativo, nel quale alcuni sacerdoti, pretendendo di parlare in nome della Chiesa e, di fatto, in parte rappresentandola, almeno in forza dell'ordinazione sacramentale, procurano divisione e disorientamento, arrecando un vero e proprio danno all'unità e all'efficacia della comunicazione ecclesiale ed evangelica. Se si considera, poi, l'amplificazione che tali interventi mediatici hanno, in forza degli strumenti adottati la responsabilità diviene davvero incalcolabile. Vengono in mente le parole chiare del Signore: "Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli" (Matteo, 5, 19). Probabilmente, parte della Chiesa, e in essa del corpo episcopale chiamato a vigilare, deve ancora assumere pienamente il significato portante che, anche a livello antropologico, ha avuto, e avrà nei prossimi decenni, la cosiddetta "rivoluzione mediatica", che, dopo quella francese e industriale, è la più importante rivoluzione della modernità.

Un'ultima osservazione sul significato e sulla corretta collocazione teologica della comunicazione. Non di rado si è creato un certo slittamento semantico tra i termini "comunione" (communio) e "comunicazione", pensando d'individuare reali o presunte "radici trinitarie" alla comunicazione umana. Se è chiaro che è sempre l'uomo l'attore, o almeno uno degli attori, della comunicazione, e che l'uomo è stato creato a immagine del Dio trinitario, ed è chiamato a divenirne somiglianza, tuttavia non pare direttamente giustificata un'identificazione dei due suddetti termini. La communio appartiene all'ordine dei fini ed è assolutamente necessario rispettarne la natura, anche e soprattutto all'interno del discorso teologico. La comunicazione, per contro, appartiene all'ordine dei mezzi e può lecitamente essere descritta come un mezzo, forse come uno dei mezzi più efficaci, per il raggiungimento o, meglio, l'accoglienza della communio. Ritengo che la riflessione su questa "strumentalità" e "finalizzazione" della comunicazione alla comunione, sia premessa indispensabile d'ogni pensare teologico, che voglia portare un contributo realmente edificante, e permetta, anche alla comunicazione dei sacerdoti, una reale finalizzazione che, in sintesi, potrebbe, semplicemente, rispondere alla domanda: "Quanto sto comunicando appartiene alla Chiesa? Favorisce la comunione? Comunico, cioè metto in comunione, chi mi ascolta, con duemila anni di storia cristiana?".

Anche nella comunicazione dei sacerdoti è di straordinaria efficacia quanto ricordato dal Papa nella Caritas in veritate: "L'essere umano è fatto per il dono, che ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza. Talvolta l'uomo moderno è erroneamente convinto di essere il solo autore di se stesso, della sua vita e della società. È questa una presunzione, conseguente alla chiusura egoistica in se stessi, che discende - per dirla in termini di fede - dal peccato delle origini. La sapienza della Chiesa ha sempre proposto di tenere presente il peccato originale anche nell'interpretazione dei fatti sociali e nella costruzione della società: "Ignorare che l'uomo ha una natura ferita, incline al male, è causa di gravi errori nel campo dell'educazione, della politica, dell'azione sociale e dei costumi (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 407)". Evidentemente può essere causa di gravi errori anche nel campo della comunicazione e della "comunicazione nella missione del sacerdote".
  • Mauro Piacenza, Segretario della Congregazione per il Clero
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Messaggio da miriam bolfissimo » ven dic 11, 2009 11:16 am


  • Allenamento della formazione permanente
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Come impostare un'adeguata proposta formativa negli anni successivi all'ordinazione?
L'allenamento nella formazione, assume oggi il volto di quella che comunemente viene detta "formazione permanente". Essa richiede una attenta valutazione e programmazione, per evitare che si riduca ad improvvisati incontri che nulla o poco hanno di formativo. Ma come impostare questo percorso?

