La Sacra Scrittura - GENESI - Capitolo I -D. Dolindo Ruotolo

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La Sacra Scrittura - GENESI - Capitolo I -D. Dolindo Ruotolo

Messaggio da Don Armando Maria » mer apr 13, 2016 10:50 am

La Sacra Scrittura - GENESI - Capitolo I (Don Dolindo Ruotolo)

«2 La terra era informe e vuota, e le tenebre coprivano l’abisso, e lo Spirito di Dio aleggiava sopra le acque. 3 Dio disse: “Sia fatta la luce”. E la luce fu fatta. 4 Dio vide che la luce era buona e separò la luce dalle tenebre. E chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E della sera e della mattina si compì il primo giorno“.

6. Le tenebre e la luce
Tutto l’universo ha un’ammirabile nota di unità, constatata oggi con certezza assoluta dalla scienza per mezzo dell’analisi spettrale. Ogni elemento materiale ha una linea particolare nel suo spettro luminoso, che lo distingue infallibilmente dagli altri. L’analisi dello spettro di un corpo luminoso, anche se a distanza remotissima, può rivelare la natura degli elementi dai quali è composto. Ora l’analisi dello spettro del sole e delle stelle rivela in questi astri gli stessi elementi che formano la terra. L’unità dell’universo è confermata mirabilmente dalla stessa costituzione degli atomi, formati tutti di elettroni e protoni variamente aggregati, e dall’unità delle forze fisiche delle leggi che lo regolano.
Data questa mirabile unità che fa intendere l’unità dell’infinita Potenza creatrice, noi possiamo approfondire il mistero della creazione e il mistero della formazione della terra, studiando nei cieli la costituzione degli astri. La mirabile parola rivelata rifulge così maggiormente al nostro intelletto, e noi dobbiamo confessare ragionevolmente che solo Dio poteva rivelarcela.
Guardando il cielo noi osserviamo che non tutti gli astri sono nelle stesse condizioni di vita. Ci sono astri allo stato di nebulose, ci sono ammassi stellari e stelle dotate di luce propria per la loro incandescenza, ci sono pianeti, cioè astri già condensati o in via di condensazione, che ricevono luce dall’astro principale intorno al quale girano; ci sono satelliti, cioè pianeti già morti che girano intorno ai pianeti principali; ci sono asteroidi, o piccoli pianeti, e meteoriti, ossia frammenti di stelle che, attraversando la nostra atmosfera, per l’attrito che subiscono con l’aria, si rendono incandescenti, e finalmente ci sono le comete, ammassi di materia luminosa, dotati di un nucleo e di una coda, che percorrono il cielo a vertiginose velocità. Tutti questi stati degli astri rappresentano la scala discendente della loro formazione. Si può dire quindi che ogni astro passi dallo stato nebuloso inerte e vuoto a quello stellare incandescente e dotato di luce propria; da questo allo stato gassoso-oscuro, a quello gassoso-liquido, a quello gassoso-liquido-solido, quindi allo stato solido quando l’astro si raffredda, e allo stato frammentario quando va in frantumi. Queste fasi evolutive sono accertate nel cielo, poiché noi abbiamo astri che sono attualmente in queste diverse condizioni di vita.
La terra, di fronte alle smisurate grandezze degli altri corpi celesti, è relativamente piccola, e si trova allo stato gassoso-liquido-solido, con predominio di materiali liquidi e con formazione di continenti. Essa però è stata certamente allo stato nebuloso, quando Dio la creò, e non è affatto come molti credono il più spregiato degli astri, che anzi è il più antico, è quello che per primo compì la sua evoluzione, proprio secondo quello che ci dice il Libro Divino: In principio Dio creò il cielo e la terra. Nessuno degli astri che attualmente noi osserviamo nel cielo sta nella fase della terra, solo il pianeta Marte ci si avvicina, ma è certamente ancora in formazione. La Luna è un satellite già morto, essendosi esaurito più presto per la sua piccolezza, e forse perché fu staccato dalla terra. Noi perciò possiamo riconoscere scientificamente che in principio la terra fu quella che rappresentò la prima evoluzione della nebulosa primitiva che Dio creò formando i cieli, ripetiamo, proprio come dice il Libro Divino: In principio Dio creò il cielo e la terra. Nello stato nebuloso la terra era, scientificamente parlando, inerte e vuota, perché le nebulose che oggi noi vediamo, sono enormemente dilatate, di modo che alcune hanno un diametro così vasto, che la luce per attraversarle v’impiegherebbe dieci milioni di anni.