Desidero anteporre due premesse ad ogni altra considerazione: uno sguardo al ruolo del vescovo ed una corretta collocazione delle proposte della diocesi rispetto alla libertà personale. Rispetto al vescovo è necessario ricordare, che, analogamente al superiore generale per la sua congregazione, egli è il responsabile primo della formazione permanente, ne è il primo animatore ed è per lui un dovere offrire una proposta adeguata e nel contempo un "diritto" esigerne la cordiale accoglienza da parte dei presbiteri. Si noti che ho parlato di "proposta adeguata". Nell'esercizio di questo suo compito il vescovo può, e talvolta necessariamente deve, avvalersi, soprattutto nelle diocesi più grandi, di collaboratori. Egli può nominare un delegato che si occupi esclusivamente della formazione permanente del clero oppure può chiedere, ad altri sacerdoti, che rivestono altri incarichi, di occuparsene. La collocazione della formazione permanente può essere legata alle strutture della formazione iniziale (seminario, istituti o facoltà teologiche, ecc.) oppure dipendere dall'ufficio clero della diocesi o, sarebbe forse la prospettiva migliore, dall'ufficio cultura. In ciascuna circostanza si dovrà valutare quale sia la migliore configurazione, tenendo sempre ben presente che l'esito non dipende mai solo dalle strutture, ma è sempre strettamente correlato alle persone. È la scelta delle persone giuste a determinare il buon esito di un progetto di formazione permanente.

Per quanto riguarda la seconda premessa, il rapporto cioè tra piano di formazione e libertà personale, è necessario ribadire con grande chiarezza che ciascuno è, in definitiva, responsabile della propria formazione, autoformazione e del proprio "aggiornamento": ciascuno è il "personal-trainer" di se stesso. È necessario riconoscere come ogni proposta debba necessariamente incontrare la libertà personale che, in maniera criticamente adulta, ma non scettica, responsabilmente dialogica, ma non demolitrice, si pone di fronte alla proposta. Per questa ragione ogni proposta formativa deve essere "adeguata", adeguata alla struttura dell'uomo, intelligente e libero, adeguata alla cultura dei destinatari, adeguata a persone che, normalmente, hanno grande esperienza esistenziale, hanno un rapporto consolidato con il Signore e sono, a loro volta, responsabili della formazione altrui, responsabili della vita di intere comunità, responsabili, custodi ed accompagnatori del cammino spirituale di centinaia di persone. Come accade in ogni ambito ritengo che l'esito non pienamente soddisfacente di tante proposte di formazione permanente contemporanee, non dipenda dalla cattiva disposizione o dalla presunta insensibilità del clero, ma piuttosto, dalla mediocrità delle proposte stesse che, spesso, non rispondono alle reali esigenze delle persone e che rischiano di ridursi a "meri consigli pratici", senza giungere, almeno tentativamente, a ridire e a ridare le ragioni profonde della propria scelta vocazionale, del ministero, e della fedeltà agli impegni assunti, dando così sempre di nuovo ragione della propria condizione. Come impostare, a questo punto, un possibile "percorso formativo"? Proviamo a delinearlo.
  • I destinatari
Quando si pensa ad una qualunque iniziativa è sempre necessario valutare a chi essa si rivolga. Destinatari dell'offerta di formazione permanente sono, in linea teorica, tutti i presbiteri incardinati in una determinata diocesi, quelli che in essa prestano servizio pur senza esservi incardinati e, secondo le proprie possibilità, e soprattutto laddove si tocchino elementi più direttamente pastorali, anche i presbiteri religiosi ai quali è affidata la cura d'anime nelle parrocchie o in altre istituzioni dipendenti dalla diocesi. È evidente che nei presbiteri ci sono età differenziate, percorsi diversi e, quindi, esigenze diverse. A tale differenziazione dovrà necessariamente corrispondere una diversificazione della proposta, pensando ad esempio, ad un percorso distinto tra clero giovane e clero più maturo, pur conservando non pochi momenti comuni per favorire la reciproca conoscenza, la crescita nella stima, il fecondo scambio di esperienze esistenziali, spirituali e pastorali. In tal senso, per il clero più giovane si potrà ritenere l'ormai classica distinzione tra primo anno di ordinazione, primo quinquennio e secondo quinquennio.