Su questo abisso, tenue e diradato più di qualunque materia volatilizzata, su questo ammasso etereo che uscì dalle mani dell’Infinito e purissimo Spirito, il più spiritualmente possibile, oseremmo dire, come fiocco delicatissimo, quasi per non turbare l’infinita pace della divina gloria e della divina onnipotenza dalla quale ricevette l’esistenza, su questo abisso, ancora vuoto, c’erano le tenebre. Le nebulose che noi osserviamo nel cielo si mostrano come masse biancastre, perché già cominciano a passare allo stato stellare; ma, scientificamente, la nebulosa nel suo primo stadio è oscura. Dio, dunque, ci riporta nella storia della nostra terra a miliardi e miliardi di secoli prima, e rimonta fino alla sua prima formazione, che con incide necessariamente con l’atto creativo di Dio, poiché allora il Signore formò l’etere, e nell’etere gli elettroni, e negli elettroni il principio costitutivo della materia.
Stando alla parola ebraica, abisso, thehom, significa un mare di acque copiose ed abbondanti; e veramente la massa nebulare della quale la terra fu formata, era come un mare, vuota solitudine, agitata dai movimenti vertiginosi degli elettroni, che sotto la forza onnipotente di Dio si aggregavano, si bombardavano, si separavano, preparando la costituzione del secondo stadio della materia. Lo Spirito di Dio si portava su quest’immenso mare di forze e lo ordinava alla vita, proprio come l’aquila, covando i suoi piccoli, trae la vita dall’uovo inerte. Perciò la parola ebraica merachefeth, tradotta nella Volgata ferebatur, si portava, letteralmente significa accubabat, covava. È mirabile questa Parola di Dio, e raccoglie altri misteri che la scienza non ancora conosce, ma che conoscerà in seguito.
Non vi era luce in quell’ammasso nebuloso che doveva formare la terra, non ve ne poteva essere, perché il sole non era ancora, e fu creato più tardi, quando la terra, passando dallo stato stellare a quello gassoso-liquido-solido, perse la sua luce, come vedremo subito.
E Dio disse: Sia fatta la luce, e la luce fu fatta. La terra passò dallo stato nebuloso a quello stellare incandescente, dotato di luce propria, sotto il comando di Dio. Nei milioni di millenni nei quali si era sviluppata, aveva formato con i suoi elettroni primitivi le varie materie dalle quali doveva essere costituita, in questa formazione si sviluppò un calore intensissimo; Dio comandò, e vibrò da quella massa il calore e la luce; Dio comandò, e gli elettroni come in una danza meravigliosa, o come eserciti obbedienti, presero la disposizione particolare che fece sprigionare l’immenso calore e l’immensa luce. La nebulosa si restrinse quasi in un palpito d’amore, e vibrò di luce da tutte le sue parti, come un immenso applauso al suo Creatore. Questo movimento non fu istantaneo, richiese miliardi di secoli, ma questo tempo era meno che un istante nell’eternità divina. Dio disse: Sia fatta la luce, dando a quella massa il movimento che doveva produrre la luce, e la luce fu fatta. La parola ebraica y’ hi ‘ora significa propriamente: Sia fatto il fuoco, il fuoco che divampò in tutta la terra e produsse la luce.