Il primo anno dopo l'ordinazione sacerdotale dovrà essere programmato in stretto rapporto con il seminario diocesano, conoscendone l'orientamento, le sottolineature teologico-pastorali, in una sorta di ideale compimento del percorso formativo. Tutti ben sappiamo quanto delicati possano essere i primi anni di ministero e, tra essi, quanto importante sia il primissimo impatto con la realtà pastorale subito dopo l'ordinazione. Non di rado il fallimento o la grave problematicità della prima esperienza può segnare la vita del novello sacerdote in modo importante. Per tale ragione sarà indispensabile curare con particolare attenzione, evitando di obbedire esclusivamente ad esigenze numeriche o pastorali, la prima nomina del neo-sacerdote, permettendo, in tal modo, per quanto possibile un'esperienza iniziale relativamente piana, almeno per quanto riguarda i rapporti umani e di collaborazione.

Tutto il primo quinquennio dovrà essere concepito come un accompagnare il giovane sacerdote il quale, è bene ricordarlo con chiarezza non è più un seminarista (e questo sin dall'ordinazione diaconale), ma è divenuto appunto, un presbitero della Chiesa e quindi una persona che si deve presumere adulta, responsabile, capace di assumere decisioni e con una struttura umana e psico-affettiva fondamentalmente stabile. Altro respiro potrà avere la formazione permanente del secondo quinquennio e degli anni successivi, tenendo presenti alcune tappe importanti della vita sacerdotale nelle quali è possibile offrire una proposta più significativa. Per esempio l'esperienza dei neo-parroci, nominati nell'anno, o in un periodo relativamente circoscritto, suggerisce come, tale passaggio, sia bisognoso di un particolare accompagnamento e dunque di una particolare proposta di formazione sia da un punto di vista pastorale sia per tutti gli aspetti giuridici, economici, amministrativo-gestionali e di rappresentanza legale che, l'essere parroco determina.

Altri momenti di particolare formazione e revisione di vita possono essere gli anniversari di ordinazione, partendo magari dal decimo per giungere al venticinquesimo ed al cinquantesimo. La capacità di fare sintesi e di valutare onestamente davanti a Dio la propria esistenza sacerdotale può essere sostenuta da richiami oggettivi di questo tipo che, lungi dal divenire occasione di "lamentazione" o pessimismo, devono essere un ininterrotto canto del Magnificat per tutto quanto il Signore compie attraverso il ministero sacerdotale. Normalmente, pensando al sacerdote diocesano si guarda a coloro che sono fattivamente e quasi esclusivamente impegnati nella cura d'anime in modo diretto, quindi ai parroci e ai vicari e collaboratori parrocchiali. È importante, però, tener presente che nel presbiterio esistono molti altri ministeri, che, talvolta nel nascondimento, contribuiscono all'edificazione del Regno di Dio. Penso agli insegnanti, ai cappellani degli ospedali, delle carceri, delle associazioni e dei movimenti, delle religiose, ecc. tutti sacerdoti, che sono e devono essere oggetto dell'attenzione del Vescovo e destinatari del progetto di formazione permanente.
  • Salvatore Vitiello
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Messaggio da miriam bolfissimo » mar dic 15, 2009 10:18 am


  • Nella vita del Presbitero, la preghiera occupa uno dei posti centrali
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Cari Presbiteri,

nella vita del Presbitero, la preghiera occupa necessariamente uno dei posti centrali. Non è difficile capirlo, perché la preghiera coltiva l’intimità del discepolo col suo Maestro, Gesù Cristo. Tutti sappiamo che, quando essa viene meno, la fede si indebolisce e il ministero perde contenuto e senso. La conseguenza esistenziale per il Presbitero sarà avere meno gioia e meno felicità nel ministero di ogni giorno. È come se, sulla strada della sequela di Gesù, il Presbitero, che cammina insieme a tanti altri, cominciasse ad arretrarsi sempre più e così si allontanasse dal Maestro, fino a perderLo di vista all’orizzonte. Da allora, egli resta smarrito e vacillante.