E Dio vide che la luce era buona, cioè la ordinò al bene e vide che rispondeva al fine per il quale l’aveva creata. L’abisso lo glorificò, tendendogli quasi le mani, e Dio rispose alla lode che gli dava con una nuova diffusione di bontà. In un attimo quella massa immane rifulse di uno splendore intenso, emerse innanzi a se stessa, diventò riconoscibile nelle profondità dei cieli. Dio che conosce se stesso per il Verbo, luce della sua luce, volle che il caos e tutte le cose fossero riconosciute dalla luce. Ancora una volta la luce eterna illuminò la creazione e vi lasciò l’impronta divina. La luce lodò Dio perché fu quasi il palpito d’amore della materia inerte e vuota, dovendo un giorno far rifulgere tutte le opere del Creatore innanzi alle creature ragionevoli, e Dio che è infinita signorilità, rispose quasi alla luce lodandola Egli stesso: E vide Dio che la luce era buona. L’applauso divino fu la risposta all’incosciente applauso della sua piccola creatura. Com’è buono e delicato il Signore!

7. La vera luce che illumina le tenebre
Terminò la notte del cosmo, risplendette il giorno pieno della terra, e Dio perciò separò la luce dalle tenebre, e chiamò giorno la luce, e notte le tenebre, traendo da quello spettacolo grandioso quest’idea, e costituendo fin da allora l’avvicendarsi della luce e delle tenebre, cioè la nostra giornata che doveva essere l’ambiente della nostra attività e del nostro riposo. Innanzi alla sua mente divina c’era un piano ammirabile di cui quelle tenebre e quella luce erano una prima figura. Quando il Verbo si farà uomo sarà luce vera che illumina ogni uomo, poiché in Lui sarà la vita, e la vita sarà la luce degli uomini, la luce che splende fra le tenebre (Gv 1,9; 4,5). Egli allora vincerà le tenebre, e le separerà dalla luce senza annientarle. Si avrà così il male ed il bene, la luce e le tenebre. I santi saranno la luce, i peccatori e gli scellerati le tenebre, e ci sarà un abisso fra loro, eppure Dio lascerà anche alle tenebre la loro ora: Questa è l’ora vostra e la potestà delle tenebre (Lc 22,53). Le tenebre non lo comprenderanno, ma Egli non cesserà di risplendere per illuminare ogni uomo.
Le tenebre si elevano a poco a poco finché non cala la notte, e sono immagine di quelle creature che non accolsero Gesù Cristo, lo cacciarono dalla loro città e lo crocifissero. La luce cede alle tenebre, ma poi di nuovo le tenebre sono ricacciate dalla luce che risorge trionfante con l’alba del nuovo giorno. Nel giorno e nella notte c’è un’immagine della vita temporale del Verbo di Dio fatto carne: Egli nacque e si mostrò in un luminoso meriggio di opere mirabili; quando venne l’ora delle tenebre tramontò nei rossi bagliori di sangue, sulla cima del Calvario, riposò nel sepolcro, ed alla terza vigilia della notte, cioè all’alba del terzo giorno, risuscitò a vita immortale.
Chi segue Gesù Cristo non cammina nelle tenebre, poiché Egli è la luce del mondo. Senza di Lui noi non siamo che un tenebroso caos. La scienza, le arti, la vita umana, le nazioni, le anime, le famiglie, le scuole, tutto è tenebre senza Gesù Cristo. Come è ingrato il mondo che potendo vivere nella luce di Dio preferisce le tenebre e la morte!
Il caos tenebroso, informe e vuoto, fu la prima voce di gloria che si levò a Dio dalla creazione, fu come l’atto di umiltà delle cose create, che apparivano estremamente confuse perché aspettavano tutto da Dio; fu il primo confine, per così dire, tra la creatura inerte e vuota ed il Creatore infinitamente in atto, fra la creatura avvolta dalle tenebre ed il Creatore tutto corruscante nell’infinita sua luce.
Tu solo, o mio Dio, sei vita, ordine, amore, bellezza infinita! Di fronte a te anche la meraviglia della creazione è cosa informe e vuota, ricoperta di tenebre. Tu raccogli la nostra mente nella considerazione del caos informe e vuoto, perché essa ricerchi te solo, eterna verità. Senza di te il nostro cuore è un caos, la nostra mente è tenebre, la nostra vita è un povero e caliginoso abisso inondato dai flutti dell’affanno! Senza di te siamo come poveri artritici, impacciati nei voli dell’amore dalla materia che ci trae nel baratro. Tu solo sei il nostro movimento e la nostra vita, come Tu solo ti movevi sul caos per vivificarlo. Tutto è vuoto e tenebroso senza di te, e perciò i piccoli atei e i miscredenti sono solitudine e caos, sono abisso d’iniquità senza luce, energia spaventosa nelle potenze dell’anima, vacuità agghiacciante in tutta la loro vita!

8. L’osanna della luce al Signore. Il primo giorno e la natura dei giorni della creazione

Se la luce avesse avuto un’intelligenza con quale gioia si sarebbe mostrata sulle tenebre del caos! Essa, prima immagine del Verbo Incarnato, discendente dal seno del Padre sulle nostre tenebre, con quale amore avrebbe illuminato la terra che un giorno doveva accogliere il suo Dio, e roteare nello spazio come il sole più bello, illuminata dalla croce e dall’Eucaristia! Ma se la luce non poté esultare, esultarono gli angeli, e cantarono le lodi di Dio in quel primo fulgore tutto raggi, come su delicata arpa d’oro, dalle corde oscillanti e dalla risonanza dolcissima. Anzi il Verbo stesso lodò il Padre nella creazione della luce, poiché Dio vide che essa era buona, lo vide nell’infinita sua Conoscenza, lo vide nel suo Verbo eterno, luce increata che lo glorifica, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero.
E la luce, diffusione della divina bontà, lodò il Signore… Come è gentile questa tenue e placida creatura! Si mostra senza frastuono, si diffonde con la velocità di trecento mila chilometri al secondo, riveste di bellezza le cose, ma non si lascia mutare dai contatti con la materia, non si condensa, non si svapora, non si diminuisce; è un movimento ondulante, è come il sorriso delle cose innanzi a Dio, ed il sorriso di Dio sulle cose. Di luce si rivestono gli spiriti celesti, di luce è ammantata l’Immacolata Vergine Maria, di luce s’incorona il capo dei santi, come fulgore sensibile della loro santità.
Quando fu creata la luce, della sera e della mattina si compì il primo giorno. Oggi che la scienza sa che la luce è distinta dal corpo illuminante, non trova difficoltà ad intendere che fu creata prima la luce e poi il sole. Eppure per lungo tempo questa povera e quasi cieca scienza umana aveva sorriso al racconto del Libro Divino, come sghignazzano i fanciullacci ignoranti che non intendono le parole del maestro. Quante volte la scienza ha eretto come vitello d’oro le sue teorie, e poi ha dovuto miseramente demolirle!
Ma se la luce è prima del sole, come può intendersi il giorno senza l’alternarsi quotidiano della luce del sole sulla terra? È evidente, proprio per questa difficoltà, che Dio non parla del nostro giorno, ma di un’epoca lunghissima ed indeterminata; la stessa parola ebraica jôm, giorno, indica il giorno comune ed un’epoca indeterminata. La sera fu dunque l’epoca lunghissima delle tenebre cosmiche, e la mattina fu l’epoca lunghissima del passaggio della terra dalla fase nebulosa alla fase stellare. Negli altri giorni della creazione la sera è l’epoca lunghissima che preparò la creazione particolare di cui si parla, e la mattina è lo splendore di quella creazione. È questa una spiegazione tanto logica, ed emerge così dal contesto scritturale, che può dirsi certa.