San Giovanni Crisostomo, in un’omelia, commentando la Prima Lettera di Paolo a Timoteo, avverte con saggezza: “Il diavolo infierisce contro il pastore […]. Infatti, se uccidendo le pecore il gregge diminuisce, eliminando invece il pastore, egli distruggerà l’intero gregge”. Il commento fa pensare a molte situazioni odierne. Il Crisostomo ci ammonisce che la diminuzione dei pastori fa e farà calare sempre più il numero dei fedeli e delle comunità. Senza pastori, le nostre comunità saranno distrutte!

Ma qui vorrei anzitutto parlare della necessaria preghiera affinché, come direbbe il Crisostomo, i pastori vincano il diavolo e non vengano meno. Veramente, senza il cibo essenziale della preghiera, il Presbitero si ammala, il discepolo non trova la forza per seguire il Maestro, e così muore per denutrizione. In conseguenza, il suo gregge si disperde e, a sua volta, muore.

Infatti, ogni Presbitero ha un riferimento essenziale alla comunità ecclesiale. Egli è un discepolo molto speciale di Gesù, il quale lo ha chiamato e, per il sacramento dell’Ordine, lo ha configurato a Se, come Capo e Pastore della Chiesa. Cristo è l’unico Pastore, ma ha voluto fare partecipare a Suo ministero i Dodici e i loro Successori, mediante i quali anche i Presbiteri, sebbene in grado inferiore, sono fatti partecipi di questo sacramento, cosicché anche loro partecipano in modo proprio al ministero di Cristo, Capo e Pastore. Ciò comporta un legame essenziale del Presbitero con la comunità ecclesiale. Egli non può fare a meno di questa sua responsabilità, dato che la comunità senza pastore muore. Anzi, sull’esempio di Mosé, deve restare con le braccia alzate verso il cielo, in preghiera, affinché il popolo non perisca.

Perciò, il Presbitero per restare fedele a Cristo e fedele alla comunità, ha bisogno di essere un uomo di preghiera, un uomo che vive nell’intimità del Signore. Ha bisogno inoltre di essere confortato dalla preghiera della Chiesa e di ogni cristiano. Le pecore preghino per il loro pastore! Quando, però, lo stesso Pastore si rende conto che la sua vita di preghiera si indebolisce, è ora di rivolgersi allo Spirito Santo e chiedere coll’animo del povero. Lo Spirito riaccenderà il fuoco nel suo cuore. Riaccenderà la passione e l’incanto verso il Signore, che è sempre là e con lui vuole cenare!

In quest’Anno Sacerdotale, vogliamo pregare, con perseveranza e tanto amore, per i Preti e con i Preti. A tal proposito, la Congregazione per il Clero, ogni primo Giovedi del mese, durante l’Anno Sacerdotale, alle ore 16, celebra un’Ora eucaristico-mariana, nella Basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma, per i Preti e con i Preti. Molta gente viene, con gioia, a pregare con noi.

Carissimi Sacerdoti, il Natale di Gesù Cristo si avvicina. Vorrei fare a tutti voi i migliori e più fervidi auguri di un Buon Natale e Felice Anno 2010. Nel presepe il Bambino Gesù ci invita a rinnovare riguardo a Lui quell’intimità di amico e discepolo, per rinviarci come i suoi evangelizzatori!
  • Cardinale Cláudio Hummes, Arcivescovo Emerito di São Paulo, Prefetto della Congregazione per il Clero
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