Gli Ebrei, in ossequio al succedersi misterioso di queste sere e di queste mattine della creazione, computarono i loro giorni dal vespro del giorno precedente a quello seguente. Sono quindi fuori posto le ipotesi che si fanno per computare i giorni della creazione come giorni di ventiquattro ore, dicendo che Mosè ebbe in sette giorni la visione della creazione, o che usò metaforicamente la parola giorno per insegnare la santificazione del sabato. È più logico invece, è più bello, e si accorda mirabilmente con le più recenti scoperte scientifiche, il considerare questi giorni immensi del cosmo, formati dalle tenebre di ciò che non era e dalla luce di ciò che Dio creava.
Del resto, anche se questo fosse nel Sacro Testo un’oscurità vera, noi potremmo rifugiarci nella luce smagliante della fede, potremmo credere a Dio aspettando una luce più viva nell’eternità. È atto di sapienza credere a Dio ed aspettare da Lui un giorno la rivelazione piena della verità; è atto di sapienza, perché la limitazione della nostra mente e delle nostre ricerche non ci permette tante volte d’intendere tutto quello che leggiamo della sua Divina Parola.
Nell’accettazione della verità, come ce la rivela Dio, essa diventa nostra ricchezza, passa nell’anima come una Comunione Sacramentale, e vi rimane come germe vivo che sboccia come un fiore di luce nell’eternità. Per questo Gesù Cristo disse che sono beati quelli che non vedono e credono (Gv 20,29). Quando si vuol troppo vedere in questa vita che è vita di fede, si finisce per rimanere più ottenebrati, o si pretende di ottenere nell’inverno il frutto dell’estate, tormentando la pianta che potrebbe disseccarsi interamente. Se noi sapessimo considerare che ogni oscurità si muta poi in luce eterna, desidereremmo vivere solo di fede. Dio che ci ama tanto ha soffuso di ombre e di oscurità le sue opere e le sue parole, proprio per non farci perdere questo merito. Raccogliamo ogni oscurità come una promessa di luce, come un dono di Dio, e prostrandoci innanzi a Lui diciamogli solo questo: Ti credo, o mio Dio, e credo tutto ciò che insegna la Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana.


9. Un profondo mistero: Che cosa significa: «Dio disse»
Dio diffonde fuori di sé la sua bontà, e crea. Questa diffusione è sua glorificazione, poiché Egli crea tutto per se stesso e crea tutto per il suo Verbo: Omnia per ipsum facta sunt. Il Verbo eterno è la parola sussistente di Dio, è lo splendore della sua gloria, è il Figlio suo, è la sua infinita conoscenza. I prototipi dell’infinita mente di Dio sono nel suo Verbo eterno, ed è logico quindi, come si disse, che dal suo Verbo venga la diffusione della sua bontà e quindi la creazione.
In noi la parola è l’espressione del pensiero e diventa consistente nell’opera. Quando un artista scolpisce una statua o dipinge un quadro, esprime un’idea e la ferma sul marmo o sulla tela. Essendo egli limitato nelle sue attività, deve compiere faticosamente il suo lavoro. Non gli basta dire per produrre, ma deve lavorare ed affaticarsi. Se le sue idee fossero già in atto nella sua mente, egli per produrle non dovrebbe fare che esprimerle. La sua mente sarebbe allora quasi un deposito dal quale trarrebbe le sue opere già complete. Se il Mosè di Michelangelo fosse stato un’idea già sussistente, il grande artista non avrebbe dovuto scolpirlo ma esprimerlo; egli non avrebbe dovuto fare altro che diffondere fuori di sé il prototipo dell’opera sua, già completo in sé, e allora non si sarebbe detto: Michelangelo scolpì, ma Michelangelo disse e il Mosè fu fatto. La sua idea già completa e in atto, si sarebbe come condensata fuori di lui al comando della sua parola.
Se potessimo vedere nella nostra anima tutto il misterioso complesso delle nostre idee, vedremmo un’immensità di opere vaporose e tenui come nubi evanescenti. Noi diffondiamo queste idee nelle opere; anche un bambino le diffonde con i suoi giochi e con i suoi scarabocchi. Noi esprimiamo le idee o con i colori vivaci della parola, che forma nella mente di chi ascolta o legge un quadro vivo di ciò che pensiamo, ovvero con le opere materiali nelle quali le fermiamo. I poeti, che con la parola edificano i loro monumenti letterari, nel dire, producono, poiché la loro produzione è parola che sta prima in atto nella loro concezione poetica; essi però non producono che parole, le quali a loro volta si condensano in noi in tanti quadri vivaci. Dio, invece, che è onnipotente e infinitamente in atto, con una parola crea quello che vuole, e diffonde la sua bontà in opere immensamente grandi; crea per il suo verbo, secondo i prototipi della sua mente, e perciò dice, e l’opera è fatta.
Il Verbo Incarnato non operò diversamente, e le sue opere reali e palpabili vennero da un suo comando: Sorgi e cammina; lo voglio, sii mondo; fanciullo ti dico: alzati; Lazzaro, vieni fuori. L’opera più bella delle sue mani divine, l’Eucaristia, venne da una sua parola potentemente imperativa sulla sostanza stessa della sua materia: Questo è il mio Corpo, questo è il mio sangue. Disse, e dissolse gli elettroni che formavano la sostanza del pane e del vino; disse, e li sostituì con quelli della sostanza del suo Corpo e del suo Sangue. Fu un attimo; si potrebbe dire scientificamente fu la prima dissociazione degli atomi della materia e la prima transustanziazione divinamente scientifica e scientificamente divina. La materia conservò i suoi accidenti, quasi stupefatta innanzi al prodigio.
Quello che lo scienziato Rutherford dell’Istituto Cavendish di Cambridge ottenne nel 1932 bombardando gli atomi con i raggi alfa del radio, che possiedono un’energia cinetica quattrocento milioni superiore a quella di una palla di fucile, quello che egli ottenne faticosamente mutando l’azoto in idrogeno, ossia ottenendo una transustanziazione vera e propria, con i raggi più attivi che si conoscano, Gesù Cristo, Verbo di Dio, l’ottenne con una placida parola sul pane e sul vino, lasciandoci il monumento più grande del suo amore, e possiamo dirlo oggi, il fenomeno scientifico più sublime ed impressionante. Egli disse, e fu fatto come aveva detto.
Dio, creando l’universo, pose il fondamento della conoscenza per gli esseri ragionevoli che voleva creare. Dio è il mistero profondissimo, il Verbo è l’infinita Conoscenza di Dio, lo Spirito Santo è l’infinito Amore di Dio. Nella creazione, Dio ha riflesso come l’ombra di se stesso: prima il caos che lo presenta a noi come un mistero, poi la creazione determinata delle cose, che è come la conoscenza specifica dell’opera di Dio, e quindi di Dio stesso attraverso quest’opera, poi la fecondazione di tutto per lo Spirito Santo, fecondazione che è come la nota d’amore che sorge da tutta la creazione. Così dal principio si rifletteva sulle cose create l’inno vivificante di Dio Uno e Trino.
Come è solenne dunque questa parola della Scrittura: Dio disse! Quanti misteri esprime e come ci trasporta nelle profondità di Dio! Come è logico che il creato sia grandioso, dato che la diffusione di ciò che Dio disse con infinita potenza, con infinita sapienza, con infinito amore. Come è logico che la diffusione della bontà di Dio sia tanto potente che schiaccia, sia tanto sapiente che stupisce, sia tanto piena di bontà che rapisce! Se la nostra povera parola, fluente dalle potenze interne, ordinata dalla sapienza, e vivificata dall’amore, è parola che diletta e consola, che cos’è la Parola di Dio fluente dalla sua onnipotenza, rifulgente d’infinita sapienza, accesa d’eterno amore?
Dio disse, ecco la potenza; Dio disse e fu fatto come aveva detto, ecco l’ordine; Dio vide che era buono tutto ciò che aveva fatto, ecco la bontà e l’amore diffuso in tutte le cose. La potenza disse, la Sapienza ordinò, l’Amore vide, cioè si fermò su ciò che era fatto. Ecco nella creazione una triplice manifestazione della bontà di Dio, Uno e Trino. Quale pensiero questo e quale mistero!
I cieli e la terra sono una Parola di Dio, una parola splendente nell’immensità del creato, armoniosa nelle leggi che lo regolano, magnifica nella bontà e nella bellezza che in esso rifulge! Questa parola risuona in noi quando guardando il cielo, sentiamo nel cuore un raccoglimento profondo, e quando, ammirando la distesa dei campi, i fiori, gli uccelli e le meraviglie del creato, sentiamo in noi una pace che ci sazia, un raccoglimento silenzioso e fecondo che ci riempie di gioia e ci rende più buoni. Appena il nostro cuore si vuota di sé, liberandosi dal frastuono umano, la Parola di Dio che risuona in tutto il creato ci vivifica.
Tutto quello che Dio ci dice nella Sacra Scrittura ha un significato particolare e vivo nelle anime nostre. Noi siamo come un caos inutile e vuoto, pieni di oscurità e di tenebre; in questa oscurità Dio fa luce con la sua Divina Parola, e separa la luce dalle tenebre in modo che non si possano confondere. La Sacra Scrittura, benché sia Parola di Dio e opera sua, è oscura come un caos per l’anima nostra, senza la voce di Dio che risuona solo nella Chiesa Cattolica. Dio parla per la Chiesa che è come il Verbo che lo glorifica, essendo il Corpo mistico del Verbo Incarnato, e solo allora si fa in noi la luce e si dividono da noi le tenebre dei nostri pensieri umani. Parla Dio per la Chiesa e noi crediamo, rinnegando le tenebre e gli errori della nostra mente ed accogliendo il pensiero di Dio che è luce smagliante; i poveri protestanti che non ascoltano la voce della Chiesa sono caos senza luce; satana li deride, perché nelle tenebre può mostrar loro tutto a rovescio, li deride perché essi non si slanciano nella luce di Dio, ma nel cavernoso caos dell’io!
Perciò l’approvazione della Chiesa che sta in fronte al Libro santo, il Breve del Papa al traduttore, il Decreto del Concilio di Trento e quello del Concilio Vaticano, il Canone che stabilisce l’autenticità del Sacro Libro in tutte le sue parti, i commenti che lo illustrano secondo la dottrina e la tradizione della Chiesa, sono come tante fulgide luci che illuminano la Sacra Scrittura e la rendono pascolo ubertoso dell’anima nostra.
Dio disse; non si affannò per creare, ma placidamente volle. Quanta signorile serenità c’è in questa onnipotente parola! Se l’uomo potesse creare un atomo solo, con quanta alterigia parlerebbe! Egli si gloria delle opere che compie con tanta fatica, con tanti aiuti di Dio, con tanti stenti, e riempie la terra del frastuono delle sue piccole attività, quasi fossero sue. Dio dice, placidamente, maestosamente, fortemente; crea, e si nasconde, per così dire, nel mistero del creato, e manda sulle sue creature con immenso e paterno amore la sua benedizione raccogliendo le loro lodi per diffonderle in esse come rugiada di vita.
Gesù e la Mamma Celeste vi amano assai e vi benedicono; e anche io, nel loro Santissimo Amore vi voglio bene e vi benedico per intercessione del Cuore Immacolato di Maria: nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Don Armando Maria

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